Dove sono i miei calzini?

Diario di un cane.

Archie e Sheila, la sua fidanzata.

Dedica

Al nostro meraviglioso Archie.
Perché io possa scrivere questo diario per tutti i giorni della nostra vita assieme e lui possa ascoltarlo dalle mie labbra quando questi saranno finiti affinché possa conoscere la grandezza del nostro amore.

Prefazione

Nel Diario di Archie scopriamo un mondo raccontato con la spontaneità pura di un cucciolo: un incrocio tra uno spinone e un labrador nato il 14 ottobre 2024 a San Lazzaro, arrivato in famiglia come un regalo di solstizio invernale, il 21 dicembre. Attraverso la sua voce naïf, materna, eppure sorprendentemente acuta, Archie ci guida tra memorie, sensazioni, desideri e timori: la casa, il giardino, le passeggiate, i biscotti, il pollo, i piccoli drammi famigliari e le fragilità quotidiane di sua “mamma” Elena e di Alfredo, l’uomo che lui chiama “il Gigante”.

Quella di Archie non è una semplice cronaca: è un diario intimo che intreccia l’umorismo tenero di un cucciolo con la profondità emotiva di chi osserva e sente ogni sfumatura dell’amore che lo circonda. Parlare di piccole cose — i biscotti, il guinzaglio, i piccioni — diventa un modo per esplorare temi universali: solitudine, affetto, identità, la necessità di sentirsi al posto giusto, insieme a chi si ama.

Archie, con innocenza e ironia, denuncia le contraddizioni degli umani, gli equilibri complicati, le emozioni sussurrate: l’affetto, la protezione, la preoccupazione, la speranza, il bisogno reciproco. Ogni parola è intrisa di un’umanità disarmante, e il lettore non può fare a meno di sentirsi parte di questa famiglia, di condividere la sua quotidianità frammentata eppure piena di vitalità.

Questo diario non è solo una storia di cane; è una storia d’amore familiare, intessuta di imperfezioni, di tenerezza, di desiderio di appartenenza e di protezione. È l’elogio delle piccole cose, viste dal punto di vista più dolce e sincero che esista: quello di un cucciolo che conosce il mondo rendendo chi lo circonda migliore.

Nota importante. Dal momento che il diario di Archie proseguirà per tutta la durata della vita di Archie nella sua stesura avrò modo di aggiornare regolarmente questa pagina del blog con nuove giornate di diario.

Introduzione

Ciao! Mi chiamo Elena, e questa storia parte da un dolore molto grande: mi hanno portato via mia figlia. Quel vuoto mi ha cambiata dentro, facendomi sentire persa, come se stessi cercando i miei calzini dentro un cassetto che non si apre più. Poi è arrivato Archie, un cucciolo dolce e un po’ pasticcione, e tutto è iniziato a cambiare.

Archie è entrato nella mia vita come un pacchetto regalo il 21 dicembre 2024. Era un cucciolo di due mesi e mezzo, un incrocio tra uno spinone e un meticcio labrador. Il suo arrivo mi ha sconvolto il cuore nel modo più bello possibile: mi ha ridato un senso di calore, compagnia, e un motivo per sorridere di nuovo.

Questo diario è scritto dal suo punto di vista, come se fosse Archie a raccontare la sua storia insieme a me (“mamma Elena”), usando parole semplici, affettuose, e anche un po’ buffe — proprio come farebbe un cane curioso e innamorato che esplora il mondo al mio fianco.

Nei giorni di tristezza, Archie diventava la mia ancora. Con lui ho riscoperto piccoli gesti di cura, quei momenti di complicità che riempiono una casa. Ogni passeggiata, ogni rumore di calzino che sparisce, diventa un’avventura condivisa, un’occasione per riconnetterci.

Questo diario non è solo una storia di perdita. È soprattutto una storia di amore che sboccia ancora, di cura reciproca tra una mamma che si sente fragile e un cane che capisce più di quanto si pensi. È il racconto quotidiano di come due cuori scossi possono inventare una nuova famiglia — fatta di passi, odori di macelleria, carezze, risate e tanto, tanto affetto.

Se ti senti a volte solo o ti manca qualcuno, sappi che tra queste pagine potresti trovare un po’ di conforto: l’amicizia può arrivare nei modi più inaspettati. E a volte, quelle piccole creature pelose, con un naso umido e occhi dolci, sanno insegnarti che si può ricominciare a sentire amore, anche quando sembra impossibile.

Buona lettura, e benvenuti nel mondo di “Dove sono i miei calzini?”, raccontato dal punto di vista del piccolo Archie — un diario che, tra un guaito e un sospiro nostalgico, riporta a casa i frammenti di un cuore ferito.

Dove sono i miei calzini?


Caro diario,


mi chiamo Archie Ferrari ho 5 mesi e sono un incrocio tra uno spinone (la mia mamma) ed un meticcio labrador (il mio papà.) Sono nato a San Lazzaro il 14 ottobre del 2024. Ma sono arrivato dai miei legittimi genitori il giorno del solstizio d’inverno. Il 21 dicembre. Praticamente come un pacco regalo. In fondo, sarebbe presto stato Natale. Mamma e papà avevano un impegno a Modena pure. E mi hanno lasciato a casa. Quella è stata la prima e l’ultima volta.
Non ricordo molto dei miei primi giorni di vita. Ricordo sensazioni, affetto, ricordo il calore della mamma che mi accudiva. Ricordo il mio fratellino (più grande di me) che era sempre con me. Tanto affetto.
Nascere è un’esperienza unica e sconosciuta non sai cosa succede dopo la nascita e c’è bisogno di qualcuno che ti stia vicino e che si occupi di te. La mamma per me era queste cose.
……….
Gli uomini mi incitavano timore come tutto quello che ti è sconosciuto e che è incredibile più grande dei tuoi 2 kg.
All’ inizio è così.
Avevamo una casa con un bel prato la mamma il mio fratellino ed il nostro padrone erano il mio mondo e per quanto può esserlo un neonato di cane mi sentivo felice.

Alfredo


14.03.2025



“Sono due e sono grossi. Sai cosa sono?” Due Boxer mi fissavano sicuri di sé e irremovibili ad alcuni metri dalla nostra posizione. Pensai: “I cani molossi.” I miei occhi rotearono nelle orbite insoddisfatti e sospirai, poi udii il solito richiamo sommesso, il mio nome nell’incessante mormorio che mamma, che dice sempre che sono un cane intelligente, mi riserva durante ogni lunga passeggiata: “Archie?” E
riprendemmo la nostra marcia verso casa. Diedi il beneplacito alla mamma di buon grado con spirito di pazienza verso di lei, visto che sono il suo primo cane, anzi: primo cucciolo. Ho solo quattro mesi. Dicono tutti che diventerò un cane grande e grosso e io ne sono felice, così finalmente potrò raggiungere l’altezza della finestra del bagno, alla quale mi affaccio oggi solo a malapena e invece di guaire e smaniare come un pivello potrò osservare il mondo occhi negli occhi, proprio come avrei
sempre voluto. E: “Quattro mesi fa, appena soli quattro mesi fa era ancora nella pancia della mamma: pensa quanto è grosso Archie a soli quattro mesi!” Mia madre è la mia fan. Semplicemente… stravede per me ed è premurosa, con me. Mi porta dal macellaio tutti i giorni, a odorare l’aria di pollo e stracotto che si sente da quel buio laboratorio nel retro, da cui provengono gli odori. “È un bracco.” E si sa: in quanto ai bracchi, ispirano molta fierezza. È una razza che viene proferita semplicemente con un certo rispetto e luce negli occhi dei presenti. “Elena,” aggiunge così regolarmente il nostro Gigante Alfredo: “Suo padre è un mezzo bracco. Lui è solamente un giovane meticcio.” La mette sempre gambe all’aria, poveretta.
Mia mamma è una povera donna, che ha sofferto tanto. Il Gigante, alto uno e novanta, molto più di me, è il suo nuovo marito. È stato anche il suo amante, molto prima, ma non ero ancora nato all’epoca. Io conosco solo la mia mamma, Elena e il mio papà, Alfredo il Gigante, che vivono con me nella città dove sono nato il 14 ottobre 2024, nella località Croara, in una bella villa con un grande giardino dove ho scorrazzato per tre mesi e il mio fiuto sente ancora l’odore della profonda erba in cui le mie tenere zampette sono affondate tante volte, prima di venire qui, soprattutto quando passiamo accanto a San Lazzaro, alla rotonda che precede il rettilineo che porta su, su, fino alla mia vecchia casa. Ma l’umano che era il papà della mia mamma canina non c’è. Lo ricordo. Sono tanto arrabbiato con lui. A volte stizzito per una passeggiata intera quando mamma è stanca e non ne può più e divento nervoso, le prendo il cappello, lo scuoto un po’ tra le fauci, adesso che ho ben quattro mesi, faccio fuggire qualche presente che poi mamma si mette a ridacchiare tra sé e scuote la testa e le va via la malinconia; poi però quando siamo nel pàtio di casa, oltre il povero cancellino in ferro battuto del nostro condominio, le mordo ancora il cappotto sulla manica sinistra. E mamma lo sa che vuol dire: che non mi ha protetto e non è stata brava. Io sono veramente felice solo quando lei fa qualcosa per strada che mi fa sentire che è orgogliosa di me, come accarezzarmi davanti a tutti. Non ho ancora capito come mai si senta così sola. È vero che ci sono io. Ma anche tutte quelle persone. Io cerco sempre l’affetto di tutti, salto su per le gambe di tutti quelli che mi sorridono, si avvicinano. Sono affettuoso e socievole e il motivo è che penso ogni volta che siano amici di mamma. Ma solo una volta veramente qualcuno è venuto a trovarci. Anzi tre: Guglielmo, il migliore amico di mamma, che non sono io ma è l’unico amico umano che ha, la coppia di Modena amica di Alfredo e la nonna Milvia, che però è da tanto che non vedo. Una volta mamma e lei hanno litigato. Poi c’è nonno Dario. Altre volte gridano tra di loro, poi piangono, poi fanno la pace, papà e mamma. Io li guardo e penso. Penso.Penso. Già. Penso tanto. A quanto siano stupidi. Altre volte faccio ridere mamma. Non so perché faccio una pausa la guardo negli occhi attendo e lei scoppia a ridere e credo che si senta persino sorpresa di ritrovarsi a ridere così, di gusto, improvvisamente, per la mia espressione. E mi fa piacere. A volte si avvicina a me pensierosa e si ritrova a sorridere senza nemmeno accorgersene. È molto stanca di tutto, ho capito. Per strada oggi hanno pensato di me che io sia intelligente. Alfredo me lo dice, me lo
ripete sempre. “Sei intelligente, Archie.” E anche: “Sei bello.” Si avvicina al mio muso con un sorrisetto spiritoso e io gli mangio il naso o, almeno, ci ho provato molte volte, a dire il vero sono riuscito a morsicarglielo solo una volta ma lui mi ha rincorso e ha un vociare terribile, tanto che io scodinzolo a testa bassa e trotterello imbarazzato qua e là per qualche metro poi mi butto sulla cuccia e faccio finta di dormire ogni volta che questo accade con un occhio mezzo aperto e una volta ho fatto l’occhiolino a mamma e lei l’ha fatto a me. Lei l’ha notato, chissà perché, l’ha detto ad Alfredo e da allora si dice in continuazione di me che io sia intelligente. Così mamma ha cominciato a parlarmi stretto stretto nel suo bolognese maccheronico e imbastardito da mille altre cadenze di località in cui ha vissuto nella sua vita nomade per la strada, anche perché è molto sola.

Abbiamo fatto il vola vola tante volte nel fazzoletto di terra coperto d’erba che è poco più grande di una comune aiuola da albero da frutta, quella accanto al benzinaio. Il vola vola è quel gioco che faccio quando siamo nel fazzoletto del benzinaio, quello d’erba folta e pochi arbusti che mi piace mordere per la dentizione, quando comincio a correre all’impazzata tutt’intorno a mamma, che regge il guinzaglio e dice “Vola vola vola vola vola vola vola!” 

So già che quando guarderò fuori dalla finestra, ma non dalla parte del bagno, dalla parte opposta del nostro piccolo appartamento sito al terzo piano dello stabile senza ascensore nel quale viviamo noi, sulla via Emilia Levante, vedrò solo
il piatto superiore della struttura rialzata, il grande tetto del benzinaio self service, che poi sarebbe un tizio strano che mette a disagio. Va sempre a spasso con gli occhi bassi, che guardano l’asfalto, il grigio. Quanto grigio in questa stramba città… Sono io la luce dei suoi occhi, il suo faro o almeno così dice, così io cammino ritto davanti a lei e le faccio da guardia nell’avventura quotidiana che è soprattutto la mia passeggiata mattutina.

L’unica sosta quotidiana che mi concedo durante questa passeggiata, che facciamo dopo che ho leccato bene le labbra e le mani e la gambe a mamma che si scopre stesa nel lettone dove gioco più tardi nella giornata con il mio osso gustoso al pollo sbatacchiandolo qua e là, è quella dal giornalaio. Lui, Cesare, un buon uomo, è andato in pensione alcuni giorni fa. Chi potrebbe più vederlo! Mi dava sempre un piccolo biscotto sbocconcellato che io sgranocchiavo insieme a qualche sparuto avventore che veniva più che altro per dargli il buongiorno, o passante disperato cui veniva il latte alle ginocchia davanti a tutti quei costosi giornali invenduti. Così, pensa te… Gli abbiamo comprato pure una scatola di biscotti, perché mamma si è sentita in colpa davanti a tanta bontà e quando è andato in pensione Cesare mi sono sentito sollevato pure io per lui, che sono solo un cane. O almeno, Alfredo dice che io sarei solo un cane. Mamma gli sorride e dice: “Il nostro bimbo. Guarda come cresce bene.” Alfredo è il mio punto di riferimento, un grande uomo. Una statua, quasi. Gli farei un monumento, se fossi nato scultore. E lo farei pure bene, bello così com’è, un omone. Lui dice energumeno, iron man. Così si definisce lui. Proprio così, alla stregua di un iron man energumeno. Ma sarà proprio vero che lui è il mio papà? Io sarei incredulo. Un uomo del genere, robusto, ben messo. Chissà come potrei venir su bene, io!

Mamma invece è fragile. E mi fa sentire un po’ meno sicuro di me. Ma si accorge anche di tante cose anche e fa un po’ pena, poverina. Ha sofferto tanto. Una volta ha gridato che quel che ha lo deve solo a sé stessa. Adesso ha me ed è così grata a Dio per avermi partorito che nemmeno si potrebbe immaginare la felicità che ha negli occhi quando mi guarda, anche da lontano. Basta che le gironzoli intorno che mi darebbe un biscotto o una carezza così io la amo e mi fa andare in brodo di giuggiole così tanto pazza di me! Che sia proprio io la causa della sua felicità è una cosa importante. È un po’ bambina. 

Un po’ anche e soprattutto compagna di giochi e sorella. Anche se si vede che sarebbe più vecchierella di me. Sta diventando vecchia. Ha quarant’anni quasi. Cammina a fatica, mi mormora implorante di aspettarla. Mi dispiace e fa un po’ arrabbiare quando durante la passeggiata dice: “Pianino, pianino…”

Insomma, mamma nota un sacco di cose. Sa che potrei essere più sicuro di me come Lip, un cagnolino che ho conosciuto all’area cani. E vorrei assomigliare più al papà. Ma fa fatica a mandarmi a spasso con lui. E’ stato un po’ severo più di una volta con me Alfredo. Mi ha sgridato perché giocavo tanto. Voglio bene a papà. Anche se avessi riverenza di lui basterebbe insistere un po’ perché io uscissi con lui. Mi accuccio sull’uscio intimorito nei giorni in cui mamma è troppo stanca per accompagnarmi a spasso ma poi mi passa ed è un onore, un orgoglio essere a spasso con papà. 

Mi piace anzi adoro far fare bella figura ai miei cari con me al centro dell’attenzione e delle coccole di tutti quelli che guardano. Mi piacciono complimenti e sguardi e sorrisi.
Mamma è iperprotettiva. Non so che significhi ma lo dice sempre papà, a lei che però ne vede il lato bello perché io la riempio d’amore. Quello che non aveva. Papà le dice che non doveva prendermi. Glielo ripete. Lei dice: “Già.” E sospira ipocritamente poi si volta e mi fa sempre l’occhiolino. Io la guardo sornione e le faccio cenno di cambiare faccia davanti al papà subito. Perché la capisco. Mamma sa di me poi la cosa più importante: che ho bisogno di giocare di più e che tutti gli umani dei cani vanno sempre troppo di fretta. Fare amicizia è così complicato se così si fugge sempre a lavorare e la passeggiata si fa solo per venti minuti prima e dopo altre mille faccende da umani. Terribile la vita degli umani.

E già, mamma sa anche che mi piacerebbe se avesse più amici umani, ma avrebbe litigato. Almeno questo sostiene papà. La tabaccaia perché ne era gelosa, la farmacista perché aveva la puzza sotto il naso. Così, quando le dicono che lei è sola lei risponde: “Sono io che non voglio affezionarmi. Non loro che non vogliono me.” E io lo so che nessuno sarebbe capace di sopportare le “stranezze” che ha, come dice qualcuno. La verità? Dura convivere con un carattere indomito come il
suo. Quello di una che ha vissuto mille vite. No, non come i gatti. Quelli ne hanno solo nove o sette. Solo Dio infatti potrebbe saper dire come sia addirittura uscita da un ospedale psichiatrico e abbia ricostruito la vita daccapo. Almeno dove non si fosse fatta odiare potrebbe comportarsi più come un cane che non come un gatto. Magari un giorno andremo ad abitare altrove e ricomincerà di nuovo daccapo, poveretta. Solo così le riuscirebbe.

Prima o poi conoscerò la mia sorellina umana. Sua figlia. Una bambina che dovrebbe avere sei anni. Lei mi avrebbe promesso che potrei conoscerla e io mi sento già male al solo pensiero. Credo che potrei voler gridare: “Ma come fai a non essere sua figlia tutti i giorni?” La pregherei. Abbaierei così al suo cospetto la mia preghiera per mamma, tanto che quella bimba anziché vivere con la sua nonna paterna verrebbe con noi. La suocera di mamma con un tradimento se l’è accaparrata in affido alle spalle di tutti e dice di voler bene a mamma ma mai una telefonata in sei anni… Perché? Non lo so ancora ma prenderei volentieri alla bambina, mia sorella (mi viene già il fiato grosso al solo pensiero) la giacchetta tra le fauci, ma senza stringere, come faccio con mamma quando entra in casa dopo che è uscita senza di me a fare le commissioni che non può fare con me, quando la trascino dove voglio io. Fino a portarla qui. Questo le farebbe capire prima o poi che si potrebbe benissimo fare come dico io perché Archie non può sbagliare. Io, Archie, sono un bravo cane. Io le so certe cose. Sono il miglior cane del mondo. Bello e intelligente. Pure bravo e buono e bracco. Dunque? Quella bambina deve sapere che mamma è una brava! Come si prende cura di me! Con quante premure! La mia sorellina umana è il motivo per cui soffriva e io sono uscito dalla pancia per scegliere
mamma. E ho rinunciato al mio giardino, alla mia casa alla Croara. Per mamma. Quindi quella bambina, anziché starsene in affido, potrebbe venire anche a trovarla qualche volta, quando sarà grande o le verranno “i sensi di colpa.” Devo sgridarla? Mamma mi ha preso per dimostrare al mondo intero di saper fare la mamma, anche in mezzo a mille vite incasinate e occhi guardarobieri di gente che la fissa come una scarpa inchiodata lì, al muro, appesa e abbandonata. Uno straccino che per un decreto di allontanamento è caduta in disgrazia. Ma ho un po’ di paura e mi viene il capogiro ogni volta che penso ad Elisabetta. Mi vengono gli incubi. “E tu chi sei?” Avrò preso il posto di qualcuno, io. Finirà così. Ho paura di Elisabetta. Mia sorella. Temo che potrebbe prendere il mio posto, prima o poi. Perché io non voglio andare via dal cuore di mamma.


Mamma ride soprattutto quando mi dà da mangiare. Dice che sono l’unico a mangiare così. Mi lancia le polpette di carne al volo. Io prima le faccio un gesto con il muso. Lei lancia, la pallina cade sul pavimento. Io salto di qua e di là festoso e poi mangio la preda. Amo la cacciagione. Mamma lo sa. Particolarmente i pennuti. I fagiani, ad esempio. Per farmi ridere mamma mi mormora la filastrocca dei due cani grossi oppure, ancora meglio, mi chiama con il mio soprannome, cioè Barbagianni, che mi piace tanto. Questi sono i nostri motti e le nostre parole segrete.

Al mattino quando rientriamo dalla passeggiata, quella di passaggio dal giornalaio, passando accanto all’edicola chissà come siamo finalmente a casa e io ho sgambettato con tanta energia e baldanza facendo notare la mia bellezza a chiunque che non mi capacito che sia finita e non mi va ancora di tornare in casa e comincerò ad annoiarmi. Così rovisto e annuso e trovo il mio rumoroso osso insaporito al pollo, che mamma mi compra ogni due mesi, raramente, prelibato com’è e lo spingo e lo faccio urtare contro una parete, poi vado a finire nella frenesia contro al mobile con la cavità a livello del pavimento, che inghiotte l’osso, io abbaio e così via. Questo accade tutte le mattine. Così Alfredo dalla camera da letto riemerge dal sonno durato poco più di qualche ora ed esclama qualche improperio insoddisfatto. Allora improvvisamente mamma si ritrova chissà come a rassettare ed io a dormire nella cuccia grande. Insomma, facciamo finta di niente, in
modo che non ci faremmo beccare ma è sempre troppo tardi. Per Alfredo io non dovevo riuscire a venire nella nostra casa, nel giorno in cui di soppiatto mamma mi è venuta a prendere a dispetto del mondo intero. Per un annuncio piazzato online, maledetto quel padrone di prima che mi ha denunciato per aver azzannato la piuma anteriore del suo vanitoso pavone!


Poi c’è la Lulù, quella a cui dò i bacini strappandole il pelo dalla barba. La proprietaria della Lulù dice che sono bacini quelli. La verità è che io detesto vedere dei peli sulla faccia di una femmina così bella e misteriosa. Mi piace la cagnolina Lulù. Alcune mi corteggiano già. Ho sentito di un cane mio coetaneo che avrebbe già avuto una monta. Che cosa vorrà dire? 

Alfredo ha commesso l’errore di comprare un guinzaglio rosso e non blu. Io voglio bene al mio guinzaglio. Ma la pettorina è blu. Va bene che sarei bolognese, ma il calcio cosa c’entrerebbe con la moda? Una volta mamma se l’è dimenticato sulla sedia e io non l’ho nemmeno sfiorato. Solo annusato, poi via, a giocare. Altri cuccioli li rovinano. Sì, sono un cane vivace. E simpatico. Bello. Intelligente e pure grande. Ma il guinzaglio è un oggetto di culto.

Presto bene voglio crescere così grande che potrò in men che non si dica guardare fuori dal bagno e vedere giù, financo le radici dell’albero di cui oggi posso ammirare solo la punta. Una cornacchia che fa capolino, lassù. Al massimo questo. 

27.02.2025


“Sai perché i cani camminano, quando vanno al guinzaglio?” Ascoltavo le battute che non fanno ridere di mamma. Mi aveva appena offerto un mezzo biscotto, visto che avevo rinunciato a smistare i piccioni e farli tornare da dove erano venuti in quel bell’oasi che era il parco accanto a casa. Quei piccioni stavano mangiando del pane che un bambino aveva dato loro, in fondo. Così, mamma aveva voluto insegnarmi a rispettare i bambini che vogliono che siano i piccioni a mangiare il pane. Non i cani. A malincuore accettai il mezzo biscotto e un po’ controvoglia mi lasciai trascinare con un piccolo tirotto verso la direzione di casa e mamma aggiunse, prima di alzarsi dalla posizione china al mio fianco, mentre mi coccolava: “Perché qualcuno li insegue.” Roteai gli occhi dentro le orbite, sospirai, come al solito e un po’ stizzito cominciai a correre per il portico di via Lombardia in gran carriera, con lei che nascondeva quello spasmodico ansimare alla meno peggio, che le dava l’idea sempre più
pressante di stare invecchiando. E si bloccò improvvisamente sulle punte dei piedi a pochi centimetri dall’apice della mia codina simile a un fiammifero – bionda con la cimetta bianca. Avevo arrestato la marcia nel cuore della corsa all’impazzata, nel bel mezzo del porticato, laddove a terra c’era un oggetto sconosciuto.
“No no no no no no no no no” e mamma con un fare materno e imbarazzato, perché ci teneva che le facessi fare bella figura, provò a distrarmi con un oggetto, forse un biscotto.
Si trattava di una mia abitudine quella di mettermi in bocca di tutto. Mamma diceva che stavo facendo la dentizione. Si riteneva un medico mancato, poiché conosceva il greco classico. Vedendola così, caduta in disgrazia, da quando le avevano preso la figlia non si sarebbe mai detto… invece aveva studiato da vera studentessa modello e con ottimi voti, ma soprattutto un grande amore per lo studio. Quelle parole volgari in bocca ad una donna all’apparenza così fine e piena di tatto e delicatezza la facevano sembrare una vera scaricatrice di porto rivelando le sue debolezze al mondo intero in un istante solo e la mettevano in cattiva luce, soprattutto davanti ad Alfredo: severo ed esigente com’era solo con lei, non perdeva occasione com’è giusto che sia per rimproverarla.


Cosa che mamma non ricordava dei rapporti con i piccoli come me, che oggi ho quasi ben cinque mesi, è che essi mutano e crescono assai rapidamente, tanto quando rapidamente assorbono informazioni sul mondo che li circonda. Ad esempio, comincio a sentirmi un gran figlio di papà. E
molto fiero, per giunta! Mi trovo meglio con… papà, insomma, al momento. Bisogna pur sempre decidersi e fare delle scelte. Adoro dormire con lui, limitarmi ad odorare la sua cuffia di cotone sdrucito rossa della Jordan anziché addentarla e ammirarlo.E’ calmo. A volte provo ad avvicinarlo
ma con lui occorre rispettare sempre un certo gap. Non mi permette di
saltargli addosso e fare di sé ciò che voglio come potrebbe invece fare mamma. Lui mi tiene sempre un pelino distante, rispettosamente. Impone una vera e propria distanza sociale. Dove avrò imparato queste cose? Sarà stato papà.


Ora che posso ripensare in tutta tranquillità a questo mese lunghissimo che è appena passato con la mia nuova famiglia, qui seduto a osservare i caseggiati circostanti in solitudine al balcone di casa dove sono, credo che ci sia stato un momento preciso in cui dopo aver osservato tanto da parte dei miei simili, laggiù, dove incontro sempre altri cani grandi, piccoli e così via ho scelto di applicarmi con l’apprendimento delle abilità. Mi è venuto naturale, credo… Fatto sta che ho cominciato a non mettere più le cose in bocca. Mamma in fondo era abituata a infilarmi le mani senza alcuna remora e con molta naturalità fin giù nella gola, in fondo all’ugola ed estrarne sassi, muschio, terra, bastoncini, persino pezzi di metallo e la testa intera di un
pesce scartato da un ristoratore. Sarebbe stato noioso e stancante continuare a vivere alla vecchia maniera. 

E’ accaduto in una mattina di sole, all’alba quando mi sono sgranchito le gambe, facendomi indietro sul sederino e piegando le zampe anteriori per il lungo fino a terra quando siamo usciti di casa e saranno state le otto, come sempre. Mi sono sentito così vicino ad Alfredo tanto da sentirmi più sicuro di me. Un papà sa come conquistare e fare sentire sempre al sicuro, divertire e proteggere senza tutti quei salamelecchi che fanno le femmine. Quelle ci amano e sono dolcione e appiccicose così tanto da farmi fare tanto d’occhioni così a volte. E anche se sì, qualche volte – va bene, lo ammetto – mi… piace che si comporti così a mamma adoro andare con Al all’area cani, anche per dispetto e di nascosto come fa lui. La mamma non molla l’osso: vuole portarmi fuori solo lei. Mi vuole tutto per sé. E’ possessiva. Non si fida di nessuno. Ha paura di perdermi e così via. Tutte scuse!


Alfredo insomma ha cominciato a portarmi all’area cani di nascosto e le cose vanno meglio tra noi. Mamma visto che abbiamo fatto più conoscenza tra maschi si è accorta che gli voglio dimostrare quanto gli voglio bene anch’io. Ed ecco. All’improvviso una piccola luce si è accesa per Al: la sera spetta a lui ora il compito di accompagnarmi per il giro breve verso la fermata
dell’autobus dietro la quale, riparato per bene, come piace a me, faccio sai-cosa-di-scuretto-che-dopo-mi-sento-così-bene. Ci mettiamo dieci minuti. E’ un po’ più inesperto e impaziente di mamma ma
imparerà a rispettare a sua volta i miei tempi per fermarmi, annusare, osservare, puntare, dare la caccia a piccioni e merli e trotterellare, correre sotto i portici e soffermarmi ad osservare. Adoro l’erba. Masticarla. I cani scelgono la propria erba. Amo i fiori. Amo masticare i… fiori, i miei preferiti sono le margherite. A volte quando mamma va a lavorare e torna alle 2 dal solito giro che fa fare a Luna, una cagnolina di sedici anni della donna che a quell’ora è a lavorare e abita poco distante da noi, me ne porta una e poi porta un piscialetto a papà. Io li faccio sparire (entrambi,) mangio prima l’una e poi l’altro. Non faccio differenza tra fiori. Alfredo è disinteressato ai fiori, del resto. Per me sono tutti uguali.


Mi sono accorto che gli autobus sono pericolosi. Quando uno di questi si avvicina mi scanso. Ci tengo. Mi sono accorto che esisto. Mamma si sorprende sempre che sia naturale per me passeggiare entro le sponde del marciapiede. Ma dico io! MI avrà scambiato per un gatto di quelli che aveva prima a casa con sua madre.

Mamma non non mi lava tanto perché ha chiesto a Gpt se sia il caso di lavare un cucciolo. Siccome consulta così spesso Gpt su di me il papà è un po’ scettico. Cibi consentiti, cibi tossici. A me, invece, va bene non essere lavato sempre. Mamma dice che odoro di biscotto. Papà non sente gli odori anche se mamma da sempre non gli crede del tutto. Forse lo dice perché ormai la casa non profuma più di fiori come prima che arrivassi io, ma mamma sostiene,quale ex-colf professionale, che il dolce compromesso pur di ricevere tanto amore da un cucciolo è quello di lasciare andare un po’ la casa e il papà non ci guarda nemmeno, alla casa. La mamma gli dimostra il suo affetto cucinando, riempiendolo di brioche al mattino lavando e stirando, tutte cose che a lui non importano. Poi però l’osservo mentre lei gli serve il caffè e la colazione fresca mentre lui ancora è steso nel letto e gli cambia la sigaretta elettronica usata con quella attaccata al caricabatteria durante la notte, lo
osservo e… vedo un uomo molto contento di lei, che fa di tutto per farsi amare. Proprio di tutto.
Io capisco sempre la voce di mamma. 

02.03.2025



Oggi mi sono accorto che la mamma usa i biscotti che mi piacciono e amo mangiare nei momenti migliori quando ce la faccio a fare qualche impresa epica come modo per educarmi. È scorretto. Mi sento un po’ tradito. Il punto è che lei si sentirebbe superiore a me, in fondo. Crederebbe che non sia farina del mio sacco tutto ciò che faccio di buono. Un po’ di gratitudine… ma quella vera! Infatti la trovo abbastanza autocompiaciuta quando mi dà un biscotto. È merito mio, non suo ad esempio se mi
fermo seduto da bravo cane – come dicono sempre i miei se mi siedo col petto all’infuori e l’espressione seria sull’attenti all’attraversamento. 

Una volta l’ho vista guardarsi intorno in modo narcisista e farsi bella davanti a tutti per me, mentre si asciugava la fronte con un gesto da diva come se si fosse trattata di una sua fatica, quando io avevo fatto semplicemente quanto lei mi diceva perché le voglio bene. E’ naturale, avevo rinunciato a seguire il solito piccione. Perché? Ma perché lo faccio sempre e mamma mi tira indietro sempre. Non sono mica scemo! Perché era in mezzo alla strada e passano le macchine! Non ho più quattro mesi. Ora ne ho ben quasi cinque. E lei si ostina a trattarmi ancora da cucciolotto. Incredibile. Peso 15 kg. E lei si ostina.

Proprio così. Io faccio tutto l’obbediente, ascolto la sua voce nella posizione da bravo cane e lei si sente San Francesco d’Assisi solo perché può fregiarsi di avere un cane a modo. Indecente! La verità è che sono il cane più affidabile che ci sia in giro tra quelli di quattro mesi. Non mangerò più biscotti per un paio di giorni
almeno, a meno che lei proprio non faccia quella cosa irresistibile e carina, di far finta di togliermi il biscotto. A quel punto no, non potrei comunque evitare o sottrarmi alla sfida! In quel caso il biscotto va mangiato e al volo, pure. Diversamente, se non me lo facesse un pochino desiderare, anche no. Non lo voglio più il mio biscottino. Roba da cuccioli. Come mi sarei accorto di questa vanità da parte di colei che mi accudisce?

Mia madre mi usa come un trofeo e potrebbe sentirsi così responsabile che sono quasi convinto che racconterebbe che discendo da un bracco anziché dire che sono un meticcio ad esempio. E io dico meticcio. Ma lei? Incrocio. Più rispettoso. Suona meglio. Più pulitino, limpido. Mi farà venire i sensi d’inferiorità verso i cani di razza! Mi ha regalato Harry Potter perché è un mezzosangue. Capisci! Se voleva un cane di razza, che mi riporti pure da mio padrone e se ne prenda uno. Io sono chi sono. E tra un mese avrò quasi metà anno. 

Non capisco perché sia così interessata a me. È spontanea sì. Mi dice ti voglio bene tutti i giorni. Quando mi mette la pettorina la formula magica che recita per proteggermi come un mantra ossessivo compulsivo dai pericoli della strada prima di uscire è: Ti voglio bene sei il migliore. Lo dice sempre, cazzo. Odio questa formuletta. Dev’essere un po’ pazza. E a fine passeggiata: Grazie Archie. Forse crede che potrebbe arrivare Harry Potter su una scopa a salvarmi da un autobus in arrivo, potrebbe darsi. Glielo farò credere. E’ meglio per me.

Ma io non posso credere che mi voglia così tanto bene come sembra. Sembra che non abbia altri pensieri a parte me. Una volta avevo un chiodo e un pezzo di plastica in bocca. Ha fatto di tutto per evitare danni, mi ha tolto tutto dalle fauci in meno di quattro secondi. Li ho contati. Va bene che sei una brava mamma, ma non sai che potrebbe essere pericolosi? Sono pur sempre un cane! Macché cane e cane, io…. le voglio così bene? Va bene. Lo ammetto. Sono fuggito una volta. Eravamo dal veterinario. Si è slacciato il guinzaglio, io sono corso via per la strada. Mamma non si è persa d’animo. Chi mi avrebbe visto più? I cani da caccia non obbediscono facilmente ai comandi.  Mentre altri si sarebbero
fermati, lei non ha desistito e ha approfittato del passaggio di una signora con il cane perché io mi allontanavo. Ha urlato alla donna imperativamente di poter attirare la mia attenzione con un fischio, lei si è fatta avanti, io sono tornato indietro vedendo il cane. Se non fossi così socievole potrei essere morto ora. Supermamma!


Ma nonostante tutto ciò oggi mi sento un po’ deluso. Mia madre è deludente. Troppi biscotti. Non posso credere di essere stato così imbecille tanto da aver creduto veramente che lei mi pensasse così bravo. La verità? Io sono il migliore, lei… meno di me. Scusa mamma: dammi un biscotto al giorno e vediamo se tiro al guinzaglio comunque. Se non torno indietro quando dovesse sciogliersi il guinzaglione. Se non mi fermo davanti alle auto in corsa. Ho imparato! Non credi? E poi dai, ci sono nato bravo. E tu avresti potuto chiamarmi Fido. O Bambi, visto che
sembro anche un cerbiatto e un vitellino, proprio come piacerebbe a te da sempre. Oppure Chupito. Archie? Archie? Archie-leone? Archie-leo? Vieni qui, corri qui Archie, prendi il biscotto. Non lo so più se ti amo ancora. Mi hai mentito. Io non ti credo più. Ciò che sto cercando di dire è che il mezzuccio dei biscotti rivelerebbe che la tua amicizia in me è interessata per i tuoi scopi! Se vuoi che vada di là mi attiri con il biscotto. E così via.
E come si farebbe se il tuo bel cagnino facesse sciopero? Se si mettesse sdraiato sul letto e quando lo chiamassi non accorresse? Se non cedesse né scendesse più dal divano alla cuccia, anche ora che è solo 15 kg? Pensa quando peserò 30. Perché arriverà quel giorno! Eppure… c’è qualcosa che mi dice che
tutto questo sarebbe contrario ai miei principi. Io sono dopotutto pur sempre un cane. Sono obbediente per natura. Tu rimani
una falsona. 

 06.03.2025

Dicono che mamma sia succube. Mia succube. Perché la porterei dove parrebbe a me. Tiro ancora il guinzaglio. Faccio ancora saltuariamente le mie deiezioni sul pavimento, di nascosto, per giunta. E soprattutto quando lei e Alfredo si fanno le coccole sul divano io mi inserisco in mezzo a loro con tanti bacini e sorrisetti, conquisto mamma al primo leccottino e lei si fa da parte… E poi lei sarebbe succube mia? Ma quando mai… come sarebbe! Se è vero che lei non mi ha insegnato niente sarebbe anche vero dire che a me piacerebbe ancora l’idea di crescere come fanno tutti e diventare un cane bravo! Sono io succube suo! 

Alfredo si accorge che mamma si trova sull’isola del divano in un angolino anziché accanto a lui e lì invece ci sono io che lo fisso in cerca di attenzioni, come dice mamma sempre che faccio, torvo mi rimprovera senza neanche guardarmi, dipende dai casi: “Archie…” una volta solo minaccioso ma con la voce simpatica è un rimprovero lieve e significa solo scansati. “Archie vai via” più deciso significa
proprio SCENDERE dal divano, allora io ci giro ancora un po’ intorno imbarazzato finché mamma si sente in colpa e dice: “Dai Al, fa niente, fallo pure stare al suo posto” così Alfredo rimprovera improvvisamente lei che stia silenziosa perché vuole più che altro che a rispettare lui sia io in primis. Fa solo bene: sono io che ci rimetto il momento delle coccole, mica lei, falsa! Miss fortunella 2025!

Perciò tornato sul divano pensa mi tocca di scendere ancora una volta per colpa di mamma che non si è imposta e tornare sulla cuccia. Numerose volte, fino a quando mi rassegno e muso sulle zampe faccio finta di dormire per poco. Poi mentre mamma è costretta da Alfredo a non guardarmi perché Alfredo sa che le verrebbero i sensi di colpa da sindrome della sopravvissuta Alfredo e mamma possono guardare la televisione tranquillamente e io mi metto ad osservarli. Che cretini. Non sanno ciò che si perderanno mentre loro due fanno i piccioncini. Odio i piccioni!

Ma meno male che c’è Alfredo. Con lui posso dormire. Con lui mi calmo. Con mamma è sempre tutto un gioco, una felicità continua. Non ne posso più di lunghe passeggiate, passeggiate lunghissime. Sfiancanti. Mangiate pantagrueliche con la carne fresca. Queste ultime di disabituano al mangiare ciò che poi mangerò da quando mamma si renderà conto che sono cresciuto e avrà speso tanti soldi e le altre finiranno altrettanto. Un giorno finirà tutto. Ma per spezzare una lancia a favore di mamma, lei dice di no. Che non si stancherà. Che non sono solo un giocattolo per lei bensì un cane serio. Che non si stancherà di nutrirmi con il pollo fresco di prima qualità. 

La vedo arrabbiata quando qualche padrone nostalgico la ammonisce visto che sono il suo primo cucciolo spiegando il ciclo di vita dei cani, con una frase o l’altra, ad esempio: “Anche il mio giocava così, anche lui faceva sempre questi pazzi salti di gioia! Ma ad un anno di vita si calmano.” Mamma non risponde, non reagisce. Ma io la conosco. È saggia, tutto sommato. Una volta è capitato un solo colpo di fortuna a mamma (quando sono fuggito e mi hanno ripreso a parte) e sarebbe che le avrebbero spiegato anche che alcuni
cani rimangono come cuccioli. Dal veterinario, appunto. Davanti alle esternazioni dei padroncini più esperti di lei non si offende più mamma. Ricorda ogni frase, impara bene dagli altri cuccioli. Coltiva le relazioni. Mi cerca anche la fidanzata e trova il modo di combinare appuntamenti all’area cani, è una proprietaria piuttosto ambìta e ben vista (grazie a come sono io.) 

Ma ne sono contento. Se lo merita. Mi tratta davvero bene. Adesso che lei è popolare forse toglieranno i figli anche a tutte quelle che amano più i cani delle persone o cosiddetti tali. La verità è che l’amore è l’amore ed è uno e
viene da una fonte sola che ha sede nel cuore, umano e canino e dirò di più, persino felino e per quanto detesti dire questo non importa, è così. L’amore è l’amore. E dispensare amore è gratuito, incondizionato, immeritato e sempre a doppio senso di circolazione. L’amore che sgorga dal cuore di mamma verso di me è puro. E io questo lo so. Oggi l’ho difesa.

C’era giù dal balcone un bel furgone professionale di quelli di Amazon con la merce. Ho abbaiato contro. Sarò la sua guardia del corpo poveretta, indifesa com’è. Siamo una famiglia, no? 

Una famiglia. Già. Pensa quant’è vero, alcune volte vedo uscire Alfredo e mamma, mi affaccio alla finestra dalla parte del benzinaio, dalla quale li vedo sempre uscire ogni qualche giorno con la nostra bella auto rossa, una Panda, della quale mi accorgo sempre e mi soffermo nel vialetto di casa, oltre il quale c’è il mondo da scoprire. E mi dispero, a volte piagnucolo ancora oltre la porta chiusa dalla quale saltuariamente escono senza di me… lo ammetto. Ho ancora cinque mesi e loro tanto però tornano con tre borse piene di strenne per me. Io penso che siano regali e regali che mangerei più che volentieri. Vanno però a finire nel frigorifero, quel grande oggetto a forma di
scatolone bianco che non mi piace tanto perché sempre chiuso perennemente mentre io so che lì c’è da mangiare. Poi lo aprono solo ogni tanto e io mangio gli avanzi. Allora vedo che mamma mangia sempre. Credo che soffra di fame compulsiva. Mangia troppo. Ha sempre qualcosa che mangia, che strano! E per me? Ma sono sicuro che a Natale un camion di carne macinata mi spetterà perché anche la sera.

Tornando a prima, loro escono e mi lasciano solo. Io li aspetto. Secondo me vanno a lavorare. Quella misteriosa cosa che fanno gli umani quando escono di casa prima di tornare con degli oggetti dentro delle buste da mettere sul tavolo del soggiorno tutti sorridenti e rincretiniti.

 La mamma sarebbe San Francesco d’Assisi nella sua reincarnazione. Lo dice Alfredo quando è arrabbiato visto che lei mi parla sempre e mormora di tutto e io la capisco. Sono tutti stupiti. Lei ordina, io eseguo. Una volta mamma mi ha detto: “Andiamo a lavorare!” E io ho sentito una gioia pazza perché ho capito che sarebbero tornati pieni di borse per imbottire il frigorifero. Le hanno mangiate soprattutto loro, ancora una volta. Ma la speranza è sempre la speranza. La sua voce insomma mi trasmette delle emozioni e tutto qui, so che è così che mi comprano la pappa. Quando escono. Tocca sopportare.

06.03.2025


“L’amore è fatto di piccole cose. Offrire un caffè, un passaggio in auto. Dare una carezza. Dire ti voglio bene. Non di fastosi matrimoni con mille invitati e gesti clamorosi, eclatanti. Occorre andare lentamente, aspettare che l’amore offerto quale gesto più minuto e invisibile faccia il suo effetto…” Mamma mi spiegava queste cose già a cinque mesi e io pensavo che mi avesse trovato la fidanzata. Invece no. Allora ho pensato: “Se proprio volessimo parlar d’amore, tu né mi trovi la fidanzata anziano come sono, né tu non andresti in Chiesa. Mi ci porti tutte le mattine. Eppure convivi. Eppure facevi la catechista. Alfredo è solo il tuo compagno. Lo vorresti però sposare.” E ho fatto due più due, mentre mi trovavo ancora lì: “Cretini.” E ho cambiato stanza. Potrei spiegare ora
come mai cretini. 

Ero appena sceso dal divano e tornato al divano cinque volte prima di socchiudere gli occhi e fingermi buono come al solito una sera di queste ma dentro di me stavo appunto masticando amaro. “Cretini, salirò sul divano comunque quando non ci sarete. Andate sempre via la sera a caccia di affari. Per lavoro. A fare i rider. Anzi: ci tornerò tra poco. Mi basterà fare gli occhi dolci da cucciolo.” Alfredo mi ha dato una pacca sul sederino. Mi ero avvicinato di nuovo. Mamma sgomenta, non ha avrebbe il coraggio di proferir parola. Così, mi sono incavolato. E ho abbaiato per protesta. “Archie!” E sono tornato nella cuccia. Sapevo già tutto, tanto. Anche che sarebbe stato nei piani segreti di mamma e papà escludermi dal divano. Ma soprattutto dal letto. Cosa inaccettabile. Perché loro si atteggiano così con quell’aria di superiorità e autocompiacimento mentre io sono costretto a mostrarmi sempre così carino? Non potrei farne a meno. Ma è così triste. Quasi mi commuove pensare alla mia stessa persona mentre lecca le mani a mamma in cerca d’affetto quando vorrei solamente una povera bistecca di quelle fresche di pollo che sono chiuse senza dente che le affondi nel frigorifero. Mamma mi vizia. E mi fa fare quello che vuole lei. Biscotti. Soprattutto con quei biscotti. Ma oggi ho deglutito perché avevo tra le faucette un sassolino e avevo sempre pensato che si sarebbe trattata di una cosa innocente, quel gioco importante tra di noi cui mamma teneva particolarmente da sempre
di permetterle di estrarmi ciò che prendevo in bocca dalla sua sede e invece ho cominciato a sentirmi male. Non ho respirato per alcuni secondi. Mamma ha gridato, diventando paonazza. Io sono diventato come un peperoncino calabrese. E quindi è dura, ora, aver timore del giorno e della notte. Degli autobus istintivamente. Più che altro di ciò che è intorno a me. “Archie,” ho realizzato “Non fare questo, sputa la pigna, evita quell’aiuola con quei bei fiori freschi: potrebbe arrivare qualcuno. E dimenticati del giardino con la ghiaia fine, ovviamente.” Era tutto troppo bello, come si suol dire: questo posto è un inferno, sotto sotto, pieno di regole. Divieti dappertutto. Auto che sfrecciano. Ma papà vorrebbe trasferire i nostri interessi e la nostra casa perché qualcosa bolle in pentola. Secondo me vorrebbero sposarsi. Forse anche un nuovo bambino in arrivo. Dove ci sarebbero meno auto, meno confusione, più spazi aperti per correre, visto che papà ed io siamo due atleti? “Quindi, mamma?” Vorrei dirle. “L’amore è sempre fatto di piccole cose? La pensi sempre così. Ma io credo che tu sia una falsona. Che tu, che sei già stata anche sposata, hai sempre saputo farti andare bene le cose, anche scendere a qualche compromesso. Ma anche se ti credi di essere la santerellina indifesa di sempre anche se fai la stronza con le farmaciste e le tabaccaie, la verità è che non abbiamo soldi. Piccoli gesti, piccole… spese… vorrei ben vedere! E va bene far di necessità virtù. Ma nemmeno per pagare la mia pappa sempre ne avreste! Come faremo, ad andare via da questa grigia città
portando con noi i nostri unici bagagli, fatti di sogni, inclusi i miei, ora che ho guardato occhi negli occhi questa città maledetta piena di bitume e pece, non lo sappiamo!”
Bisogna sempre farsi andare bene le cose. Così a soli cinque mesi sono triste. Ma devo consolare te che piangi perché ho mandato giù un sassolino che mi è costato poco meno di alcuni secondi di fiatone. Ebbene, che ne dici di ammettere che non vi potreste sposare mai così. Prima di mettere al mondo dei figli, direbbe tua madre. Cioè me. E mia sorella umana, in secondo luogo.


“Andiamo.” Mamma ed io eravamo di nuovo in chiesa, anche quella mattina. Uno sguardo alla croce, io troppo vivace e subito fuori per timore di essere rimproverati e io nemmeno immaginavo, all’epoca, che questo
fosse un pensiero di mamma. Eppure è così. Sono gli oranti a dare noia ai cani. Che con tutte quelle facce bieche impediscono loro di saltare dappertutto.
Per papà sono in pensiero. Quando vede mamma così depressa per i problemi economici se la prende. E cominciano a litigare, maledetti i problemi economici, sogni e quant’altro. Non so come andrà finire. Insomma, si sarà capito come mai cretini. 

Varrebbe a dire? Illusi. Gli uomini e le donne sono degli illusi. Più di noi cani. Noi siamo innocenti. Loro mentono. Prima di tutto a loro stessi ma se fosse solo questo… Invece mentono anche a noi cani. Adesso dicono: “Andremo via!” E vai con la frenesia, tutti come se fosse alla portata di mano, partire, comprare casa nella collina modenese. Ma io non ci credo che andremo lì.

08.03.2025



“Complimenti.” Ho pensato serio dopo che mamma mi aveva servito del pollo fresco nella ciotola più pesante che rimane adesa al pavimento e non si muove minimamente mentre inghiottisco quel ben di Dio. Quando mi sono voltato mamma leggeva la Bibbia e ha sorriso. È così soddisfatta che dopo essermi fatto un giro avevo ancora fame. Allora sono tornato alla ciotola. Lei molla giù il telefono e continua a servirmi pollo fresco cotto nell’acquetta in quella padellina che una volta o l’altra avvicinerò anche mentre cuoce sul fornello trovando il modo di evitare il calore che profana irresistibile. Mamma ci mette sempre troppo a cucinare quando ci si mette. Mi fa desiderare così tanto il pollo fresco che non so se il mangiare che fa è buono tanto quanto lo pregusto. Lo desidero, lo sogno, sento l’acquolina. Vedo già mamma contenta e felice che si mette in mostra e sculetta come fa lei nel suo pigiamone nel
cucinino dove si dà da fare e si nasconde da Alfredo. “Mi piace tanto quando mangia i miei manicaretti!” Leziosa mi stava cucinando del pollo fresco
comprato dal macellaio che, guardacaso, alla sua cliente preferita aveva fatto mancare il nostro abituale piastrone. Questa suonava quale punizione poiché per alcuni giorni mamma mi aveva imposto le scatolette del negozio dove per attirare i clienti danno dei biscottini. Credo che sia stato a quel punto che ho detto basta ai biscotti. Comunque sia, tornando a noi, quel giorno anziché tre euro di piastrone congelato per cani dal macellaio mamma acquistò 17 euro in petto di pollo di qualità. E Alfredo quando lo scoprì, perché poi mamma non riusciva a tenergli nascosto nulla, candidamente se ne usciva con qualche frase buttata lì per lavarsi la coscienza o poter dire d’essere corretta. Almeno ci provava, ma proprio era più portata per essere la falsona che ho sempre detto che è. A me sta simpatica comunque, ma ad Alfredo queste cose non piacciono e le ha gridato sorpreso: “17 euro!” A quel punto mi sono preparato e sono uscito dalla stanza. “Come hai potuto? Quei soldi sono anche i miei!” Così, d’ora in avanti niente più pollo. Confido che mamma potrà rimanere la falsona che è e permettermi di mangiarne ancora ma non ne sarò sicuro fino
a quando i miei occhi vedranno altro pollo cucinato da manuale. Sono in attesa da giorni, al momento.

Ma mamma sembra corretta. Non ci credo quasi. Dove avrà nascosto il pollo, la furbetta? Io lo so. Sono un cane da caccia. Ho un fiuto sopraffino e un quoziente da fiuto più elevato della media. È nel mobiletto a credenza del tinello, nel mio scomparto. Quello dove stanno tutte le strenne. Frigorifero a parte, si tratta del mobiletto a credenza dei sogni. Dei miei sogni. Quando ci
infilo la testa dentro che faccio segno con la zampa a mamma di aprire (e lei mi accontenta sempre) dentro ne estraggo di tutto! Ma il pollo? Sarà lì. Direte voi. E invece. No. Nessun odore. Nessuna traccia. Né nell’aria né visibile. Come farò? Ossicini finti di pasta insaporita. Snack. E biscotti, sempre biscotti, che noia. Bleah… Biscotti qua, là. So già cosa sono, basta biscotti! Sempre la stessa pappa. Almeno il pollo non mi stancava. 

Poi mamma un giorno sarebbe tornata. Con del pollo. Mi è sembrato di
sognare. E invece. Aveva un sapore strano. Era… tacchino, cazzo! Mi sono detto: “Cazzo, mai più pollo! No… Ora ci sarà sempre e solo tacchino. Bleah!” Mi sono rifiutato di mangiare. Mamma è scoppiata a piangere. Alfredo incazzato: “Quanto l’ha pagato questo la mamma di cucciolo perfetta che non
sbaglia mai in fatto di educazione poiché conosce il piccolo Archie?” E io ho abbaiato, fatto il discobolo… anzi dovrebbe dirsi dìscolo. Insomma, ho continuato così, in una confusione che non finiva più. Alla fine la casa era
distrutta. Devastata. E non ho mangiato per tre giorni per punizione. No, secondo me avete capito male: a scegliere che io non mangiassi non sono stati loro. Loro mi hanno pregato, anche Alfredo. Di mangiare. Compravano stracchino, polenta, riso integrale. Avena. Patate, finocchi. Carne salata,
bresaola, mozzarella. Di tutto. Ma il pollo no. Alla fine chi l’avrà avuta vinta? Ho avuto il pollo, secondo voi? Li ho fatto litigare prima. Quando ha vinto Alfredo che non voleva perché mamma è succube mia e avrebbe acconsentito mi sono sentito male e ho accettato le crocchette al salmone. Che schifezza. E così, una volta alla settimana, alla domenica, quando non è organizzata diversamente, mamma butta lì sempre ancora oggi che ho ben quasi cinque mesi (ancora: che fatica crescere fino a 5 mesi!) qualche
frasuccia detta con garbo ad Al che saltuariamente le dice sì. “In fondo dobbiamo pur sempre andare d’accordo in qualche modo” sarà la scusa che troverebbero sempre i genitori pur di cedere e fare del male ai figli! Perché in fondo mi sono convinto che il pollo faccia male. Anche perché Alfredo è
vegetariano. Che fare? Solo verdure, d’ora in poi. Voglio solo verdure. 

09.03.2025



Una volta la tirocinante della psichiatra di mamma che stava raccontando di come sono venuto al mondo sotto i cavoli mentre c’ero anch’io ma chiamato in un modo che ricordo, qualcosa come: “Bastardino.” Ah, è un… bastardino. Mamma si è rabbuiata. Tutta di colpo ha trovato una scusa, ha voltato i tacchi, “Archie. Vieni, Archie, andiamo via dal CSM.” Non la chiamano più. Ho capito che è una parola che a mamma non piace giacché la sua psichiatra è sparita. Non la chiama più. Non la sopportava prima. È stato sempre meno divertente, prima le ha mandato le foto del suo cane. Poi è sparita. Un pochino mi sarei affezionato. Se mamma lo avesse saputo. Avrebbe ancora un medico. E
poi gira di qua gira di là si incontreranno. Va al CSM in bicicletta, prende il suo farmaco e torna. La psichiatra? Non si fa vedere. Oppure sì, qualche volta va per i corridoi ma dice qualcosa che suona come una scusa: “Ti chiamo io.” Poi, mai. Nessuno saprebbe dire alcunché. Ma mamma l’aveva denunciata tanto alla leggera con una cosa in cui non c’entrava che tanto la psichiatra s’era accorta per quanto sciocchina fosse di come stavano le cose. Fu comunque molto sorpresa per la denuncia ovvero una diffida a non dire a nessuno delle sue condizioni. Era così che era riuscita a scampare all’ultimo
potenziale ricovero nel 2022 cui sarebbe stata sottoposta se non fosse corsa ai ripari. Da allora la temevano come fosse stata la peste antipsichiatrica. E lei tranquilla. Si odiavano. E io, bastardino, ero diventato questo: una miccia esplosiva che avrebbe provocato una frattura ancora più profonda. Una
picconata in un terreno già smosso. Niente di più. Che solitudine.
Ora però mamma c’era rimasta male davvero per quella frase irreparabile. Nemmeno lei avrebbe voluto tornare al csm più. Quando fino a quel momento ci aveva creduto. Era incredula. Non sapeva se essere felice per tanto ben di Dio, come quando io mangio il pollo al griglia, oppure se rattristarsi. E non diceva niente ad Alfredo. Non chiamava più la psichiatra. Tacere per non sapere. Lontano dagli occhi, lontano… come si suol dire, mi viene in mente una cosa. Ho fatto bene a nascere. Almeno ho fatto venire la tremarella a qualcuno, a soli cinque mesi. “Guarda che quando diventa grande ti stacca
un braccio.” Così mamma avrebbe dovuto rispondere a quella tirocinante poco accorta in fatto di cuccioli. Ma non ne sono sicuro. Forse sarebbe stato meglio il contrario. Che io non dividessi queste acque del mar rosso così. Si, mi sento un po’ responsabile. Non doveva succedere. Mi fa sentire felice.
Troppo felice. Non sono abituato, forse sono cose da grandi queste farfalle nello stomaco. Difendere mamma. Wow. Ci sono riuscito. Senza fare nulla. Solo perché ci sono. A gratis. Incredibile. Ma le cose ora sono decise. Per il momento. È bello avere uno scopo. Quindi ho visto non la psichiatra. Questa volta per i corridoi al CSM dove mamma era andata a prendere solo i farmaci c’era la tirocinante. L’ho guardata passare. Era un po’ grande. Cioè, nel senso che era grande e grossa, sicura di sé, con quelle due grandi tette ballonzolanti e i ricci capelli neri che dondolavano alle spalle, quando è passata accanto a me. Io mi sono messo sull’attenti, seduto a fare finta di niente e mi sono guardato intorno al suo incedere. Ma quando torna
mamma deve farmi segno e io potrei anche puntarla come faccio con i piccioni. La picciona. Se mi vedesse con la zampetta anteriore destra alzata pronta a scattare rilassata nella sua direzione e la muscolatura atletica come è poi la mia e la coda a freccia dritta e rigida non si permetterebbe più di
fare ciò che poi avrebbe fatto. L’ho vista piegarsi e prendermi le guance. Avrei voluto sottrarmi invece ho… scodinzolato. Scodinzolato? Direte voi, perché l’hai fatto alla tirocinante? E poi, come se non bastasse lei mi ha accarezzato la testa fino al sedere e io le sono saltata sulle gambe e l’ho leccata sulle labbra! Come ho potuto! A mamma fare questo a mamma! Come ho potuto! Mamma è inorridita prima. Non ha avuto reazioni. Poi siamo usciti e io ero di buon umore. Così, mi ha dato un calcetto nel sederino e “Come sei messo, come hai potuto. Archie.” E solennemente: “Niente più verdure.” Cosa? La mia carota? Dovevo assolutamente riparare. Ero agitato. “Muovi il tuo bel sederino e andiamo a casa.” 

Mamma… ti scrivo questa lettera per dirti che ti amo e sei l’unica. Mi dispiace. La verità è che le verdure mi piacciono, le rivoglio e la tirocinante no. Non tornerei al CSM con te neanche morto, ma so che potresti anche portarmi lì. Quindi ti chiedo? Come potrei resistere a una carezza così dolce di una fanciulla? Sai che ho un debole. Niente di personale. Non avercela con me. Non ho resistito. Archie. 

09.03.2025

Adesso io e mamma abbiamo trovato un compromesso sulla questione che ho spiegato precedentemente dei biscotti dati interessatamente per ottenere qualcosa. Io le dò la cosa che mi metto in bocca per un po’ sempre trovata per strada e lei mi dà qualcosa, ma non il biscotto, in cambio. È equo. A lei le
schifezze, a me il buono. È quanto si merita giustamente un cucciolo come me. Come buono intendo pezzetti di carne, formaggio, strane pillole al sapore di latte materno che non so cosa sono, un altro pezzo alla frutta. Ecco, quando io prendo quella pillola poi vorrei fare ai piccioni quella cosa,
scuotere i pennuti tra le fauci. Non male. Ho più energia, benessere in corpo. Ma mamma non vuole mai che mi appropri di un piccione veramente e non so perché, mi fa correre dietro ai pennuti poi mi tira, quando loro hanno spiccato il volo, poi è lenta quando li rincorriamo. Così creerà un cane adulto che non avrà fiducia di saper mai assolvere al suo compito legato alla sopravvivenza nella fattispecie cacciare. Nella fattispecie, i piccioni. So che suona come una condanna ma a me piace cacciare e anche assumere quelli che poi altro non sarebbero che… fermenti lattici. Li chiamano così quei pillolini. Mi caricano. Come una baionetta. 

Fermenti lattici, ecco. Ecco cosa sono. Quelli si
chiamano così, precisamente: fermenti. Ho udito questa parola in farmacia e ormai che sto imparando l’italiano, oltreché il canese, dialetto abbaico, io la guardo e imparo e una cosa in più che so è che proprio di fermenti si tratta, perché mamma ha appena annuito.

Ma in quanto alla storia di Lip, il cane più grandicello sicuro di sé e la frenesia che mi trasmette mamma a confronto con la calma di Alfredo e così anche la storia dei fermenti lattici che mi piacciono tanto e del cane adulto che sarà uno incapace di credere che prenderà un piccione, uno in tutta la vita, e sognerà di poterlo fare come se un asino sognasse di poter volare, la questione è irrisolvibile. Quindi: altro compromesso. Il baratto, lo scambio schifezze-fermenti mi ispira un punto di vista. Già. 

Potrei cacciare i piccioni almeno in area cani. Lo desidero tanto. Ma loro non vengono. Ci vorrebbe uno spazio grandissimo. Poter correre libero con in corpo tutta l’energia e il vigore e la fiducia che questa fissazione che devo fermarmi davanti ai piccioni mi ha arrecato grave danno. Il guinzaglio
lo rispetto si, ormai mi faccio abbindolare con tutte quelle mosse che mi vengono quasi acrobatiche per strada tanto che qualcuno mi chiama già Anguilla, tra i negozianti che quando passo mi vedono sgusciare a destra sinistra, zampettare, saltellare. Io mi intimidisco. Non mi piace essere guardato. Amo osservare. Avere sempre un punto di vista elevato, voglio cambiare. Voglio stringere un piccione. Mamma sa che sarebbe bello anche in città e si sente male ogni volta che mi blocca, ma perché? Perché non posso morderne uno? Che male c’è? Mangio solo verdure, se il problema è questo dell’alimentazione sana è troppo chiedere a un povero cane vegetariano che nemmeno saltuariamente… le carenze, perbaccolina! (Questa parola colta l’ho imparata recentemente.) Ma come si fa! È un vero dilemma. Un dolore, una sofferenza. Piccioni, piccioni, piccioni di qua. Non poterli prendere. E che mia mamma me lo impedisca,
che sia proprio lei! Io credevo che mamma mi amasse invece permette tutto questo dolore nel mio cuoricino delusione, mamma… io… che ho fatto di male per meritarmi questo supplizio continuo? Ormai se ne sono accorti tutti. Mi prendono il giro. Tua madre ti illude. Se la raccontano, sono diventato una barzelletta. Lo zimbello dei piccioni. Li sento pigolare tra di loro, sui rami quando mi sono appena sfuggiti. Mi prendono per i fondelli! Non ce la può fare quel cane con una madre così egoista! È la natura. Devo cacciare o mi sentirò prigioniero! Ho bisogno di mangiare carne. Portatemi quel cazzo di pollo, almeno, ora lo voglio. O mangerò il naso ad Alfredo. 

09.03.2025



Oggi è una giornata di ricordi. Sono un po’ pensieroso. Le prime volte mi sembrava di vedere mamma come la domestica che abitava nella maledetta casa di prima, che odio oggi che ho quasi cinque mesi, ancora, perché il tempo più passa e più rende la vita in salita. Niente contro le domestiche. Anche se di fatto abbaio sempre contro di loro, perché non lo so. Mi ispirano così e faccio così. 

Facevo ridere così tanto mamma i primi tempi che credo il suo cuore si sia così aperto e sciolto da innamorarsi di me nell’arco di al massimo tre giorni. Ma ricordo anche un’altra cosa. Un dettaglio da niente. Che cretino. Se ci ripenso, me ne vergogno. Per tre giorni sono rimasto sopra la copertina azzurra e rossa di pile che mamma mi ha posizionato in corridoio. Mamma mia, se ci ripenso! Io non sono un cane stupido. Ho perso tre giorni di divertimento con mia madre pur di farmi vedere permaloso da lei. Chi mi mancava? La domestica, il vecchio proprietario, come lo chiama ora lei, il mio fratellino. La mia mamma spinona. Il papà labrador è l’unico che non mi mancava perché non l’ho mai conosciuto, si è liberato di mia madre dopo essersene approfittato. Un labrador. E sì, non ero capace di muovere un passo. Che imbecille! Poi, pensa te, non appena il terzo giorno sono risuscitato e le ho fatto la sorpresa di mostrarmi me stesso nella mia euforia mia madre mi ha accolto a braccia aperte. Ma se si sapesse come mai mi sono concesso così poco in fretta. Tre giorni di muso. Che vergogna… dopo avermi rapito così come sono stato io! Portato via in un batter d’occhio. Senza convenevoli. Un onore per un cane che non vede l’ora di conoscere la sua legittima famiglia! Se ci ripenso… Mamma sarà stata così incredula che con una figlia in affido le affidassero un cucciolo che avrà pensato di portarmi via senza spiegazioni così, proprio come ha fatto. Ricordo che è entrata tremante dal cancellino del giardino e il proprietario di prima mi ha chiamato insieme ai miei fratellini. “Biondino!” Lei si è chinata emozionatissima e io le sono corsa incontro, lei mi ha preso tra le braccia ed è venuta a casa! E come mai mi sono deciso ad accedere al soggiorni dopo quei tre giorni? Cosa mi avrà convinto?

 Il motivo è che mamma si stava convincendo che io fossi un cagnetto
timido. Una vera e propria provocazione. Allora ho cominciato. A mordere, sbatacchiare. E vedevo che mia mamma era elettrizzata. Se ci ripenso…
Il momento peggiore di tutti è stato quando sono timidamente scattato in piedi che avevo anche gli speroncini delle zampe informicolati dalla stessa posizione mantenuta per tre giorni in segno di protesta tipo sit in e mi sono trovato in piedi davanti a lei che faceva capolino con un sorrisetto dal cucinino
osservandomi invitante. Tre passi verso di lei e si è messa a piangere. Vomitevole! Di una dolcezza rivoltante! Disgusto a parte, mi ha trasmesso tanta di quella felicità che quando siamo insieme, cioè sempre, praticamente adesso sono io il domestico e devo divertirla, quando prima invece avevo la balia.


Mi ha portata a casa sua in taxi. E Alfredo non sapeva nulla! Era a lavorare! Io la odio. Giuro che prima di morire tornerò su quella maledetta copertina azzurra e rossa e ci rimarrò per una settimana. Quel giorno mi ha preso e a tradimento quando sono corso verso di lei fiducioso e felice con la mia famiglia e mi ha messo in una gabbietta. Io guaivo il taxi è partito
comunque. Alfredo non sapeva niente. Il proprietario di prima non dev’essersene accorto. Forse non sa semplicemente in che guaio sono finito. E poi mamma ruba. Non ha mai restituito la coperta che le hanno regalato per me cucciolo di tre mesi in arrivo quel giorno in cui vi abbiamo fatto sosta perché ero spaventato alla negoziante che gliela ha prestata. Vergogna!


09.03.2025



Ho realizzato che faccio compassione. Sono un cane. Un po’ di pietà. Tutti nasciamo soli. Ma io. Perché? Perché così sfortunato, faccio pena ai miei genitori. La spiego. Ho notato che da quando sono arrivato io i miei vanno sempre d’accordo. Prima non era così. Lo fanno per me. Ho capito questo. Non è giusto. Mamma vorrebbe andare in palestra. Invece mi vuole
bene e così rimane ore sui fornelli a cucinare manicaretti non solo per me. Anche per Alfredo. Impressionante cosa possa fare un cane. Ma sono loro che mi fanno compassione. Se vogliono così bene a me che sono un cane solo perché sono piccolo significa che sono davvero disperati. Di che stupirsi?
Io sono un vero cane. Mia madre non mi umilia con quei cappottini contro la pioggia. Tutti i cani sembrano degli imbalzati in quelle vesti obbrobriose.
Ma quando piove però poi non so come fare a non bagnarmi. Mamma mi vuole nature. Perché sono bello. Mi vuole mettere in mostra. Nudo come mi ha fatto. Così per il gusto di apparire mentre io cerco riparo disperatamente sotto qualche tettoia, balcone, sporgenza irrisoria. Non ha senso. Se piove
voglio un cappotto anch’io. Un cappotto che metta in risalto le mie belle forme da cane atletico sportivo-elegante e di moda. Lo voglio stiloso. Mi sono guardato in giro ultimamente ma vedo solo dei cani vestiti da cane. Cioè… di merda. Punto primo: quegli abiti sono tutti aderenti. Io sono l’unico cane in forma in questi quartiere di merda quindi voglio essere vestito bene. Ma anche se lo fossi, nessuno potrebbe apprezzare. Questa la cosa tragica.
Non c’è più religione. 

Comunque mamma non è perfetta. Mi toglierà anche l’anima dalla bocca per evitare il soffocamento (sì, lo so pure io che è per questo motivo che lo fa, niente paura…) ma in compenso né mi pulisce le
zampette dopo la passeggiata perché si usura la pelle secondo lei né mi lava la ciotola tutti i giorni. La cosa che mi amareggia è che i primi giorni usava, udite udite, un velo di camomilla che aveva comprato dall’erborista, fresca appena raccolta ed essicata appena appena, per fare con i fiori il lavaggio del pelo e delle zampe. Non solo. Tutti i giorni mo portava dei fiorellini dopo la sua
passeggiata con la cagnolina Luna. Questo lo fa ancora d’accordo, ma è diventata più un’abitudine. Insomma, i casi sono due. O sono io che sono strano, oppure mamma preferisce Alfredo a me siccome la tratta per quella che è. A me quando la mordo con la vocina sottile risponde: “Ahia.” E continua a sorridere. È una larva. Una nullità. Non ha polso. Non ha autorità.
Con Alfredo diventa una dittatrice, in ogni caso sempre falsona è. In ogni caso, il futuro che mi aspetta con mamma non sarà facile. Se alzerà i toni con me da vera dittatrice quale si dimostra con Alfredo quando lo mette a cuccia perché la rimprovera giustamente se non ha abbastanza autorità io mi metto con una chiwawa, giuro. Le faccio venire un bello spavento io tanto da farla diventare normale. Perché non è più la stessa. Potrebbe essere addirittura la storia con quel macellaio. Lei sostiene che ama me sopra ogni cosa e sarebbe questo il motivo per cui ci va tutti i giorni così tanto. È scandaloso.
Io pensavo fossero verdure, invece dev’essere pollo. I casi sono due: o sono verdure vere, e in tal caso mente e mentirà per coprire qualche malefatta, oppure è pollo e io sono diventato scemo e non me ne sto accorgendo. Io sono chi sono. Me ne accorgo se delle verdure sanno di pollo. Quindi non mi resta che pensare che lei abbia un flirt con quell’uomo maledetto. Il che significa che presto potrebbe lasciare Alfredo. Ma è impossibile. Anche se è confusa è più cristiana che non. Vorrebbe sposarsi con Alfredo. L’ha giurato. Ma mi stupisco anche del macellaio. Un uomo dabbene. È scandaloso. Si sa come dev’essere cominciato tutto. Mamma è avvenente, compra un sacco di carne, lui si fa l’idea che lei sia ricca, le fa uno sconticino, le chiede di tornare da lui venerdì per la carne speziata in arrivo solo una volta al mese nel suo negozio assolutamente da mangiare e da cosa nasce cosa. Sarebbe impossibile a pensarsi. Ma ora collega tutto. In fondo Alfredo e mamma vanno più d’accordo quando ci sono io quando dicevamo. I casi sono due: o io gli faccio compassione e loro si sono stretti intorno a me perché sono il povero cane che pensano ma non mi piacerebbe, oppure lei ha una storia. Speriamo
che sia la seconda. Sarebbe troppo triste. Ma come andrà a finire? Come farei senza Alfredo? Sul libretto sono affidato solo a mamma. Mamma non ha autorità. Felicità e fuorismo tutto il giorno non sono compatibili con il mio stile di vita attuale ormai consolidato e stabile dopo tanta fatica nei primi tempi. Spero di fare loro molta compassione in fondo. Quel macellaio deve crepare. Io lo mangio al prossimo pranzetto. “Così entro dal macellaio e faccio fare una brutta figura a mamma.” Penso. “Mi metto ad abbaiare e faccio fare una brutta figura a mamma, mando via le clienti. Scredito il macellaio.” Entriamo, il
macellaio mi saluta con un coltello in mano. Io mi spavento, penso mi voglia uccidere per non avere testimoni. È un delitto passionale sicuramente. Così mi inchino portando indietro il sederino e faccio le feste. Questo per evitare di essere ucciso. E infatti lui ha deposto il coltello e si è calmato. Ma io a quel punto ero più sicuro. Così ho abbaiato una volta sola, siccome era comunque a portata di mano l’arsenale ben rifinito in fondo al laboratorio. Allora lui si è fatto indietro e io me ho approfittato per fare pupù, siccome a quel punto ero davvero confuso. Mi aspettavo infatti che mi avrebbe aggredito, invece era pacifico. In più il luogo era caldo accogliente e aromatico per giunta. Non ho resistito. Un odore sgradevole si è impossessato delle narici dei presenti improvvisamente. Ci sono rimasto male. Sembravano sconvolte le clienti. Perché? Se ne sono andate tutte. Che puzza. Che puzza. Andatenevene via, è un luogo di perdizione. In tutti i sensi. Altroché figura di merda. Ho segnato il più grande goal nella storia della nostra famiglia fino a quel giorno. Per la vergogna mamma non è più tornata dal macellaio. Figurati! Come se sia un
problema che un cane di cinque mesi faccia i bisognini carini dove c’è spazio per i cani e i… porci. In tutti i sensi. “Di solito è educatissimo.” Questo è stato tutto quello che ha detto. La faccio sempre di nascosto da occhi indiscreti. Ma quel giorno doveva andare così, insomma. Non ce l’ho fatta insomma.
Però che noia. Adesso sono sicura ammesso che il macellaio fosse l’amante di mamma che lei non oserà più alzare lo sguardo negli occhi di un altro uomo se non quelli di Alfredo. Che noia. So già tutto. A questo punto a soli cinque mesi la mia vita è di una noia mortale. Niente più colpi di scena. Niente più scintille. Quasi quasi torno dal macellaio. 

09.03.2025



“Egoista.” Mamma mi aveva illuso. Aveva tolto uno sgabellino che infatti nella posizione in cui era tra il bidè dove bevo di solito “a fontana” e il wc. Poi quando mi sono avvicinato a bere a malapena due giorni dopo che l’aveva tolto distrattamente ci ha messo il secchio della pipì. Il secchio della pipì è
quello dedicato con cui mamma preleva grazie a un oggetto alieno la pipì. È spettacolare. Lunghi tentacoli fluttuanti sul pavimento che… lo inumidiscono. Io mi faccio tutto piatto sul pavimento e lo controllo, avvicino il muso e inseguo tutti quei micromovimenti muscolari da strapazzo, ma che cazzo
fa? È pazzo, il pavimento è già bagnato di pipì, quello è pericoloso. Una volta sono scivolato e ho dato una craniata sullo sportello delle strenne. Il pavimento era completamente andato! Poi odora di buono, no, non mi convince. Troppo strano che sia tutto viscido e voluminoso strisciante oggetto, ti prenderò completamente e ti sbatacchierò tra le fauci come un pennutaccio. Come lo straccio di mamma. Quello con cui potrebbe percuotermi il sederino se la facessi grossa. Mamma non vince spesso, ma quando vince l’ammiro. Con quello straccio. Poveretta. Ho trovato un punto del muro che mi piace. Lo mordo e viene fuori della segatura. Un mobiletto. E dello stucco. Mamma mi sbatte lievemente lo straccio sul popò, io la guardo con gran astio “Lasciami qua. Sto ancora facendo la dentizione. Voglio triturare questa roba e poi ho fame.” Questo. E lei me lo ribatte lieve sul popò. Io mi sposto. Ma mi deve convincere sempre alla fine con quel biscotto che ormai non mangio più. Com’è pesante a volte mia madre. Insistente, opprimente, possessiva. Di buono ha solo che sono io che la porto al guinzaglio. E ci scambiamo delle cose. Lei ha capito che per età ed indole ho sempre ragione più di lei io e poi sì, si è basata anche sulla teoria. Daglie alla fine con la storia che sono pur sempre per un quarto bracco e metà spinone comunque fatto sta che in quanto cane da caccia posso seguire le piste sul terreno, ad esempio marciapiedi, liberamente. In pratica mi dà tutta la responsabilità e libertà di circolare nella direzione desiderata e mi dà tutto il tempo di trarre le mie conclusioni. Peccato: alla fine si tratta quasi sempre di piccioni. Tristi. Grigi. Quasi mai merli. Passeri? Mai visti o quasi comunque abbiamo trovato una soluzione alla questione della caccia predatoria vegana ai pennuti. In pratica, è consentito spaventarli. Sono libero di mandarli via. Di spazientirli. Sono lo spazza-piccioni, ecco. Il cacciatore buono. Che rottura. Meglio che niente. Per ora. Meglio fossi lo strapazza-piccioni. Magari un giorno spaventa e spaventa mamma sarà più convinta e potrò mangiarne uno. Rasenta il ridicolo comunque il modo di portarmi a spasso di mamma ormai è tutto un chiacchiericcio con il suo cagnolino adorato che poi sarei io e da lontano sembriamo innamorati. Io mi vergogno? Mah, un pochetto, se sono troppi che mi guardano abbasso il capo lo tengo chino e comincio a far finta di annusare il terreno. Una buona scusa ma se avviciniamo un altro cane visto che mamma mi vuol sempre cucciolo socievole e dinamico (che rottura!) io sono così stanco di concedermi a chiunque che ormai con maschi, femmine, cani grandi, cani piccoli, fidanzatine future e così via a prescindere mi sdraio sul marciapiede e mi spoldrìno, come si dice da queste parti, cioè mi metto a disposizione dell’altro cane che faccia di me ciò che vuole, tanto non ne posso più. Si, mi avvicino anche scodinzolante e felice è una missione più che una finzione, anche mamma fa la stessa cosa nei confronti di Alfredo. Lei ha la missione di far felice me, lui e se stessa e tutti che rottura me l’ha insegnato, mi ha dato l’esempio, giusto o sbagliato che sia, di essere fiducioso e disponibile. Mah… Tanto ci sarà sempre lei, a tirare il guinzaglio quando il gioco si fa duro, quindi che senso ha? Forse un giorno potrò di nuovo tirare i peli via dalla faccia a Lulù, se il gioco mi piace senza che mamma mi tiri. So che oggi ha notato e imparato da un proprietario che se quando due cani si avvicinano si piacciono iniziano e giocano si può abbandonare il guinzaglio, se l’area circostante non si trova in prossimità del passaggio di auto o sia pericoloso. Mai potrei essere lasciato andare. Mai abbandonato. Sarebbe la cosa peggiore. Per me e per Alfredo il nostro Gigante e mamma. Siamo una famiglia qualche volta felice.


10.03.2025

Mi sono accorto di una cosa ridicola. Gli uomini… alcuni di loro sono contro gli uomini altri contro gli animali. Chi è vegetariano, chi no. Chi non ancora. Comunque, non mi spiego come mai. Gli animali sono palesemente superiori. Prendi me! Sono libero di andare a zig-zag sui marciapiedi. Gli uomini si fanno troppe paranoie… Vorrebbero ma hanno paura gli uni degli altri. Noi possiamo cacciare. Dipende da questo credo. Loro le armi le tengono ben nascoste. Noi le nostre zanne le… mostriamo se qualcosa non ci convince e ci sappiamo difendere dagli aggressori senza aiutini esterni. Siamo più preparati e pronti fisiologicamente noi cani ad affrontare il pericoloso mondo che c’è. All’uomo è sfuggito di mano tutto. Fanno gli amici, si odiano. Lottano, sperano. Ma sono meno evoluti. Tutto qui. Guarda qua, anche. Quanti piedi hanno? 2. Noi 4. È matematico. E se muore un cane? Mille tragedie e monumenti al milite ignoto? Lo facciamo santo? No. Lo sappiamo mettere da
parte. È così che rimaniamo confusi dagli uomini quando ci affezioniamo a loro. Noi siamo capaci di aspettarli sulla tomba per tutta la vita. Codardo, l’uomo prima piange tanto, poi mette da parte. Bisognerebbe separare i cani dall’uomo. Mescolati così sembriamo tutti così confusi. Letteralmente. È esattamente insopportabile questa situazione. Bisogna cancellare l’umanità dalla faccia della terra. Anche noi sapremmo procacciarci da vivere in autonomia. È così che si diventa buoni. Tutti buoni di fare i carini con un cane, anche un cane lo fa verso l’uomo che gli tende la mano. Ma quando si tratta di assomigliarsi, mescolarsi, creare legami… Siamo più bravi noi! È quella tracotanza a essere insopportabile. Io dico che è così. Peccato.E poi anche se è vero che direttamente non cacciamo comunque le scatolette ce le meritiamo ogni giorno. Con le feste. 

10.03.2025



Mamma pensa a me per non pensare ad altro. Parla di me per non parlare d’altro. Sono un cane tappabuchi! Ho preso il posto di quella bambina che non conosco ancora. Sono il suo sostituto. Che ansia! Mamma mi crede uno stupido? Si è buttata anima e cuore su di me quale missione per superare un suo trauma represso. Stando con lei si impara a capire le situazioni. Come imparare la psicanalisi? Così. 

Questa mattina comunque durante la passeggiata lunga che non finiva più ho trovato una strana cosa in un mucchio d’erba nel quale mi sono messo a rovistare. Una specie di lucertola. Più grossa. La mamma non appena ho afferrato e masticato mi ha infilato, come al solito, un’intera mano fin sotto l’ugola, le gengive indolenzite mi dicevano che ne sarebbe uscita tutta quella porcheria che avrei
divorato. Il sapore non era… malaccio. Poi, anziché complimentarsi per aver trovato la mia seconda piccola preda da cucciolo quale sono sembrava quasi schifata. “Archie, dove l’hai preso questo? Hai infilato il muso nel bidone?” E via agli insulti di ogni genere. Pensavo mi avrebbe picchiato. “Questo
geco avrebbe potuto procurarti della dissenteria poverino.” Che vuoi? La mamma è la mamma. Compatisce sempre. Ma poi si è come imbarazzata. Le è uscita una piccola lacrima. E mi ha rispettato. Dopo aver riflettuto, strano ma vero, mi ha coccolato lì seduta stante e mi ha detto: “Bravo… In fondo
hai fatto bene il tuo mestiere di cane da caccia.” Maria, che soddisfazione! Non avevo mai avuto tanta felicità nel cuore. È stata intelligente per la prima volta. Si è fidata. D’accordo, non avrà portato a casa il mio dono per lei. Ma in compenso si è accorto dell’altro dono, quello di madre natura, la mia vocazione inespressa. La cacciagione vera dove dovrei trovarla? E il tutto è avvenuto davanti a due anziani signori che hanno chiesto a mamma di farmi avvicinare per sottolineare che i cani sono più affettuosi del gatti. Brava mamma! Si è accorta che valgo almeno due gechi. Vabbè. Il primo l’avevo trovato in una pianta. Che tristezza, appunto ha telefonato al veterinario quando mi sono addormentato a casa. Diceva che ero più letargico del solito. Ipocondria pura. Ma a mie spese. Ha spiegato che avevo messo nelle fauci
un geco morto. Credeva che sarei morto. È sempre spaventata che potrebbe accadermi qualcosa. Non permette a nessuno di toccarmi o prendermi il guinzaglio per aiutarla né per strada né a casa. Il colmo: neanche Alfredo può ancora accompagnarmi a fare la passeggiata. Ha paura. È incredibile. Ho capito che ho molte cose da imparare sul buon uso della strada. E che non considero neanche più ibiscotti quale merendina da distrazione. La frittata è fatta: ha sbagliato a rendermeli noiosi. Non l’avrei amata di più solo perché me ne somministrava a iosa. L’ho messa allo sbaraglio. Ha cambiato biscotti.
Ha imparato a darmene meno. Appunto ha molte cose da imparare anche lei, ne sono la dimostrazione. Soprattutto che vado lodato per scovare gechi e lucertole. Sono l’unica cosa che posso rinvenire in mezzo a questa città così detestabile! Tortore. Uccelli. Non se ne parla. Eppure, ha capito qualcosa di
me. I cani vanno lasciati fare, porca vacca. Hanno il loro perché. Il fiuto li porta dove devono. Ai gechi, ai piccioni. E bisogna convivere con un fiume di auto, per questo motivo c’è la mamma con il guinzaglio, ma il resto è acquetta. Fin dove possiamo arrivare, lascia pure fare almeno. Mi sono accorta che è più ricettiva di quanto pensassi almeno ma ancora non ha il senso delle priorità. Va educata. Ha fatto una vita del cavolo e ora che ci sono io non sa destreggiarsi bene nelle abitudini di un cane. A me sembrano cose ovvie, questo mi rende meno sopportabile tutto. Ieri stavo andando verso sinistra. Lei ha insistito per andare a destra visto che avrebbe voluto andare subito dal macellaio. L’ho guardata torvo. Ho tirato verso destra. Lei verso sinistra. Alla fine ancora una volta l’egoismo ha prevalso. Come si può notare c’è molta fretta nelle abitudini degli uomini. Voglio dire che se mi avesse dato retta avrei trovato un piccione di cui sentivo l’odore a metri di distanza e sarebbe stata così fortunata che l’avrei afferrato e l’avrei portato su fino in casa di persona e consegnato, invece si è persa un regalo. Non se l’è meritato. Mi dispiace. Le priorità sono importanti. Prima Archie, dopo tutto il resto. Perciò occorre assecondare i miei desideri. Le mie inclinazioni. Ciò che Archie dice è legge d’ora in poi. Altrimenti non avrei potuto trovare e regalare il geco morto a mamma. Se seguo una pista, aiutami porca vacca! Ti conviene. Si dà il caso che verrebbe il giorno del fagiano. Non vedo l’ora. Per potertelo donare. E ne mangerei un pezzettino cucinato quale manicaretto con le manine d’oro di mamma. Ho notato che non mette ordine nelle priorità sempre dalla situazione bidè. Oggi siamo tornati dalla passeggiatona e lei ha temporeggiato sulla porta perché sarebbe vecchierella e stanca, lo so, di sicuro, pur di riposare un nanosecondo o due e ne ha approfittato per dare un giro di chiave dall’interno… questo prima che io con tante energie in corpo ancora poverino potessi correre alla fontana ad abbeverarmi! È gravissimo! Mamma. Non avresti dovuto. Pentiti. Oppure niente più regali con il sudore
delle mie ossicine. Si è dimenticata anche di andare dal macellaio per la mia carne mattutina oggi. Sono a digiuno. Incredibile! Chissà il motivo… Starai diventando vecchierella davvero. 

11.03.2025



Una volta una signora con un oggetto basculante molto anonimo nero davanti con le ruote e un parasole si è fatta sotto. Mi sono fatto avanti e arrampicato su per la navicella aliena senza paura per prenderne il contenuto. Mi sono stupito. “No…” Dentro la stiva della navicella c’era un bambino. Non sapevo come collegare i fatti. Sono rimasto confuso e sconcertato. Disorientato. Ho visto il bambino, ho pensato e mi sono messo a fissare sua madre. Dove l’aveva preso? Da dove veniva? Ne volevo uno così da sbaciucchiare.
Ho lanciato uno sguardo supplicante a mamma. Una sola cosa complicava il processo. La mia mente dubitava ed esplorava le mille possibili scorciatoie, ma niente: non capivo come mai mamma fosse così glaciale e un sorriso così tirato avesse sulle labbra. Fu la prima ad andare via, ostentando un modo di
fare completamente diverso dal solito. Sempre falsona, sì. Ma più piccata. “Andiamo, Archie.” Il sorriso pallido svanì dal volto di mamma girato quell’angolo mentre qualcuno osservava e mi accorsi che le manca qualcosa. Credo che fosse stato il ricordo di sua figlia in fasce a rapire il sorriso. In realtà moriva dentro. Non era invidia la sua. Sete di vendetta nemmeno, si ricordava più che altro di un regista che aveva conosciuto e l’aveva abbindolata quando faceva la teatrante. E poi a cascata erano avvenuti i fatti che ora tornando come indietro nel tempo… forse quel qualcuno che osservava con la coda tra le gambe come me che le camminavo affianco  l’aveva ricordata diciottenne, sempre in quel quartiere squallido e sapeva
tutto di lei? Mi fermai, con un gesto repentino guardai intorno, all’indietro anche forsennatamente. Un rimpianto e sentii tirare il guinzaglio, un tantino troppo forte. Andai con lei. I bambini le facevano quest’effetto. La rabbuiavano. Si sentiva sola senza la figlioletta di sei anni ma apparteneva al
passato eppure era un’abitudine abbandonarsi alla sensazione così temuta che la possedeva ancora oggi. Quella che aveva provato all’epoca dei fatti prima dell’ospedale psichiatrico dal quale era scampata quasi miracolosamente nella città della sua infanzia. La memoria votava pagine e pagine all’ingiù fino all’inizio, mentre percorrevamo il porticato quale seconda parte di una passeggiata malinconica. Ecco cos’era racchiuso in quel gesto. Suo fratello malato. Che l’aveva fatta impazzire. Un acido nel bicchiere. Che
aveva fatto scattare l’emergenza sanitaria. Non si era mai più ripresa la sua vita. La gelosia verso di me. Quando parlava ancora con sua madre era come posseduta da un senso di timore che mancava poco che si mettesse a ringhiare. Si sentiva minacciata. Il perché era semplice da intuire: senza spiegarle come sarebbero andate le cose, o almeno nemmeno come avrebbero potuto andare e come invece avrebbero dovuto, l’aveva portata un bel giorno a curarsi al CSM e lei a causa di medici inetti, giovane com’era, non ne era più uscita. In più, oggi era accusata di essere una madre snaturata e degenere dalla suocera che aveva a carico sua figlia. Abbandonata l’impresa di riappropriarsi dei diritti sulla genitorialità della figlioletta per avere ricevuto troppe delusioni, poveretta solo io sarei testimone da quel giorno di presa di coscienza da parte mia di come fosse dura e quanto fosse grande la
vergogna da parte di sua mamma: quella in quanto all’averla abbandonata a sé stessa e contare solo su sé stessa. Ormai sì, era libera. Aveva fatto quel percorso di accettazione dell’invalidità, volente o meno, come aveva voluto il CSM, con tutti quei familiari da poco. Non era stata la vita che avrebbe desiderato, ma ormai non contava più. Era riuscita a trovare un dialogo interiore, a cessare il fuoco tra le due parti in contrasto di sé. Quella che le diceva di accettarsi, quella che recalcitrava e reclamava libertà e indipendenza dai vincoli delle imposizioni come le medicine da assumere e le visite mensili. Dopo la denuncia al CSM nessuno osava più niente contro di lei, aveva vinto. Per cosa? Nei successivi due anni ci avrebbero provato almeno altre due volte a farla internare, senza successo. Ormai anche la psichiatra sapeva che chiunque aveva sempre e solo tentato non di curarla, bensì di sbarazzarsi di un problema, volendola internare. E a cosa fosse servito poi un anno di ospedale psichiatrico, in una CRA famigerata, alla quale lei diceva “no” ogni giorno nessuno poteva saperlo, se era vero che ne era uscita con la scusa di essere rimasta incinta del marito d’accordo con lei e oggi viveva una vita normale… più o meno. Era accaduto così che le togliessero la genitorialità. Sarebbe stato chiedere troppo: impossibile avere la libertà dalla CRA e anche una figlia, povera donna! 

Quello che aveva ottenuto nella vita lo doveva a sé stessa. Lo aveva detto, lo sapeva ed era così. Osservata con scarsa considerazione da chiunque per il passato oscuro che la contraddistingueva e l’aria da dura ostinata lei si aggirava da sconosciuta quale era dopo anni di peregrinazioni per regioni e regioni che aveva visitato e in cui aveva abitato pur di mettere distanza fisica e mentale tra sé e il passato inquietante, non alzava mai lo sguardo da terra. A volte li chiudeva o si nascondeva preferibilmente dietro gli occhiali da sole per non mostrarsi. Si sgranchiva il collo come infastidita spesso se un passante le metteva gli occhi addosso troppo curiosi, soprattutto uomini. Un gesto per togliersi di dosso le tensioni che la qualificava come scorbutica e scostante. Invece era un pezzo di pane. Lo sapeva solo Stefania, la signorina al negozio di animali. Avevano litigato quella due il primo giorno quando mamma era entrata a fare spese per me appena arrivato a casa. Poi avevano fatto amicizia. Mai fidarsi troppo delle apparenze. Mamma detestava le persone meno vissute e conbsapevoli di lei, meno sofferenti. Era meno indolente di quanto si pensasse di lei. 

Mamma aveva imparato una lezione importante: mai concedersi a un uomo licenziosamente al primo appuntamento. Era una sconosciuta. E quel signorino che la corteggiava lei se lo sarebbe mangiato vivo. Aveva fatto un percorso ed era cambiata grazie alla fede che aveva trovato in Dio. A Mantova. Io non ero ancora nato. Non era mai stata una modella, ma attirava per i suoi modi appariscenti ed era per questo motivo che tentava di nascondere la sua esuberanza interiore sotto gli occhiali e le vestite comode, ma finiva per apparire ancora più involontariamente carismatica. La verità? Era molto timida e impacciata. Insicura. 

La sua ricchezza era stata nei suoi viaggi. Nelle mille vite vissute in più luoghi con tre regioni diverse in più città ognuna per vari anni. Aveva conosciuto la vita. S’era impoverita. Ma aveva una grande virtù: una cosa sua, la saggezza di sapersi importante e volersi bene perché tanto sapeva che da qualche parte c’era ancora qualche luogo nel quale avrebbe potuto andare e ricominciare daccapo, via, mettere da parte e di fiore in fiore così, tutto le sembrava più facile. Un trasloco, la soluzione pronta in tasca? Vero o meno, discutibile o no anche se in teoria si sbagliava gliela aveva data su – tanto c’era Alfredo accanto a lei a proteggerla come un angelo. Comunque fosse lei avrebbe sempre potuto contare su un partner, i soldi che le dava la famiglia proprio a maggior ragione poiché poverissima e artista mancata dal talento riconosciuto. Coltivava ancora qualche velleità artistica di diversa natura. La scrittura, ad esempio. In fondo l’esperienza e ormai anche quella temuta maturità anagrafica le appartenevano. Le sue scelte avrebbe potuto farle. E nemmeno il coraggio le mancava. Ma non si affezionava più a nessuno. Era un gatto nero, randagio, scacciato, tradito che sapeva d’esser sgradito e se n’era fatta una ragione, così amava la solitudine in fondo. O meglio, aveva imparato ad amarla. 

Mi sono coperto gli occhi con una zampa per non vedere quello che faceva. Quel sorriso non le si addiceva. La cosa che detestava mamma era cedere alle provocazioni, mostrare le emozioni deboli. Così si è detta: “Stai buona. Buona. Buona.” Subito dopo aver girato l’angolo scomparendo dal campo visivo della carrozzina. Era incavolata. Quella mamma malevola aveva ostentato suo figlio, aveva sfidato il suo cuore ferito di madre mancata. Artista mancata, madre mancata – pensava e ripensava ai suoi fallimenti, si trascinava e rifletteva per rimanere buona e presente, avanzava nel vialetto
e siamo entrati nel nostro appartamento al terzo piano dopo aver fatto la gradinata.

Come avrebbe fatto a tirare avanti ridotta così? A dare un futuro a me? A rimanere accanto ad Alfredo? Sembrava un’impresa impossibile. Alfredo lo sapeva bene. E anch’io intuivo quante difficoltà avremmo dovuto affrontare. 

11.03.2025



Mamma una fallita? Una perdente? L’ombra di sé stessa? Da ragazza promettente che era oggi è ridotta all’osso? La vedi fragile, sì. D’accordo, si trascinerà anche. Ma a rialzarsi, come… si farebbe? Procedere sempre dritti,
innanzitutto. Avvertimento: potrebbe presentarsi un lungo momento d’attesa su terreno pianeggiante prima di intravedere i primi frutti delle proprie fatiche. Mamma è talmente tanto ingenua purtroppo e con la testa per aria che ieri ad esempio tanto per dirne una avrebbe avuto il solito “colpo di genio.” È proprio come dice Alfredo: ne dice una giusta al giorno. Il che vale a dire che non ci prenderebbe quasi mai. Mai! Sembra impossibile. Questo accaduto ieri si sarebbe trattato di un errore madornale. Ma come fare a non accorgersene? Lo confesso. Mi sarebbe venuta una cotta paurosa per la Chanel. La corteggio per ben trenta minuti con le due padroncine che parlano. La padroncina della Chanel (mamma era arrivata ad essere così espansiva addirittura che la chiamava Chanellina!) invita mamma ad appartarci tutti nel suo giardinetto ormai lontani da occhi indiscreti. La frenesia aumenta irrimediabilmente. La Ginni, (Ginevra, così si sarebbe presentata alla fine la padroncina della Chanellina,) ha detto: “Noi siamo qui da poco. Prima eravamo ai Giardini Margherita. Zona migliore.” Mamma che proviene invece da questo quartiere si è confusa un pochetto ma non ci avrebbe fatto troppo caso. In fondo era concentrata su di me. Ma proprio perché era troppo concentrata, non avrebbe colto l’antifona. Ci rifletto: doveva essere distratta perché è matematico, mamma è modesta non accetterà l’invito a casa di una cagnolina così altolocata? E invece bingo! Entriamo nel giardino. Io le
avevo già fatto la dichiarazione, in tutti i modi mi ero espresso con il mio linguaggio corporeo da anguilla birichina e le ero saltato addosso su e giù, qua e là. La Ginni interviene: “Ha del latte materno pure! Per una gravidanza isterica.” Mamma doveva essere distratta sempre, quale mamma che è e io ne approfitto. E a soli cinque mesi la prima monta, ma chi sono! Il campione se la prende, la afferra  e quasi la fa sua: Chanel, 5 anni, distinta, femminile, pelo lungo, border collie, intelligente e meravigliosa… Nel modo più simpatico e romantico e riservato che ci sia mi avvicino un tantino per andare al sodo quando la natura chiama ma Chanel in quel momento, con la padroncina di lei che la incoraggiava intenerita da me che fa? Si distrae e cerca sicurezza negli occhi di mamma. Purtroppo, mamma stava ancora pensando a quella frase. Quale? La gravidanza… isterica. Non le era andata giù. C’era qualcosa che non le piaceva. E i suoi occhi si sono incrociati con quelli della Chanel mentre lei aveva un’espressione perplessa e fuoriluogo. 

E realizzò dapprima che le cose erano capitate così in fretta. Troppo di fretta: come mai Ginevra era così disponibile a far accoppiare la sua cagnolina? E in quel momento mamma ha capito l’inganno al suo cucciolino prezioso: “Il latte materno rimasto per quella madre altolocata deve essere dato a cuccioli veri! E’ per questo motivo che vuoi Archie. Ma non ti permetterò di approfittare della sua ingenuità!” Grida. Mia madre va fuori di melone! È così fredda che Chanel si sente male. No! Mamma ha capito l’inganno! Ma a me piaceva! Era la mia occasione per quagliare! Scandaloso. Quell’invito così improvviso era stato così sospetto in effetti. E la cosa? Finisce lì, incredibile! Mamma si accorge di aver intimidito Chanel. A quel punto Chanel non ce la fa sotto lo sguardo impietrito di mia mamma. Era Chanel a non essere alla mia altezza secondo lei. Non il contrario! Mamma… vuoi l’alta genealogia tu ma io sono solo un incrocino! La Ginni cede una pallina imbarazzata. Cominciamo a giocare. Andiamo via. Due di picche. Tutti a casa, a fare la solita vita di merda. Che due scatole… Mamma questa mattina aveva notato che le protuberanze sul pisellino erano venute giù. “Sono fiera di te!” Mi diceva tornando a casa. Gli piacerebbe se mi facessi frate un giorno probabilmente, ho pensato. Ha telefonato ad Alfredo. Come ha potuto portarmi via! 

11.03.2025



Quando ci troviamo in prossimità di un attraversamento pedonale, grande o piccolo che sia, peggio se piccolo, se la visibilità è minima e le auto parcheggiate coprono la visuale, mamma si trasforma in Rambo. Ce la vedo quasi. Il vento che comincerà a scompigliare impetuosamente i suoi capelli, le vesti, le pietre che si staccano dal suolo e volano nell’etere… Lei che afferra il guinzaglio saldamente con le due mani, come fosse un badile, teatrale come poche e con la sua voce sottile si impenna sulle punte dei piedi e con la voce improvvisamente tonante mi chiama come se mi trovassi al di là di un ponte di legno posto a picco su un burrone di cinquemila metri con sotto le stalattiti. Odo il richiamo, questa volta la voce è simile a quella di Tarzan: è lei che grida? Già, il mio nome. Ed io trotterello allegramente sulle strisce tranquillo con accanto la mia bodyguard personale che si è appena… fatta forza perché l’attraversamento avvenisse in sicurezza. Ma lei corre alla disperata. Allora io la trovo allegra e buffa e accelero il passo, di corsa abbiamo raggiunto finalmente l’altra sponda e lei manca poco che si butta per terra stremata. Perché? Tira sempre un sospiro di sollievo come se avesse appunto avuto una scossa elettrica lungo tutto il corpo che l’abbia liberata dal guaio peggiore. Perdere il suo cuccioletto “adorato”, che poi sarei io! Modestamente… Figurati se il semaforo per i pedoni è rosso e la strada affollata. 

Trattenermi le sembrava impossibile. Allora un giorno l’ho guardata, mi è sembrata in difficoltà e per non farla sfigurare mi sono seduto. Da allora mi siedo sempre fino al via che mi dà lei, dicendo, fiera di sé: “Su…” E si stima così tanto quando passo a fare la mia piccola sfilata al trotto, soprattutto dentro il negozio di animali, dove sono il migliore cliente.

Come ho già accennato, lì il primo giorno che mamma è andata a prendere le scatolette per me mamma era imbronciata. Ha litigato con la commessa perché non le dava attenzioni. Perché l’aveva ignorata. Oggi grazie al sottoscritto è la più amata delle clienti e si è addolcita. La trattano bene. Compra moltissimo. E’ una spendacciona, si sa. Ma una spendacciona per… amore, almeno!

Papà ha comprato dei pantaloni muniti di tasche colore militare a mamma e delle scarpe da passeggio di marca, in pratica il kit Archie-va-a-passeggio. Oggi durante la passeggiata mamma era vestita così bene e pensava a quanto fosse vanitosa la Ginni mentre passavamo accanto alla loro abitazione per errore. Avrebbe potuto evitare la sua via, insomma. Sarebbe stato imbarazzante rivedersi subito, così. Ho sentito nell’aria il profumo buonissimo di Chanel. Così ho cominciato a seguire la pista… Mamma ha tirato il guinzaglio e siamo andati via. Ci rivedremo prima o poi?

Non saprei se si sia capito. Mamma è furba. In pratica Alfredo se ne sta chiuso in casa tutto il giorno poveretto mentre lei esce con me mattina,  pomeriggio e pure la notte fino a tardi. Si diverte in pratica! Conosce gente, socializza, chiacchiera. E Alfredo? A me manca! Io me le faccio delle domande su di lui. In pratica sono lo strumento di conoscenza del mondo di una singola persona. Di proprietà privata ed esclusiva! Ma non è asfissiante? Meno male che sono un cosiddetto cane-velcro. Cioè… inseparabile. 

Così io sarei il migliore amico, il figlioletto mancato. Il bastardino della tirocinante della psichiatra e lei è la protagonista. Non è affatto giusto. Chi è in secondo piano? 

Al terzo posto della nostra classifica io ci metto mamma per questioni legate all’egoismo e poiché siamo sempre dalla parte dei più deboli; al primo
vado io che sono il migliore e anche Alfredo a parimerito. Il secondo rimane vacante per mancanza d’amici ed è colpa di mamma, chi si fa sotto viene su direttamente prossimo alla pole. Ci vuole un po’ di giustizia. Che Alfredo mi accompagni a fare la passeggiata d’ora in poi almeno saltuariamente.

Mamma, ti scrivo questa seconda lettera educata, questa volta però per spiegarti che l’amicizia è un valore da condividere con chi ami, non con chiunque in assoluto. Per favore. Ti ringrazio anticipatamente se
permetterai a me e Al di socializzare, anche senza di te. Te lo dico io che sono un cane, il più socievole e affettuoso di tutti e so cosa sia l’amicizia. Grazie. Cordiali saluti a Lei. Archie. PS. Ti capisco ma non monopolizzarmi più. 

11.03.2025



Oggi mi sono affacciato ad un muretto, come faccio spesso. Al di là di esso ho visto un’immensa radura rotonda di quella materia di cui fanno gli uomini il terreno. Cos’era quel mare di auto in arrivo in curva ? “Ehy!” Ho cercato di attirare l’attenzione barcollando da destra a sinistra. “C’è qualcuno che mi vede?” Ma le auto continuavano a sfrecciare ininterrottamente in cerchio poi se ne andavano quasi ipnotizzate da una meta indifferente, quasi inferocite. Mamma ha capito così che adoro mettermi in mostra. Così mi sono fatto triste perché temo che potrebbe ritorcersi contro di me questo segreto e ho scelto di fare il buono. È la prima volta che mi sono sentito giù. 

Eravamo nel giardino condominiale accanto, dove c’è un bel cartello con il solito divieto, o almeno credo. Mamma non mi ci porta spesso. Era la fine della passeggiata, d’accordo, ma di energia ne avrei ancora da sfogare e se i miei genitori volessero, così com’è vero che vorranno, che io dorma, sarebbe stato bene anche questa volta se avessi corso un altro po’, anche così per le strade comuni e non all’area cani nelle vicinanze come piace a me. 

Sì, tornando a noi, a proposito di divieti di non calpestare le aiuole come quello, capita che io faccia anche delle cose proibite con mamma. E io lo so e mi fa ridere. Mi contengo e tanto ride mia mamma. E io mi vergogno. 

Ad esempio oggi siamo entrati in punta di piedi in una lavanderia a gettoni vuota. Gratis e divertente.

Insomma, lì nell’aiuola sarà anche stato vero che ieri avevo fatto le mie deiezioni che non erano sembrate così in forma a mamma, fatto sta che era appena passato un piccione, io l’avevo spaventato e mamma si era complimentata caramente. Ma mi sono gasato e ho cominciato a svicolare pur di dare continuità al giro nel giardino che amo, quello… con l’aiuola del divieto! Mamma sa che mi accorgo quando siamo vicini a casa e stiamo per rientrare perché accelero, verso…. quel giardino proibito. Lì si sta così bene e lei avrebbe voluto evitarelo! Come ho già detto sarebbe una priorità assoluta che
un cucciolo potesse seguire le sue piste in santa pace. Io voglio denunciare il fatto che stando alle mie previsioni avrei potuto portare a casa anche un merlo per la prima volta! E invece tira di qua tira di là sì mi è venuto da piangere. Mi sono accucciato. Ho masticato un bastoncino così amaro nel mentre che facevo la mia capricciosa resistenza passiva, – si fa per dire,- che mamma si è intenerita e mi ha abbracciato e coccolato e ha sfoderato un biscotto di quelli nuovi. Io l’ho seguita a malincuore ed ecco, ho dato
ragione a lei!

Dal momento che ora ha un cucciolo mamma stravede per me e lei con me è molto ponderata e prudente e sì, idonea e ci tiene ad assecondarmi finché può; poi, però, esiste anche il rispetto, ma si tratta di un valore che conosco. Sono come un figlio per lei. Allora… non mi porterai più nel giardinetto?

Poiché papà nel nostro condominio fa sempre un gran vocione anche di notte una bambina mi evita in quanto figlio di una famiglia in difficoltà ma ormai parlano di me quale cane coccolone e “fisico,” in tutti i casi. Sono solo un cucciolo, bambina! Di che hai paura! Quando mi avvicino a te lo faccio perché mi piacerebbe dirti ce sono buono ma tu non vuoi proprio capire! 

La mamma della Lulù che va d’accordo stranamente a pelle con
mamma ha detto che siamo cani fisici io e la Lulù. Quindi ho la Lulù, la Daisy e soprattutto la Chanellina, con cui fare i conti. Ma io sono innamorato della Chanel? Non saprei. Non capisco pienamente come mai mamma non sia convinta. È magnifica, non le manca niente. Femminile. La più bella che io abbia mai visto fino a questo giorno. Conoscersi così di fretta è dura… Intendo dire giocare in mezzo a un marciapiede con il guinzaglio. Ci sono proprietari più sul viva la natura e altri più viene prima il padrone. Meglio la prima, noi, così andremo all’area cani più spesso.

Oggi ho captato le parole di mamma dietro a una porta mentre parlava con qualcuno. “Ci trattano tutti come degli imbecilli. Come se non sapessimo allevare bambini. A me dicevano delle infermiere alla CRA: ti insegno a fare la… spesa! La spesa, capisci? La spesa! Come se non fossi capace di entrare in un supermercato, quando ne ho visto anche svaligiare uno e sono rimasta calma! Ma calma o non calma, adesso no, non posso più rimanere a guardare mentre mi portano via mia figlia giorno dopo giorno. Sarò anche invalida, ma il cervello mi funziona ancora abbastanza bene per capire che non posso più aspettare. E’ arrivato il momento in cui debbo fare un passo indietro e lasciare alla sua vita Elisabetta. Per me è troppo doloroso tutto ciò. Ma la vostra tracotanza, non saprei mai dimenticarla.” Così mamma oggi ha chiuso i ponti con la famiglia di sua figlia che per sei anni non le ha mai fatto nemmeno una telefonata mentre lei ha sempre cercato la piccola. Ha detto: “Basta elemosinare briciole d’affetto da qualcuno cui non importa niente di me.”

12.03.2025



Ho notato che le cose si ripetono in continuazione. Mi piace. Amo costatare che sia così. Mi sembra di ricordare che anche ieri quando mamma mi metteva il guinzaglio e la pettorina mi sono abbassato con il popò all’indietro sulle zampe anteriori. E che mi sono arrampicato sulla porta prima di uscire. Ricordo anche che al sentore del profumo di edera nei pressi della sbarra alla svolta interna ancora che il vialetto di casa fa verso via Bellaria io mi sono buttato prima nel fogliame, ho fatto sempre i miei bisogni lì e poi ecco, sì, ho grattato via della sporca terra per cercare di trovare lucertole e radici fresche da addentare. Ho accelerato nei pressi della curva della siepe sulla sinistra dopo il rettilineo sul marciapiede rapido come su un circuito di Formula 1 e ho giocato con il calzino spaiato rosso che qualche bambino ha buttato lì, con il bicchiere di carta morsicato per benino precedentemente e la pigna. 

Però le cose si usurano. La pigna non ha più un solo pinolo. Penserete che me le sia mangiate. Invece no. È mamma che me li toglie di bocca pazientemente ogni volta ed è ingiusto ma il risultato è sempre lo stesso.
Anche le persone mutano espressione di giorno in giorno. Chi era invidioso ieri oggi lo è più o meno a seconda dei casi, i curiosi generalmente aumentano di grado l’interesse, i viziosi rimangono come sono. Ne vedo sempre alcuni seduti al bar. Si versano qualcosa in bocca da un bicchiere.
Io sono assetato di vita, vigoroso, nel pieno delle forze. Ieri per la prima volta mi sono stancato di passeggiare. Mamma si è seduta e abbiamo riposato ma non ho potuto bere un sorso d’acqua. Avevo nel cuore un disappunto mai provato. Una cagnolina, brutta per giunta, mi ha abbaiato così forte tanto
da mandarmi via. I malevoli uomini e le donne osservata la scena scuotevano pure il capo.

Disapprovazione di continuo, preoccupazione, crocerossinismo finto e spicciolo. Ho rifiutato l’acqua imbestialito com’ero. Il proprietario aveva l’aria così bonaria. Poi mamma mi ha accarezzato, rassicurante. Prima di portarmi via ero paralizzato a quella vista, che cattiveria! Non le avevo fatto niente, anzi, ero lì per complimentarmi. Ah. Ho capito. Ora mi sembra tutto chiaro…

Siccome è più grande e non è bella come la Chanel va da sé che deve prendersela con i giovani, si sarà sentita presa in giro. La zitellona. “Archie!” Tzè. Odo già la voce di mamma che dice: “Guarda che se mi diventi meno dolce come sei già poi le cagnoline ti scapperanno e tu un giorno potresti ritrovarti solo come questa che ha appena abbaiato a te!” Chanel. Quanto è carina lei…

 12.03.2025



Una “piccola luce in una vita di guai.” Adesso sono solo questo per mamma. Le è capitato di pensare questo di me recentemente. Ne sono sicuro. Anzi, Archie-sicuro. Io certe cose me le sento. Non indago con il mio fiuto sopaffino solo il terreno ma anche tutto ciò che c’è, anche l’anima. Io so di essere molto di più. 

L’ho capito perché adesso si fa desiderare. Non le leggo nel pensiero, no. Ma l’ho dedotto dai suoi comportamenti nuovi. Pensa. Incredibile. E c’era una sorta di autocompiacimento in lei mentre stava lì, distante, immersa nei suoi pensieri senza considerarmi… cosa? Altolà! Cara mamma, 

Come hai potuto abbandonarmi mamma! Io mi ero illuso. Credevo di essere quasi un figlio per voi. Invece sarei solo il vostro cane. Legittimo finché vuoi. Vabè, d’accordo ma ora io continuerò a passare per scemo. Con i ricordi che abbiamo insieme tu mi… scomunichi! Mi declassi alla categoria di cane. Ero su questo bel piedistallo. Non potresti mai farla franca dopo avermi procurato una ferita simile, anche se solo mentre pensavi ad Elisabetta lontana da te, o almeno credo. Perché piangevi e non mi dicevi niente? 

Ma non dev’essere nemmeno vero che avesse intenzione di farsi i cavli suoi semplicemente. Ci sono troppe incongruenze con i dati reali. Forse avevamo troppo poco in comune. Comunque si tratta di un dato di fatto. Ci lasceremo sicuramente.

 E tu, non dici niente ormai di me e di te. Di quello che c’era stato e non c’è più. Ora questo è stato ormai superato completamente. Qui lo dico e lo nego ma anche tu sei stata solo un gioco. Dove andremo a finire, veramente? Io non so dove cazzo posso abitare d’ora in poi. Ho
solo te. Letteralmente. Se mando via te io rimango solo. Rivoglio la mia vita quando mi pensavo un umano. So di essere solo un cane. È finita. Dove andremo a finire. Come è capitato? Non saprei. Sono confuso. Ma in giro ci sarebbero molti pronti a giurare sul fatto che io preferisco essere un cane. Almeno in parte. Invece io sono chi sono. E mi chiamo Archie. Ho visto già tutto a 5 mesi meno alcuni giorni. Che altro dire. Buttata via la mia vita con una con cui non vale la pena, ma io non ci credo! È tutto sbagliato. Io mi chiamo Archie. Ho molto da raccontare e dire. L’ho dimostrato. Adesso me la paghi. Ho rotto con la vita di prima. Tu sei una donna con la “d” minuscola. Come sarebbe a dire che un cane varrebbe meno di un essere umano, ci risiamo con la storia che i vegetariani sanno più dei carnivori e ci sono le fazioni! Ho paura! Mamma cane! Ti rivoglio! Io non ci sto alla storiella che si valuta il valore della persona in base alla sua specie. Vuoi Elisabetta? Siamo tutti uguali sullo stesso piano. Dio ama tutti allo stesso modo. Mi verrebbe da bestemmiare e invece no. È un modo rigoroso quel che dico per dire di no al mondo che c’è in giro, una mentalità pietosa di considerarmi. Un cane, io? Sì, è meglio avere la testa alta. Sono un cane e bastardino per giunta, già ma sappi che sono io a renderti quella che sei. Con il mio affetto. Un piccolo
luminoso addio. Tuo per sempre, che tu lo voglio o no… cane… Archie. Lezioncina per te: mai ignorare un cane. 

12.03.2025



Verso le 7.43 del mio 5 complimese dopo la frenesia della passeggiata tornati su in casa mi sono calmato. Ma prima di questo, poiché io mi ero gasato con un pezzo di zucca caduto dalle sue mani mentre faceva il pranzo ad Alfredo prima del suo risveglio mamma ha potuto somministrarmi uno ad uno ogni singolo pezzo di verdura dal frigorifero. Volevo vedere che altro ci fosse di così stupido in quel frigorifero e con la zampa le facevo cenno di aprirne lo sportello. “Bisogna fargli apprezzare anche le verdurine.” Io le azzannavo selvaggiamente, ci giocavo a calcio sul marmo, mi prendevo gioco di loro. Niente da fare: a mamma piace che io apprezzi quelle schifezze che sembrano ridicole. Cercavo di mostrarle in tutti i modi quanto fossero spregevoli. Hanno un aspetto sconcio e buffo: colori di ogni tipo. Un pezzo di zucca sembrava pongo puro, figurarsi. Per non parlare del broccolo, con tutti quei puntini che mi fanno a malapena il solletico al tartufo. Insomma, alla fine della guerra delle verdure il pavimento sembrava proprio un campo di battaglia. Fagiolini morsicati, pezzetti di banana spiaccicati, pure! L’insalata brutalmente massacrata. Solo il sapore era buono. Mi è venuto il dubbio che
fossero da mangiare. Ma ciò non è possibile.


Infatti chi mai potrebbe fabbricare dei pezzi così ridicoli? Andrebbero bene a malapena per un neonato. E poi io ormai ho tutti i dentini. Ho già alzato ieri l’altro per la prima volta la zampa per fare pipì come fanno i grandi. Sto crescendo. Ma i dentini, già. Fermi tutti e faccio un passo indietro a
qualcosa che sto ricordando.

Mia madre ieri ha trovato un mio canino perché lo stavo osservando sconvolto dopo che avevo tirato un morso all’angolo del divano: “E tu da dove verresti?” Avrei dovuto rimetterlo al suo posto, mi ha fatto incazzare. Soprattutto ero sgomento perché mamma si è sciolta, ha cominciato a sbracciare come una fuori di melone, io non capivo come mai. La guardavo mentre diceva di tutto con la voce ovattata e setosa da bambina perché a lei doveva sembrare una cosa dolce. Continuava a ripetere sfacciatamente cose come: “Vuoi i soldini?” Mi accarezzava la testa e mi baciava chiamandomi
biscottino. Ti voglio bene di qua e complimenti di là stai crescendo. “Sono fiera di te.” Non regge. Me lo dice troppo. Arrivato Alfredo la prima cosa che dice è questa: “Credo che ad Archie potrebbe piacere del gelato.” Avevo appena perso un pezzo! Scandaloso, questi genitori credono di conoscermi,
sapere tutto di me incredibile quanto sia dura, ho cercato di riprendere quanto era mia ma mamma l’ha raccolto per prima. No. Mi sono detto: “È vergognoso. Ridatemi il mio pezzo mancante. Starò sicuramente male.” Il giorno dopo ho notato di averne di nuovi. Allora funziona. Mi son detto: “Qualcosa più di me sanno questi due. Ne ho perso uno e non mi ero
accorto che in cambio da alcune giornate ne avevo in bocca un intero arsenale. Li perdonerò.” Mamma ha messo il dentino in un piccolo portagioie bijou bianco e blu con dettagli rosso decorato di porcellana pura. Credo sia feticista. C’è qualcosa di strano in chi conserva un dente da latte. Cosa mi
tocca.

Insomma con i denti tutti rinati ho guardato mamma e ho morbidamente mosso la mandibola. Lei ha fatto un sorrisetto. “Bene, Archie. Ora potresti mangiare tutte le verdure che vuoi.” Arcano svelato.

Perché io potessi mangiare quei ridicoli pezzi del cavolo i denti ufficiali me li ha fatti crescere lei. In un certo senso. Non so come ma potrebbe essere un prodigio questo. Cosa si potrebbe fare in meno per accontentare una madre. Sono pur sempre questo cane che sto diventando e mi tocca fare il mio dovere.

Mentre giocavo con questo mangiare di tutti i colori mi sono accorto che il pavimento era sporco. Mamma non se ne sarebbe accorta oppure sì e non ha lavato prima di permettermi di mangiare le verdure. Anche solo il pensiero di permettermi di posare il mio tartufetto riconoscente a terra e leccare un pavimento ridotto così male a me farebbe vergognare. “Archie!” 

Urlo tarzanesco. “Nooooooo!”

Sobbalzo. La guardo con aria calma e interrogativa, la piega delle labbra simile a un ghigno ironico, fighetto e assumo un’aria esperta annoiata e superiore. Vale a dire: “Allora!” “Non leccarlo!” Lei con la scusa che io vado a caccia del mocio piatto sul pavimento e mi accanisco con i suoi tentacoli secondo me lava meno il pavimento perché con me d’attorno non le riesce più bene come prima. Senza parlare del fatto che è decisamente lei a portare lo sporco in giro per casa. Io mi limito a camminare. E camminarci sopra. E giocarci. “Con tutto l’amore che ci dà ho potuto lasciare andare un po’ anche la casa e… meno male!” Discorsi da donna navigata e matura.

Che sia io a portare la terra in casa sul marmo chiaro che lei è così “stanca e affaticata” poverina e Alfredo troppo buono per rimproverarla non regge. 

“Rivoglio la mia casa pulita. Tira fuori quel mocio del cavolo e lava il pavimento. Sei giovane. Adesso non solo non mangerò più i tentacoli al mocio del cavolo, ma perché tu capisca che è poco igienico così mangerò anche le verdure!” Lesse questo mamma nello sguardo. 

Ha sospirato, si è asciugata la fronte e allontanata nello sgabuzzino. Con lo sguardo l’ho seguita sbalordito.
Ha tirato un altro sospirone tanto che non la finiva più di avere il fiato corto per i pensieri troppo affollati o altro e ha lavato da cima a fondo la casa. Sbalorditivo.
Ero così scioccato e sbalordito che non ho potuto muovermi per tutto il tempo dalla mia posizione seduta da bravo cane. Mamma che lava il pavimento. Era da giorni che non accadeva.
Mi sono avvicinato. C’era un broccolo. L’ho leccato per riconoscenza, le ho fatto un complimento sfiorandole il piede con il tartufo e sono andato via soddisfatto.

Mamma, puoi ridarmi il mio dente ora. Perché se è vero che sei arrivata al punto da dimenticarti per tre giorni di pulire ciò che ti spetta e spetterebbe anche a noi solo perché la casa è di proprietà di tuo nonno, ora in casa di riposo, ti ho dato una lezione di igiene e io ho diritto a ciò che mi appartiene. Insisto, sempre il pavimento pulito e se non ti va bene allora a te la casa e a me il dente e me ne vado. Pavimento pulito per sempre senza cane che mette a soqquadro tutto. Mi dispiace così tanto perdere pezzi! Ciò che è tuo è tuo e ciò che è mio è mio. Con affetto e speranza, il tuo disperato e ora soddisfatto Archie.

Allora, ho imparato bene l’italiano, per ora?

Il pavimento sporco non era degno di un cucciolo. Vergogna. Mi aveva fatto mangiare anche delle briciole di biscotto sull’asfalto a ben pensarci. Stava cedendo l’impalcatura della brava mamma. Incredibile. Ci avevo quasi creduto io per primo. Qualcosa di grave era successo. Questa donna si stava rivelando per quella che è? Si stava rilassando come se fosse difficile farmi da madre. Era sempre esausta. Forse era la depressione post partum. In compenso da quel giorno il pavimento fu sempre specchiato. Peccato: con il pavimento sporco è finita anche la storia divertente delle verdure.


14.03.202



Scarpe e calzini odorosi di buono a parte, credo di avere una passione per i motori. L’auto nella quale spesso entro,quella di Alfredo, emana un odore familiare. Per questo motivo mi appassiona. Si tratta di una Panda rossa vecchio modello tutta scassata. Non è questione di avere gusti bacati, da parte mia, il fatto che io la ami. È una questione affettiva. Di intimità. Quando viaggiamo verso il veterinario, oppure all’area cani sono meravigliato. Su due ruote sembra che il mondo serpeggi tutto all’intorno. Alfredo fa delle strane manovre con un aggeggio circolare che stride come un gallinaccio. Il freno a mano scoppierà una volta o l’altra. Non posso farci niente. Solo osservare il mondo che gira e compatire i miei genitori, che accettano questa situazione. Quindi io amo la Panda ma da fuori, in pratica. Che quando ci vado dentro, mi sento un po’ strano. Infatti una volta mi è venuto da vomitare. Credo che il disgusto fosse dovuto alla delusione più che alle fastidiose curve. I miei genitori sembrano divertiti. Musica. Lattine di Energy-drink accanto ai sedili. Incredibile. L’auto si ferma, noi scendiamo, io barcollo. Siamo addirittura in un altro posto. Ci saremo persi, penso sempre. Panico per meno di un minuto. Poi quella gallina di mia madre mi fa scendere afferrando come un badile il guinzaglio per non farmi cadere. E sembra felice! L’unica spiegazione è che lo saprà che prima o poi rimarremo a piedi… Non vedo perché usino ancora quello scassino mettendosi in pericolo e mettendo me in pericolo. Prenderanno una Tesla, no? Ma non hanno soldi. Tutto chiaro. Il loro cucciolo. Ma ci sono così tante auto. Inspiegabile. Preferirei muovermi sulle mie quattro zampe. Le auto ferme le capisco. Sanno di buono. Le annuso. Annuso in particolare il parabrezza. Sembra buono. Sa di insetto spiaccicato. A volte di gatto spiaccicato. Una volta ho odorato del cinghiale. Ci giurerei. Spero che non sia reale. Che io sia un po’ fuso… Non me lo spiego eppure spero di non capire mai. Un cinghiale invisibile nascosto in un’auto può significare una sola
cosa: l’auto appartiene al macellaio oppure è stata dal macellaio. E io non sopporto quel macellaio invadente. È o è stato l’amante di mamma. Deve sparire dalla faccia della terra. Prima o poi lo faccio a fette.

Ma c’è un’altra questione spinosa di cui mi preme parlare. Si tratta di quando siamo andati in farmacia. Ho tirato per aria tutto. Non mi piaceva. Nessun odore. Asettica. Confezioni grandi, impossibili da afferrare. Ero contrario. Scivolavano via. Chi compra quella roba? Cosa c’è dentro? Fanno rumore. Mamma non mi aiutava a prenderle come invece fa di solito con gli ossicini di pollo e i miei ninnoli. Fatta eccezione per me quando afferro per strada ciò che mi capita, mamma mi concede tutto, anche biscotti. Sempre.
Eppure anche se erano lì proprio sotto i miei occhi tutti quei barattoli pronti uno accanto all’altro ad essere presi e sbatacchiati, niente da fare. Mamma era imbarazzata perché me la sono presa. Mi sono poi arrampicato sulle gambe di una cliente supplicandola con gli occhi. Mi guardavano. Cosa ho fatto di male? Ho abbaiato. Ho fatto pupù. Una ha squadrato mia madre come se lei fosse un cattivo esempio da seguire per le altre mamme. Mamma si è allontanata da tutti e siamo usciti dalla porta scorrevole. Non ha un buon rapporto con le farmacie, sarà che ha preso tanti psicofarmaci ed è fusa. Nemmeno con le mamme. Ma dico io: ci prende anche i miei fermenti lattici che sanno di buono! Comunque, la farmacista ha detto che sarebbe arrivata a consegnarle il pacchetto all’uscita irritata. Non appena ha messo il naso fuori e in punta di dita le ha fatto cadere il pacchetto fra le mani: “Avevo paura pure io.” Mamma scoppia a ridere. A ridere?

A ridere! Con una grassa risata! La farmacista rimane di sasso. 

Il giorno dopo la mamma della Lulù incontra la farmacista: “Quello è un cucciolo buonissimo e dolcissimo…” 

“Ah, allora non dico più niente…” La farmacista, confusa, a denti stretti tira un sospiro di sollievo. 

Le ho fatto paura! Come a quella bambina di cui ho parlato prima… quella del nostro condominio, dai! Chi sono! 

Il lato della “medaglietta” che non mi piace è che d’ora in poi ha detto mamma che potrò frequentare solo un locale al chiuso tra tutti quelli che abbiamo visitato e sarebbe nella fattispecie un bar piccolissimo dove a malapena è possibile voltarsi sui propri stessi tacchi. Io lo so come mai: ha scelto di permettermi di andare solo al bar perché beve troppi caffè e non può farne a meno. Dipendente egoista. 

14.03.2025



Nella casa vecchia avevo un giardino dell’estensione di interi ettari. Ora, che vado già a malapena per i sei primi mesi in questa vita fortunata, ne ho quanti ne voglio. Nella vecchia casa non uscivo quasi mai dal giardino al trotto, all’avventura in gran carriera ad arrampicarmi su gambe, sgombrare la strada dai piccioni, annusare il vento, mettermi in mostra con il petto fiero all’infuori con i muscoletti estroflessi e pronti. Non ero mai uscito allo scoperto. Che fame di vita! Oggi basta girare l’angolo di una strada ed è tutto mio. Peccato solo che mamma mi strattona sempre con quel garbo carino irresistibile che mi induce a seguirla per amor suo e timore di mostrarmi fragile anche! Agli occhi del mondo io ormai sono… Archie! Io sono chi sono. Deve trattarsi proprio del mio vero nome. Salvo per Archie-leone, Archie-leo e anche Bambi. Simba. Chupito. E altri nomi che improvvisa mamma quando vuole farmi ridere. Adesso sostiene che assomiglio più a mio padre che non a mia madre ormai. Perché sono ingrassato e sembro un Labrador. 

Mia madre mi dà da mangiare dal cucchiaio come se fossi un bambino.
E Alfredo che fa? Non lo sa. Quando lo scoprirà le dirà che sono un cane. Ma so che per la prima volta troverebbe d’accordo mamma. Non sa mai come lavare quel cucchiaio comune che ha preso dal cassetto comune con tutti i comuni cucchiai. È in contraddizione: potresti anche lavare il mio cucchiaio
insieme ai vostri. Il motivo è semplice: è un cucchiaio, se ci pensi, assomiglia a tutti gli altri cucchiai. Mi dai anche i baci in bocca. Perché lavarlo separatamente! “Si è sempre fatto così.” Ah. Nell’incertezza…


Mamma è preoccupata che non mangerò più dalla ciotola. Mi accarezza sempre il collo affusolato, anche mentre mangio e in quel frangente non si allontana mai da me. Mi tratta come se fossi il suo
bebè. È troppo. 

Recentemente da quando mi porta a spasso per la durata strettamente indispensabile a fare i miei bisogni io sono più contento. Lunghe passeggiate interminabili mi avevano proprio stancato. Sto decisamente diventando più rilassato a cinque mesi quasi sei, più grasso e con il coppino da labrador
tutto da tastare pieno di ciccetta spataccosa. Sarà per questo motivo che mamma è così innamorata del suo bebè.

Purtroppo Alfredo e mamma non vanno d’accordo quasi su niente. L’uno vorrebbe che mangiassi manzo da discount, quell’altro coniglio d’alta qualità con pedigree annesso (al coniglio…) Ma decidetevi! Io sono un cane. Non me la prenderò mai. Ho un amore smisurato gratuito disinteressato, mi avete preso in forza al vostro bisogno inesauribile di questo cane che sarebbe poi il sottoscritto. Figuriamoci. Un po’ di riconoscenza ogni tanto sarebbe una medicina per tutti i mali e le vostre discordie mettetele proprio da parte. Che mentre discutete animatamente il vostro cucciolo ha una bella scaricuccia da fare in quell’angolino che conoscete bene perché è discreto e dedicato. È di fronte all’agenzia immobiliare. 

Non so perché guardano sempre oltre la vetrina mamma che raccoglie il ricordino e mi dice: “Bravo!” Mi accarezzava ogni volta. La lezione è: si introduce una proteina alla volta nell’alimentazione canina. Lo sanno tutti. Anche i bebè.

Comunque, tornando alla storiella di prima, il mondo è uno smisurato giardino dove è possibile fruire di tutto. “Archie, non è tuo. È del signore. Ridagli il suo documento.” E molla giù il pezzo di carta che sembrava pronto ad essere fatto a pezzi come piace a me. 

“Archie l’aiuola non si calpesta” E dove sta scritto? “Lì.” Mamma indica regolarmente un oggetto basculante con un rametto sopra cui svetta un rettangolone con dei segnetti scritti enormi. E vi faccio la pipì sopra. “Archie no.” La guardo. Lei mi rimprovera dolcemente io le obbedisco ma non finiscono mai i divieti? C’è qualcosa che non posso afferrare ma scoprirò di cosa si tratta. 

Perché scappano tutti via così? Dai cartelli, come quello di
prima, dalle botteghe, dove vanno? Entrano, escono. Di cosa o chi hanno paura? Dio. Dev’esserci un Dio severo. Ci scommetterei la mia prossima mangiatina al gusto di coniglio. Incredibile. Sublime addirittura. Ho cominciato pure a guardarmi intorno con sospetto. Ho abbaiato tutt’intorno.

Una postina visto che non ho il guinzaglio blu bensì rosa scuro o quasi rosso come anche alcuni altri ha fatto diventare una iena mamma: “Gender già a cinque mesi…” Ha incenerito la postina. No non con lo sguardo. Davvero. L’ho vista imbronciata così tanto che sembrava miope mancava tanto così che le prendesse fuoco la testa. Volevo scappare. Ho pregato per la postina. “Mamma. Bisogna essere gentili.” In piena crisi religiosa anch’io adesso. Dio potrebbe essere vicino alle postine che offendono la mia virilità solo perché sono ancora un lattante, un bebè, altrimenti mamma le brucerà vive. Queste battute non sono ammissibili in una società di matrice cristiana. Ci sono ancora dei tradizionalisti. Dei credenti. Io che c’entro in tutto questo? Ha ragione Alfredo. Sono solo un piccolo cagnolino smarrito con gli occhi dolci e il muso sottile il collo affusolato, equilibrato… una perdita per il mondo maschile se si ammettesse il cambio del sesso ai cani maschietti come me. Mamma non vuole mica castrarmi. Viva la natura. Vuole i miei cuccioli. Eppure, vuole anche che io abbia amici maschi. Altrimenti non ci
sarebbe più spazio per l’identità, l’amicizia tra uomini è la più alta forma di legame che esista. Me l’ha insegnato Alfredo. Come sappiamo, mamma ha un brutto caratterino e non ha amiche. 

Io voglio andare d’amore e d’accordo con tutti. Senza limitazioni. Sarò gay. In fondo il guinzaglio… un segnale chiaro delle aspettative dei miei genitori. Ma che vuoi che ne sappia un cane, certe cose mica le penso, io! Io penso a giocare. Con chi voglio. Sarò gay se gioco anche con i maschi? E vabbè. Gioco anche con i più vecchierelli. Sarò disfunzionale? “Archie!” Voce setosa e ovattata, è mamma che chiama sottilmente interessata: “Sei il cane più sano del mondo. Ora anche cicciottino per giunta! Siamo dei signori. Sir Archiebald, chi starà meglio di noi?” Felice lei. Io sono confuso. Ho deciso: sarò fedele alla mia natura, qualunque essa fosse. Accetterò tutto ciò che verrà disinteressatamente. Non posso fare a meno di essere fedele e obbediente, sono un Fido, sono chi sono, Archie, sono un cane! Ho deciso.  

Che cavolo, comunque sia, io per i miei genitori sono unico. Anche se per questa storia del manzo non mi hanno fatto alcun regalo per i cinque mesi. Com’è capitato? Sono peccati che pesano sull’andamento familiare ma metterò da parte il rancore. Furbo com’è, un minuto prima che mamma tra un mestiere e l’altro di casa furbetta e finta distratta, buttasse lì ad Alfredo la solita frase: “Vado al negozio di animali…” ecco che lui la riprende, si fa per
dire: “E cosa compri?” Shock. Occhi sbarrati, mamma è di spalle già accanto alla porta. Si volta. Piangeva a dirotto.”Coniglio!” Ammette colta in flagrante. “Gli ho comprato il manzo e il pollo. 60 centesimi al supermercato. Tu quanto le paghi?” Ta-tan! Si è chiusa in camera in solitudine a riflettere sulle
sue spese folli per ore. Era sparita. Mi ha somministrato il manzo. Mi è piaciuto. Ma allora sono proprio due perditempo i miei genitori litigano per abitudine. Basta che il macellaio ne stia fuori per sempre… 

15.03.2025



La depressione post partum colpisce ancora. La dissenteria da mancanza di coniglio non bastava. Adesso mamma è pazza. Si è palesato il dato essenziale che le aspettative troppo grandi per un cane così giovane quanto me potrebbero danneggiare il mio piccolo cuore. L’impalcatura della brava madre scricchiola di nuovo e Alfredo l’ha giustamente ripresa su questo punto: “Anche se non arriverà a diventare il cane di taglia grande di 25 kg che ci ha preventivato la veterinaria, lui sarà sempre il cane unico che è.” Bravo. Ben detto. Fatto sta che sono figlio unico. Come la mettiamo? Semmai mi venisse pure l’ansia da prestazione sarebbe tragico su tutti i fronti. E io sono nato per essere fedele. Incluse la teorie sui cani. Mamma sostiene che non vede l’ora che io sia grande. Però si corregge: “Grande in senso… anagrafico. Mi preme la sua salute e felicità. Non la stazza.” Già questa parola… Stazza: dice tanto di lei. Insomma non sarei una mucca. Che falsa… Alfredo ora poi ha trovato lavoro. Sono nei guai. Ciò comporta che sarò al tempo pieno con mamma a casa sotto sua completa responsabilità. Praticamente il suo sogno di onnipotenza si è realizzato, io ne sono la vittima. Mamma non ha autorità. Giocherò e sarò condannato ad essere felice tutto il dì! Mi subisserà di coccole, non ne usciremo vivi! Mamma!

Però ha detto che vuole approfittare del tempo che guadagnerebbe da quello risparmiato dal seguire le necessità di Alfredo come alcuni mestieri casalinghi legati all’ordine quotidiano che lo riguardano e andare in palestra. Questo al contrario mi fa incazzare. Non mi piace. È terribile. Come fa a rinunciare al suo bebè anche solo per un’ora una madre? La osserverei per un minuto intero con la forza dello sguardo dolce e triste mentre sulla soglia lei piangerebbe a dirotto e mi saluterebbe, prima di chiudere quella benedetta porta e andarsene in palestra. Succede già tutte le sere se escono in coppia. Li faccio sentire in colpa. Tiè. Potrei ipnotizzarla con il potere dei miei occhioni dolci tristi. Dopo che avrebbe chiuso la porta vado quasi sempre a dormire o giocare, indifferentemente, ma questo non è importante. Importante quello che farebbe lei. Non dirmi che quando piange finge di essere triste invece è indifferente e anzi si diverte pure lei. A farsi ammirare da chissà quanti uomini maledetti in palestra questa volta! Falsona e bugiarda! Mamma!


Recentemente mi ha regalato una spazzola per il pelo. Alla faccia del regalo. Maledetta depressione post partum: mamma non si è accorta al negozio di animali dove le hanno dato quella lezioncina di umiltà il primo giorno le sue nuove amiche con cui era stata scorbutica: la spazzola punge! Hanno
capito che sarebbe disposta a svenarsi per me e le rifilano tutti i gingilli più cretini! E lei si fa prendere in giro. Io non accetterò più biscotti da quelle due megère. Faceva meglio a rimanere scorbutica con loro e litigare sempre per la spesa di due scatolette. È povera. La spazzola è piena di pistilli, poi, setole che fanno schizzare i peli da tutte le parti! Me li tolgono! È un disastro orribile a vedersi, la mia anima di cane svolazzerà nell’aria insieme ai peli se mamma non la finirà di togliermeli con quell’aggeggio infernale con la scusa dell’estate in arrivo! Chisseneimporta del caldo! Palestra per dimagrire e andare al mare; peli che svolazzano; la mia prima estate fa già schifo prima di cominciare e siamo solo a marzo. Vogliono pure farmi nuotare al mare quando andranno alla solita meta familiare, a Cattolica. E parlano sempre con gli occhi lucidi di emozione. 

Una volta all’anno c’è la gita familiare a Cattolica. C’è un solo lato positivo: la terra è umida, tiepida e profuma al momento. Penso sia la primavera. E le cagnoline sono più belle. 

Adesso che Alfredo lavora potrebbero prendere casa in campagna mormorano. Sarebbe come dire che potremmo dire addio a questa città. Ma è la mia città! Quella dove sono nato. Non so cosa mi aspetta. Parlano di campi aperti dove passeggiare al sicuro. “Voglio andare in campagna con Archie,” ma io non saprei… Niente strade affollate. Auto ridotte al minimo. Salite e discese. Aria buona. Che posto orrendo, dove sarebbe il divertimento di dribblare tutti gli ostacoli? La spazzatura in tutti gli angoli con cui giocare? 

“Archie, tu sei un cane pulito!” Mi sembra di sentire già mamma. Che scatolette di manzo. Questo significa che sarebbe un bel posto ma la Daisy, Lulù, Bacco, Argo e tutti gli altri cani, la Chanellina-n.-5-anni li potrò rivedere ancora? Mamma è abituata a traslocare. E poi non ho conosciuto nemmeno le altre prime 4 Chanel, se tanto mi dà tanto, ancora…

Mamma avrebbe fatto una vita “nomade e senza radici” come dice lei… romantica. Un altro modo per dire che ha perso il senno, è fuggita in Danimarca, l’hanno riportata in Italia e altri casini. Con quale autorità lo dico? Sono suo figlio, cazzo. Ma io non cedo, lei ha la depressione post partum,
sicuramente non ha la lucidità per sapere quello che sarebbe meglio per me in quanto a luoghi di residenza. E devo rimanere con lei ore ed ore da martedì ed essere felice con lei, è una grande responsabilità. Una affetta da depressione. Prendere tutti quei calzini dai cassetti, ribaltare la cuccia 1
e la cuccia 2, dare la caccia alle verdure, sporcare il pavimento, scavare la buca nel divano, mangiare lo stucco dal muro, rovinare il mobiletto, raccogliere ciò che è caduto in terra come chiodi e mangiarli. Tutto questo per renderla felice! È pazzesco, quale responsabilità per un cucciolo che ha meno ma tanti giorni in meno di 6 mesi e tanta voglia di crescere. Non potrebbe accaderle nulla al mio fianco. Ma non sarà facile. Sarà felice. Si pensi che una volta era così disperata e persa poiché era stata lontana da me che non entrava in casa. Non ha autorità. Ovvio. Ero tranquillissimo. Anzi, dormivo nella cuccia 2, quella pelosa in salotto, una volta tanto. Solo la casa era devastata, ma io stavo ancora bene. Volevo salvarla. Era disperata seduta nella tromba delle scale. Ho cominciato ad abbaiare fiutandone l’odore. Era disperata. Alfredo l’ha trovata lì. “Che ci fai qui, perché non entri?” “Ho paura che mi assalga Archie.” Che risposta è? Un’altra volta si è chiusa in bagno. Assurdo. “Hai paura di un cucciolo.” “Mi toglie i calzini.” Alfredo la rimprovera esterrefatto e scandalizzato. Ha ragione. Un cucciolo ha sempre ragione. Adesso vado a devastare i bidoni neri che sono in balcone. Puzzano e li
voglio aprire per vedere che cazzo ci sarà che emana cattivo odore. Perché mamma non se ne libera buttandoli da basso come fa Alfredo con il caffè? E poi mamma si vanta tanto di essere ordinata.


15.03.2025



Temo d’avere capito. Il problema di mamma è grave. È più pazza del sottoscritto, un cane cucciolo di 5 mesi appena compiuti è più calmo. È perennemente inquieta. Chissà come mai. Sarà la mia presenza. Ma allora è un cane che si morde la coda! Cazzo. Devo proprio girarmi. Cane pazzo… gira che ti rigira, insomma adesso basta con le cose serie. Passiamo a quelle divertentissime. Non mi annoia l’argomento ma c’è qualcosa che voglio raccontare ancora. “Dove sono i miei calzini?” Pensai. Mamma li cercava invano nel suo cassetto vuoto. Andai alla buca nel divano e ne scovai un paio. Per nascondere i fatti, mi ci sedetti sopra e feci finta di niente. Era particolarmente grave dal momento che era appena sveglia, saranno state le 5.20. Doveva portarmi a fare i miei bisogni e io non sapevo come fare. Aprì la finestra. “Archie?” Scattai verso quell’àndito da cui si vede il lato benzinaio con tutta la pioggia battente e mi esaltai. Mi sentii carico per la passeggiata come un leone. Ma “Ecco i calzini!” Mia mamma è così pazza. Adesso spiego. 

Tutte le volte che apre la finestra non resisto e voglio guardare fuori. Lei è pazza a tal punto da misurare la statura a me come a un bambino così velocemente che nel mentre che io mi sono arrampicato alla finestra lei ha già estratto il metro di tasca, l’ha svolteggiato, l’ha afferrato ai due lati, l’ha allungato, me ne ha posato la linguetta sulla testa e si è chinata. Fino al battiscopa 20 cm fino alla base del termosifone 26 fino alla mensola del
paratermosifone 46 base stipite finestra 51, parte finestra 1 fanno 55 prima parte esposta all’esterno 60 cm e testa Archie… Un metro! Esclama. “Archie sporge tutta la testa fuori! È cresciuto ancora.” Incredibile. 

Alfredo si rivolta nel letto mentre ancora sta dormendo che mia madre mi sussurra pianissimo: “Toh… ecco i miei calzini!” E mi aveva distratto! Porca vaccona, eccola che con la scusa bieca e subdola della finestra, della statura fa di me un imbelle. Prendere in giro un tenero cucciolo… Che vergogna… Troppo facile. Vuoi vincere facile! Vuoi come offrire delle caramelle a un bambino! Ma io la precedo e faccio un disastro. Le zampe battono una ad una sul pavimento e di riflesso arrivano, una ad una alle orecchie di Al. Emerge dalla camera da letto un grido altissimo: “Elena!” Mamma si contorce
su se stessa e si copre la faccia dalla vergogna, si mangia le mani. Questa volta ha vinto. Ha avuto i calzini. Glieli ho ceduti. Le ho fatto un regalo. Le ho permesso di indossarli. Subito. Senza ombra di dubbio e siamo usciti a
gambe levate prima che Al ci mangiasse. Non può camminare nelle scarpe senza per via della vescica. Quando si sveglia Alfredo ha bisogno di pace. E si sa com’è: è stata una bella passeggiata. Avevo infatti fatto cadere a terra la televisione. Che era rimasta dov’era. Forse mi credo un bambino. È un problema di salute mentale. Mamma è colpevole. Mi ha messo al mondo, punto primo. Punto numero due: mi misura la statura. Mi fa mangiare con il cucchiaio. Mi canta le filastrocche. Anche la ninnananna e dice che quando sarà pronto mi leggerà questo libro tutte le sere! Mi chiama amore mio davanti a tutti. Oh! E che dubbi dovrei avere? Ma mi sono guardato allo specchio nel riflesso di un portone. Ho visto un altro. Devo essere pazzo. Sono pazzo pure io! Sono i geni di mamma! Povero me! Credo di avere le allucinazioni. Potrei aver leccato del vino. Forse mamma mi ha avvelenato. Sono fuori controllo. Mi sembrava di camminare su quattro zampe. Sono confuso. Dovrei averne due. Me ne sento quattro mentre cammino, due davanti due dietro. E nello
specchio? Quattro… quattro zampe! Ma io so contare? Fa impressione. Chi sono? 

15.03.2025



Oggi io e mamma abbiamo fatto colazione e giocato a bocce. Sì… avete capito bene: abbiamo proprio fatto colazione con le bocce. Non so come sia potuto capitare. Ma fare colazione è stato proprio giocare a bocce. Bocce che sapevano di crocchette. Forse le bocce erano delle crocchette. Dovrei provare in bocciofila dove le bocce sono gonfie e pesanti, chissà che ben di Dio. Dal cucinino mamma me le lanciava sorridente felice come una Pasqua. Io da più lontano facevo dei balzi per eccitarla. Lei rideva scuoteva il capo. Me ne mandava altre. Una a una io le mangiavo, non senza averci giocato un
po’ con muso e zampe ed essermici rotolato sopra, visto che il grasso coppino di cui i miei genitori vanno così fieri ogni tanto mi prude anche recentemente. “È l’unico che mangia così. Archie non è un cane normale.” Questo il ritornello che mi perseguita. Cucchiai, gioco delle bocce, niente ciotola. Qualcosa mi dice che non tutte le ciambelle… ma Archie. Mamma pronuncia il mio nome con un fiero ruggito a inizio aspirazione. Come se stesse arrotando la “r” sopra un affilatoio. Il mio nome è Ahrrrrrrrrrrchie. È ufficiale. Poi ogni tanto mi chiama Aci o Acciui ed Ace la mamma con la pronuncia da signora altolocata per fare il verso alla Ginni. 

Oggi siamo usciti più tardi del solito. Alle 7. È domenica. E nessun cristiano che vada a messa con la famiglia. Come sarebbe possibile? È possibile che io sia un cane cattolico, perché non c’era nessuno per strada. Solo noi. Anche se alla fine non siamo andati in chiesa mi sono meravigliato. Dove sono tutti? Un deserto immane mi si stagliava davanti con il vento che mi scompigliava le orecchie e faceva un suono sordo. Sublime. Ma i cani hanno cominciato ad arrivare con i papà e le mamme al seguito lungo le vie
che attraversavamo e hanno spezzato il silenzio. Festa! Il popolino delle 7 di domenica nel nostro povero quartiere è composto prevalentemente da cani. Con i padroncini, vabbè. Quelli che li guidano, insomma. Ma è stata una bella passeggiata comunque. I proprietari sono sempre dei rompiscatole. Divieto di qua, falla qui di là, laggiù non si può andare. Nemmeno alla domenica, nemmeno quando è festa, già. Pigri e pecoroni come sono perdipiù sono autorizzati ad educare noi. Incredibile. Che mondo. 

Ho conosciuto con il muso delle lumache. Alcune con altre senza guscio. Sono carine. Dolci. Molto dolci. In pratica me ne sono quasi mangiata una, ma per impedirmelo mamma l’ha pestata. Credeva fosse velenosa. È la solita. Era una scusa per provare la sensazione e il brivido di un croccante guscio che si spappola sotto il duro della scarpa. Lo so. Mamma non potrebbe mai ammettere che è liberatorio. Perché come ho detto potrebbe essere un po’ feticista come tutti gli umani che tengono i denti dei figli e dei cani. 

È quello che avrei voluto fare io con la bocca. Era notte. È capitato ieri. Omicidio colposo. Sono confuso. Poi in più mi ha tirato via. “Mamma tanto è già morta. L’hai uccisa tu.” A me manca solo il dono della parola ma parlo con gli occhi e capisco. “Niente in bocca Archeolito. Vieni pure.” Setosa e ovattata. Ha messo la mano sinistra nella tasca dei pantaloni militari che porta da settimane e me lo ha mostrato lentamente con il sorrisetto invitante: il markie. Un biscotto. “Che cane obbediente.” Per un attimo mi sono trovato indeciso tra la lumaca e il markie. La scelta era durissima. Chi mi avrebbe
sbucciato la lumaca? Ho guardato supplichevole mamma. Mi era sembrata dolce. “No.” Ha detto e così siamo tornati a casa ieri notte, con un nulla di fatto. Buffo. Non facevo mamma così cattiva. È esagerata. Come farebbe una lumaca ad essere velenosa? Che delusione. Povera lumachina. Riposa in
pace. Come si sarebbe capito, mamma farebbe di tutto per proteggermi. Infatti i condomini sono tremendi. Non bastano i tre piani di scale ogni volta per entrare e uscire. Dobbiamo sorbirci anche tutte le critiche ingiuste. Una volta mamma ha usato una metafora: “Stanno sempre lì quei guardoni con il
fucile puntato.” E che cavolo è una metafora un fucile? Se stanno lì con il fucile meglio scappare, non importa che siano solo dei guardoni. La bambina del secondo piano è terrorizzata da me. Ma non erano loro con il fucile? Che cavolo vuol dire metafora? Mamma ride della famiglia spaventata. Dovrebbero parlarne all’asilo. Quella bambina ha dei problemi psicologici gravi. Ultimamente sono tesissimi quando ci incontriamo. Sorridono e si appiattiscono contro il muro lasciandoci passare, io osservo e voglio rassicurare quella madre che va tutto bene. Devo farlo! Sono un buon cane. La signora comincia a urlare. La bambina piagnucola. È a disagio. Sua madre le sussurra mogia di nascosto: “Sta calma. È un cucciolo.” Io le lecco le mani per consolarla. Almeno ci provo. Può farsi avanti. Frigna, accidenti così arriva il padre. Mamma che continua a ridere sotto i baffi. Un vero incubo. Ma è un malinteso! Un disastro tutte le volte che ci incontriamo! Sono un cucciolo, andiamo! Posso solo scherzare, posso essere messo a mio agio… grazie? Poi mamma non sopporta i bambini e si era capito e che i cani assomiglino ai padroni sarà anche vero ma se vogliamo parlerei pure del pregiudizio verso chi avrebbe problemi economici e così via. Comunque sia, li ho sentiti. Pareti di carta velina e “Come faranno a non spaventare quel povero cagnolino con tutte quelle urla?” Regna la paura nel nostro condominio! La paura è il leit motiv in questo grigio condominio dell’orrore! Ha mormorato qualcuno al quarto piano che sono un cane sfortunato dunque e anche maltrattato dai miei genitori perché li sentono litigare spesso. Si mettono ad ascoltare. “Poverino Archie!” Questo è buffo. Ma non divertente alla lunga potrebbe sorgere un problema. Mamma mi fa fare quel che voglio. Posso correre, sbatacchiare. Giocare a bocce in tinello con lei, è paziente. Mi è venuto il dubbio che nemmeno questa manifestazione pacifica quotidiana che faccio facendo rumori molesti nel condominio per dimostrare che sto tranquillamente giocando e mi faccio i fatti miei a mio agio nell’assoluta libertà e fancazzismo potrebbe non servire a nulla. Insomma è tutto inutile. Sono tutti stupidi qui. E se mamma e papà non smettono di litigare? Mi è venuto il dubbio che fossero
persone più discutibili prima che arrivassi io. Ho visto come si è comportata al negozio di alimenti per cani mamma era scorbutica all’inizio. Ora si è addolcita per qualche motivo da quando ci sono io. Sembra che sia felice. Che abbia avuto ciò che aspettava da sempre. Me. Allora ammettiamo pure che sono i padroni a diventare come i cani e non viceversa, e in ogni caso non ne sarei certo comunque! È merito mio se sono brave persone e hanno degli amici oggi papà e mamma? Avevano una brutta reputazione? Sono dei maleducati? Sono arrivato io, tanti amici. Tanta abbondanza. Tanto amore. Ma
chi sono! È domenica, Alfredo, mamma: confessatevi. Fatevi il segno della croce. E un padrenostro. Poi andate per il mondo con me ricominciate. Io vi capisco. Vi amo. Non vi abbandono. Mi sento come un dio in questo momento. Voglio un altro markie. All’inizio mamma era precisa, andava da basso a pulire con il mocio qualche pipì che facevo all’entrata esterna delle scale. Tutti sbalorditi. Scettici. E che sarà mai? Tutti invidiosi del cucciolotto oggi e li accettano ancora meno di buon grado. Ringhiano peggio di quel cagnaccio dietro gli occhielli delle loro porte al pianerottolo del secondo piano mentre passiamo stanchi della passeggiata pronti a cogliere in fallo uno dei miei genitori. Per loro sono solo uno dei tanti pretesti per sfogarsi. Pericolosa
la tromba delle scale ma io faccio la pipì sul loro stuoino prima o poi. Dopo la storia delle pulizie extraordinarie condominiali per mano di mamma si è aggiunta la buca-sotto-casa 1 e la 2 fatte da me perché per terra mi piaceva. Un messaggio della caposcala e mamma le scrive un papiro. L’ha sistemata. Non si fa più sentire. Il succo? Non toccatemi Archie. Tiè. La buca la copro ma che le mani rimangano al loro posto con tutti questi messaggi di protesta. Sono solo un cucciolo, via! La causa della loro felicità! A 4 mesi lo sfintere nemmeno lo controllavo. Se avessero un bambino che ne sarebbe della pace condominiale, con il jet lag notturno sconvolto dai pianti a tutte le ore piccole? Ma per chi avevano preso mamma e papà, tanto da trattarli alla stregua di cialtroni solo perché la notte ogni tanto litigano? Piatti lanciati. Sgabelli che volano. Si frantuma qualche vaso cinese. Vabbè, ma sono delle brave persone. Io le conosco. Dei cari ragazzi. Fanno come se nel condominio ci fossero solo loro un pochetto a volte, ma sono da compatire e perdonare. Un po’ di tolleranza. Mi piacerebbe se tutti questi bei signori guardassero dentro il loro animo ogni tanto. Mamma è una donna esemplare. Trasparente. Spontanea. Uno spirito libero, vabbè ma non ha nulla da nascondere. È solo
lunatica, come tutte le donne e Alfredo fa di tutto per arginare la sua incontenibile e prorompente personalità. Presto ci sarà la riunione di condominio. Mamma è preoccupata che la “mangino viva.” Se la prendono sempre con i deboli. Fortunatamente c’è un secondo cane che era già qui prima di noi. E poi da quando ci sono io tutto va bene tra i miei genitori in fondo. Si moderano se litigano. Si ricordano che hanno me. Comunque la casa è di proprietà. Stanno freschi poi. Potrebbero portarmici alla riunione. Dimostrerei a tutti le mie buone intenzioni. Bacerei la bocca a chiunque, mi arrampicherei sui tavoli, correrei, mangerei la carta avanzata aiutando gli umani a strapparla e renderla inutilizzabile. Se fosse possibile vedere tutto rosa a questi condomìni come faccio io sempre almeno una volta nella
vita sarebbe tutto più facile. 

16.03.2025



Visto che sarei io il suo Simpaticane, oggi all’area cani mi ha quasi morso un cane e gli ho mostrato i denti. Siamo tutti nervosi! Un volpino prima di Peppino, quello buono e bianchiccio. Me la sono cavata. Mamma era presente. Ci ha separati… Alfredo è come un lupo solitario.

Un lupo. Proprio vero. Siamo simili. Ci assomigliamo di faccia, pure. Mi piacerebbe, almeno.

16.03.2025



Oggi stavo per arrampicarmi come da manuale sulla porta di casa, dove tocco già la maniglia abbondantemente con le zampe anteriori. Stavamo infatti già per uscire. Un’imprecazione improvvisa alle mie spalle. Mi volto. Mamma le mani nei capelli: “La pettorina!” La sto guardando in modo offensivo e svilente. Lei non lo vede nemmeno e continua imperterrita: sta fissando
qualcosa sulla mia schiena all’altezza delle scapole. Una zecca, Maria! Cerco di raggiungere con il muso quel punto imprecisato longitudinale alla spina dorsale che lei continua a fissare sbalordita. “Quanto è cresciuto!” Alfredo accorre spaventato. “Che succede! Una zecca?” 

Ma mamma ci risponde: “Dovrebbe arrivargli a metà schiena. Gliene copre a malapena un quarto!” Incredibile come gli umani siano impressionabili. È un fatto di vita o di morte: ci sono piccioni là fuori che aspettano solo me. Sporchi piccioni, arriviamo! Ma mamma solennemente ha già emesso la sua sentenza: 

Non può uscire in questo stato. Non è sicuro per lui.” 

Ma è colpa tua se per due mesi non ti sei accorta che la pettorina era
stretta! Che cosa avevi nel cervellino bacato quel giorno che mi hai trovato l’arrossamento sotto l’ascella e hai chiamato la veterinaria, pinoli? E perché dovrei rimetterci io! Quei piccioni si convinceranno di avermi fottuto per sempre! Alla fine mamma mi portò in giro. Altroché piccioni. Mi sono accorto camminando per la prima volta che i miei movimenti erano impediti. Grazie mamma, che l’hai detto! Prima non me ne accorgevo. Se tenevi chiusa la bocca potevo continuare a vivere nella mia illusione, invece ora che so quanto sei svanita mi sembra tutto più difficile, anche camminare. Mi sento ridicolo. Ho il passo corto e il fiato grosso. Zoppico quasi. 

Mamma. Le pettorine costano 20 euro. Devi andare a lavorare di più. E oggi in più è domenica. Torniamo a casa immediatamente dopo sta cavolo di
passeggiata! Ho bisogno di nascondermi per la vergogna. Sento gli sguardi bruciarmi addosso per la vergogna. Una negligenza così. Vado nel primo cespuglio che capita. E passa un bassotto: “Scommetto che avrà lasciato la pupù del suo cane nel cespuglio dove l’ha fatta.” “Non è
vero.” “Lo so di sicuro.” Ficcanaso. 

Ieri mentre faceva il bucato ed estraeva gli indumenti dal cestone mamma ha fatto cadere la felpa nera preferita di papà a terra, così io per salvare la situazione allegro come sono di solito mi sono lanciato con tanto di galoppo sul pavimento partendo dall’altro lato della casa e l’ho afferrata.
Sorpresa! “Archie, ridammela! È di tuo padre.” Flegàto! Dopo averla trascinata per alcuni metri nella direzione desiderata l’ho mollata a terra ho starnutito e ho girato l’angolo. Poi mi sono seduto e guardavo mamma che osservava la felpa con un certo grado di sbalordimento e disappunto: “Oh, no. Al. Osserva che guaio.” Alfredo ha alzato gli occhi dal divano dov’era seduto
pensando che la felpa avesse toccato dove ancora facevo la pipì sulla traversina, invece non era pipì. Esclama Alfredo: “Peli.” Poi torna al suo telefonino da maneggiare. 

Mamma ha armeggiato un pochino e di nuovo: “Quanti peli. Non ne avevo mai visti tanti.” 

“Non sono tanti.” Ha ribattuto Alfredo in disaccordo. 

“Ma tu ne avresti bisogno oggi per andare a giocare alla partita di basket.” 

“Che vuoi che sia. Potresti sbatterla in lavatrice.” 

Mamma è trasalita: “Cosa?” 

Ha preso fiato, poi ha commentato imprimendo tutta la forza che aveva in cuor suo: “Non è così semplice, si tratta di un problema enorme! Si va per l’estate, la casa è già in condizioni pietose a causa delle verdure. Non basterebbe un intero rotolino di carta adesiva qui! Terra, peli. La tua felpa è da igienizzante.” 

Presa la decisione ha afferrato un contenitore blu-shocking dallo scaffale sopra la lavatrice e iniettata una sostanza trasparente e viscosa sopra il felpone. Alfredo continuava a scrollare il telefonino con un notevole grado di indifferenza, anzi disprezzo. Pensava che le donne fossero proprio strane. Pensava che la sua felpa dopotutto sarebbe andata bene anche più pelosa. Un fatto di moda. E di gusti personali. Quella tragedia non avrebbe dovuto avere quartiere invece mamma continuava a sproloquiare. “Già abbiamo dovuto rinunciare al mio tappeto rosé di misura per la zona scrivania del salone a causa delle deiezioni. Come faremo?” 

Alfredo ha alzato il capo: “Saremo rovinati per un po’ di peli, via. Ma che dici, perché ti comporti così?” L’ha consolata. 

Lei ha buttato tutta la felpa nel contenitore bianco e fatto il solito lavaggio a mano. 

E Alfredo: “È un segno che non dovevamo prendere il cane.” 

Questa frase faceva sempre imbestialire mamma, ma questa volta, al contrario delle altre pensava alle sue lenzuola estive di lino, alla lavanderia dove aveva già mandato il piumone per il cambio armadio ed è inorridita: “Non dirmelo.” Ha tagliato corto, poi è andata in cucina. A piangere! Io innocente come un bambino l’ho raggiunta e ho cominciato a leccarle le mani giunte in preghiera. 

Diceva: “Archie… Già per mettere in sicurezza la casa è stato un disastro. Pensavo che messi i gancini parabebè alle prese della corrente e coperti gli spigoli più pericolosi, aver rinunciato alle protezioni pesanti e a malapena appese dei termosifoni, all’unico tappeto, spostate le piante con la terra, i detersivi pericolosi, le posate appuntite in luogo più sicuro, essermi armata di pazienza ed aver evitato di porre il vaso dell’acqua con la candeggina del mocio sporco a terra nonostante il mal di schiena sarebbe bastato e invece no: a quanto pare ci sarebbe ancora molta strada. Ora anche i peli. Piccoli bastardelli. Non li vedi quasi, gli infidi. Ma
svolazzano dappertutto, lo so io come fare!” 

Mamma è esplosa in un ruggito possente ed ha afferrato uno ad uno tutti i capi di biancheria dal guardaroba nei cassetti nelle ante di tutti gli armadi tutta la casa praticamente si trovava ora sul lettone. Io? Sopra, a dominare, seduto. 

“Che fai?” Mamma mi ha scansato, ha preso un panno e l’ha scosso. “Vengono via bene.” Si è meravigliata. Ora aveva in mano un burazzo della cucina e faceva la stessa cosa. Magia! Mamma era più serena. 

Mamma, i peli non sono roba che appiccica. Sono parte del tuo cane. Devi volere loro più bene. 

“A me!” Mamma era nello sgabuzzino che neanche me ne accorgevo e ha afferrato un dozzinale Dyson sottomarca che molte volte avevo annusato, era stato sempre posato lì proprio accanto a tutte le paia di scarpe buttate dentro in malomodo. Non perché i miei siano disorganizzati, bensì perché quando le scarpe e le calze attirano le mie attenzioni bisogna subito liberarsene, pena vedersele smangiucchiate irrimediabilmente da me che avrò trattenuto nelle fauci la scarpa normalmente più grande di me e me la sarò portata in giro poi sul letto e lì avrà concluso il suo ciclo di vita, il pennuto. 

“È rotta.” Aspirapolvere fuoriuso,

Mamma k.o. Giornata che era cominciata male per… tutti: garantito. Se mamma un giorno o l’altro stesse male, saremmo tutti fottuti. “Forse basterà caricare la batteria.” Niente da fare. Non era la batteria. Nemmeno il pulsante dell’accensione guasto? Maledetta scopa ettrica. “Chiamerò
l’assistenza… È fondamentale.” 

E così mamma ha portato a far riparare la scopa e nel mentre ero già
felice di vedere sparire così i miei peli: inseguire una scopa elettrica? Decisamente elettrizzante! 

Oggi alla passeggiata delle 7 abbiamo giocato ad Attendi-il-merlo. Io nel preciso centro di una piazzola in asfalto davanti a tutti stavo seduto. Basta. Facevo la guardia a mamma e osservavo all’intorno semmai un merlo si fosse avvicinato. 

Ho scoperto che dare la caccia ai merli è come giocare. Anche con i piccioni, ma mamma dice che sono sporcaccini

Meglio i merli. E non c’era un cane stamattina! Uccelli di qua, uccelli di là. Ercole! Ho esclamato. Mamma deve avermi sentito questa volta mentre mi fermavo dopo la consueta corsa ai piccioni e avevo fortunatamente sgomberato come spazzato via tutti i pennuti dal nostro parco della mattina. 

“Archie-le!” Esclama. Io la sento. Solita battutona di mamma…


Penso che avrebbe dovuto chiamarmi Freccia o Ercole, appunto. Bel nome. E così ho portato un po’ di bei peli e divertimento in giro anche stamattina. Questa è fatta.


Seguo il mio fiuto da bracco professionista e trovo quasi irrimediabilmente ogni volta che annuso qualcosa improvvisamente sul pavimento uno di quei biscottini alla mela che all’inizio non mi piacevano nemmeno. Capisco la scorta maxi, ma quando finirebbe la maledetta caccia al tesoro? Sui mobili bassi. Per terra. Negli angoli. Ovunque sempre biscottini minuscoli. Tantoché mi è andata via la fame di cibo in scatola. Sono ingrassato così tanto che non ho più fame né voglia di mettermi a tavola. Ho sempre mangiato dopo ognuna delle tre passeggiate diurne. Ormai non sento più l’appetito, mamma mi rimpinza. Snack, snack. Non ne posso ormai più di queste robette. E di notte continuo a sognare pennuti. È un colpo basso. Una canagliata.

Credo che mamma abbia capito che la mia felicità iniziale e frenesia erano proprio tutte rivolte a lei. Avevo capito sin dall’inizio perfettamente d’aver trovato famiglia. Non avrebbe potuto essere stata mai preparata alla possibilità che avevo annusato nell’aria che prima o poi avrei lasciato la mia famiglia d’origine per lei. Forse ha sottovalutato questo piccolo dettaglio… Avevo atteso quel momento. E quando è arrivato e le sono corso incontro tra le braccia lei non si aspettava che io fossi così felice di averla finalmente conosciuta. Ma lo ero. E per il motivo che sì, sapevo: sapevo che avrei passato la mia vita al suo fianco. Una vita meravigliosa. Come fare a non essere felici sin dal primo istante? Si aspettava che fossi più diffidente. Lo so. La vedevo così stupefatta e felice… Così, dopo qualche delusione per via delle liti domestiche, ora eccomi qui… Di nuovo tranquillo ma più accorto.

Ormai al mattino sono accorto e silenzioso se Alfredo tossicchia o fa cenno di svegliarsi, allo scattare del segnale di pericolo io balzo sulla cuccia in bella vista davanti alla porta di ingresso della camera da letto e ho tutto sotto controllo. Assumo un’espressione annoiata e svogliatamente fingo di essermi appena svegliato. Mamma ne ride sempre. Ci vogliamo bene. 

Ma preferirei se la cuccia fosse in una posizione più riparata, per poter dormire meglio. Sempre nei pressi del divano, si capisce. Insomma, mi piacerebbe se la casa fosse diversa, già. Aspetto sempre la passeggiata e sono sempre sotto gli occhi di tutti mentre aspetto, già, tutti i giorni e regolarmente mamma mi viene a stuzzicare anche se sto riposando perché se è vero quanto credo le piace toccarmi. Mi tocca in continuazione. Sorride. Fa facce buffe. Ultimamente ha portato a casa insieme ai soliti fiorellini di campo per me dopo la passeggiata con la sua Luna da portare a spasso anche delle sfogliatine immangiabili che saprebbero di talco e me le spalma sulle zampe. Cosa sono? “Salviettine fresche!” La pantomima tutte le volte: mamma finge di vendere salviette a me! Tzé. Che sciocchezza le salviette. Io me le potrei mangiare ma non avrei capito ancora a cosa servirebbero. Sembrerebbero spandere profumo. 

Tutte le volte va a finire allo stesso modo: io gliele prendo, lei mi supplica, io gliele cedo, lei mi abbraccia e mi ha pulito solo una zampa dopo ogni passeggiata. Ma dico io: lamentarsi pure dopo che ho rinunciato a salvarla da quel profumo nauseabondo! Un giorno poi ho scoperto anche che la fa ridere una cosa in particolare: l’inchino con il popò su. Quindi lo faccio a ripetizione e lei si sganascia come se non ci fosse un domani. Ci vuole ben poco per far ridere. Sarò un cane spiritoso.

Il rally col cane va bene. Sono famoso per saper tirare al guinzaglio ora, cosa di cui andare molto fieri. Mamma sembra contrariata ma il motivo sarebbe che vado così forte tantoché lei perderebbe quasi l’equilibrio, è logico: non ce la fa a vincere contro di me, che sono giovane e gioco meglio di lei. 

Non c’è pezza, quando vedo un cane all’orizzonte lo punto. Zampa destra flessa, posizione canina inclinata in avanti, coda a punta. “Freccia… no!” Al segnale di pericolo di mamma ecco che scatto in avanti, normalmente in prossimità di quel semaforo che mi piace tanto dove posso fare l’anguilla perché c’è una bella piazzola (quella della caccia al merlo) dove correre che declina mollemente verso le strisce pedonali. Se il cane incontrato fa per andarsene via cedo per cinque minuti e lo rincorro. Bello essere un cane socievole.

Adoro poi anche che mamma conosca qualcuno. Vorrei che mi presentasse altri umani. I suoi amici. Avrei sperato che una grande comunità di persone mi accogliesse con una fastosa cerimonia, che ne so… un battesimo, per esempio. Invece ancora niente. Non vedo l’ora che si sposino lei ed Alfredo, insomma. Siamo sempre e solo noi e ciò non va bene.

Ultimamente mi sono cresciuti tutti i denti in bocca ma mamma e papà litigavano aspramente quindi se ne sono accorti in ritardo. “Toh! Guarda Archie. Ha la bocca bianca!” 

“Ma che bello, guarda, sono denti… per giunta bianchissimi!” 

“Come sarebbe capitato?” 

“Come sarebbe possibile che non ce ne siamo accorti?” Coglioni. 

Mamma è stata felice solo quando poi più serena ha notato che non metto più quasi niente in bocca. Salvo che sia commestibile.

Finalmente poi è arrivata la ciotola dell’acqua nuova. Non ne potevo più di bere a fontana dal bidé per il divertimento dei grandi.

*

Io e mamma avevamo appena inventato un bel gioco: il rally con Archie, quando però eravamo tornati a casa e mamma aveva cominciato a cedermi i biscottini perché io non rumoreggiassi e fossi impegnato in qualcosa mentre Alfredo dormiva, fece una cosa che si discostava dalle abitudini e mi è crollato il mondo sul popò. Davanti a me ha acceso una bella sigaretta e aspirava. 

Folate di fumo arrivavano alle mie narici che la guardavo disperato e deluso nel balcone al sole con lei. E’ diventato tutto grigio. Mi ha costretto a riflettere su di lei. Perché fai questo? Oltretutto dava le spalle al resto del mondo. Come se volesse stare da sola. Ed io? 

Te ne freghi di ciò che conterei io allora, una vita nata per te e tu mi mostri questo tuo lato peggiore, senza che io possa andare fiero di te in questa cosa che fai. 

Prima di spegnere tutto per me nella pianta del balcone, mamma ha preso altri due tiri. Ben due tiri le sono voluti prima che si decidesse, da quando aveva palesemente compreso che si trattava di un fallimento! Fumare davanti a me, cucciolo di cinque mesi? Ho assunto un’espressione così delusa e l’ho fissata in modo indiscreto, accusatorio e incredulo

Tu? 

Spenta la sigaretta è volata in cucina per discolparsi e si è lavata le mani e la bocca con il sapone per i piatti ed è tornata a farsi annusare da me! E si è vergognata ancora di più. Non potevo credere ai miei occhi. Così tu 

sei… cattiva, anche. Sei capace di creare disagio, torto. Così, non sarebbe tutto bello come avrei pensato finora. 

Così, mamma ha smesso di fumare dopo il primo tentativo di ricominciare, credo. Ma intanto avevo potuto vedere qualcosa che avrei sperato di non vedere mai, così insopportabile come mia mamma che nasconde la sigaretta nel fondo del bidone e si stralavava. 

Mamma si è vergognata. Quella mattina ha smesso di somministrarmi allegramente i soliti biscotti come faceva di solito e si è isolata a scrivere con il telefonino, presumibilmente una pagina di questo diario. Io sono rimasto solo sul balcone. Ciò che avrebbe voluto dirmi era che avrebbe provato a cambiare, e anch’io avrei tanto voluto spiegarle che il mondo sarà anche brutto e sporco come luogo in cui abitare come vorrebbe lei. Ma non sapevamo parlare. Sarebbe stato così bello piangere assieme ma io non so parlare. Mai saprò. Mai nemmeno saprò che potrei imparare. Per questo l’ho osservata triste e deluso mentre un capannello di persone innocenti voltava l’angolo e io li seguivo con lo sguardo. Forse sarebbero andati semplicemente alla Messa domenicale. E con loro c’era quel bassottino simpatico che avevo già incontrato tempo prima. Mi ha detto in canese in modo che i nostri genitori non capissero il nostro linguaggio: 

“Ho il tuo stesso problema. Le persone litigano. Noi animali almeno in questa storia siamo amabili e andiamo abbastanza d’accordo. Ma ricorda che se questo è vero, allora potrebbe essere grazie all’amore che loro ci danno.” Così, con uno sguardo intenso e affettuoso ci siamo salutati.

Recentemente era diventato tutto più difficile. Ore di sonno. Passeggiate più faticose. Pranzi più leggeri. Questo perché il clima era più caldo e mamma aveva meno soldi in tasca per comprarmi del coniglio, così avevamo ripiegato sul pollo. Alfredo però stava ricominciando a portarmi al guinzaglio. In quando al gioco del rally con Archie, mamma si divertiva sempre meno, io che intanto ero diventato più corpulento e vedevo già le radici dell’albero del bagno almeno un pochetto, ora non avrei saputo più cosa farmene di una vita intera quando avevo capito già così giovane come sarebbero andate inevitabilmente le giornate. Sarebbero state tutte più o meno uguali. La stabilità era bella, ma anche noiosa a volte. Avrei sperato di tornare a provare quella frenesia dei primi tempi, ad esempio andare al centro commerciale ancora. Invece un giorno passava uguale all’altro sempre e niente cambiava. Mamma era sempre più imbarazzata che tirassi al guinzaglio e dopo il mal di schiena trascorso comunque a portarmi a spasso come fosse una passeggiata (quel mal di schiena!) io ero però più esperto e a volte mi tirava via senza farsi più problemi. Ma andavo ormai in giro a capo chino e con gli occhi meno brillantini. Era la crescita? Le persone ad un cane di cinque mesi e mezzo danno meno attenzioni? Ieri era stato un giorno particolare tantoché mamma aveva notato quale dettaglio che ben due coppie avevano notato la mia bellezza. 

Mamma aveva tutto da esperire. Io niente. Nato imparato. Dai piccioni, dai semafori, dai pericoli via, sempre tutto un no e al mattino così finì che io le feste una volta o due non gliele feci. Stavo pensando tante cose. Avevo vissuto tanto intensamente. Tra i miei genitori andava tutto bene allora. Alfredo era bravo verso mamma, la rispettava. Ma ogni errore di un genitore sulla pelle del figlio, quello non si rimedia mai. Così mamma non ha fumato più per qualche mese.

*

Avevo conficcato ben benino la scopa con più di metà del manico sotto il mobiletto appoggiato al lato breve del balcone, tantoché non si muoveva più quel pennutaccio e mi sentivo esaudito. Quella cogliona di mia madre è arrivata ed ha cominciato a smuovere tutto l’apparato che avevo creato per non permettere più all’uccellaccio a forma di scopa di muoversi. In pratica, ha afferrato per il manico quel manigoldo e cominciato a smuovere. “Ma sei impazzita?” 

Per qualche motivo voleva estrarre la scopa. Mi ribello con un gesto ed espressione stizziti. Ad un certo punto si è sentito un ciocco. Era notte. Stava cadendo qualcosa che si sarebbe abbattuto step by step prima sul terrazzo più sotto, poi su quello ancora oltre. Mamma impreca. Che volo! 

Io stupefatto rimango ad osservare il magnifico pezzo di legno pesante impattarsi con il suolo che si frantuma e sgretola in mille piccole asticelle di legno. Queste sono schizzate mirabilmente da tutte le parti dopo la caduta di tre piani e finalmente si sono fermate. I miei occhi erano incantati davanti ad un prodigio simile. Non avevo mai visto niente di simile. Pennuti a parte, non avevo mai visto volare niente di così pesante. Invece, stranamente mamma è rientrata più frettolosamente possibile all’interno della nostra abitazione e ora mi guardava come nascosta dietro la tenda di macramé e trina color crema della sala da pranzo. Sembrava preoccupata. Ci siamo guardati. Io mi sono domandato cosa ci fosse stato di male nel fatto appena accaduto, sembrava tutto normale. 

Mamma, ti sei spaventata? 

“Non bastavano le grida nottetempo.” Mamma si era messa al telefono. Odiavo quell’aggeggio che faceva i video a me. Chiuso in balcone la udivo parlare. “Adesso volano giù anche le assi del balcone. Alla riunione di condominio ci mangeranno vivi.” 

“Siamo spacciati.” Penso. Non so perché ma lo penso. Mamma è troppo preoccupata.

Oggi mamma mentre mi lanciava il formaggio dal cucinino alla mia posizione rideva ogni volta con un’inedita gioia. Sarebbe il suo compleanno e che questo fosse risaputo o no, anche il benzinaio aveva pensato di farle il suo bel pensiero gentile.

Appena siamo arrivati giù da basso una transenna mi ha impedito il passaggio al solito fazzoletto di terra del vola-vola dove volo, appunto, e mangio l’erbetta scelta. Ci sono rimasto male! Però non mi sono abbattuto. In fondo ultimamente l’erbetta, visto che era primavera, spuntava oltre la reticella di fil di ferro sul sentiero che va alla nostra amata abitazione. Così non ne ho sentito la mancanza. Fatti alcuni passi poco più avanti ecco un bel marciapiede dal quale scendere per appartarmi e fare lì ciò che si sa che i cani fanno ogni beneamato dì. Anche nelle feste. Niente popò di meno che un punto che assomigliava proprio al mio preferito sull’altra stradina dove però non mi trovavo più bene così avevo proprio la sensazione che sarebbe stato perfetto e mi sono accucciato. Mamma era molto attenta al passaggio delle auto: adesso che mi aveva comprato anche la pettorina nuova, stava molto attenta, visto che sarebbe stata più ampia di quella che avevo da cucciolotto piccolissimo, affinché non mi si sfilasse e si sa come sarebbero le mamme: sempre preoccupate. 

Preoccupate un tantino più sempre meglio che un tantino meno e si tratta di una filosofia e si sa! Così la mia non è da meno e subito mi ha incitato a venir via mentre io me ne stavo da parte sentendomi al sicuro nonostante la brevità del guinzaglio e il pericolo delle auto. Ma non appena mi volto… un cane grande! In altre parole: irresistibile… Giocare era una tentazione, anche così, per strada, sul marciapiede, anche se le auto sfrecciavano. Mamma era preoccupata se sarebbe stata capace di trattenermi così con le sue forze sul ciglio della strada, di che in fondo? Giocare è un affare da cuccioli e di cane, per giunta. Mica scherzeremo! Mi sono preparato. Ho messo il popò all’insù. L’altro cane ha accettato. Ci siamo messi a fare dei balzi in su e in giù per il marciapiede. Mamma aveva la cacca in mano con la busta nero pece da due soldi che aveva comprato formato famiglia al negozio solito. E chissenefrega della cacca no? Era l’ora di scattare, via! Mamma preoccupata. Me in una mano. Il cane di fronte. La cacca dall’altro lato. La signora altra proprietaria sembrava non capire la situazione. Io ne ero solo felice: questo significava che il gioco sarebbe continuato. Ma mamma si è impuntata: ne nasce un duello. Voleva portarmi in salvo al bar poco distante. Le due si sfidavano con lo sguardo profondissimo. Ne andava dei prossimi cinque minuti: andare o rimanere ancora. Mamma avrebbe perso la sfida! Irresistibile, che avevo detto? Proprio così, si è sciolta davanti alla tenerezza mia nel gioco con l’altro cane. Quasi incredibile! Tuttavia, perdendo la sfida aveva dovuto rinunciare all’arma: la cacca, che era appena volata abbattendosi al suolo con un rumore sordo. 

Uscendo dal bar dove facciamo colazione quasi sempre e dove avevo mangiato un bel po’ della brioche che mamma aveva comprato per me e sé, mamma  torna sui suoi passi. Il regalo di compleanno del benzinaio? 

La cacca schiacciata da un’auto che sarebbe passata mentre faceva colazione. Pensare alla pioggia di critiche di quanti stavano osservando dalla vicina fermata dell’autobus la scena fu inutile. Mamma si è messa a ridere come una matta e siamo corsi via. Ora, il ricordo schiacciato del trentottesimo compleanno di mamma campeggiava proprio all’uscita del benzinaio come ricompensa per aver bloccato il passaggio per il nostro fazzoletto di terra.

Comunque, dalla faccia così felice mi sembrava di aver imparato una cosa. La festa del compleanno è pressoché inutile, salvo il caso eccezionale che chi ricorda il compleanno di altri pensi al rispetto per tutti, anche i meno vicini nel cuore, in un giorno dell’anno che è chiamato speciale per la vita.

*

Oggi ho tirato la solita serie di busse allo sportello della mia credenza affinché mamma affaticata com’era si limitasse ad aprirla ed estrarre un palliativo qualunque. Sarebbe andato bene qualunque gingillo! Un crocchino, biscotto, linguetta al manzo, snack. Una leccornia qualsiasi! Se raccontassi quanto mamma era stanca dopo l’uscita di mezzogiorno che aveva fatto della durata di un’ora con Luna tanto da non potersi chinare non sarebbe possibile crederlo. Ma dai! Se non aveva voglia di lavorare da sempre… Le avrei tirato una bella pacca sulla spalla se solo avessi avuto la mano. E invece si mostrava tutta acciaccata, con una mano sulla schiena e l’altra davanti. Rantolava qualcosa. Come se facesse fatica per qualche motivo sconosciuto. Mi è sembrato dicesse con voce roca e fioca questa parola che seguiva ogni singolo colpo della zampa sul legno massello dell’anticina: “No!” Con fare odioso mi ha squadrato rantolando gesticolando e cercava di rimanere calma a tutti i costi e come indispettita si è girata e ha raggiunto il cucinino, dove si è seduta a lavorare con il telefonino cercando di scacciare il pensiero come fa quando è infastidita da qualcosa mentre scrive e non può farne a meno.  Credo stia scrivendo il mio diario. Ma non ne sono sicuro. Dovrei chiederglielo, penso. Ma devo mantenere in serbo la sorpresa che conosco l’italiano per sempre, purtroppo.Andrebbe a mio discapito se non fosse così. E’ un segreto di noi cani. E visto che questo è un diario segreto, lo posso scrivere. 

Così ho trotterellato allegramente verso di lei. Le ho dato una zampata o due e le sono montato sulle ginocchia, le ho leccato le mani. Lei se ne stava seduta in disparte su un piccolo sgabello verde in plastica minimal chic che aveva pagato poco ma nuovo di zecca funzionale. Poi sono andato a nascondermi in un punto critico della casa che vado sempre a corrodere con i dentini. Penso sia una porta in legno.

Il cucinino assomiglia alla camera da letto dei puffi. Soffitto basso, finestre mignon. Tende in pizzo. Dio. Ridicolo. Sembra di essere in affitto, mentre sarebbe la nostra casa di proprietà. Com’è possibile? Comunque non ci faccio caso. Vedo solo il fare stanco con cui ripeteva: “No…” 

Inspiegabile a prima vista. Ma io avevo capito. Mogio, sono tornato al mobiletto della credenza e con le mie zampate possenti ormai ho scosso le fondamenta della casa. Colpi alla credenza. Dovevo farle capire che avevo fame insomma! Non potevo evitarlo. Lei doveva obbedire. È la mia mamma. Rantolava di nuovo stranamente sottovoce facendomi segno con il dito indice di fare pianino pianino: “Archie… no!” 

E che sarà mai, scoppierebbe una bomba a pulsare e grattare dove mi spetta di diritto un antipasto succulento prima della scatoletta? Mi stimolerebbe l’appetito, tutto qui. Sarà poi la noia a farmi mangiare tanto ultimamente. Ma Alfredo dove sarà stato?

Mamma che scriveva. Alfredo latitava. Io che facevo? Reclamavo attenzioni, no? Tutti più pigri di me. Avrei dovuto adeguarmi? Sarei andato a dormire ma la cuccia 2 è chiusa in camera di mamma e papà, chiuso il discorso per definizione. Oppure potrebbe essere anche nello sgabuzzino per punizione visto che l’ho sbatacchiata bene e ne ho fatto uscire tutta la lana sul pavimento. 

Rumoreggiare contro il mobile, ovvio! Dovevo farlo! Dovevo movimentare un po’ il  mortorio circostante. Non solo: reclamare attenzioni. Cibo! Portatemi il pranzo… Era ora che Archie mangiasse qualcosa di buono. Allegro pregustando il tronchetto al manzo da spezzettare avvicino la zampa destra di nuovo, stavo per posare le mie sgraziate e maldestre unghiette proprio sul legno massello semiaperto dell’anta: “No!” a mezza voce mamma sbracciava, io la osservavo e mi faceva divertire. Capivo dalla sua espressione disperata che avrei potuto farla cedere se avessi usato ancora l’arma segreta: la mia zampata possente contro il legno massello. Mamma non ha autorità, in fondo! Voleva prevalere lei a tutti i costi. Io non ci stavo. La seguivo incuriosita fino in cucinino mentre l’espressione disperata sul suo viso svaniva gradatamente come un raggio tenue di sole. Aveva il telefono in mano, ho fatto dietrofront ed eccomi là. Ma che noia! Sempre lo stesso giro avanti e indietro dal cucinino con mamma che si contorceva ad ogni evoluzione se accostavo il mobile delle strenne. Perché poi? Perché farei rumore davvero? Divertente, no? Ma che conseguenze e conseguenze. Alfredo se si sveglia tanto se la prende con lei. La mamma è lei. A quel punto scricchiola la credenza. 

Cade a pezzi quasi la casa dopo tutte quelle zampate ma non immaginavo di aver toccato così tanto lo sportello tanto da… un tonfo sordo! La credenza? No. È Alfredo. Caduto. Sul fondo del pavimento, eccolo. Incredibile. Si è svegliato. Ora lo sportello è aperto. Potevo mangiare. Mamma ha tirato un sospiro di sollievo. Ma Alfredo è entrato dentro lo sportello e ha buttato tutto fuori dalla finestra, come faceva con il caffè da sempre. 

Morale della favola: mai fare rumore se Alfredo dorme. 

*

Ho già quasi sette mesi e sono un adolescente con una baldanza da record. Vedo un cane? Prima lo punto. Zampina molle, postura in avanti col petto all’infuori, coda dritta, sguardo brillante, leggero sorriso sulle labbra da molestatore professionista. Sguardo in avanti: “Fatti sotto!” Tutto di me deve saper dire ciò. Sono una birba rompiscatole. Ed è sacrosanto! Un vandalo. Ed è sacrosanto! Un giorno per dimostrarlo ho portato in bocca la spugna trovata dietro un cespuglio per tutto il quartiere. Mamma dietro di me non so se ne era consapevole. Continuava stancamente a dirmi: “Bravo, bravo!” Sbadigliando. Credo fosse ironica. Il mio intento era dimostrare quanto sono togo. Insomma con l’espressione da joker, da assassino, i denti bianchissimi e l’espressione vivacissima normalmente ottengo delle reazioni che vanno dall’”Oddio!” della signora attempata che si ritrae al “Fido, vieni da questa parte: è… Archie-bald-lecter!” O almeno questo esiste nella mia immaginazione. La verità è che sono debitore a mamma per un motivo più che solido, questa volta. Io e lei? Beh. Modestamente, siamo una coppia. In simbiosi. Siamo parte l’uno dell’altra. Lei ha il mio cuore, io il suo. Non perché mi basta spostare gli occhi davanti a lei con intenzione verso il guinzaglio, sempre per questo stesso motivo posato nello stesso scaffale… per farle capire che ho voglia di uscire. Non sarò un cane prepotente, ma uno di quelli buoni. Vivaci. Giocherelloni. Di indole. Ma lei mi fa apparire e sentire sempre amato, affettuoso, protetto, coccolato. E’ merito suo se per strada a sette mesi nonostante mi chiamino già cagnone ancora tanti sbalorditi si stupiscono, quando mi guardano con occhio più attento un attimo dopo avermi squadrato. “Ah! E’ un cucciolo il suo, quanto ha?” Sono così contento. Oggi mi avranno fatto i complimenti in sette: “Com’è carino! E’ un cucciolo? Sembra giovane!” Perché, come fa mamma secondo voi? Non saprei dirlo, so solo che accanto a me è capitato che mi sia detto: “Brava mamma.” Già. Ieri e oggi. Ieri quando mi ha preso un intero bastone dalla bocca. Io lo so quanto sia stanca di farsi carico dei danni che faccio. Così mi sono ribaltato sul dorso in mezzo all’erba. E lei ha capito: “Archie!” Ha riso. “Questo sarebbe il tuo modo di complimentarti con me perché era un compito molto difficile estrarti questo bastoncino, ora?” Sì, perché sono un cane adolescente e non ho più i denti da latte. Ma mamma ha trovato sé stessa nel non aver più paura dei cani come una volta aveva. Per lei è stato facile grazie a me e al mettermi ogni volta le mani in bocca per cavarmi teste di pesce, chiodi, vetrame… di tutto. Al punto che ora si è accorta di quanto siamo intimi e non ha più timore. E sì! Una coppia. Siamo una coppia! Affiatatissima. Così, lei si china su di me e vede stagliarsi e muoversi le nostre ombre sul marciapiede. Si accorge: sono bella. Una carezza. Così, è la fine del mondo. Non potrebbe fare a meno di me ed è ancora difficile pensare ai semafori, così sì ora sono già molto più tranquillo in passeggiata. Per agevolarla. Corro sempre, tiro. Ma alle strisce pedonali mi fermo dopo ogni corsa. La aspetto. Ansimo. La guardo. Lei si guarda intorno, sempre ansiosamente. Marciapiedi stretti, semafori rossi di una lunghezza infinita e traffico, traffico soprattutto. Ma io corro a più non posso con lei dietro che mi insegue fino all’altra sponda e lei sorride. So che mi dice bravo tutte le volte che può e mi riconosce come cane adulto, quasi adulto. Piccolo quasi cane adulto… sì, quasi come questo che non oso pronunciare.

Poi viene il resto. Non ho ancora raccontato ciò che avrei voluto alcuni minuti fa. Il cane in arrivo. Insomma, mi apposto, prendo posizione davanti a lui, a distanza debita. Aspetto. Pronto, mi sdraio con la pancia ingiù. Semplice. Il cane si stanca, io lo sorprendo – e TAC! Scatto che non si aspettava una velocità improvvisa simile e sono davanti a lui a fargli le feste! A volte si spaventano, a uno è venuto il singhiozzo.

La parte di mamma! Dimenticavo. Lei…. si inchina. Quando io sono in posizione la sua parte consiste nell’inchinarsi e dire: “Ciao!” al cane. Tremenda strategia d’attacco! Lo induce a credere che abbiamo buone intenzioni. In pratica, siamo complici in un gioco che non finisce mai.

Dopo avermi presentato comincia la danza, il cane si convince che sia tutto ok perché l’umana è stata gioiosa, come quando ci si stringe la mano e prende fiducia. Maschi, femmine… non faccio differenze. Io? Gioco. E basta. E’ una cosa seria. Una missione.

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Oggi ho spinto un po’ più del solito. E la mamma si è fidata di me. Dovevamo conoscere una persona. Quella persona. Dovevamo farlo. Sì, insomma: era la giornata in cui avremmo conosciuto la persona giusta, quella che, a quanto sembra in base agli accordi presi, potrebbe prendermi per mano, per le zampe, via, e … guidarmi nel mio percorso da cane da caccia. “Da caccia? Sei pazza.” Un mantra, quello di Alfredo: “È una follia!” Quale caccia e caccia, si tratta solo di una dog trainer. Questa la risposta non provocatoria che avrebbe potuto dare mamma. E invece? Stanno litigando, già. “Ma, Al! Mi meraviglioso di te! È per la felicità del nostro cucciolo di quasi otto mesi! Ha l’età giusta! Un terreno sconfinato di duemila ettari, una muta di cani alleati, beccacce a non finire! E soprattutto… non costerà molto!” Ahia. Questa la frase che avrebbe rotto l’incantesimo. Alfredo si è voltato con uno sguardo truce inspirando profondamente con il naso e ha protestato per un’ora buona.
Alla fine, Alfredo mi ha guardato. Lui, che non mi porta ancora a spasso. E ha ammesso: “Se tu fossi come Archie saresti una persona normale. Lui è un buon cane.” Mamma ha sorriso. Si sono guardati. “Anche se sei una persona vera in emozioni che io tendo a nascondere.” Cosa? Alfredo un complimento sincero? C’è qualcosa sotto? E invece no. Pronti, si va a caccia con la mamma al seguito, il GPS nel collare nuovo e due lunghi guinzagli detti lunghine, una da dieci una da cinque metri. Perché comunico molto bene i miei pensieri da cane. Se mamma mi chiama, io mi stendo per terra. Se vuole andare via, quindi è molto semplice farle capire che voglio rimanere ancora all’area cani con i miei amici! L’altro giorno poi ho visto nonostante le auto sfrecciassero nei due sensi oltre, al di là di esse un cane che mi sembrava di non conoscere ancora. Ho assistito a una scena… tutta da raccontare. La sua umana che gli dice quella: “Seduto!” Insistentemente, come fa la mia. Tante, tante volte. Lui che la osserva, pensieroso. Mi sono detto: adesso vado lì e gli faccio i complimenti. Infatti forse solo con un’azione collettiva da cani potrebbe essere chiaro agli umani che è oscuro il perché delle volte ci mettano alla prova così! Pensa: in mezzo a un marciapiede, seduto? Non siamo mica davanti a un piatto di tagliatelle, a tavola!
Sono due giorni che abbaio per strada. Ho tirato fuori una voce da basso che la mamma mi ha fatto anche i complimenti. Ha detto che potrei fare il cantante soul. Sempre dalla parte opposta della strada, sul marciapiede, un bel cane grande da molestare con la mia allegria di cucciolo socievole da strapazzare a mo’ di uova, da parte del suo padrone, un uomo aitante con delle mani che mi sentivo già svolazzare le orecchie. L’ho chiamato, naturale! Vieni qua, stordito! La festa è da questo lato della strada! Beh, si è proprio accorto di me. Da allora sono felici i condomini scommetto di sentire sempre le prove del coro. Con la bella voce da basso che ho, figuriamoci!

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Niente di divertente. Solo una noiosa caccia. Alle mosche. Non c’è niente da fare. Solo aspettare la passeggiata. Che quando arriva, nemmeno mi piace più.

Sempre gli stessi odori, sensazioni, i cani sempre uguali, abbaiano uguale allo stesso modo sempre. Nella vita si esegue qualche ordine imposto dall’alto, e basta. Obbedienti. Perché poi questo non lo sa nessuno. Per non parlare dei divieti. Archie non andare nello sgabuzzino. E le scarpe chi me le potrebbe dare, se non fossi io a prendermele da solo? Archie no. Non mettere in bocca il tappo di bottiglia della birra cesellato. Mia madre aggiunge tanti di quei dettagli che mi viene già la tremarella prima che aggiunga: potrebbe perforartisi lo stomaco e creare un tappo al piloro. Io l’italiano lo capisco. Bene anche… insomma per essere un cane me la cavo ma giuro che per non saper né leggere né scrivere mi è venuto quasi il dubbio che quel tappo fosse effettivamente roba buona per me e alla fine gliel’ho ridato. A lei che mi ha coccolato così tanto… come se non lo sapessi che il genere umano fa schifo.

Vedo tante di quelle cose intorno a me. Padroni che tirano i cani per la gola. Padroni che strozzano i cani con strane stringhe che mettono loro al posto delle pettorine per strada. Padroni che vanno di fretta, hanno delle pretese quei padroni. E anche mamma adesso che ho 7 mesi e mezzo mi prende più come un giocattolo. A volte gioca con le mie orecchie. E pretende che le dia le cose che vuole. Ad esempio al mattino la salutavo con energia. Alle 6! Mi svegliavo per onorarla meglio alle 6! Nessun cane si sveglia alle 6, dai. Chi sono! E lei? Si rigira nel letto come un involtino, il pollo arrosto sulla brace e mi dà le spalle, si rimette a dormire. E io? Sono diventato così obbediente. Ma così obbediente! Che ciak buona la prima. Infatti mi sono stufato di prendere delle giornalate sul sedere. Va bene che dipendiamo da voi. È lì che si misura il valore dell’uomo. Nel comando! Quando foste clementi, allora stimare un proprietario, una mamma umana insomma sarebbe bene.

Una volta mi ha tirato così forte che il pelo che ho corto sulla schiena mi è sembrato uno spazzolino da denti che sfregava la mia povera pelle all’altezza della pettorina. E non avrei potuto sgridare mamma, no! Uno sguardo deluso. Lo so che tanto ha una coscienza. Sono diventato obbediente si. Che non si dica che me le vado a cercare.

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Ispezionare il circondario ben benino equivale secondo i miei genitori a fare la “passeggiata.” Ma quale passeggiata e passeggiata! Il mio è un lavoro duro. Ad esempio c’era un merlo che faceva il nido. Meno male che siamo in un quartiere tranquillo, mi sono detto. Se cominciassero a moltiplicarsi questi pennuti i cani dovrebbero inseguirli in muta per ogni angolo, proprietà privata o meno. Mentre facevo queste ed altre considerazioni eravamo già arrivati sotto casa che con un moto di evidente soddisfazione rivolto ad Alfredo, che mi accompagnava, gli ho fatto cenno: “Possiamo tornare, tutto tranquillo, 1 di notte e tutto va bene.” È proprio il caso che qualcuno sorvegli questo quartiere. Va bene, ci saranno anche tante brave persone. C’è una che vorrei come padrona, per esempio. Mamma… non offenderti: la mamma ha inventato un sistema di cui io non avrei potuto mai accorgermi perché non lo so con questa ragazza. Sa che ho un debole per lei ma addirittura che mamma le metta in mano di “nascosto” un biscotto dei suoi quando entro nel bel negozio di fiori dove lavora per farmeli consegnare! Che vuoi. Conservare l’illusione di un amore impossibile per mamma è presto cosa fatta. Un cuore di mamma può ogni cosa.
E poi ci sono gli elementi che andrebbero banditi. Un cane mi ha morsicato. Si. Un pastore australiano invidioso che ha fatto la sfilata per mettersi in mostra con la sua padrona. Questa mentre stavamo andando via ha risposto a mamma visto che io cucciolo entusiasta insistevo che “L’area cani è un po’ come un ring” Ingenuamente mamma è scoppiata in una risata curiosa di conoscere il significato di questa definizione enigmatica che sembrava scherzosa e l’altra è rimasta sul vago, invece il suo cane, Blu, quando io ho provato a montarlo mi ha attaccato sulla zampa vicino al collo e io ho guaito, mamma non ha potuto fermarlo e quando è stato contento perché per la prima volta ho avuto paura e guaivo guaivo lui è andato a scodinzolare e chiedere affetto alla padrona. Siccome osservavano senza fare nulla mamma che mi aveva preso e abbracciato lì ha mandati fuori e in quel momento sono arrivati due cui mamma ha confessato l’accaduto, concitatamente. Da quel giorno mamma è molto più vigile nel contatto con gli altri cani, soprattutto maschi. E sapete perché? Perché io sono sempre il solito giocherellone che si intrufola come una pantofola sotto il divano nelle vite dei miei amici cani e non potrà mai cambiare.

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Una parola un programma: Moda! Ne ho appena appreso il senso. Per chi non lo sapesse, cosa fosse la moda, potrebbe prendere ad esempio questo seguente caso strano che è capitato a me, in fatto di palle. Massì , dai: colorate, in plastichetta, ruvide o lisce oppure da tennis – il classico dei classici. Non ero davvero interessato alle palle, insomma ma da quando vado all’area cani di via Genova, in via del tutto esclusiva e preferenziale, perché sono un cucciolo bravo all’orario giusto ho trovato degli amici che mamma considera adatti a me, brave frequentazioni, io li ho visti con quelle palle che volavano da tutte le parti a rincorrere con balzi e serpentine e ho fatto lo stesso. La prima volta quando sono arrivato a casa ho piantato subito il muso dove sapevo che impolverata da mesi era a riposo una vecchia palla rimbalzina che un giorno o l’altro avevo deposto lì con scarso entusiasmo e mi sono stimato se mamma me l’aveva messa a disposizione, sin da subito.
Qui in via Genova mamma puntualmente si presenta con dei biscotti. Sono un cane viziato fortunato. Ha l’abitudine di rimpinzarmi per tutto il corso del vialetto di casa al ritorno. Va bene volermi fare capire che sono stato un bravo cucciolo, ma non sono mica così scemo.
Poi c’è la questione divano. Ne ho staccato un pezzo. Sì. Pezzettino, diciamo. Piccolo. Solo la gommapiuma e la rete metallica sottostante divelta come conseguenza, che non avrebbe avuto sensi lasciare giù il lavoro a metà. Tanto senza stoffa, gomma piuma, cotone era già rovinato, mi sono detto. Tanto vale buttare via tutto il divano, mi sono detto, guardando quello che avevo fatto alla fine del raptus. E mamma ne ha parlato con la sua amica dog sitter nuova della magione con cui è in contatto per la caccia etica in muta. Mi sta preparando una sorpresa per i miei otto mesi insomma e capita nel discorso. E la sitter sostiene che occorre metterci delle lenzuola vecchie sparpagliati sopra e ci farò la cuccia, per farci il cuflino. Ho mangiato anche quelle. Le ho sbrindellate e sparse sul pavimento. Volevo vedere cosa rimaneva del divano sotto, insomma, così coperto non vedevo niente ero preoccupato! Mi preme la bellezza della nostra casa. Sono io il primo a dire che un tocco artistico ci vuole. È per questo che ho fatto il buco nel divano. Grigio, molle. Brutto. Facciamoci un buco, dai, un po’ di fantasia! E Alfredo – vi direte? Giorni dopo insospettendosi sentendo del duro sotto la sua posizione da spettatore di partite NBA, da vero giocatore di basket che è nella vita, ha buttato un occhio sotto la massa di lenzuola sbrindellate messe con arte proprio a un centimetro dal suo sedere e quando ha gridato il mio nome io ero in balcone. Felice di sentire la voce del padrone di cui vado matto con la lingua a penzoloni scodinzolante vispo nello sguardo mi dirigo in salotto. Indovinate pure come mai trenta secondi dopo mi trovavo relegato di nuovo in balcone.
In balcone c’è una confusione che la mamma non sa più come fare. Suvvia, i cani amano i balconi. Sopraelevati, freschi. Si può sentire il profumo di libertà prima della passeggiata. Fare la guardia, guardare il mondo dall’alto. Abbaiare agli intrusi. Vedere in lontananza.


Ci ho messo due cucce. Una non mi piaceva. Allora l’ho un po’ stagliuzzata in un angolo coi canini e ne è fuoriuscito il contenuto. Lana o simile credo. Adesso il balcone assomiglia più a una bella nuvola. Poi c’è una scarpa smangiucchiata, dei vecchi giochi, una bottiglia di plastica da mezzo litro schiacciata delle ciabatte e i loro relativi pezzetti. Mamma lo chiama il giardino. Peccato se delle volte viene lì appresso dove mi sto crogiolando sotto il sole e mi copre la testolina con un foulard, poi mi riempie la ciotola dell’acqua, che è più un piattino in porcellana di Limonge. E… fin qui tutto bene ma dopo stende i panni, sui fili, mi impedisce di vedere al di là! È grave! Dov’è l’orizzonte? Mamma. Suvvia! Perché devi coprirmi la visuale. È la mia cameretta. Che cazzo fai, cosa fai con quei gingillo bagnati li devi proprio appendere così? Che capricci gli umani. Rovinano sempre la festa a noi cani.
Tornando dentro dal balcone ci sono altezza cranio piegato delle fessure che inghiottiscono i miei giochi. Sono stanco di dover reclamare l’attenzione di mamma. Poi fa anche la scocciata lei, se sta facendo i mestieri di casa e deve interrompersi solo perché – che ci vorrà? – non arrivo con le zampe tanti in profondità laggiù e può essere solo lei capace di estrarre le mie palle, i miei giochi, gli ossi di manzo? Ma mettici davanti dei paraspifferi. No? Ho cambiato idea, però, quanti giochi rimarrebbero là dentro?
Oltreché la moda ho una passione innata anche per lo stencil a muro e l’imbiancatura. Addentando lo stucco ho scoperto che si creano forme molto belle a parete. Un dettaglio insignificante che lo stucco che cade a terra vola sul pavimento si stacca dal muro io lo lecco. Buonissimo. Insomma, sto scegliendo la mia professione da grande. Stilista di divani o imbianchino specializzato in ogni caso voglio spaccare.

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La mamma si sorprende in continuazione della mia indole fedelissima, obbedientissima, affezionatissima. Manco stesse già pensando a scrivere un epitaffio. Credo che anzi, però di viaggioni sulla mia fine se ne faccia parecchi. Una volta l’ho sentita mentre bisbigliava all’orecchio di Alfredo me presente che facevo finta di dormire a un passo dalla loro seduta sul divano della nostra sala che aveva sognato, che aveva sognato proprio che io fuggissi! Un’altra volta ancora che mi si aprisse il guinzaglio! Che finissi sotto le ruote di uno di quelle gigantesche costruzioni semovibili che impediscono sempre ai pedoni di andare al di là della strada. Dove c’è il parco! Che pigli loro un accidente. Devo sempre mettermi seduto con la lingua penzoloni gocciolante ora che è estate e aspettare che facciano i loro comodi. Scatta il verde e mamma mi incentiva a passare su quei disegni zebrati. Fate schifo. È volgare. Puzzano quegli aggeggi semovibili. Comunque, vista e considerata la precarietà del vivere la mia posizione esistenziale filosofica sarebbe di godermi gli ultimi momenti, a più non posso. E quando mamma mi dà una pillola grossa come una palla di cannone da ingerire (ho i vermi, ancora,) se si volesse sapere quello che faccio io, la mangio. Non per attaccamento alla vita. Al contrario, voglio morirci dentro a quella pillola: mamma me la mette dentro pezzi di carne al manzo perché teme per la mia salute che io ne disprezzi il sapore! Se si volesse sapere un trucco da cani, cani veri, potrei insegnarne a iosa. Solo un suggerimento: mangiare il manzo, lasciar cadere la pillola, aspettare che mamma se ne accorga, che rifaccia l’involtino al manzetto e via come prima, fino a sazietà. Mamma potrebbe fare solo una cosa: non essere soddisfatta finché non si sia mangiata la pillola. Mi raccomando: solo quando rimane un buchetta mangiarla. Così, scodinzolando felice: in questo modo mamma ripeterà lo show anche all’infinito.
Adesso che mi sono rivelato così paziente e non tiro quasi più al guinzaglio, nemmeno all’ingiù per le scale dove è così divertente posso rivelare il motivo del cambiamento: mamma è vecchia. Mi fa compassione. Devo andare lentamente. Altrimenti se si frattura un osso o l’altro, nessuno mi porterà più a spasso. Alfredo ormai ha cominciato a sua volta, di rado ma sempre più spesso, ad accompagnarmi in passeggiata. Con lui i bisogni li espello di meno. Mamma ha una mano allenata, provetta. Appena fatti, è già pronta rapidissima con il sacchettino blu da maschietto a raccoglierne i resti e io mi fermo da bravo cane con la lingua a penzoloni finché mi sprona e ricominciamo. Scelgo sempre luoghi appartati, discreti e accanto a un bidone. Che compassione questi umani! Non posso mettere niente in bocca. Ormai è assodato. Sassolini, cacchine di piccioni, terra, rusco. Elastici rotti. Una volta una monetina. Tutto ciò appartiene al passato. L’educazione ha avuto i suoi frutti su di me. Purtroppo. Quindi ritorno al tema di prima: mangiare manzo e godere finché si può, che prima o poi qua tutto finisce!
Col caldo che fa poi la mia famiglia ha messo su il Pinguino. Uno scatolone grigio che fa un rumore bestiale mentre dormo ma fa fresco. Una fregatura bella e buona per un cane: se fa fresco sarà per poter dormire meglio. E allora perché li costruiscono che fanno rumore? Non disturbare can che…
Insomma la vita procede. Ho otto mesi domani e la mamma ha già messo nel frigo il gelato per cani. Gelato per cani? Eccome. Il mio buon regalo per un bravo cucciolo grande. E quando torniamo dalla passeggiata, in questi giorni afosi di giugno così faticosa, tanta acqua e soprattutto la mattonella che i miei genitori nascondono dentro al freezer. Un toccasana per la mia salute. Bella davvero da sbatacchiare. Che faccia fresco è secondario. Viva lo sbatacchio! Me la porto in giro per tutta la casa, anche dove non arriva il Pinguino ed ecco che la sensazione refrigerante in aggiunta all’avventura dello sbatacchiamento si fa irresistibile.
Mamma due settimane prima ha già fatto le valigie per Cattolica, dove partiremo e rimarremo per ben cinque giorni grazie al suo babbo, che ha offerto alla nostra famiglia la vacanza (e il Pinguino!) Se non ci fosse lui. Mi ha regalato anche un gioco e lo vedo poco. Abita in un’altra città e io non posso rimanere ore al tavolo di un ristorante, insomma, sono un cane da caccia, un segugio, un bracco. Quello che sono, insomma, sarebbe impensabile rimanere fermo nello stesso punto a mangiare bocconcini sotto un tavolo, rannicchiato. Eppure, ho come la sensazione che accadrà anche questo. Mesi fa sarebbe stato impensabile immaginare che non avrei tirato il guinzaglio ma anzi sarei rimasto pronto di riflessi allo scatto ma impassibile in prossimità dell’attraversamento… in prossimità del parco dove incontro la Holly! Tutto è possibile. Forse anche sopravvivere alla prova del tempo con tanto tanto amore tutto all’intorno in questa giungla indefessa.

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Questa sera deve venire il nonno da Mantova. Il papà della mia mamma. Porta a cena tutti, tranne me. “Andiamo da Roadhouse. Venite? Portate anche Archie, su!” E io comincio a scodinzolare felice. Ma Alfredo interviene: “Impossibile, Dario: mangerebbe anche i tavoli da Roadhouse, con tutto quell’odore diffuso di carne. Non vi darebbe tregua.” E la mamma: “Ma la veterinaria ha detto che dovrebbe stare di più in mezzo alle persone!” E via così. Insomma, nel mentre che sono presso la porta di casa, dall’interno, in posizione seduto-cane-bravo in attesa che qualcuno prenda il guinzaglio, anche se non so esattamente cosa sia Roadhouse, avrebbe tutta l’aria di essere una serata importante questa. A parte che si mormora che Alfredo e la mamma possano poi sposarsi; ma questo è secondario – la carne… questa sì che è una bella novità. Ma te lo immagini saltare su tutti i tavoli, dove la gente si siede, e prendere dai piatti – tin, tin, tin! – tutte quelle grosse bistecche, masticarle, assaporandole lentamente? Beh, sapete come è andata a finire. Sicché Alfredo è andato a giocare a basket stasera la mamma gli ha dato un bacio poi mi ha portato in fondo alle scale della nostra abitazione. Il nonno era lì, sono montato in auto sul sedile comodissimo molto diverso dal nostro e visto che mi piacciono i lussi in dieci minuti ero in Paradiso: tagliate, costine, fiorentine, carpacci, roast beef, cosce di pollo, contro cosce, petti prelibati. Insomma vedevo tutto quel ben di Dio davanti a me e cominciavo ad approvvigionarmi. Ho messo le zampe sul primo tavolo a tiro e mi sono preso giù il mio boccone premio per essere stato in attesa buono tutto il giorno davanti alla porta pronto per andare da Roadhouse. Era di un bambino rosso di pelo e con le lentiggini sparse per tutta la faccia. Si è messo a ridere. Poi sua mamma è inorridita, il padre mi ha preso la bistecca di bocca mentre la mangiavo. Oh, guai mai. Me l’ha requisita. Insomma, il mio sabato sera atipico si è trasformato in un incubo. Sono finito fuori dal locale, da solo, a guardare tutti questi mangioni e beoni neanche vegani che mi mangiavano in faccia le mie prelibatezze. E la mamma sembrava nientemeno che rilassata dalla vetrina. Ogni tanto mi gettava uno sguardo rassicurante. Terribile delusione. Si tratta di un autoregalo, ho pensato. Come il marito che regala alla moglie una camicia da uomo: va a finire che se la metterà lui, prima o poi. E sarebbe meglio il solito elettrodomestico. Così la mamma piena di sensi di colpa alla fine è uscita bella come il sole sazia e rossa in viso come chi avesse festeggiato per ore a casa di un re e io a casa a mangiare una scatoletta subito dopo. Si sa che ho un palato difficile. Ma sbarazzarsi di un cane così è un alto tradimento. In più quando è arrivato Alfredo ha notato che avevo indosso la pettorina ancora. Mamma era dimentica di tutto nella sua estasi post mangiata sul divano. “Dove siete andati a passeggiare con Archie, ho fatto così tardi?” Io ho abbaiato per protesta. Toh! Fa la mamma: “Ma qui nei dintorni, caro.” Senza provocare, mi è sfuggito l’occhio sulla ricevuta del ristorante che pendeva da una tasca di mamma e portata ad Alfredo lui ha capito. Non sapeva più cosa credere.
La mamma insisteva che non avevo mangiato niente e avevo fatto il bravo ed ero rimasto chiuso fuori, al che io protestavo, abbaiavo e la mamma mi zittiva. Insomma. Mi manca solo il dono della parola, come si suol dire: ma quando sei testimone di un complotto come devi fare?
Allora ho divelto tutta la rete della terrazza. Adesso è più aperto. Si vede meglio. E poi, a proposito del fatto che devo socializzare con le persone e stare loro in mezzo, è vero. Fate un regalo ai vostri cani ogni tanto: portateli da Roadhouse!
L’estate comunque non mi piace tanto. Abbiamo fatto una passeggiata di due ore come sempre ieri. Beh non smettevo più di ansimare. Mi sono messo nella sala dove c’è più fresco e non potevo smettere. Oddio, oddio. La mamma fa: ha un colpo di calore. Già ero ansimante e stanchissimo, la mamma mi infila anche un termometro nel sederino. Non mi sembrava un bel gioco allora ridendo le ho fatto capire che non era il caso di esagerare con le molestie giocherellone e mi sono voltato più volte per estrarlo ma non ci arrivavo, così ha suonato. Ha vinto lei, ho capito. Ma almeno un po’ di letizia, dopo quel bel momento di gioco! Te lo sei sudato tanto mamma! Pare che avessi la temperatura troppo alta al momento. Oh ma non ti va mai bene niente. E poi? Vuoi vedere che ho anche una zecca? Si, te lo dico io. Non ti accorgi che stiamo camminando da due ore nel sole rovente con l’asfalto che tra un po’ fuma solo perché non hai mai avuto un cane; è automatico che non ti sei accorta della zecca che ho attaccata proprio al culetto. L’estate sì, non mi piace proprio. Zecche, caldo. Adesso anche le passeggiate brevi. Alfredo che controlla con l’intelligenza artificiale se è vero che tra le 10 e le 6 del pomeriggio non posso uscire a passeggio. Trattenere i bisogni. Meno fame. Che delirio. L’unica cosa buona è la mattonella del ghiaccio da freezer a donare del refrigerio. Ma l’ho addentata con troppa energia. Anche quella. Come il divano. Come la rete. Come tutto, anche le cucce stesse. Così mamma me la dà saltuariamente e solo sorvegliandomi. Ne ho a basta. Non cani abbiamo la temperatura alta, la volete smettere di accendere il termosifone universale? Ore interminabili a dormire poi la sera i miei genitori stanno sul divano a parlare oppure escono per conto loro. Litigano un po’ che la mamma vorrebbe dietro anche a me mentre Alfredo obietta, perché gli piace andare al Circolo in bici. A proposito, insegnatemi a andare in bici! Pericoloso? È la vita. E a Zocca ci siete andati. Bastardi. Senza di me. A Cattolica ci andiamo in vacanza. Eccome che ci andiamo. Senza neanche passare dal via. E a Zocca, comunque, ci sono pochi marciapiedi. Perché lo so? Io so tutto. Anche l’italiano. Oltreché il canese.

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Parliamoci chiaro. Intanto i bambini di fare a brandelli la rete in balcone, polverizzare lo stucco del muro sul pavimento e leccarlo tutto, imbrattare con le zampate il pavimento non sono in grado.
Sì, possono frapporsi nel buco tra la mamma e il papà sul divano, nel letto, fare gli occhi dolci.
Ma sanno anche ridere, far sorridere. Rubano le attenzioni a noi cani! Come la mettiamo? Per fortuna che se la mamma fa un bambino glielo prendono gli assistenti sociali. Se non glielo potessero prendere loro glielo prenderei io in ogni caso.
I bambini e i cani non potrebbero mai andare d’accordo, mi sono detto.
Poi ho visto la solita carrozzina in marcia dal nostro lato della carreggiata e mi sono deciso. Adesso gli faccio un bau, mi sono detto. Mi sporgo sulla carrozzina, il bambino mi fa un sorrisone: beh, un gran risultato – per essere la prima volta che provo a spaventare qualcuno almeno una reazione qualunque c’è stata. Posso migliorare, mi sono detto e ho provato a abbaiare. Non mi è uscito niente allora ho cominciato a lamentarmi con la mamma. Coglione che sono. Lei che è sempre la stessa mentre guaivo ha cominciato a farmi le carezze. Coglione che sono. Proprio un tenero cucciolo carino di cane, com’è dolce! Io bambini non posso averne, risponde la mamma. E torniamo verso casa. Devo spaventare via i bambini o la mamma ne vorrà uno prima o poi. Prima o poi quando divento grande bisogna che lo faccia. Potrei provare a mascherarmi con uno di quei zavagli, le museruole, mi sono detto. Le museruole. La mamma ne aveva comprata una per portarmi in auto a norma di legge. Hai mai visto un cane in auto con la museruola per essere a norma di legge? Ti sei già risposto. No. Fa lo stesso, avete già capito chi comanda se i cani o la Polizia locale, comunque. Adesso potrebbe tornare utile lo zavaglione e ho piantato il muso nel mobiletto solito delle strenne, ma non la sapevo indossare. Mamma mi ha visto e per una volta, si fa per dire, ha abboccato: Archie! Bravo! Dovete sapere che Alfredo non vuole la museruola in auto. La mamma non guida. E lui è pur sempre un metallaro mancato maraglio come me pur sempre nella sua eleganza. Morale: la mamma ha acconsentito al primo cenno del mio sguardo languido e mi ha messo la museruola. Non solo. Tirava, tirava. Ma io non pensavo che saremmo finiti a fare una prova per strada. Non voglio abituarmi a portare lo zavaglione. Voglio giocare all’eroe mascherato e trovare un bambino da spaventare. E invece abbiamo fatto un giro in auto con Alfredo che sbandava da tutte le parti appena sveglio dopo una dormita e poi siamo tornati a casa. Rincoglioniti. Era un’idea geniale la mia. Si vede che non è il caso. Ma non esiste. Prima o poi quello che la mamma vuole fare con Alfredo io… blocco l’ispirazione. Giocano delle volte. Si rotolano. Quando li sorveglierò la prossima volta che si rivoltano così con le pupille fiammeggianti lo capiranno una volta buona che sono contrario: i giochi con Archie o con Archie, qua non si scherza! Che tanto si sa che ne sfornerebbero di bambini sfortunati quelli. Ma non per l’assistente sociale. Sfortunati perché ad aspettarli fuori ci sarebbe sempre un cane geloso che è arrivato prima al traguardo! Viva la mamma!

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Mamma per fare le pulizie è negata. Dovrebbe leggersi qualche manuale, invece di spargere dei liquidi che puzzano di mela, limone, tea tree oil e lavanda in giro per casa. E’ pericoloso. Sapete quello che voglio dire, insomma – è chiaro che se vedi tua madre che sventola una pezza sopra un mobile sopraelevata in vetta a una struttura barcollante per profumarla, non pensi subito che stia piantando una bandiera sulla Luna, bensì ti preoccupi, pensi che abbia sicuramente un principio di demenza, stia invecchiando prima del tempo, che ne so. Non certamente che stia pulendo. Tocca a me regolarmente riportarla coi piedi per terra. Salgo sulla scala, le rubo la pezza, la scuoto in segno di protesta e siccome però pizzica di detersivo e fa schifo con tutto quel profumo dolciastro la sputo per terra e ci salto sopra. Ovvio. Per non parlare del mocio. Mi dispiace, così tanto, ma tanto se inizialmente proteggevo mia madre da lui, con quei tentacoli che ricorderete. Li avevo descritti bene, eh? Mi dispiace perché invece dovevo proteggere lui da lei. E’ pazza. Ho fatto la pace col mocio, sono incazzata con lei. Mi vuole convincere sempre più spesso che sia occhèi spargere umidità sul pavimento. E’ viscido! Dev’essere pazza. Quel polipo deve saperlo che è in pericolo. Insomma, lo cosparge di detersivo! Come si permette? Lui sopporta di tutto. Quando sta fermo io lo guardo e con il potere dello sguardo calmo da bravo cane preoccupato per la sua salute mentale gli spiego pazientemente che va tutto bene. Ma non appena mamma comincia ad agitarlo dappertutto devo farlo: provare a salvarlo dalle grinfie di mia madre che è persuasa di salvarci dai germi invece sparge schifezze per tutto il nostro ambiente! Ma dove le prende? A volte torna a casa con delle borse piene di detersivi. Invece di estrarne fuori gli snack per me ne tira fuori dei flaconi. E’ pazza. Che spreco di tempo. Un altro bell’esempio. Secondo voi dove dovrebbero andare a finire i miei poveri peli, che mi tolgo dal manto uno ad uno quando mi lecco dopo la passeggiata, prima del pollo? Certamente non nel cestino. Che stiano dove li metto, potrebbero pur sempre tornare utili, un giorno; per non parlare dei pezzi di carta che strappo dalle mani della mamma. Bollette sparse fatte a brandelli, fotocopie fatte a brandelli, brandelli e brandelli di ciabatta, poi, plastica di bottiglia smangiucchiata. Nel cestino! Anche l’odore buono di viziato e usato e cane va nel cestino! Mamma crede poi di buttare via tutto, secondo te? Lo farebbe se e solo se non ci fossi io a saltare su e salvare la situazione. Tocca sempre a me il lavoro sporco, anche andare nel cestino a riesumare i rimasugli di sporcizia che lei vorrebbe eliminare. Ma non lo sa mia madre che le buone famiglie non buttano via niente? Come se del maiale buttassero via la coda. Ci sarà sempre il cane affamato pronto a spigolarla, no? Se tu una coda di maiale la butti per strada… mi viene in mente poi che ieri mamma con spirito da vera ebrea ha abbandonato per la strada un pezzo di biscotto: così “anche gli uccellini avranno qualcosa da mangiare…” A parte che io i piccioni li ammazzerei tutti; ma poi che fesseria. Dai – i piccioni tu li mangi dal macellaio senza neanche cuocerli a casa tua – li mangi lì su due piedi con gli occhi perché non hai un soldo in tasca però e se è vero quanto dico in casa tua togli di mezzo tutti gli scarti! E vogliamo dirlo? Ti capita anche di buttare via tutto nell’indifferenziata quando sei stanca! La coerenza è un optional a casa nostra. Comunque adesso con la storia della socializzazione la mamma usa ogni pretesto per farmi fare un giro dentro gli ambienti chiusi a portata di strada come i negozi, gli uffici. È imbarazzata e così chiede sempre un biglietto da visita che giustifichi l’interesse finto. In pratica, anche oggi dopo le grandi pulizie in occasione della visita del nostro unico amico di famiglia, Guglielmo, andremo a fare la passeggiata ed entreremo in ogni singolo negozio su strada. Ci metteremo ore solo per visitarne due, perché naturalmente i negozianti che stanno nei negozi appunto per negoziare cercano regolarmente e puntualmente di vendere. Anzi, farebbero di tutto. Mamma usa ogni pretesto. Fa delle facce, delle moine, pur di prolungare il momento dentro al negozio e coinvolgermi. Non che debba comprare niente, solo elemosinarmi affetto. Ma faccio così pena? Tutto ciò perché la veterinaria ha detto che devo stare tra la gente! Maledetta. Io la gente la odio! Quando mi fanno una carezza esce come nulla fosse. Alcuni addirittura li cogliona con la storia che è caldo e ho sete, “Hai una ciotola d’acqua fresca per il mio povero cane?” oppure la sai la vecchia storia che i negozianti al dettaglio hanno sempre un biscotto per cani per arruffianarsi la clientela con la storia del cucciolo affettuoso in città-nuovo acquirente sicuro. E’ tutta una chiacchiera. Mamma socializza, io sono spaventato. Che novità sarebbe adesso questa che si entra, si esce? E i bisogni? Quando li faccio, dove poi? Non esiste. Aria condizionata, afa, afa, aria condizionata. Centri commerciali. Prima non mi portava mai, adesso sono sempre in giro a tutte le ore a fare shopping ma sai che rompimento di scatole, se sono un maschio? Le persone non mi piacciono tanto, io invece piaccio così tanto a loro. “E’ così affettuoso!” Uno mi ha preso le guance mi ha avvicinato il naso al suo e mi ha baciato! Che perfidia, come si permette? Sono un cucciolo, non un peluche, e lui non è un bambino. Devono smetterla con queste cose infantili. Le infatuazioni sono infantili. I cani sono di un’altra categoria. Preferisco essere un cane rognoso, l’ultimo dei moi-cani, ma non vorrei mai assomigliare a un bipede.

*

Ieri è venuto a trovarci il nostro amico, insomma. Il nostro Guglielmo. Un bravissimo ragazzo, tantoché ci stavamo facendo delle chiacchiere così belle che così nella penombra estiva della camera raffrescata leggermente grazie al Pinguino noi tre eravamo in estasi e naturalmente la mamma con una frase ha rovinato tutto. Una frase così infelice che ve la posso raccontare, con tanto di lacrime agli occhi. Guglielmo stava così bene ma così bene in compagnia anche lui che si stavano progettando grigliatone ferragostane, incontri al Circolo, giri in campagna su a Quinzano dove abbiamo la casa di famiglia e anche un incontro condiviso a Cattolica. Infatti si sa ormai anzi è arcinoto che siamo tutti impegnati e fervono i preparativi della partenza per tale località, la Perla della Romagna. Non scherziamo. Ero così felice e nel mentre che tutti ridevamo e brindavamo che mi facevo coccolare alla grande da vero protagonista della situazione mentre ero spanciato sul divano e pensavo al mare. E la mamma: “Dai, Guy. Vieni a Cattolica. Così se prendi il mio posto anche solo per un’ora posso finalmente godermi un po’ di pausa detox da Archie.”

No comment. Io non ci ho fatto caso. Ma Guy, che oltretutto è anche molto altruista stava pensando proprio di prendere un cane e non riesce nemmeno a ridere alla battuta, nonostante la frenesia del momento e l’eccitazione davanti alla prospettiva del mare. Fa una faccia disgustata. La mamma si fa due domande per il silenzio di Alfredo che nel mentre la fissa. Noto pure io qualcosa di strano. E dolce come sono comincio a leccare le mani di mamma per consolarla: sicuramente stava facendo qualche figura del cavolo delle sue, aveva bisogno di conforto. Insomma Guy tra poco si metteva a piangere, Alfredo scuoteva la testa. Mamma alla fine ha capito di averla sparata grossa. E io ho collegato i fatti:

A – ridevano tutti. Ora silenzio.

B – la mamma ha parlato. Ora silenzio.

C – la mamma è sconvolta.

Poi è accaduta una cosa strana. Per la prima volta mia madre ha fatto l’offesa. Perché sono un essere umano anch’io, voglio poter essere anche io come tutti. E così via, e nessuno diceva niente. La verità è che l’aveva fatta fuori dal vaso e non voleva ammetterlo. Non si dice una cosa così di un bambino cane. I figli vengono prima di tutto. La verità è che ha avuto un’uscita infelice proprio laddove lei era convinta di essere perfetta. E Guy l’aveva sottolineato: lui sì che è aperto di mente! Non si lascia abbindolare nemmeno da una cara amicizia d’infanzia come la mamma che finora è stata capace solo di una cosa: spacciare per vero che lei come mamma sia indefettibile. E l’ho guardata male. Non sapevo il motivo, ma la guardavano male tutti. Con lo sguardo le volevo dire: sei fusa? Il re è nudo. Morale: le mamme perfette non esistono. Sarai anche bravina, con il tuo pollo mattutino, le tue medicine avvolte nella carne di manzetto, il brodino per agevolarmi nel dissetarmi e tutte quelle tue strampalate teorie alimentari e strategiche per farmi crescere felice. Ma una volta ho visto anch’io come anche tu quel pastore tedesco con la sua mamma che aspettava più di quanto non aspetti tu i tempi del suo cane: gli ha permesso di annusare un pezzo di terra molto più di quanto avresti fatto tu!

E dopotutto, aprendo gli occhi se ci penso veramente:

A – vuoi quel che ti pare, non sei capace di delegare ad Alfredo le passeggiate.

B – sei appiccicosa e gelosa.

C – non mi viene in mente altro. Pazienza. Vabbè, ma che vuoi. È un fatto di memoria corta. Siamo sicuri che nelle tue mani sarei proprio al sicuro? Io non sono più certo di niente.

Allora stamattina mia madre era così pentita, così sicura che avessi capito quanto sia bastarda nell’intimo che mi ha accudito come se fossi stato un neonato cane. E la mattina almeno è partita bene. Vediamo come va a finire la giornata. Se ti dimentichi ancora la mia borraccia dell’acqua che metti sempre nel frigo, puoi cominciare a correre, che ti inseguo fino a Milano. E non mi dire che sei stanca! Beh comunque io ne approfitto. Se la giornata è buona, io mi ci ficco.

*

Hippie rediviva dell’epoca contemporanea, mamma è una vera campionessa del minimalismo naturale: atleta per passione, amava la corsa proprio perché con un paio di scarpe ti compri la libertà e potenzialmente anche il record. Da quando ha me non ha più tempo per l’attività fisica. Ma sono io il suo personal trainer che la porta a spasso a ritmo gara. E so che ha sempre rifiutato l’uso forzato della tecnologia a livelli atletico non professionale. E ora che fa il rally col cane grazie al sottoscritto ogni giorno alle 6 maledice quella razza di umani che infatti porterebbe a spasso al guinzaglio i propri animali negandosi il piacere di poter udire il cinguettio degli uccelli, ad esempio; ma anche l’avvicinarsi pericoloso di un’auto al proprio cucciolo. E come potrebbe accadere questo, se non… in forza delle famigerate cuffie bluetooth? Ci sono certi proprietari bragheri, dice mamma in un sussurro alle orecchie di Alfredo, che di quei marchingegni infernali non possono fare a meno. Si isolano. Escludono il mondo fuori. Sono così sicuri della prevedibilità del proprio pet, poi, che potrebbero arrivare persino a dimenticarsi di loro. Per un podcast, un brano musicale alla moda. Ma gli animali sono imprevedibili.
E mentre sussurra già immagina il servizio al telegiornale di un cane stirato in mezzo alla strada, che la fa sentire “bene”, proprio come una lezione di grammatica alle elementari. Poi piange per la propria amara sorte in un mondo che non considera gli spiriti liberi come lei.
Stamane infatti saranno state le 6 e mezzo. Primo parco. Eravamo soli quando all’orizzonte sbuca il profilo di un cagnolino che conoscevamo, Trilly, trotterellante con una pallina in bocca si mette in disparte sul prato seduto ad aspettare la padrona al seguito. Lei lo raggiunge. Li raggiungiamo noi. L’avevo aspettato il primo cane. Il primo cane della giornata quando è tutto più bello, come una scommessa prima della partita, è una cosa seria. E quello? Ringhia. Non fa niente. Ma anziché mamma sarebbe la ragazzina prima ancora che mamma potesse a voltare i tacchi, inaudito! Una sedicenne con le cuffie bluetooth che finge di non vedere mamma l’avrebbe salutata, per non far socializzare il suo amato Archie… semplicemente oltraggioso!
Secondo parco. Mamma dimentica di tutto ha di nuovo il sorriso sulle labbra. Del resto è già passata un’ora buona da quando siamo usciti perché io ho insistito molto affinché la giornata partisse bene visto che poi è domenica e l’ho tirata e fatta incespicare bene ovunque affinché lei capisse che sono sempre il suo cane giocherellone e affettuoso. E all’orizzonte ecco il secondo cane. Terzo al massimo, forse. Piove anche qualche goccia. Non so perché la mamma dopo solo un’ora è già stanca e vuole tornare a casa. Io prima mi appiattisco sull’erba a osservarli da lontano: è Trilly, lo stesso cane di prima! Congiura: avremmo potuto fare la passeggiata insieme, no? Invece che dividerci e poi ritrovarci di nuovo. Mi domando come mai non organizzino questi umani delle camminate comuni a mille cani. Te l’immagini quanta bella concorrenza da fiuto nella caccia al tesoro, la caccia al merlo? No, no. Lasciamo perdere. I cani vanno presi singolarmente alle volta, me ne rendo conto. Insomma. Però le maratone per uomini li fanno, e bloccano anche le strade.
Mamma usa uno stratagemma vecchio: è chiamato “il monopolio del parco.” L’umano furbo deve far finta di essere ingenuo su un territorio comune a due cani e vince chi facendo leva sul desiderio smodato di socializzazione del proprio cane stufa il cane solitario ed educato che se ne sta tranquillo per conto suo a giocare con la sua pallina del cazzo in modo tale da ottenere tutto il parco per sé. Indovina chi l’ha avuta vinta! Sono io, il più socievole! Mi sono fatto sotto, l’ho avvicinato, ho fatto dei balzi esibizionisti, lui ha cominciato a scansarsi e si è fatto da parte. Matematico. Solo che poi eravamo soli. Io ero triste, mamma soddisfatta perché l’adolescente con le cuffie bluetooth aveva mollato l’osso.
E siamo passati sopra una mattonella e la mattonella ha vibrato e si è smossa e divelta ha traballato sotto il mio peso di cucciolone che va per i nove mesi di ventuno chili e sei. E mi sono ricordato allora che proprio ieri potevo passeggiarci sopra a più e più riprese senza che traballasse. I cani… ehm… casi sono due: o sono ingrassato o non sono più un bambino piccolo. In tutti e due i casi, la situazione è critica e va affrontata.
Soprattutto perché quando pensi al futuro è matematico che arriva la iattura, lo sanno tutti. Infatti mentre era riuscita a farmi fare qualche centinaio di metri sulla via del ritorno e già pensavamo alla colazione succulenta, la preparazione delle valigie per Cattolica, il mare di domani: “Quest’oggi di nuovo pollo per te quando siamo a casa, Archie!” un biscotto, ma ecco si avvicina il cane nero grandissimo. Sì, lo ammetto. Mi ha messo un po’ a disagio. Ha un carattere indeciso e represso che mi lascia sbigottito. Mi voleva montare. Ho deciso di no. E siamo andati via. Perché l’adolescenza è dura, per cani e umani. Ma il pollo addolcisce ogni giorno il suo divenire. Chissà se per consolarsi per non essere riuscita a farsi i suoi comodi per tutta la passeggiata quella ragazza avrà mangiato del pollo. Comunque sia, io lo suggerisco. In ogni caso, quel cane vorrebbe giocare con me e la mamma non sa cosa fare per liberarsene. Lo incontriamo ovunque. Si ricorda sempre dove ci siamo incontrati la volta prima. Questa volta ci siamo scambiati anche il numero. Se la prossima andremo all’area cani, non sarei in grado di sopportarlo. Comunque, se ne parla tra una settimana. Prima andremo a Cattolica.

*

E poi a Cattolica ci sono i cani dei padroni che vengono in vacanza. È semplice. È una forma di razzismo. Sì, ma da parte di noi cani in terra straniera. Perché quando sei un cucciolo di otto mesi abituato alle attenzioni affettuose di tutti trovi l’accoglienza romagnola in un paradiso dove ti puoi spoldrinare per terra in quella roba morbida che si spande tutta al solo passaggio di una falange della zampe e due domande te le fai. Ad esempio: chi sono io veramente? Perché costruiscono città piene di auto solo per lavorare e dormire quando a un’ora di auto c’è il mare? Mi sono fatto tante di quelle domande che mi è venuto un coccolone, letteralmente. Potrei soffermarmi e raccontare per ore il dolore che ho provato quando quella sabbia mi è entrata nel povero occhio. Quell’occhio mi serviva, ehy! Ridatemelo. Chi me l’ha preso? Mi sono detto. Anzi, l’ho chiesto alla sabbia e lei mi ha risposto di portare pazienza e che non l’aveva fatto apposta. Ero stato io a gettarmi dentro con una foga così intensa e incontenibile che sarebbe stato inevitabile. Oppure però sarei un cucciolo e la responsabilità sarebbe stata dei miei genitori. Ma loro ci tengono a me. Sarò veramente al sicuro con loro? Mi sono chiesto. Fortuna o responsabilità, è andata quasi bene. A parte il dolore e la preoccupazione. Il primo giorno la mamma si è sentita così in colpa, quando… ha scoperto che oltreché la giardia e i coccidi con dissenteria e la zecca che mi ha punto e la reazione allergica che le hanno fatto odiare sin dal primo momento la mia prima estate avevo anche una congiuntivite monolaterale. “Oddio dovrà operarsi. Potrebbe perdere la vista. Il nostro Archie! Il suo occhietto amatissimo!” E dentro di sé il suo viaggione romantico continuava mentre era a spasso con Alfredo la sera della prima notte nella nostra graziosa sistemazione privata e non sapeva distrarsi, pensare ad altro, dimenticarsi di me a casa ad aspettare mentre il mio occhio piangeva lacrime e lacrime chissà come mai che non avrebbe potuto umano spiegare ad un cane sofferente che per quanto intelligentissimo, è pur sempre un conoscitore del canese, prima che della lingua italiana. Io nel mio appartamento in affitto pagato dal nonno Dario ai miei genitori e me e sì, si metteva le mani nei capelli, mamma piangeva disperatamente dandosi la colpa di non essere stata abbastanza attenta. Si batteva il petto divorata e consumata dalla preoccupazione logora della mia giovane età e bellezza commisurata a quanto avrei potuto passare per via di quella distrazione irresponsabile. Quello che penso io è che rispetto ai primi tempi si è rilassata molto. A giudicare dai risultati! Dai. Giardia, coccidi. Vado avanti? Comunque sì, di fatto quanto era accaduto e che potenzialmente avrebbe rovinato la vacanza il mio occhietto arrossato e tumefatto, se… non fossi il cane forte e generoso che sono malgrado tutto e che sa guarire per amore della mia piccola dolce amata fragile famiglia matta.
È stato un purtroppo massiccio ricorso allo spoldrinamento totale nella sabbia, dovuto a un eccesso di felicità non appena messo piede in spiaggia. Questo afferma tristemente il bollettino medico. E mamma deve essersi accorta che mi era entrato un quantitativo notevole di detriti nell’occhietto sinistro perché si è accorta che c’è stato un momento in cui mi sono rabbuiato. Ma credevo incredulo che sarebbe passato subito. Invece no. Non conoscevo il dolore fisico. Non avrebbero potuto immaginare mai i miei che ne avrei risentito. Così tra Alfredo che la tranquillizzata sortendo l’effetto opposto e lei che contattava Guglielmo, che fa anche l’infermiere e il veterinario e con pareri contrastanti, ha deciso che con pochi soldi quel collirio avrebbe potuto essere dannoso: mi bruciava così tanto! E ha buttato via quello, il collare Elisabetta non l’ha comprato per rabbia e per miracolo ho deciso che avrei regalato la vacanza più bella di sempre ai miei tesori. Mamma si è rassegnata.
O rilassata, credo; complice? Il mare! Con il suo clima. E anch’io. E ho dormito. E mamma sapeva che come mi aveva fatto male il collirio sicuramente perché non le piaceva la reazione che avevo ogni volta anche una veterinaria che da Bologna ti suggerisce una teoria guaritrice avrebbe potuto sbagliarsi. E che dormendo non avrei mosso lo sguardo e mi avrebbe giovato. E ha dato ragione di sé, ascolto al fondo del proprio tristissimo cuore. Ha abbandonato ogni certezza. E per la prima volta – miracolo! – vuoi perché, comunque, non avrebbe potuto accompagnarmi dal veterinario e aveva pochissimi soldi in tasca e dipendeva da Alfredo questa scelta lei per la prima volta si è fidata davvero. Si è detta: amen! E la vita l’ha premiata. E diciamolo: la congiuntivite l’ha premiata, nel senso che avrebbe potuto essere una cosa molto più grave. E dentro di sé ha riconosciuto il nemico: l’ansia di perdere il suo amato cucciolo, io… per un brivido incosciente e la voglia di farmi amare quel mare salato e caro che a prezzo notevole si fa desiderare ancora oggi. E sarà stata l’aria di mare ma giorno dopo giorno non abbiamo evitato la spiaggia. E una sera – lo so, anche se non c’ero – mamma e papà hanno trascorso una serata così deliziosa a mangiare una piada a Gabicce mentre io riposando nella nostra piccola dimora intima guarivo il mio occhio che hanno dimenticato che in giro non si fa altro che bisbigliare nel nostro entourage che si lasceranno, sposeranno ma sicuramente non si tratta di tempi semplici a casa di Archie Ferrari… per noi tutti.
Ogni mattina sveglia alle 6. Al mare passeggiano molti cani socievoli. La spiaggia è invasa dai turisti. Io saltello tra una cozza e uno scoglio e lecco l’acqua, mamma mi incita e mi spruzza leggeri lapilli di mare sulle zampe. È una panacea. Il clima è dolce e durante il giorno posso rilassarmi sul letto, pensate. Adesso che sono in convalescenza si può. Naturale. Sì, proprio così. C’è sempre il lato positivo. Ci sono cinque letti in due diverse camere. E io posso sollazzarmi. Su ognuno di essi! Il balcone ha un angolino dal quale mi piace osservare riparato dal sole la strada. Sole che vi batte sopra soprattutto al pomeriggio e la mamma chiude allora le finestre per trattenere l’aria che esce dal condizionatore e le tende bene. L’unico danno che ho fatto da vera pesticciola è che ho divelto i tasti del telecomando del condizionatore appunto uno ad uno. Ma questa volta mamma e papà erano troppo impegnati a recitare la parte degli arrabbiati appena arrivati. Recitare. Non possono lasciarsi ma nemmeno sopportarsi poi hanno momenti imperdonabili in cui si tengono per mano teneri e dolci. Ed è questo il motivo proprio per cui mi accanivo in quel preciso frangente con la povera pulsantiera: per imitare i miei modelli meravigliosi, no? Così affettuosi, adorabili e detestabili. E puoi scommetterci se è vero anche se non ci sarebbe una spiegazione bastevole che i due soggettini hanno messo piede in questa bella località di mare incazzati come api e stressati e solo cinque giorni basteranno per farli tornare sorridenti e innamorati. O almeno spero. Se non sarà così, mi mangerò la coda. Siamo al quarto giorno e oggi viene anche Guglielmo a fare un giro qui. Come ci troverà?

*

Non posso fidarmi più nemmeno di mia madre. Mi assale nel sonno. Mi inietta delle gocce. Nell’occhio, dove ho la bua. Potrebbe somministrarmi della terapia per bocca alternativamente quindi non ho scampo, né quiete in questa casa. Da quando il mio occhio sinistro ha avuto un danno alla cornea me ne capitano di tutti i colori. Nemmeno mi portano più in spiaggia. Dicono che sarebbe peggiorativo per il mio occhio. Dolore, panico nel sonno. Niente nanna. Risvegli bruschi. Questa vacanza fa schifo! Tutte le volte metto piede fuori di casa felice di poter rivedere la spiaggia con quel mare immenso tutto da scalpicciare sulla battigia e immergersi abbaiando e mamma… adesso è infelice. Dice che verificherà se esistono degli occhiali per cani per proteggermi la vista. Non esistono, coglioni. Li faranno prima o poi ma non esisteranno ancora. Il danno e la beffa: stavo per prendere il largo quando poi ecco facevo dei balzi e abbaiavo in procinto di raggiungere l’altro cane che nuotava quando mi sono avvicinato troppo alla sabbia per prendere la rincorsa e mamma mi ha strattonato via. Giacché mi porti in spiaggia avresti potuto permettermi e darmi il tempo di trovare il coraggio di nuotare. Invece è possibile che questa fosse la mia unica vacanza in una vita. Che non rivedrò più il mare, che mi piace tanto. Mamma disperata piange tutto il giorno. Alfredo esausto. Io? Cane ideale in una famiglia disfunzionale. Peggio di così.
E l’estate dopotutto è così. Con il suo asfalto che scotta le zampine, le sue zanzare e scomode condizioni che rendono impossibile adeguarsi. Ma sarà tornato tutto alla normalità prima o poi. E mamma avrà imparato sulla mia pelle e pelino che non si porta Archie in spiaggia senza un controllo alla vista precoce e altre quisquilie. A pulire a fondo la casa ogni tre giorni pur di evitarmi la giardia. Senza impazzire? No. Diciamolo. Sarei stressato anch’io se pretendessi che il mio cane avesse una vita felice. Che significa poi del resto una vita senza accorgersi dei guai che ci sono, di guai e pericoli, guai pericoli che non mi sfiorino. Viaggiare liscio come l’olio sulla route 66. Questo il mio viaggio ideale. Mamma sul sedile sinistro è voltata, le svolazzano i capelli, papà mi allunga un biscotto come fa di solito mentre è distratto alla guida, non c’è nessuno a parte noi a percorrere quella strada senza curve. Voglio una vita on the road. Senza brutte sorprese. Mi accontenterei. Dietro l’angolo sì, ho compreso che potrebbe esserci un gatto – che ne so?, – un tram impazzito. Ed essere nelle mani di quelli che li guidano i tram no, se ci pensi bene non sarebbe un’idea geniale. E non puoi vivere in casa perennemente. In fondo ci sono i bisognini da fare. E anche il balcone dal quale il profumo di libertà proviene mi dice che qualcosa di bello ancora rimasto da scoprire ci sarà, oltre quei palazzoni così ravvicinati che non potrebbero comunque impedirgli di arrivare al mio buon vecchio tartufo. Chissà quanti anni vivrò. Se invecchierò. Morirò.
Ma amo questa vita. E per questo motivo voglio viverla. Al meglio. Con il mio piccolo occhio possibilmente. Ma anche senza collirio. Non si può? Archie potresti essere intelligente e accettare il collirio. È mamma che lo pensa e me lo sussurra pure la notte. Prima di avvicinarsi con quello spruzzino che pizzica così tanto e se non facesse male lo accetterei, ma che vuoi? Non sapevo quanto facesse male la vita. Ho ringraziato i bei tempi quando ne avevo due. Due begli occhioni sorridenti aperti al piccolo domani che ora è diventato un po’ meno piacevole a credersi. Hanno aspettato troppo i due litiganti prima di portarmi dal veterinario. Ma la diagnosi c’è. La cura anche. Con tanta tristezza in corpo tornerò a Bologna e mi presenterò ai miei amici cani di sempre così, guercettino. Spero di guarire presto e bene.

*

Rivedere Bologna ma con un occhio solo è un’esperienza un po’ particolare. Il solito cestino in lontananza al nostro ritorno da Cattolica mi sembrava un cane. Così ho cominciato a fargli la posta e siccome non si muoveva lui, io ero appiattito a terra e lo aspettavo niente accadeva e mamma mi osservava stranita… mi sono alzato ho sbuffato ho preso contro a un paletto, allora mi sono grattato l’occhio gigio e mamma mi ha dato una sculacciata. Quando siamo a casa sempre vittima del collirio dato di nascosto mentre dormo. Ha tanto l’aria di un avvelenamento. È la prima volta che mi piacerebbe potermi dare alla fuga. Ma credo che sia impossibile. Ho ritrovato il balcone senza più rete protettiva – l’avevo divelta all’andata a Cattolica, quasi un segno procrastinatore di quanto sarebbe avvenuto poi. Potrebbe voler dire che devo scappare. Ma poi non saprei. Fatto sta che sono disperato.
Si sono dimenticati tutti che esisto. Suppongo che questo avvenga dal momento che non sono più un cucciolo bello. Ho un occhio solo. L’altro è completamente chiuso. Mamma ha addirittura ricominciato a fare fitness e movimento da casa dopo mesi che non aveva tempo da dedicare ad altro che a me. Poi ha trovato addirittura un lavoro. E ha sempre l’espressione da oca giuliva tipica di chi ha troppi pensieri e fa di tutto per distrarsi e non pensare a niente. Fa troppo male avere un cucciolo che sta perdendo la vista. E mamma si rimprovera di non avermi portato per tempo dal veterinario, perché ha preferito in cuor suo aspettare a malincuore stringendo i denti per far contento Alfredo, che suggeriva di aspettare e vedere se sarebbe passato spontaneamente il fastidio per poi rimproverarsi intimamente. Invece è peggiorato. O meglio, andava e veniva. Che quando mi hanno messo il collare l’ho subito sfilato e me lo sono mangiato. Poi ho bucato il dispositivo gonfiabile che avevo sempre intorno al collo per far capire ai miei genitori che potevano risparmiarsi di mettermi in ridicolo per strada come se fossi stato un fenomeno da baraccone: eravamo a Cattolica, suvvia! Insomma. Adesso passo le giornate triste con il cuore infranto a dormire per ore perché non ho libertà di movimento con quel gigante ciambellone grigio intorno al collo. Non passo quasi dalla porta di casa. Mi sento brutto. Non c’è niente di peggio. Domani andrò pure dall’oculista. Chissà cosa dirà quando di me avrà l’impressione di un cane depresso e brutto. Ma io spero di guarire. Mamma mi fa coraggio. Con il pugno mi fa cenno di aver forza che ce la faccio a guarire. Non posso deluderla.
Poi quando sto tirando via dei pezzi dal divano mia mamma mi prende per il collare e tira, tira fino a quando sono costretto a farmi indietro. Troppo facile! Tu e io collare contro uno. Me! Dev’essersi finalmente accorta che il mondo per un cane bambino è pieno di pericoli. Almeno.
Poi i facili entusiasmi mi hanno stancato. Non ci credo più. “Guarda, Elena: Archie ha aperto di un millimetro più del solito l’occhio!” Ma se fino ad oggi nemmeno eravate preparati per questo! Io lo so che non ho fatto alcun progresso. L’occhio mi fa sempre più male ed è sempre più rosso e ferito, sanguina dentro. Lo so. A mamma faccio solo compassione. Non posso vederla così. Invece dovrebbe farmi forza. Ed essere forte.
Ma è fragile. Inesperta. La veterinaria osservando il modo in cui mamma teneva il guinzaglio insicuro ha subito inquadrato il soggetto: “Primo cane, eh?” E si sa. Doveva capitare a me. Proprio a me. E nessuno sopporterebbe nemmeno quelli che sottovalutano il mio problema. Ora quando ricevo un complimento per strada: “Che carino!” Vado in visibilio. Non ho mai dovuto mettermi in coda per elemosinare affetto. Oggi invece le cose vanno diversamente che non nel passato. Mi rendo conto di quanto fosse bella la vita di prima. La vita con due occhi. Vorrei fare le cose di prima ma non riesco più. Sarà dura.
Adesso che ho il collare definitivo poi posso solo dormire e aspettare, aspettare e dormire. Aspettare cosa? Che i miei rientrino. Si danno al bagordi. Archie è malato, noi usciamo a festeggiare la libertà che in questi sei mesi il cucciolo vivace ci ha tolto. Logico, no? Vanno in bicicletta al Circolo. Almeno quando potevo grattarmi l’occhio perché non tolleravo il collare e l’avevo vinta perché lo distruggevo non ero mai solo. Mamma si assentava anche dal lavoro. Sto passando nel dimenticatoio. Mi sento inutile. Passato. Malato. Triste. Cosa diranno le mie veterinarie ai genitori infami? Logico: li assolveranno! Non ho nessun altro. Non è abbastanza grave quello che sto passando? So che mamma si sarebbe fatta una lista di domande da fare domani all’appuntamento oculistico: antidolorifico, possibile congiuntivite o comunque arrossamento sospetto e pregresso bilaterale, sabbia nell’occhio sinistro con sfregamento, terapia preferibilmente orale. D’accordo. Ma non sono pronto a perdonare. Non così facilmente. Dovrete ridarmi la possibilità di dimenticare tutto e non sarà facile. Scordatevi di comprare casa a Cattolica come vorreste. Lo so che vorreste. Vergognatevi di avermi portato in spiaggia così, senza tutele. È stato divertente si, ma… a che prezzo? Ma io credo che mamma si ravvederà e mi starà accanto come si deve. Come si conviene al suo piccolo Archiolito.

*

Sono in piena adolescenza. Alcuni chiamano cucciolo altri cagnone. Insomma, non sono nè carne né pesce. E tutto sommato abbiamo cominciato a decollare un pochetto come famiglia. Alfredo mi porta tutti i giorni all’area cani. Era impensabile fino a poco tempo fa, quando la mamma aveva così tanta ansia in corpo per il mio corretto sviluppo. E tutto sommato è bello guardarsi un po’ indietro e sapere di avere un passato. Con i suoi momenti sì e quelli no, naturale. E ci sono cani che a tre anni sono più educati di me, già. Ma del resto io sono il cane famoso in assoluto per avere l’indole più amabile di tutti. In altre parole i miei genitori non avrebbero alcun merito. A malapena quello di avermi insegnato a trattenermi dall’attraversare quando sono alle strisce pedonali, forse. Questo mamma. E papà quello di andare lentamente e accanto a sé al guinzaglio. Cosa che comunque faccio solo con lui. Tranquilli: con mamma è sempre tutta una frenesia. Con papà tutto una pace, invece. Non è cambiato niente. Sono sempre io. Archie. E comincio a pensare non solo alle cose che so sulle esperienze belle e quelle meno belle che ho avuto. Ma anche al domani.

Potrei diventare un cane importante. Ma mi basterebbe anche solo che la mia famiglia stesse sempre bene e si prendesse cura di me. Cosa ne sarebbe se mi mancasse il cibo? Se la mamma perdesse il lavoro, continuasse a litigare con Alfredo e non potesse più spendere per i miei regali, chiamerei di sicuro la protezione animali. E si vocifera già tra i nostri cari amici che ci sarebbe un trasloco all’orizzonte: mamma e papà vorrebbero andare a vivere nel modenese – località Zocca, la patria del Blasco! Incredibile. Sarà vero?

Vediamo, che segnali ci sono. Hanno fatto delle scatole. La casa è più vuota. Delle liste scritte a mano sul tavolo. Voi che ne dite? Si fa, non si fa? Ma io non credo. Pare che ci sarebbe anche un giardino, tutto per me. Sarebbe troppo bello. Io non ci credo.

Ciò che bisogna vedere è se ci andrebbero insieme. Infatti papà le dice sempre che vuole andarsene. Ma come faccio senza il papà, così piccolo? Sono solo un povero adolescente. Cane, per di più! Non si potrebbe mai sentir dire.

Le case le vanno a vedere. Insieme però. Credo che sia mamma a volerlo tanto. Non saprei se sia il giardino a farle gola per me oppure Alfredo. In ogni caso, lui storce il naso. Ma credo che vorrebbe cedere. In fondo la mamma  è sempre la mamma. Dai!

“Ah, anche se intero è così… Buono?” Mamma fulminò con lo sguardo il tizio con il cane castrato. Castrato. Come sarebbe, castrato? Io il castrato me lo magno, mica scherziamo qui! E infatti. Me lo sono magnato. Per cena. Ma non come pensate voi. Non mi sono magnato un pezzo di carne. Mi sono magnato il cane! Ho disilluso le aspettative del padrone che mamma aveva fulminato. Ma scherzo, dai! Me lo sono magnato solo un… Pochino… E in senso fi…gurato. Un abbaio. Un morsichetto. Un leccottino. Wham! Ci credereste che io, Archie, il cane adorabile, avrei voluto magnarsi un cane intero così come sarebbe fatto? Impossibile, giusto? E infatti sarà tutta una fantasia. Ma comunque, qualcosa di vero c’è.Mamma imbufalita. Io completamente adolescente. La verità? Ve la dico subito. Sono stato un bravo cane, anche questa volta. Anche se intero. Perché?Perché certe cose alle signore vergini di cani non si dovrebbero dire. Frasi come:”Oh che bella femminuccia di cucciolo!” Oppure: “È buono?” Oppure: “Buono anche se intero!” Davanti al cane poi! Io le palline le ho, tutte intere. E mamma non me le vuole togliere. Che ansia! E la questione è poi semplice. Quella lì: mamma non sapeva che i cani castrati sono più buoni. E adesso si è fatta due domande, accidenti all’invidioso di turno perché sono il più bello!La verità? Ancora una volta. Sono adolescente! Per questo combino guai! Scavo il divano? Sono innocente! Adolescente! Vado a mangiare le gambe del lettone passandoci sotto e non rispondo ai comandi? Cane da caccia, presente e… Adolescente. Ma come si fa?Così me ne sono tornato a casa con mamma che sciorinava biscotti pensierosa più preoccupato che mai. E ora? È grave. Un torto un giorno o l’altro glielo farò pagare. Potrei buttare un bastone giù dal balcone. Siamo al terzo piano. Farebbe rumore. Se sotto c’è una macchina ho vinto. Tanto? Adolescente. Peccato però per un dettaglio. Qualcosa non potrebbe funzionare. Sono troppo intelligente per non capirlo: sarebbe la volta buona che la mammina da pro natura repressa si trasformerebbe in pro cultura. Io mi metto buono. È arrivata l’ora di crescere.Ma non dirmi che devo imparare a stare seduto, ad andare piano accanto alle gambe della mamma. Incredibile. Non pensavo sarebbe mai arrivato questo momento tragico. Peccato. Ci penserò su. Intanto devo dare sfogo a qualche istinto. Altrimenti non onorerei la mia natura canina. Sento che devo assolutamente vandalizzare qualcosa. Altrimenti entrerò in frustrazione, come direbbe la cara dog trainer. Ma quale frustrazione e frustrazione. Almeno c’è lei che potrebbe capirmi. Non l’ho mai nemmeno conosciuta di persona. Non so se ve l’ho mai raccontato ma la malasorte avrebbe voluto che nella famosa magione dove avrei dovuto assolutamente andare a fare quattro salti insieme ad altri cani hanno incornato un cane dei… Cinghiali. Signore e signori. E adesso ve ne dico una. A voi, sì. I pro natura. Ecco il guaio che combinerò stasera. Se avete a cuore i vostri pet e non li fate castrare allora mandateli in mezzo ai cinghiali a fare la caccia, almeno! Vero, mamma, che sei un’incoerente del cavolo? Io questi genitori li odio.

*

È una serata pacifica ma malinconica. Alfredo non c’è. Io sono con la mamma che mi guarda, sorride e mi punta addosso il suo strano marchingegno, quello su cui gira continuamente le dita e poi sorride di nuovo e dice: “Questa la posto su Facebook.” Fuori dalla finestra suona una melodia triste, a dire il vero e sembra tutto fermo improvvisamente. Credo che anche la mamma sia più in pace. Oggi sono rimasto a casa da solo nel pomeriggio per un tempo che sembrava non finire più. Capita all’incirca una volta alla settimana ultimamente. Pace. Finalmente. Non litigano più. I miei genitori sembrano aver trovato una soluzione. Alfredo è entrato in casa dopo i soliti tre piani di scale con l’aria stanca e provata. Mamma a seguire con un cartone di spesa fatta al supermercato tra le braccia, ansimante. “Congratulazioni.” Congratulazioni sommesse ma vere e sentite quelle di mamma. Alfredo ha comprato casa, mi sono detto io, che sono testimone silenzioso di questo sfacelo che è la vita di voi umani. Noi cani. Tzé. Altroché. Nel peggiore dei casi ci trascurano il tempo di mezza giornata, poi ci basta fare gli occhi dolci e via che si va, subito accontentati. Ma per la prima volta mi sono sentito perplesso. Che ne sarà della Holly, della Lulù, della Ginny? Ma sì, come farebbero Le mie fidanzate, senza di me? Senza dimenticare gli amici bravi dell’area cani. Diamond, il dobermann buono autistico che gioca solo con la sua pallina e guai chi gliela ruba (una volta ci ho provato, mamma mi ha portato via.) E Lip! Per non parlare di Bacco, Piero, il mio vicino di casa identico a me. E il mitico Ares. Che ne sarà di noi?Mamma ci pensa. Lo so. Ma noi cani siamo generosi. E Alfredo… Beh mamma deve pensare anche a lui, non solo a me. Sai. C’è anche lui in casa. A volte hanno litigato per me già. Tutti i giorni. Non chiedetemi come lo saprei. Sono un cane intelligente, via. Capisco gli sguardi stanchi. Terribilmente stanchi. E non è un caso che senta ripetere quella frase da mesi: chi vive a Bologna vive per lavorare e chi può se ne va in campagna. È logico: Alfredo ha comprato a Zocca. E i miei genitori senza dirmi niente in queste settimane avranno visto molte case. E mamma lo sa che senza la Holly io come faccio? Con chi giocherò al mattino alle 6? E poi mi mancheranno le mie prove di bravura alle strisce pedonali dove avevo imparato l’ordine sociale. Insomma. Ma io devo proprio seguire i miei genitori? È assodato che se scappassi chi mi prenderebbe più. Nessuno. Sono un cane da caccia. E mamma infatti ha avuto la sensazione di volermi risparmiare sì la castrazione, ma questa volta il collare non a strozzo, peggio, il GPS non me lo toglierà nessuno. Vuoi vedere? Oggi all’area cani uno ha detto che su Amazon si compra benone quel genere di gingillo. Per il mio collo affusolato come minimo voglio il modello Luxury. Perché se avessi sognato di fuggire, poi me ne dovrei dimenticare una volta per sempre. Cane in cattività è uguale a cane castrato comunque. Volevo dirvelo.Ma qualcuno insomma almeno in questa casa si sarà tolto un peso così, spendendo cinquantamila euro per un appartamento su cui investire? Mamma vuole farsi amici nuovi e comportarsi a modo con tutti nella nuova cittadina e non traslocare più dopo i tanti passaggi sfortunati che ha fatto. Vorrebbe finire i suoi giorni lì. Così dice. Io sono bolognese io li seguo. Ma la mia città. Non potrei mai dimenticarla. Il luogo dove sono nato. E se avessi sperato di ritrovare il mio fratellino, che a quest’ora sarà in giro come me per la passeggiata serale, beh. Questo non potrà accadere più? Ma forse mamma le sa queste cose. Anzi sicuramente ma saprà anche che qualche cambiamento o meglio diciamo piccolo aggiustamento nella vita è inevitabile. Così mi racconta dei boschi meravigliosi che ci sono là, delle immersioni trekking nella natura che faremo. Delle montagne, delle distese d’erba. Sarà vero? Sono un po’ curioso anch’io di arrivare. E in fondo… C’è l’ascensore pure. E altri cani da conoscere. Come cambierà la vita.

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Altissimo tradimento! Il cuore di mamma non può dividersi fra le sigarette e me. Oltraggio! Per questo motivo la fisso quando esce dal bagno e sa di fumo. I vestiti, la bocca se mi bacia, le mani se mi accarezza. La fisso per farla sentire colpevole, ebbene sì! Passivo aggressivo io? Giammai, il fumo lo è! I cani non possono sopportare il fumo. Fa male! Sei stressata per il tuo lavoro, per la tua vita del cazzo, quella che fai oppure si tratta dello scarso tempo che hai? Portami a spasso no? Quante alternative avrai, su: rifletti. Non mi ami abbastanza, ho deciso. Se mi amassi abbastanza non potresti fumare un’altra sola sigaretta fintantoché io ti guardassi di nuovo così. O ne avessi anche solo il pensiero. E comunque te lo voglio dire. Fallo per me. Se mi vuoi bene. Come potresti resistermi. E mi dici sempre “Era l’ultima Archie.” È inutile che ti profumi le mani, lavandole più e più volte. Suvvia sono un cane da caccia, sentirei l’odore di una cagnetta lontana due chilometri se mi piacesse.Inoltre, ti se fatta la fama della rompiscatole. Oddio, oddio Archie potrebbe uscire dal cancellino. Non aprite quella porta all’area cani se prima non ho afferrato abbastanza saldamente Archie per la pettorina! Oddio oddio quel cane ha abbaiato due volte ad Archie. Fermatelo, oppure andiamo via! Una mamma ansiosa è normale. Ma tu. Sei una piaga. E lasciami vivere! Ecco svelato perché fumi: ansiosa! Sono incavolato.Se poi ti fumi la tua sigaretta sempre con aria di chi si nasconde da me. Io lo so molto bene che fumi di nascosto. Non hai scampo. Ti prendo il diario delle tue emozioni serali e lo riduco in brandelli. Vabbè, quello è già stato fatto a pezzetti. Sarà la volta della carta scottex. Poi tirerò fuori tutti i gingilli che Alfredo ha nascosto dentro gli scatoloni per preparare il trasloco e ne disseminerò la casa mentre siete altrove per dispetto. Non sono d’accordo. Odio il fumo. Ricordatene. E ricordati anche che sono pur sempre un cane adolescente, per quanto obbediente, carino, affettuoso. E ho due amiche alane, le hai viste bene all’area cani oggi. Facevi loro pure le moine rendendomi un po’ felice ma anche un po’ gelosetto. Le cucce, quelle, sono completamente dimagrite. Dimagrite. Proprio così, già. Dimagrite. Le ho fatte dimagrire a suon di morsi. Tutta la lana che avevano in corpo quelle bestiacce è fuoriuscita e un giorno siete tornati a casa e vi sembrava di essere in una nuvola. Sono stato io. Beh. Modestamente. Opera mia. Quindi: odio il fumo. Stai all’occhio.La svapo di Alfredo potrei sopportarla. Sì è un fatto di rispetto. Se provo a togliere la svapo ad Alfredo lui mi sgrida e io gli obbedisco. Ma a mamma no. Dai. Oggi appunto quando è stata la volta di strappare tutte le cartine dei biscotti che avevo trovato sul tavolo non ti sei manco arrabbiata. Qualcosa mi dice che non ne puoi più. E poi ho imparato a salire sul tavolo, con tutte quattro le zampette. Prima con due sulla sedia, poi hop, si fa un saltolino ed eccomi là, proprio sulla bella tavola di legno che sicuramente sosterrebbe i miei abbondanti 25 chili che porto a spasso con una certa fierezza. La mamma di cane Ugo stamattina alla passeggiata ha detto che non crescerò più. Qua è tutto incredibile. Io non ci credo. Voi?

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La mamma, lei la invidierei anche un pochetto. Ci sono alcuni giorni in cui fa sempre cose interessanti e mi viene da seguirla prima con gli occhietti, poi con le zampe. Mi ritrovo intorno alla sua gonna lunga che svolazza per casa da un punto all’altro senza un perché incollata ai suoi piedi scalzi che camminano indaffarati. Sembra che, decisa, sappia sempre quello che fa. Quello che fa è affascinante. Mi riferisco a quando determinata e serena, con le mani rilassate, ad esempio, cammina esattamente da un punto all’altro della casa tanto che come l’avessi vista spuntare improvvisamente dalla porta del bagno, io che mi trovo sdraiato a sonnecchiare sbadatamente sul marmo del corridoietto, la osservo e già si trova in balcone e versa lo stesso liquame che mi piace bere adesso che sarebbe anche estate dopo la passeggiata dal ciotolone gigante tutto per me che mi ha messo a disposizione. Lo versa dietro una pianta che in passato, quando ero un cucciolo piccolo mi divertivo a divellere dalla sua sede, un vaso. E infatti anche se adesso non lo faccio più la sede di quello che dovrebbe essere un ficus – e mamma sa che non mi fa tanto bene avvicinare il musetto alle foglie sue, – o almeno così lo chiama, si trova sopraelevato, al di sopra della mia portata, alla base di una mensoletta bianca. Ho imparato nei mesi a disinteressarmene. In fondo sembra anche innocua e la terra da mangiare mi ha stancato, anche all’area cani. Credo che il motivo sia che tutto sommato ce n’è così tanta in giro e poi i miei genitori fanno delle grida alte come nubi se oso masticarne una zolletta: “Archie! Porta malattie, Archie!” E via con il terrorismo psicologico degli adulti. Ho trovato la mia amica preferita. Si chiama Sheila. Ci lanciamo in corse a due mentre gli altri cani sonnecchiano sotto l’ombra dell’albero grande in mezzo all’area cani e ansimano, poveretti, con il caldo ferragostano che si sente fino alle midolla. Ma noi? Tzé: ce ne freghiamo! Corriamo, ci rotoliamo, ci scambiamo delle effusioni. Saremo innamorati? Mamma vorrebbe farmi fare i cuccioli con Sheila. Starebbe combinando. Ma io sento che Sheila non può. Me l’ha confessato. Credo che il suo papà avesse avuto degli accordi con la sua padroncina preaffido che l’ha mandata su un camion fino a Bologna dalla Sicilia. Mentre io posso fare i cucciolini, Sheila potrebbe esserne priva anche se sarebbe stata così in sintonia con me. Sarebbe una cagnolina che non può. Chissà come mai. Ma io non posso dimenticarla, anche se andremo a Zocca. E’ la mia amata sposina di quindici mesi. E’ più minuta di me ed è veloce come un levriero ma è una bastardina, è biondina con gli occhi azzurri e furbissima. Quasi impossibile rubarle la pallina. Ma io gliela lascio sempre volentieri, anche quando fosse la mia. Sarà il mio ricordo per lei.Tornando alle faccende di casa, appunto, non mi spiego come mai versi dell’acqua, quella che mi piace tanto e potrebbe sprecarsi. Anche se sembra non finire mai di venir giù. Quando mamma fa quella cosa di applicare le dita alla manopoletta del bidé, ad esempio (sì, ho imparato questa parola: manopola o rubinetto) l’acqua sgorga e io ne bevo, bevo, bevo tanta… e sono così meravigliato della generosità e abbondanza che sono i doni che i miei genitori e il mondo che mi circonda hanno sempre in serbo per un cane come me.Insomma, con intenzione mamma versa acqua alla pianta. La domanda vera è: perché? Mi intriga saperlo. Ma mamma non me la può spiegare. Non parliamo lo stesso linguaggio. O almeno così sembra. Ci proviamo, già – sempre! Io le indico il guinzaglio con gli occhi, le faccio cenno con la testa di abbandonare per due volte il biscotto sul pavimento, le faccio dei gesti con il corpicino suggerendole la direzione e soprattutto la proteggo in passeggiata come un vero cane poliziotto. Sì, mi piacerebbe diventare un cane poliziotto. Alla fine della passeggiata faccio sempre il giro minaccioso di circospezione e oltretutto se noto qualcosa di strano mamma lo sa cosa vuol dire se mi fermo e faccio finta di annusare qualcosa: in realtà, quando la guardo lei mi guarda e ci capiamo perché in quel momento sarebbe appena passato qualcuno avanti a noi che non mi piace mica! E così abbiamo il nostro muto e rispettoso linguaggio e ci amiamo tanto.Io vorrei tanto distrarla da quelle mansioni del cavolo! La spugna? Sono dietro di lei alla sua gonna e quella bestiaccia gliela rubo via io e la sbatacchio! Mi sembra una cosa oscena, è sporca, fa uno strano odore di germi, cosa farà mamma con quelle manine sante! Se le sporca! E poi mi accarezza? Tra parentesi: sto per andare a fare il primo bagnetto a quanto pare. Ma ne parleremo. Mamma non ha ancora capito perché la proteggo da quelle insensate faccende. Anche se io invece una cosa l’ho capita. Infatti la casa mi piace, dopo. Lei dice: “Adesso la casa splende, tesò!” Rivolta ad Alfredo. E io sento quel profumo di niente e amo quella sensazione. Mi distendo tranquillamente e dormo sonni tranquilli sicuro di me, benvoluto dalle carezze e gesti affettuosi dei miei familiari adorabili. Passo ad altro. Mamma nonostante il caldo, in forza del caldo, anzi – direi – si sarebbe ingegnata su come fare a farmi mangiare anche inappetente. Tira fuori di quei manicaretti che farebbero invidia a un umano anoressico. Ovetto, mix di formaggio, olio d’oliva. Tonno! Ne mette un pezzetto, poi un biscottino prima della pappa vera in confezione barattolo ed ecco, mi viene un appetito che mi metto seduto nella posizione del bravo cane seduto proprio davanti al frigo. Problema? Non ne vengo più via e mangerei di tutto! Una volta ne ho estratto di nascosto tutto il salame. L’ho mangiato, ovviamente. Non a fette, ma è stato magnifico comunque. E’ tanto desiderabile che mamma cucini, poi. Si spandono degli odorini irresistibili. Oggi ha fatto la pasta calda gramigna con le olivette al nocciolo più ben di Dio al tonno e tanto di colata di mix di formaggi più sugo al basilico! Lei la chiama così. Io? La mangio e basta! Peccato: l’ha mangiata Alfredo. D’oh!

*

Oggi che è Ferragosto mamma mi ha fatto fare una passeggiata lunga e serena, calma come non accadeva da tempo ed ero così felice, ma così felice di poter trotterellare per tutte le strade cosicché percorrevamo anche quelle viuzze meno note e sentivo degli odorini di cani nuovi e ci facevo sopra delle pipì così belle che ero veramente in visibilio. Anche se faceva caldo sentivo un venticello sul visino tantoché non sapevo più se quella sensazione di fresco sul pelino fosse vero vento oppure no ed ecco: un imprevisto, mannaggia. Che ha un nome e un cognome: Achille. Dapprima sembrava tutto regolare. Lui era scodinzolante sotto il tavolino di un bar quando io come faccio con tutti i cani comuni mi sono avvicinato. Mamma ha domandato educatamente, anche visto e considerato che la proprietaria stava aspettando qualcuno che le potesse portare al tavolo delle brioche e io mi sono subito messo a giocare. Poi mamma si è ricordata che conoscevamo già Achille. Quello stronzetto. Così: “Ci siamo già incontrati!” E la signora dice in modo davvero “esemplare:” “Sì, mi ricordo.” E mentre io mi comportavo come faccio di solito – giocavo con lui – fa una breve pausa quasi come se fosse stata perplessa e riprende il discorso: “Quanto tempo ha?” Comincia il terzo grado. “10 mesi.” “Ah…già!” E mamma contenta sorride osservando la scena di due cagnolini pacifici che scodinzolanti fanno tanti giochi. Solo che io sono più vivace e arriva la seconda domanda, che a mamma pare sempre più interessata e le ruba un po’ qualche attimo di serenità strappandole anche il primo sorriso. “Ha la stessa età di Achille. E… dimmi,” Le dà del tu. “E’… buono?” Non ricordo se abbia usato la donna questo o quell’altro aggettivo (buono, bravo,) tuttavia quanto di cui sarei certo è che mamma si è sentita spodestata. Mentre annuiva lentamente e solennemente la signora si faceva servire anche da lei che ossequiosamente è stata portata per mera educazione a portarmi via. Che se avesse voluto fare il mio interesse e non dell’altro cane non mi avrebbe permesso solo di continuare a fare dei balzi lì, sotto quel benedetto tavolino; ma avrebbe potuto logicamente anche chiedere di andare all’area cani presto con Achille che ci troviamo bene insieme e soprattutto di poter condividere almeno un pezzo di brioche alla crema. Infatti nel frattempo questa era arrivata proprio davanti al tavolo della famigliola e io c’ero prontamente saltato su con le zampette anteriori.

Così abbiamo proseguito perplessi per la nostra strada chissà come mai. Avevamo la sensazione che fosse appena accaduto qualcosa di insolito e avevamo ragione. La stessa sensazione, ma più intensa mi colse quando giunti all’altezza del barettino su via Bellaria all’incrocio, proprio prima di attraversare, nonostante fosse verde per i pedoni non ho potuto fare a meno di soffermarmi a osservare il quadretto del cagnolino felice con la sua famiglia che si prendeva tutte le carezze dei passanti e non potevo smettere di gioire e pregustare l’idea di rincontrarlo. Fatto sta che mamma per la prima volta s’era sentita scalfita nell’orgoglio di mamma. Aveva colto qualcosa nello sguardo, forse anzi nel naso che aveva storto involontariamente la signora per vaga competizione, un miserabile cenno del viso che l’aveva fatta innervosire come se qualcosa le avesse appena suggerito che questa si sentisse più fortunata, ma cominciò a farsi qualche piccola ma insinuosa paranoia sul proprio conto intimamente e pensava e ripensava dentro di sé: “Sarò all’altezza? Avremo meno amici di loro? Archie sarà davvero tutelato per tutta la vita, nonostante io e Alfredo siamo una coppia così incerta e abbiamo tante difficoltà, economiche anche?” Aveva visto quella signora così convinta di sé e della propria bontà. Ma scacciò quel pensiero con grande soddisfazione: “Non ha visto Archie come si comporta. Che venga all’area cani. Dovremmo essere amiche. Io non pongo le questioni sulla competizione tra cuccioli, sull’aria di superiorità e altre vanità, ma sulla collaborazione, soprattutto femminile. Ma quel cagnolino è diverso dagli altri? E Archie come lo vedranno? Non sarà che avrebbero avuto l’impressione che Archie sia più birichino di come sia effettivamente perché l’hanno visto tirare al guinzaglio?” In quel momento un cane mi evitò. E poi: “Ma no, dai.” E altri mille dubbi la sommergevano cosicché intanto eravamo già arrivati sotto casa e lei aveva finito i biscottini. Si criticò e non si criticò. Ma come aveva potuto pensare quell’altra mamma che Archie non fosse un bravo cane? E poi, dopo i nostri tre piani di scale mi sono messo a giocare con la nuova rotella dentata di gomma che mi hanno regalato i miei genitori per il complimese 10.

I giochi per cani sono davvero strani. Io amo di più i giochi da bambini e ragazzi. Solo che i bambini non sanno come si gioca con i giocattoli, non sanno la fortuna che hanno. Si fa così: le bambole? Si prendono gli occhi fra i dentini, si stringono finché non vengono via, si fanno circolare per il pavimento spingendoli con il naso o le zampe mentre li si rincorrono e così con tutte le parti finché il gioco finisce per mancanza di pezzi. Lo stesso con i puzzle e le carte da gioco, i dadi. Adoro sbatacchiare, spingere… non c’è nulla di meglio. Che spreco. Io voglio che tutti i bambini sappiano cosa significa essere un cane!

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Io sono un cane da caccia. Ho un fiuto sopraffino. Se mamma inalasse una sostanza nociva, mi preoccuperei. E così infatti da quando fuma la guardo preoccupato e mantengo debite distanze. Lei si sente in colpa e si allontana. Allontanarsi dal tuo cucciolo? Svolazzando la mano? Così ogni volta. Guai mai! Così, oggi ho messo in atto un gesto di protesta potente. Semplice resistenza passiva, certo. Mi ha davvero stancato. Deve smettere subito o diventerà anche dipendente da quella robaccia! Insomma, se voleste sapere cosa avrei combinato, potreste stare a sentire pure lì, dovunque siate, incollati alla pagina…

E mamma è arrivata vestita bene dopo la colazione ferragostana con Alfredo a fumare in balcone e rilassarsi. Ha pochi minuti. In fondo, dovrà immediatamente cucinare il pranzo festivo. Ma io sono arrivato lì prontamente correndo come un matto e mi sono piazzato sotto il sole diretto sulla mia testolina amata e la guardavo di sottecchi con sguardo determinato. Come mai? 

In pratica ho messo in atto un sit-in. Un sit-in, dai! Per chi non lo sapesse, si tratta della riunione più dissidente che c’è. Nelle piazze, nei paesi. Tutti sanno cosa sia. Basta sedersi e fare sciopero, anche per un solo istante. Fino a quando un obiettivo non fosse realizzato. 

E la mamma si è allontanata! Sa quanto sia insopportabile per me respirare quell’odoraccio. Così, entrata nel cucinino dove predispone il mangiare e gli odorini si spandono fino alle mie narici, ha miracolosamente cominciato a predisporre gli avanzi e le portate in tavola: si è messa buona, al suo legittimo posto, ai fornelli! Ha subito spento la sigaretta. VIttoria! 1-0 per me. Poi è scattata fuori, libere le sante e abili manine e afferrata saldamente l’asticella sulla sinistra del balcone sul cui pavimento intanto sarei presto diventato rovente, ha srotolato tutto il grande tendone che mi piace tanto perché getta un’ombra raffrescante sul mio corpicino di cucciolo delicatissimo. 2-0 per me. Mi ha dato un bacio e un abbraccione davanti al condomino stronzo dell’appartamento accanto che non mi fa mai socializzare con il suo cane. 3-0 per me. Ho vinto io la partita.

Ho tanta voglia di abbracci, di carezze vere. Ma non di quelle date di corsa, quelle di circostanza. Me ne vorrebbe una valanga. E non amo fare i video per Youtube. Non mi fido tanto perché dietro a quell’aggeggio Alfredo è tanto felice e io so perché. Mi sento un po’ l’oggetto del discorso. Alfredo si appropria, ruba a me e poi è soddisfatto stranamente. Ha tanti risultati con Youtube con i miei video. Io sarei diffidente. Anche se mi sono un po’ abituato e lo lascio fare, ciò non mi appartiene davvero e tante volte volto la faccina.

Mi piace tanto la compagnia degli umani. Di solito mi complimento mentre si andrebbe da qualche parte con quello che sembra il più anziano, m’avvicino e lo guardo dritto in viso con fiducia sotto di lui per farmi notare e scalpito e sorrido per mostrargli la mia stima e allora questi mi dona una carezza o una moina con simpatia di liceità a essere me stesso e io sono felice, mi lascio andare. Ieri sera quando il nonno-papà-di-mamma è venuto da Mantova per la festa che ogni tanto facciamo in famiglia per la via mi sarò avvicinato a cinque pizzerie, “Non vedrei l’ora di entrare: sbrigatevi!” E tiravo, tiravo. Poi siamo arrivati e abbiamo cenato. Pezzetti di carne, camerieri coccoloni, osti simpatici. Spazi nuovi, crocchette da masticare. Un osso preso di proposito per farmi stare sdraiato. Sono queste le rare occasioni in cui posso far caso a come sia il vero mondo lontano da casa. Di solito le passeggiate mi piacciono, ma sono fatte per una routine tranquillona. Così appena sono arrivato a casa ero stressato da stimoli e novità e sono caduto in un sonno così profondo quasi subito che Alfredo era sbalordito. “Dorme a quest’ora? Non fa il casinista? Archie… piccolo, ma cosa sarà questa storia!” Adesso mi vogliono più vivace, incredibile!

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Stamattina camminavo per quel sentiero dove non passano mai tanti cani, sfortunatamente, tutto ombreggiato per via degli alberi che formano come una cupolona su su, in alto quando alzo gli occhi al cielo e sembra una nube tutta bucherellata oltre le cui fessure sarebbe possibile intravvedere degli spiragli di luce, a volte di sole. Ho visto cadere qualcosa che volteggiava, così mi sono scansato e ho osservato quel misterioso velo leggermente rigido e dalla forma rigida ma sottile fin sul mio naso. Alfredo dice che ho il naso grande. Infatti ho un grande fiuto. Un fiuto sopraffino, come dico spesso. E l’ho annusato. Sapeva di vecchio. Non mi sono fidato troppo. Ho ripreso la marcia a ritmo sostenuto che abbiamo sempre ma qualcosa mi diceva che sarebbe ricapitato. E infatti mi è caduta una di quelle strane sfogliatine sulla testa! Ho fatto uno scatto di lato per lo spavento – io ho paura anche della mia ombra, non sono un cane aggressivo – e ho colpito gli stinchi di mamma. Lei mi ha accarezzato rassicurante, anche se aveva detto “Ahia…” Ma i miei piedi anche quando abbiamo ricominciato la nostra passeggiata nel vialetto scrocchiavano insistentemente su qualcosa senza che potessi farci nulla, così mi sono fermato e ho guardato sotto di me. “Amore mio… sono solo foglie!” Ha ridacchiato mamma. E io le ho sorriso e mi sono messo a correre fino all’incrocio con il marciapiede laddove proseguendo verso destra si arriva fino alla nostra casetta, poco distante, mentre tutto faceva cric-croc come le patatine nelle fauci degli umani. Ma da dove vengono? Perché cadono? Non dovrebbero rimanere sempre al loro posto, verdi, sugli alberi? Mamma mi ha scattato la foto mentre annusavo queste strane e secche creature, le foglie, che profumerebbero di vecchio. Non mi piacciono. Ho provato anche a mangiarle. Niente. E’ la prima domenica della seconda parte del mese di Agosto. Qualcosa sta accadendo e non so se mi va. 

“Grazie al Cielo! Giovedì comincerà il periodo fresco.” Ho anticipato mamma di qualche secondo trascinando il guinzaglio con me con la lingua di fuori dopo la scalinata al piano fino al salottino dove la sera è tanto bello prendere le coccole dei miei genitori sul divano in mezzo a loro, se sono abbastanza fortunato e me lo permettono. Che venga fresco sembra una buona notizia, penso. Alfredo sul divano ha sbadigliato, era appena sveglio: “Le previsioni non ci prendono mai.” D’oh!

Non accade tutte le sere che sia possibile prendere le coccole spaparanzato sul divano tra i miei genitori. Ma ieri avevo anche la pallina in bocca. Quella che suona e che Alfredo odia perché non lo so. Mamma sostiene che il motivo sia che quando dorme lo farebbe svegliare. Quando lanciavo la pallina giù dal divano la mamma me la raccoglieva, rideva paziente e me la rimetteva in bocca. Io la mordevo felice. Produceva il suo suono, cadeva, mamma me la riconsegnava, rideva, io ero felice. Intanto mi coccolavano tutti e due. Mio padre mi faceva i complimenti. E intanto mi ha fatto anche il solito video.

A volte non vogliono che salga sul divano, questo anche se io mi piazzerei laddove c’è già la buca personale che mi sono scavato da solo! Con tutto l’impegno che ci ho messo, incredibile. Questi genitori, come si comportano alle volte… davvero male. Ho tolto i pezzi di gomma piuma, divelto il pezzo di ferro. La classica buca. I bambini ricevono complimenti per i loro disegni del cazzo, noi cani neanche se facciamo un’opera d’arte! Come se non fossi abbastanza educato. La mamma vuole sempre ammettermi nella buca, ma poi la copre costantemente per “bellezza se ci sono ospiti” con una coperta rossa che… prima era mia! Non avranno soldi nemmeno per acquistarne altre. Ladruncoli. Tuttavia mamma saranno già tre mesi che al mattino esce e mi lascia tutta la mattina a dormire a casa accanto ad Alfredo. 

Insomma, al momento delle coccole della sera con la storia che non sarebbe autoritaria Alfredo si prende tutta la metà migliore del divano e io vado a finire sulla poltrona. Prendo le coccole con tutta la sensibilità di cui sono capace e me le godo a più non posso, respirando ogni istante di pura emozione se capita: pochi minuti dopo infatti mamma e papà usciranno adesso che è estate, dicono, e andranno al Circolo Mazzini. Mi affaccio ogni tanto allora sul balcone che dà sul nostro garage e li vedo salutarmi mentre prendono la bici. Anche se questo non accade tutte le sere. Mamma non sarà autoritaria, ma è molto precisina sulla mia sicurezza. Non vuole mai che la porta finestra del balcone rimanga aperta. Anche se non l’ha mai detto, credo che quell’altezza vertiginosa di tre piani potrebbe essere pericolosa per me. Infatti ho mangiato in passato e divelto tutta la reticola che metteva al riparo me e il famoso Ficus.

Ma quando passerà l’estate mamma e papà non andranno più al Circolo Mazzini? Potrebbe essere che rimarranno a casa… Ciò potrebbe significare solo una cosa vera per me: molte più coccole sul divano davanti alla televisione. Viva!

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Quest’oggi mi sono alzato tranquillamente. C’era già abbastanza luce e calore. Ho trotterellato dopo essermi scrollato e sgranchito ben bene fino al lato del lettone dove dorme mamma. Le mie zampe emettevano il solito ticchettio sul pavimento. Le ho leccato l’alluce per svegliarla delicatamente. Lei ha aperto un occhietto e mi ha sfiorato il nasino. Ha sempre timore di farmi del male al naso, il mio ottimo naso. Ha le unghie anche lei come noi cani. Così, avvertendo la sensazione umida e tenera del nasone ha ritirato le dita immediatamente e s’è accorta che forse avrebbe potuto essere tardi. Ma non doveva andare a lavorare. Così l’ho lasciata dormire un altro quarto d’ora d’orologio e sono tornato da lei. Questa volta le ho proposto tutto il muso appoggiato sul materasso, altezza faccia, occhi negli occhi. Lei mi ha accarezzato la testa e piano piano ha deciso di sollevarsi. Era rigida come un palo. Aveva dormito poco e male. La sera precedente ne avevo combinata una delle mie io. 

Adesso che mi sono appena ricordato tutto, potrei raccontare quello che avrei da dire. Ma mi sarebbe utile a capire bene che cosa potrebbe essere effettivamente accaduto poter andare un po’ a ritroso. La verità? Non so nemmeno io cosa sia accaduto veramente! Uno sfacelo ieri sera… per cosa? Non si saprebbe ancora. Proverò a unire tutti i puntini di questo disegno e vedere cosa ne verrebbe fuori…

I miei genitori cercavano ansiosamente qualcosa. Alfredo dapprima ha spalancato l’armadio. Ha detto a mamma di evitare di cercare alcunché. Lei non trova mai niente, neanche di mio. E’ detestabile ed ha ragione Alfredo. Se ne è andata in soggiorno. Io l’avevo preceduta nel punto più lontano della casa, nel cucinino. Abbiamo cominciato ad avvicinarci insieme pieni di curiosità al frigorifero: fame nervosa, credo. Il misterioso comportamento di Alfredo ci metteva della famenervosa. Io rizzavo le orecchie per sentire se fosse stato possibile udire alcunché dal lato della casa opposto, dal quale provenivano dei tonfi. Che ne so, un’esultazione. Un richiamo familiare a tornare al nostro posto davanti alla televisione. Ma a malapena si sentiva rovistare dentro buste di ogni tipo e il rumore di zaini che si aprivano e chiudevano. Ci siamo guardati l’un l’altra e abbiamo continuato a mangiare dubbiosi. Poi un canchero colossale. Alfredo è uscito di casa. Si vede che in questi giorni dovevo aver preso inavvertitamente qualcosa di essenziale che apparteneva ad Alfredo e potrei averlo perso da qualche parte.

Ormai capisco quando sono stato io: ad esempio,quando come ieri sera silenzioso invece di tornare sorridente con in mano il pennuto, la preda, l’oggetto tanto ricercato, insomma, invece, Alfredo esce deluso di casa senza dire nemmeno una parola sola. Così come lui doveva essere, cioè triste, mi sono fatto triste anch’io. Per solidarietà. Com’è triste la sensazione di aver perso qualcosa di caro! Se avessi davanti un fagiano io e non potessi correre a prenderlo, potrei sentirmi perduto per sempre. 

Ed ho capito che aveva pensato male pure di me. Il suo cagnolino obbediente, carino, affettuoso, adorabile. Per chi, dunque? Per chi sarei io dunque il figlio così fiero di poter essere chiamato tale? Tutto tempo buttato via inutilmente, allora, quello speso a conquistare le attenzioni del mio papà? Mi sono steso fermo immobile con il mento sulle zampe rivolto al cucinino in soggiorno, ma avevo gli occhi aperti. Un comportamento stranamente diverso da parte mia da quello che avevo avuto fino a ieri. Solitamente, passiamo la sera felici a scambiarci le coccole sul divano oppure scodinzolo allegro per casa e chiedo di uscire.

La mamma non sapeva cosa fare a quel punto. Era perplessa. Se Alfredo se la fosse presa con me non avrei comunque mai potuto capire che cosa avessi preso che non avrei dovuto. E visto che continuavo a farmi quella domanda, (“Che cosa avrò preso di suo?”) mi sentivo sempre più triste. E mentre me ne stavo lì, sdraiato in quel punto tra il balcone e il cucinino, non volevo neanche accettare le coccole che la mamma mi faceva per rasserenarmi. E’ vero dire che ho proprio un cuore triste grandissimo. Alfredo non mi avrebbe fatto sentire in colpa. Ma io ero ancora più triste. Avrei preferito mille volte sapere quello che aveva cercato fino a un momento prima. Come avrei voluto! L’avrei cercato per tutta la casa e gliel’avrei messo tra le mani, come un vero cane da caccia addestrato! Sarebbe bastata una… sua parola per sapere quale fosse l’oggetto del mistero... E anche se conosco bene l’italiano, lui ora se n’era andato e non avevo udito nulla dalla sua bocca quale spiegazione. Che peccato non poter ammettere di conoscere l’italiano davanti a tutti! Come vi ho già spiegato, questo è un segreto molto intimo di noi cani. Noi capiamo ogni parola degli umani.

Così, proprio per lo stesso motivo (che conosco l’italiano, cioè,) ora non ero nemmeno certo che Alfredo deluso com’era sarebbe tornato più a casa con noi. Se tanto mi avesse dato tanto, come si suol dire, sarebbe stato naturale pensarlo. Ma non aveva l’aria così dispiaciuta! 

Mamma aveva rinunciato a coccolarmi. Ero inconsolabile. Ma furba com’è, s’era messa a cercare ancora tra le fessure dei mobili. E anche se la ricerca si sarebbe conclusa poi con un bel niente, comunque avevo capito che di sicuro una verità è che noi cani pensiamo che sia tutto buono. Non sappiamo se qualcosa non va bene. Se prendiamo un gingillo, questo va bene? Non lo sappiamo. E amiamo imparare ciò che è bene e distinguere con ciò che non va bene. Se capita che veniamo redarguiti, è bene che accada con buone maniere, rispettose dell’innata buona volontà canina sempre.

Ed Alfredo è tornato e anche se il suo sorriso era spento a me è rimasto quel dubbio su cosa avessi fatto ma ha detto comunque una parola buona di affetto a tutti e due che lo aspettavamo così. E ci siamo abbracciati.

*

La mamma ha ceduto sulle due mandate di chiave obbligatorie all’uscita e all’entrata di casa se io sono dentro. Miracolo! Adesso l’obbligo è di una sola mandata. Il motivo? Quando ero piccolo mi arrampicavo su con le zampette anteriori al momento della passeggiata. Manifestavo la mia gioia sgranchendomi così. Pilates contro il muro, a mio modo: la mia ginnastica preferita! E mamma si sarà domandata semmai sin da piccolo sia stato capace anche di svitare il chiavistello. Magari! Ma ci sarebbero ben altre novità di cui raccontare.

Ad esempio, nel corso di questi miei primi mesi il rito della pappa è cambiato parecchio. Al momento le cose stanno come segue: prima di tutto la mamma mi mostra il barattolino. Però è inodore. Allora io lo guardo e faccio tanto d’occhi, sorpreso, come volendo dire: “Beh, cosa sarà quella roba lì?” Allora la mamma piano piano fa un gesto un po’ teatrale e lo apre… E mentre si apre, questo fa il rumore di un guscio che viene via. Un rumore molto piacevole. Un rumore che prelude al momento in cui semplicemente potrò avvicinare il mio nasino. Infatti il naso in me è esattamente la prima cosa che viene attirata generalmente. E l’odore che si sente è buono normalmente. Pollo, fegato o manzo. I miei genitori hanno optato per delle buone scatolette che comprano all’Adi, quel discount dove vanno soprattutto i ragazzini. Io non posso entrare nei supermercati. Potrei svaligiarli. I miei genitori lo sanno perché vado ghiotto di tutti gli avanzi e quando si avvicina al frigorifero uno dei due, io mi infilo prima della mano ad annusare finché non mi fosse ceduto qualcosa. Un piccolo compromesso per andare via. Il formaggio è il mio avanzo preferito. Ma l’abbiamo diminuito molto recentemente.

Il sapore che preferisco è quello del manzo. Il pollo è da bambini. Il fegato non lo conosco bene. Sarà da cani anziani. Quando c’è il fegato faccio ancora un po’ di fatica ancora adesso. Ma in generale va molto bene l’appetito anche se da piccolo facevo fatica a mangiare e ho messo su dei chili. 

Tornando al rito della pappa, quando la scatoletta si sarà aperta, mi sarò avvicinato prontamente e, disposto prima il naso a pregustarne il sapore, avrò cominciato a dare qualche leccottino alla carne. Ma la mamma non vorrà che mi soffermi troppo in quell’atto! “Alt! La scatoletta – dirà – potrebbe far fare alla povera linguina la sorte che tocca alle dita di un bimbo a contatto con la carta. È tagliente!” Così, per evitare ogni danno, la mamma avrà tolto il coperchio alla confezione, lo avrà buttato via e mi avrà impedito di andare alla superficie della confezione a mangiare e soprattutto avrà sfoderato immediatamente il mio cucchiaio dedicato in metallo, che brilla. Deve essere molto brava in quel momento: tenere in mano la scatoletta, posare la ciotola e maneggiare il cucchiaione non può mai essere semplice, soprattutto quando io fossi affamato come un vero lupo! 

La mamma-tuttofare in quel momento avrà già predisposto senza neanche che me ne fossi accorto io una prima porzione, versata direttamente dal barattolo di… carne alla ciotola! La mia ciotola? Una terrina da forno rossa con i pois bianchi… E vai col manzo! Roba da leccarsi i baffi! A quel punto leccherò un po’ il cucchiaio e me ne andrò. Allora la mamma si nasconderà nel cucinino. Io mentre lei non mi avrà visto mi sarò avvicinato al piattino e avrò mangiato. Sono un po’ timido. Ma con la mamma non ho segreti. Allora mamma avrà già fatto ritorno e finito quel primo assaggio, nella ciotolona verserà il resto del contenuto gustoso. E poiché mangio con voracità, mamma prima che io abbia cominciato la seconda portata a base di carne ecco che avrà già spostato contro il muro la ciotola affinché possa rimanere ferma – è fatta! Allorquando l’avessi mangiata tutta mi complimenterei con la mamma e lei mi farebbe le coccole.Ma nelle ore calde è molto difficile mangiare. Se non avessi mangiato la porzione la mamma la metterebbe subito nel frigorifero. Ma la pappa fredda mi convince di meno, anche d’estate. Mamma ci spera sempre che mi vada giù. Ma non si potrebbe immaginare quante porzioni sarebbero andate a finire buttate. Per questo motivo, non sai quanti cancheri

*

L’estate sarebbe andata in mille pezzi. I suoi pezzi avrebbero cominciato a piovere dal cielo come gocce. Devono aver messo una bomba su da qualche parte in Paradiso. Ho sentito un rumore deciso provenire da lontano. Un rombo. La mamma ha detto: “Si è rotta l’estate!” E si è portata una mano alla bocca, facendo tanto d’occhi e non poteva scollare gli occhi dall’orizzonte. “Piove, finalmente!” Finalmente? Un cazzo! Si ricomincerà con la storia degli impermeabili. E dei raffreddori. Sì, ma non quelli da due giorni chiusi in casuccia con i famigliari che tanto sono in vacanza. Quelli… pesanti. Con il naso chiuso, la bocca aperta, le notti insonni e il termometro su per il sederino, la veterinaria che irrompe in casa. E diremo addio alle mosche, porca vacca… Mi piaceva cacciarle! I merli… migreranno. Quanti cancheri! Sono felice solo per una cosa: i bambini tornano a scuola. Così si levano un po’ dalle scatole. E’ quello che si meritano i miei diretti rivali.

Insomma, la mamma ispirata dal clima piovoso ha improvvisato il primo piatto invernale della stagione. Già. Se proprio volessimo giudicare il suo tempismo, con l’anticipo di tre mesi dall’inizio dell’inverno, effettivamente questo si potrebbe paragonare a una sola cosa, così romantica, ma così romantica che mi vengono già i lacrimoni. Gli adolescenti che si prendono il raffreddore per indossare la prima t-shirt alla moda ai primi cenni di primavera. La mamma soffrirà di crisi adolescenziali? Avrà nostalgia dei bei tempi del Liceo. Bingo! Proprio così. Presto detto: ha cucinato un taco! “Mi ricorda così tanto le merende che facevo alle medie!” Adesso sì che si spiega la tendenza di mamma a ingrassare. 

Comunque, è venuto un capolavoro. Veramente io l’ho solo guardata cucinarlo. E poi mangiarlo. Ho fatto in tempo a rendermi conto che stavano mangiando a tavola il mio taco prelibato che ero ancora intento a sognarlo con la lingua di fuori a sei metri di distanza!

Mentre la mamma cucinava era tutta intenta a creare e io andavo così fiero di lei mentre si spandeva il profumino di cucinato davanti a tutti i passanti e i condomini! Così, per l’invidia di tutti. Tanto che mamma si sarà bruciata con la padella almeno quindici volte, le ho contate. Infatti doveva pensare alla padella che non la bruciasse, al mangiare che cuocesse correttamente e anche a me che non abbaiassi come un cucciolo di sei mesi a tutti i passanti invitandoli a merenda. Penserete: un taco a merenda? Pesantuccio. Questo secondo voi. Per il mio stomaco, questo ed altro!

Non ragù, non dei fagioli all’uccelletta. Un taco! Comunque, è stata eccezionale. E mentre le sue mani pulivano i peperoni (leggeri leggeri) e si inventava il nome del piatto (“Archie, che cosa ne pensi di questo kebab?”) Mah. Sembrerebbe più una peperonata così, a prima vista… le ho detto io con gli occhi. E lei ha inveito. Ti sei tagliata un dito? Le ho leccato il dito. “No, non è niente. Ho della mozzarella.” Dammela. Niente, è finita sul taco. 

Affettato di rosso e di giallo e di verde il mix verduroso friggeva insieme alla cipolla e io mi stimavo in balcone ancora per quell’exploit improvviso del taglio della mozzarella, anche se non odorava bene come il peperone. Sono arrivati tutti i cani del vicinato a sentire gli odori. Li ho mandati a quel paese e sono entrato con una mossa stimolina del sederino. Saranno stati mesi che tra una lite e l’altra mamma non si metteva davvero ai fornelli come sa fare lei davvero! Incredibile… E che ti fai e che ti disfa ecco che mamma ha appena sfornato un succulento piadinone su cui poggia il ripieno verduroso e formaggico! Alfredo sentendo il richiamo del profumino dal salotto è arrivato in punta di piedi e si è infilato in cucina. Mamma gli ha servito il piatto. “Ma che roba sarebbe?” “Un taco, ovviamente! Cucina messicana purissima.” Alfredo ha deglutito. “Lo mangerò dopo.” E’ fissato con la dieta. E’ l’unica spiegazione. Oppure era troppo tempo che mamma non cucinava e non è più abituato a mangiare bene. Io mi rifacevo gli occhi che intanto brillavano nell’ombra e mi leccavo le labbra. E ora? Che fine farà il taco farcito leggero leggero per merenda? Adoro gli avanzi. Se fosse vero che sarebbe finito nel frigorifero, lo sapreste già.

20.08.2025

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“Archie… andiamo?” Avevo appena rizzato le orecchie al richiamo dell’aria aperta. E quando mamma chiama, si sa… Archie risponde. Fuori già l’aria pesante di Bologna con lo smog diffuso in ogni anfratto dove l’ossigeno latita ormai nel 2025 e al suo posto le polveri sottili preoccupano tutti si era fatta frizzante. Finalmente la pioggia aveva spazzato via l’inquinamento e al suo posto la terra era piacevolmente bagnata a calpestarsi con i polpastrelli pronti allo scatto. Allo scatto alla parola d’ordine! La parola d’ordine? Ma certo, per me è sempre stata: andiamo? Proferita in quel modo sfizioso. 

Mi sono messo a correre e volteggiare per tutta la casa lanciando e prendendo al volo tutti i miei giochi preferiti, sparsi sul pavimento. Così mamma mi ha rincorso dappertutto invano dapprima, guinzaglio alla mano. Mi piace prenderla per il naso così mentre lei mi segue e io le sfuggo soprattutto sopra il letto, laddove campeggia un lenzuolone bianco steso per permettermi di salirci sopra e intanto proteggere la superficie della trapunta buona. Quel lenzuolone sul letto a me va bene per un unico motivo: così posso zampettare, sporcarla e salire e scendere finché mi pare! 

E’ qui sul lettone che se lei si fa avanti, la superficie del materasso in base alle dimensioni è eccessiva per l’estensione delle braccia di mamma. Fa così fatica se io mi tiro indietro di poco che deve fare il giro del letto. E quando lei lo fa, io faccio un balzo, il letto sobbalza ed io mi ritrovo dalla parte opposta del diametro. Lei prova una seconda volta ad afferrarmi. Insomma avanti così anche per interi minuti, tanto lei non può prendermi finché sono su e mi sono già guadagnato il primo premietto. Per convincermi a scendere. Mi deve pregare di fare la passeggiata. Di fare i miei bisogni. E’ giusto che sia così, anche se Alfredo non sarebbe d’accordo.

Alfredo dice che mamma mi premierebbe troppo intanto. Ormai il rito della passeggiata comprende molti biscotti, sì. Alla fine del giro mamma mi dice grazie e mi paga con i biscotti per averla portata a spasso. Normale. Che c’è di strano? 

Quando fosse riuscita ad afferrarmi mamma io sarei già pronto davanti alla porta, dopo tutte quelle evoluzioni, calmo. Ci sarà chi potrebbe pensare che dopo tutti quei giochi io potrei essere già stanco ancor prima di cominciare. Ma no, non è vero. Archie è sempre pronto per una passeggiata, senza alcuna eccezione. E quando vuole passeggiare, guarda il guinzaglio. Ciò mi dà un senso di potere. Il fatto che con un cenno io possa avere la passeggiata quando voglio solo perché mi è venuta la cacca e il desiderio di farla all’aperto quando pochi mesi fa la facevo ancora sulla traversina è elettrizzante. E’ per questo motivo che sono così gioioso prima di uscire.

Mamma mi ha imbragato con la pettorina e il guinzaglio super-rinforzato anti-tiro-violento e siamo usciti, secondo il motto del giorno: “Andiamo a comprare le traversine!” Lo ammetto: la pipì ogni tanto mi scappa anche fra le mura domestiche. 

La prima parte della passeggiata è andata benone. Potevo tirare finché mi pareva. Mamma accelera l’andatura se tiro ormai. Ha quasi del tutto rinunciato a farmi rallentare. Al massimo dà qualche tirotto o frustatina con il guinzaglio con la vocina stridula prova a interloquire ma io la ignoro senza alcun rimpianto. Alfredo è più deciso. Con lui devo fare il buono. La mamma non ha autorità, sarebbe tempo sprecato educarla alla lentezza, così la educo alla velocità io – dal momento che posso scegliere…

La seconda parte della passeggiata invece è stata un po’ più complicata. Per mamma. E’ entrata nel negozio di animali e mentre stava cercando il bancomat nel marsupio io ho azzannato una prima pallina trovata nel mobile esterno dei giochi in sconto. In fondo erano scontati. Dai…

Mamma porta il marsupio perché sarebbe più comodo avere addosso tutto ma proprio tutto l’essenziale: biscotti e chiavi. Il resto che si porta abitualmente con sé potrebbe anche lasciarlo a casa: la bustina blu da cane maschio per la pupù e il telefono. Primo, con il telefono si fanno anche i video. Cosa che a me non piace. Secondo, il sacchetto della pupù proprio non lo capisco. 

C’era anche il periodo in cui portava con sé le sigarette. Ma ha smesso. Per motivi ovvi. Ce la vedreste mentre Archie tirasse con tutte le proprie forze per il suo divertimento nel mentre a sorbire boccate di fumo delicatamente? Archie-mamma 1-0. Occorrerebbe ricordare sempre: Archie fa sempre tutto a fin di bene. Se tiro, questo sarà per via di piccioni all’orizzonte, roba urgente da annusare sull’asfalto oppure mamma che non può fumare!

Insomma, mamma ha ordinato al negoziante di portarle il pacco di traversine più economico. Si sarebbe aspettata in arrivo un pacco semplice di dimensioni ridotte. Che ne so, traversine da dieci, quindici pezzi. Invece il signore distinto quando mamma ha alzato gli occhi sgomenti al suo volto aveva appena abbattuto pesantemente una confezione da sessanta traversine sul banco e la osservava con aria soddisfatta.

“Come sarebbe? Questo non è esattamente la richiesta che le avrei fatto io…”

“Si tratta della confezione risparmio.”

Io ho cominciato prontamente a incuriosirmi della confezione gigante e mi sono arrampicato sul banco e ho pesantemente appoggiato le due zampe là, a pochi centimetri da questa e mi sono allungato con il nasino per odorarlo con la lingua di fuori ma non sapeva di niente. Forse è un gioco, ho pensato. A casa lo farò a pezzi, molto bene. 

Insomma, mamma per quanto riguarda il trasporto eccezionale del mezzo antipipì avrebbe voluto forse che qualcuno l’aiutasse e si dimenava selvaggiamente sotto il peso della confezione maxi, sperando che qualche gentiluomo benintenzionato la notasse nel parcheggio pieno d’auto. Invece la urtavano tutti i passanti e lei, con l’andatura sbilenca, non ne poteva più. Io tiravo selvaggiamente, lei ondeggiava. Ma non mollava. 

Così, tira di qua tira di là, siamo arrivati a casa alle 7. E aveva fatto appena poco prima della passeggiata una corsa con Alfredo. Era più sudata che mai. Ci avremo messo due ore. Infatti altri cani circolavano per la strada e noi per evitare di incrociarli perché ormai sono un cane grande cambiavamo direzione. Sei chilometri di passeggiata, dal negozio a casa. Solo al ritorno. Che pacchia!

E quando mamma ha finalmente posato le traversine in soggiorno, come prima cosa è andata in bagno. Quando è tornata erano distrutte. Ha gridato. Mi sono chiesto come mai. In fondo, avrebbe dovuto esultare per un gioco che mi è piaciuto così tanto al punto di farlo in mille pezzi per lei. Avrebbe capito anche un bambino che tanto quelle traversine a lei non piacevano!

21.08.2025

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Io e la mamma eravamo felici come due pasque e siamo arrivati al parco abbastanza grande del Fossolo 2, con la galleria del supermercato con il pavimento profumato di carne dove passano i fornitori del Conad del reparto gastronomia dove fare la sfilata. In questo parco è più divertente perché c’è il digestivo da sgranocchiare. Ma come? Potreste domandare. E, in effetti, è molto bizzarro in una città come Bologna poter veder saltellare le lepri. Ma di fatto è così. Festa per un cane da caccia come me!

Non ne ho mai vista una, ma il mio fiuto là, nel parco abbastanza grande del Fossolo 2, mi dice spesso che potrebbe essercene una da scovare proprio non poco distante a due passi da me. Gli indizi sono sempre più numerosi. Primi fra tutti, dei pallini. I digestivi da sgranocchiare. E’ così che le mamme di cani simpaticamente chiamano gli escrementi dei leprotti. E poi ridono. Forse perché lo saprebbero tutti, anche le mamme: sono buonissimi! Le lepri si cibano infatti di erbe aromatiche e tutti i cani vanno lì dopo aver pasteggiato a brucare il digestivo gli uni insieme agli altri. Perché non li mangiano anche le mamme?

Insomma, avevo la testa china a smangiucchiare nell’erba e stavo prendendo tra i denti uno di quegli ottimi pallini erbacei e aromatici. Mi apprestavo a sorbirne il sapore intenso, quando ho visto una cagnolina da caccia più grossa di me e con i lineamenti finissimi, color castano scuro, con il manto molto lucente. Pronti! Via, che andiamo… è scattato il gioco immediatamente da parte mia! E lei? Ci siamo piaciuti. Il suo nome? Bellissimo: Amalia. 

Il padrone subito notando il mio entusiasmo ha fatto una cosa di rara bellezza che è arrivata a mamma come un po’ inaspettata: nonostante fosse una cagnolina da caccia giovane, Amalia è stata slegata. Libera, ha cominciato a correre e provocarmi al gioco, come incitandomi a seguirla nel campo. Ma io ero al guinzaglio! E il padrone ha assunto un’aria che dal divertito è passato in pochi attimi al deluso. 

Interpretando la sua espressione mamma ha reagito nel modo più coglione: “Non posso slegarlo. Non tornerebbe!” 

“Perché?” 

“E’ un cane da caccia!” 

E il proprietario dal deluso è passato all’entusiasta ed ha esultato come Gastone della Disney davanti all’ennesimo colpo di fortuna. Si è limitato a ringalluzzire ed esclamare: “Anche il mio!” 

Che antipatico! Mamma si è fatta tutta scura e ho capito che stava per accadere qualcosa. Il mio cane da caccia non può correre libero in questo parco? Sarebbe stato insopportabile essere messa in dubbio nella sua bravura di educatrice. Così, era inutile ripetersi dentro frasi come: “Sta calma. Dopotutto ogni cane è diverso. Non sentirti in colpa verso Archie se non lo libererai mai in un parco. In fondo c’è l’area cani dove potrà correre…” La sua espressione livida d’invidia la rendeva trasparente agli occhi degli astanti che assistevano al gioco fra cani.

Mamma non poteva nascondere lo stupore per via dell’imbarazzo e discretamente mi intimava di non trattenermi troppo con Amalia ma era tutto inutile e l’altro proprietario continuava a ripetere: “Come sono fortunato!” Non c’è niente di peggio per una mamma felice: essere messa in ombra. Pur rispettando il mio desiderio di giocare, non avrebbe potuto continuare così a girare in tondo con me che tiravo il guinzaglio a mille all’ora nel tentativo di raggiungere Amalia. Ma non le importava veramente. Era triste perché sentiva che non era stata capace di farmi tutto il bene che avrebbe potuto eventualmente un’altra mamma. 

“Non fa niente. Sono solo il tuo primo cane. Sono un cane fortunato.” Avrei voluto dirle. 

“E poi ha solo dieci mesi!” Ha aggiunto mamma alla conversazione che intanto proseguiva tra mille pensieri dopo qualche minuto di sospensione in chissà quale luogo altrove dell’anima dove era rimasta assorta. E mentre Amalia saltellava a destra e sinistra e correva per tutto il campo io volevo correre con lei e avevo capito quello che si stavano scambiando i nostri umani. 

Perciò sempre in cerchio ho cominciato a tirare fortissimo. Questo per far capire a mamma che avrebbe potuto lasciarmi libero e sicuramente sarei tornato! Infatti non vedeva come ci tenevo? Avrei dimostrato di esserne capace! Ero convinto che sicuramente sarei tornato se mi avesse slegato mamma! Ma lei sembrava non capire il mio linguaggio racchiuso in quel gesto. O forse ha capito. In ogni caso, anziché slegarmi, triste ha pensato di salutare garbatamente ed andare al negozio di animali interno alla galleria del centro commerciale. Ma Amalia e il padrone hanno continuato la passeggiata proprio accanto a noi, diretti nello stesso luogo. 

Mamma che era rimasta piccata dalle esternazioni poco empatiche verso chi avrebbe un vero cane da caccia come me, per dispetto è entrata per prima lasciando la mia nuova amichetta con il proprietario fuori dal negozio ad aspettare. Se fossimo entrati insieme avremmo fatto un pandemonio con tutti i giocattoli scontati da azzannare alle vetrine e sugli scaffali gli ossi e le scatolette, i biscotti nelle buste. Però mamma non avrebbe voluto far aspettare troppo Amalia per rispetto per tutto il genere canino. Così quando è uscita le ha offerto un melino – così chiama i miei biscotti preferiti alla mela – e siamo tornati verso casa.

23.08.2025

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Continua la tragedia della pioggia di foglie secche sulle nostre case e non solo. Capita anche di peggio. Non cadono dal cielo solo pletore di foglie. Anche acqua! Pazzesco… Sarà l’incedere dell’Apocalisse? Quelle belle olivette che rispettavo tanto per il loro odore sospetto e l’aspetto apprezzabile e annusavo sempre in un punto preciso del terreno che ne era cosparso e le lasciavo lì con un sorriso sono state come spazzate via da una pioggia torrenziale. Le mie olivette! Dove sono? Avrei dovuto assaggiarne almeno una. Invece è andata così. Che tristezza! E’ sempre stato come se l’avessi saputo in fondo che mi avrebbero lasciato prima o poi. Saranno state inghiottite dal terreno. Ma che cosa dico? Questo è letteralmente impossibile… Qui a Bologna è tutto fatto d’asfalto! Potrebbero tutt’al più esserci passate delle auto sopra? In fondo – altra disdetta – stanno tutti rientrando dalle vacanze. Siamo infatti in prossimità dell’ultimo lunedì di agosto, che sarà domani. In più, i raffreddori a me, che ho il naso grande e il fiuto sopraffino, colpiscono proprio nell’orgoglio. Il punto più sensibile del cane da caccia per antonomasia preso di mira, accidenti! Starnutire in continuazione mi svilisce. Mi annienta. E non finisce qui! Stanotte mia mamma ha sognato il giorno di Natale. L’ha descritto ad Alfredo come un bellissimo giorno di sole. Io ascoltavo. Avevo nella testa un totoscommesse su come cavolo potrebbe essere il giorno di Natale, se con il sole o con la neve ed ecco che sento quella parola proibita: cuscinodiArchie. Una sola parola. Un tutt’uno con me. Sono gelosissimo del cuscino che ho battezzato mio sin dal primo giorno in questa casa, quando non ero ancora annoiato dalla vita. Mi ricorda i bei tempi. Pare che mia madre vorrebbe regalarmene uno nuovo. Il dubbio inquietante che mi ha colto di sorpresa mentre ero nel dormiveglia è: “E se lo sostituisse?” 

Non può essere vero. Maledizione! Lo farò a pezzi. Se ne pentirà. Ma se proprio ci fosse un lato positivo dell’arrivo dell’inverno, questo potrebbe essere solo uno. Uno che io possa dire di conoscere. O… almeno: non lo conoscerei veramente bene. Almeno, non ancora. Ma mi piacerebbe. Moltissimo. 

Si tratta di quel difettuccio da poco di mamma che avrebbe già lasciato asfaltato ben benino chi saprebbe ricordarlo. La sua precocità insomma. Ha colpito ancora. Insomma, ha fatto il piatto più invernale della storia il 24 Agosto quest’anno. Ragù. Sì, è il ragù il lato positivo. Si deve sempre distinguere lei. E’ il classico spirito libero, praticamente. Si mette ancora la prima t-shirt dell’anno a primavera. E io? Godo! Con un piccolo ma. No, anzi. Non piccolo direi. Piccolissimo. Di più. Microscopico. Corpuscolare. Sì sì. Si sarà capito ormai: parlo proprio di quello. Del ragù. Già. Era corpuscolare il pezzo di ragù che ho mangiato. Ingiustizia!

I miei genitori adesso temono che io mi stia facendo troppo viziato per via delle portate che io chiamo corpuscolari, loro pantagrueliche. E’ naturale che un cane da caccia con il fiuto sopraffino e il palato che ha sia naturalmente attirato dai sapori gustosi. E voglia assaggiare portate sempre nuove. Così, per non disturbare i miei genitori dopo essermi ingegnato e aver imparato come aprire il frigorifero ho cominciato a servirmi da me da qualche tempo. Basta applicare la zampetta in fondo all’anta e fare leggermente leva verso di sé. Semplice. In questo modo i miei genitori avrebbero potuto avere una mansione in meno verso di me. Anzi, due. Scegliere il mangiare per me e servirmelo nella ciotola. Tutto tempo guadagnato. Ma è accaduto qualcosa di inaspettato. 

Un bel giorno ho tentato di accedere al frigorifero liberamente come al solito. Lo faranno tutti gli adulti, cani compresi, ho pensato. Sarebbe discriminante verso i cani se non fosse così. Ma il frigorifero non si apriva. Mamma mi osservava. Ci siamo scambiati degli sguardi eloquenti. Io ho indicato dentro il frigorifero sopra il frigorifero e fuori dalla finestra, esattamente quello che sarebbe il percorso del ragù che volevo dall’interno del congelatore fino al raffreddamento post cottura. Lascio sempre perdere di indicare i fornelli. Oltreché essere pericolosi per il mio dolce nasuccio, sono anche una perdita di tempo. Devo sempre aspettare minuti interminabili perché il mangiare si raffreddi infatti quando mamma scalda le portate. E io le voglio subito! 

Svelato il mistero. Mamma aveva riempito di nastro adesivo il frigorifero. Poi darebbero del goloso a me i malandrini! Vogliono tutto il frigo per sé! Dovreste vedere adesso mamma come si stima se entra con la borsa piena di viveri in casa fatta la spesa al discount e visto che avrebbe uno stipendio, alla… tenera età di trentotto annii! Sarò pure vizioso, ma voglio lo stipendio pure io! Goloso e avido, sì! E poi diciamoci la verità: la cipolla, l’aglio e il pomodoro nel ragù – cibi proitìbiti per i cani – sono sempre e solo la scusa per non far mangiare a noi cani il ragù. Altroché ricetta originale! Razzisti!

24.08.2025

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Non mangerò più la marca Cesare del supermercato. Mi ricorda il tizio che hanno assassinato alle Idi di marzo. E’ pure dozzinale, ma ciò che conta è che non voglio mica fare quella fine, povero me! E dal conto mio, ne sono sicuro… Arcisicuro, anzi: la mamma congiura contro di me. Ad esempio, visto che adesso io che sono cresciuto e la mamma ha voluto lasciarmi tutto d’un pezzo come mamma m’ha fatto… mi sento abbastanza fiero del risultato e sì, posso permettermelo dall’alto dei miei 25 chili di puro cane da caccia incrociato con un labrador. Insomma, così è. Ho deciso. E ai cani maschi posso abbaiare finché mi pare! Invece, mia mamma… non la posso sopportare. Per adesso è solo un sospetto. Non si è fatta ancora scoprire del tutto. Ma una volta l’ho sentita io congiurare! Potrei scommetterci che lo fa. L’avevo detto che era una falsona! Mi sono voltato mentre facevo la posta a un cane tutto appiattito sul marciapiede e lo fissavo. Sai lei che stava facendo? Un cenno. Al padrone del cane. Di smammare. Lui si è allontanato addirittura portando via il mio bersaglio! E che cenno. Faceva il segno del coltello alla gola e si passava la mano sul collo con un’espressione allarmata. Con me ha chiuso per sempre. Ho dieci mesi! Che cosa si aspetterebbe da me? Un po’ di vita, via…

E c’è un’altro punto degno di menzione quest’oggi. Più grave. Sì. Perché anche oggi siamo arrivati all’area cani con due ore di anticipo. Mi sono detto: dov’è la festa? Ma la sorpresa più amara era in agguato. Niente cani, niente festa. E visto che lo fa a ripetizione, non è un caso. Mi porta all’area cani sempre agli orari più improbabili quando non ci sono ancora i miei amici. Intendo dire i cani. E’ chiaro, quello che ha in mente. Ha paura di Diamond. Io gli porto via sempre l’osso dalla bocca. Recentemente è stato detto che siano stati morsi alcuni cani lì. Ma non può essere stato Diamond. Diamond è buono. Lo dicono tutti. Mamma non lo sopporta solo perché si avvicina troppo quando gli porto via l’osso gigante che ha. Ma mi sta sul cavolo Diamond. Ha tutto, quel cane. Mi ispira una certa gelosia. Prima di tutto, ha dei padroni davvero toghi. Lei fa la poliziotta. Solo perché Diamond è un dobermann adulto ciò non vuol dire che io non possa prenderlo per i fondelli, prendendomi il suo osso e provocandolo come faccio con tutti gli altri cani perché so correre veloce, che male ci sarà? Così non so perché ma quando c’è Diamond mamma mi porta via. Entra e esce insicura dall’area cani e anche quando c’è Sheila, la mia fidanzata, posso rimanere a malapena qualche minuto con lei e poi mi trascina via a forza. C’è sempre Diamond tra i piedi. Lo detesto! La mamma non mi capisce. Non è un cane. Non può sapere cosa si prova a portare in giro per tutta l’area cani l’osso di un dobermann in modo provocatorio! Dice che sono solo un cucciolo. Ma quale cucciolo, ho ben dieci mesi! Ho due cifre come tutti i cani all’anagrafe canina!

E non è finita qui. La mamma ha cambiato stile di passeggiata. Non è più la stessa. Porterà in giro un altro cane. Ma sai la novità? Anche Alfredo questa volta porta in giro il cane nuovo. Puzzano entrambi di cane maschio al loro ritorno. E non sono io. Faranno le passeggiate romantiche insieme a un altro cane? Bene. Se credono che io sia geloso, hanno ragione. A tavola li ho sentiti parlare. Insistevano nel pronunciare quel nome. Pepe. Come potrei dimenticarlo? Bocconcini, dicevano. Bene. Farà i conti con il sottoscritto, prima o poi. Se lo incontro, me lo mangio vivo!

26.08.2025

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“È stato lui!” 

“No, lei!” Due bambini, mamma e papà! 

Siamo all’area cani, all’asilo? Avrei voluto gridare forte. Poi ho scoperto il motivo della lite. L’ho udito con le mie stesse orecchie a penzoloni. 

Sembrerebbe che papà non appena sono arrivato a casa volesse darmi al canile perché non riusciva più a dormire. E mamma avrebbe detto di sì! 

“Archie, io…” mi ha guardato con dei lucciconi… “stavo solo bluffando!” 

Non sai dire niente di meglio? Ho abbaiato anch’io, così, nella confusione generale. 

E adesso si contendevano il primato: “Se non fosse per me, Archie sarebbe andato al canile!” Diceva Alfredo.

“Io non l’avrei mai permesso!” Rispondeva mamma. E via che si sarebbero accapigliati per intere ore. 

Tutto questo mentre io avevo l’orticaria. E così la mamma ha preso un brutto voto dalla veterinaria. La ruota gira: si vede che è il Karma. Voti pesanti alla leggera, per giunta. 

E infatti io l’avevo capito: quella veterinaria che ha aperto la porta del Pronto soccorso notturno per cani non ci sapeva fare. Appena ha spalancato la porta non mi ha sorriso. Era ferma e fredda. Mi sono spaventato. Ho cominciato a fuggire ma il guinzaglio mi ha ricordato di essere imbragato come sempre saldamente nella pettorina blu che amo tanto. 

“E’ Archie. Il mio cagnolino avrebbe una zecca. Non sarebbe mia intenzione recar disturbo a quest’ora, ma domani devo proprio partire per un impegno familiare a Modena. Le zecche vanno tolte subite.” 

“Ha fatto bene.” 

Mamma è entrata con me recalcitrante al seguito e si udiva il rumore sordo di un’aspirapolvere e intravvedeva l’ombra di un uomo che la seguiva, oltre la porta a vetri oscurata leggermente, oltre la reception. La dottoressa, giovanissima, presumibilmente appena laureata, si è allontanata e ci ha lasciati soli. A me quel posto non piaceva sin dall’inizio. Ero sempre più agitato. E avevo ragione di esserlo.

Siamo così entrati in un piccolo ambulatorio con le mura in cartongesso. Lo so perché mamma era china a rassicurarmi e accarezzarmi accanto alla parete, contro la quale si è appoggiata con una mano per sorreggersi e notando il cartongesso questo le ha ricordato un altro ambulatorio, quello dove portava in visita le sue tartarughe. Pace all’anima loro! Sono tutte morte per un brutto incidente all’acquario, che surriscaldandosi ne ha fatto brodaglia.

A quel punto saranno state già le 11 serali che il medico donna non tornava più. Mamma era in apprensione per Alfredo, in auto ad attenderci da molti minuti, ma soprattutto perché le zecche vanno tolte prima possibile. 

“Anche un solo minuto potrebbe fare la differenza!” Pensava tra sé e sé e si irritava sempre di più, mentre tendeva l’orecchio ad ascoltare la conversazione che la dottoressa stava intrattenendo. Stupefatta, mamma non aveva potuto fare a meno di notare che stava chiacchierando. Con l’addetto all’aggeggio aspirante, l’aspirapolvere. Per bacco! In tutto questo io ero spaventato e un po’ agitato. 

Allora è entrata la signorina che mamma era già incavolata. 

“Scusi ma il mio compagno ci aspetta in auto da un po’.” L’ha apostrofata , facendo leva sull’età anagrafica, che la dotava naturalmente di un vantaggio in quanto a superiorità morale. Ma in modo inaspettato e impertinente la risposta secca è arrivata come una saetta: 

“Lo faccia entrare.” La ragazza aveva un tono di sfida. 

Mamma ha pensato che scherzasse. 

“No.” 

Non si erano piaciute: questo è tutto.

E la dottoressa ha continuato: “Che alimentazione ha il suo cane? Quanti anni ha?”

Empatia zero, penso. 

Infatti mamma a denti stretti: “Ha solo dieci mesi.” E con tutte le riserve di mezzo mondo in cuor suo a denti stretti rabbiosamente ha proferito la frase che le è costata la nottata in bianco: “Sull’alimentazione non mi sembra il caso di menzionare le marche che mangia il mio cucciolo.”

La visita è andata avanti con la dottoressa che pretendeva che mamma la aiutasse a tenermi per la pettorina pur di non ammettere di non essere brava nel suo lavoro. 

Ma mamma, che almeno sa di non essere un tipo autoritario e avere polso, al contrario di Alfredo, era reticente e non ne ha fatto mistero: “Mi scusi, ma le veterinarie da cui andiamo noi sono molto preparate oppure semplicemente Archie è un buon cane?” 

Solo dopo le resistenze da parte di tutti, con la dottoressa che aveva tutta l’aria di volerci congedare prima del tempo e tornare così a chiacchierare con l’addetto alle pulizie, mamma ha ceduto di qualche centimetro sulla propria posizione rigida e venendo giù da quella roccia irremovibile sulla quale si era inerpicata solo dopo che il medico donna era riuscito dopo molti tentativi a mettermi il termometro, lasciandomi più che perplesso, ha aggiunto: “Beh, ammetterò a questo punto in quanto alla sua alimentazione che mangia carne e crocchette. 400 grammi di manzo al mattino, al pomeriggio e la sera e crocchette a suo piacimento, mai troppe. Più avanzi vari dalla nostra prelibata tavola.”

Io sapevo come mai mamma aveva resistito alla domanda sull’alimentazione. In un primo momento, infatti, vista la pessima impressione non si era sentita abbastanza a proprio agio per aprirsi sulle sue condizioni economiche e ammettere che al cucciolo amato acquistava povere confezioni al discount. Alfredo sarebbe rimasto sorpreso per questo. Io infatti i Cesare d’elite li detesto… non cambierei mai le mie amate carni del discount, nemmeno per un solo Cesare! Ma la mamma si vergognava della propria condizione. Al contrario, penso che avrebbe non solo potuto, ma anche dovuto spiegare. Quale povera mamma che era, anche lei, tanto più in quanto povera, ancora, anche se lavoratrice, aveva convinto niente pupù di meno che Alfredo ad accompagnarla a quell’orario della notte di un giorno infrasettimanale e pur di togliere una piccola zecca a me… fare le ore piccole per me. Avrebbe dovuto andare ben fiera di sé! Avrebbe speso centinaia di euro firmando un’impegnativa che l’avrebbe obbligata a pagare il primo settembre. E il giorno dopo le nostre veterinarie avrebbero contestato la diagnosi, pure, con la prognosi e l’indicazione di eseguire un test dermatologico specialistico costoso!

Comunque, farei un passo indietro e tornerei al momento in cui siamo finalmente usciti dai locali dell’ambulatorio notturno dedicato agli animali come me e dopo aver fatto la pipì per dispetto in un angolino siamo tornati da Alfredo, che dopo quarantacinque minuti di attesa lanciava ancora più dei cancheri. Anche degli oggetti. E’ stato allora che proprio mentre mamma stava entrando in auto dopo aver caricato me nel sedile posteriore si è accorsa di essere inseguita e che non era ancora finita: quella dottoressa che si pensava tanto scaltra l’aveva rincorsa. 

“Il suo referto.” Ha ansimato, per via della corsa per l’auto in partenza. “Me ne ero dimenticata.” 

“Come si chiama, lei, dottoressa?” Si è informata mamma sibillina.

“Anna.” Si è congedata l’altra. 

L’auto è ripartita e siamo andati a casa. Mamma e Alfredo hanno litigato, io sono tornato a casa esausto, ma quando ancora era in macchina mamma ha letto il referto. Quella… frase. Proprio non le è andata giù. 

LA SIGNORA SI RIFIUTA DI OFFRIRE INFORMAZIONI DETTAGLIATE SULL’ALIMENTAZIONE DI ARCI

Intanto, il mio nome è Archie. Mannaggia a te e a tutti quelli come te. Ma soprattutto… mamma non è un’incantata. Ha capito che nonostante che fosse palese che io e mamma non abbiamo solo un rapporto speciale ma siamo anzi legatissimi e lei si prende cura di me nel modo più opportuno in assoluto, aveva dimostrato di avere una scorza dura – prima ancora che un pezzo di pane al posto del cuore. Così, ha capito mamma che quella signorina s’era pentita assai di aver scritto quella formuletta così problematica e non veritiera. E non avrebbe voluto nemmeno consegnare il referto, tanto grande sarebbe stato l’imbarazzo, la furba… proprio per questo motivo!

Mamma era rattristata e scandalizzata. Lo sapeva bene. In casi del genere occorre intervenire. Le informazioni veterinarie vengono trasmesse a tutto il distretto bolognese dei veterinari! Mamma ci tiene tanto a me e infatti la veterinaria si era accorta di quale cuore avesse verso di me. Com’era stato possibile? Mamma sa che certi errori costano cari. Con quale autorità! Contro una signora che ha vissuto traumi quali una figlia tolta in fasce! Ne è nata una tragedia.

“Quelli umani sono poi i cani. E i cosiddetti cani, quelli veri, camminano su due zampe e sono gli umani. Va tutto al contrario!” Inveiva con le lacrime di rabbia che le sono sgorgate due volte mentre se ne stava pensosa a letto in cerca di una soluzione. Non c’era nessuno che avrebbe potuto capirla, se non  Guglielmo. L’amico d’infanzia. E infatti le ha dato l’ispirazione.

“Quell’incompetente…” sussurrava mentre al computer non la finiva di scrivere qualcosa. Non avrebbe permesso a niente e nessuno che il suo cucciolo rimanesse deluso da lei. “Gratuitamente e per cattiveria.” Sibilava. “Non si può ignorare questa banalità!”

E ancora: “Prima Achille e i confronti fra cuccioli, poi questa incompetente. Archie mio. Archiolito.” Piangeva. “Povera me!”

Un altro duro colpo per lei, che aveva un rapporto speciale con me e l’unica cosa che avrebbe voluto senza tanto chiedere altrimenti sarebbe stato solo poterlo gridare al mondo intero così! Sono una brava mamma! Una mamma brava! 

E invece ci saranno sempre la cattiveria, l’invidia, mamma? 

Il problema è che se in un ruolo di responsabilità ci metti un cavallo, il regno va in rovina. Avrei voluto dirle questo. Invece se ci metti un cane va bene. Avrebbe  voluto dire lei.

E la mamma e il suo regno, cioè il suo cuore, era un rovina stanotte dopo la visita. Si stava accorgendo che non sarebbero bastate le proprie forze e forse un giorno se non avesse previsto tutto ma proprio tutto prima per il mio benessere avrebbe potuto scontrarsi con un nemico più forte di lei. Proprio la situazione che aveva già vissuto e le era costato tanto. Una figlia, già. Niente avrebbe impietosito la malattia, i pericoli, i nemici, il male, la morte, l’ignoto, i piccioni, chiamalo come ti pare, in tutte le sue sfaccettature. Nemmeno l’amore più candido e puro, quello che sgorgava tra di noi. Erano d’accordo tutti che mamma mi vuole bene. Ed era desolata ma non avrebbe saputo cosa farci e si sentiva immensamente sconfortata e impaurita dopo aver toccato con mano quel timore sacro di essere… Calpestata o sopraffatta o scavalcata, comunque messa da parte. Abusata, maltrattata. Trattata male. Si era sentita nuda, indifesa! Aveva le mani legate. Vendicarsi rigando la macchina della giovane incompetente? Sarebbe stata la conferma che avrebbe voluto ottenere. Al contrario, chinare il capo e immaginarsi mentre si tornasse al centro in cerca di consenso e addirittura chiedere scusa e essere gentile? Non se ne parla. La gentilezza a fronte del sopruso è un’ipotesi impossibile. Stava pianificando un modo per sottrarsi a quella sensazione di impotenza che le aveva provocato quella condanna, la sentenza, le parole “Si rifiuta” che tanto le avevano ricordato i ricoveri che aveva rifiutato facendole rivivere il trauma del trattamento sanitario. Si era accorta che la minaccia era vicina, in prossimità, in prospettiva, quelle parole ne avrebbero potuto essere il preludio. In campo sanitario era un asso di competenze. Prese così l’amara decisione di girare risolutamente al largo da quella clinica, lasciar passare tempo ed informarsi se esistesse un Garante per gli animali cui segnalare la dottoressa presentandosi come scrittrice. E spiegando l’accaduto a modo suo, commentando quel voto immeritato come una madre ferita farebbe, con un bel ricorso per lei. In questo modo avrebbe invertito il corso degli eventi e la prossima volta sarebbe stata più attenta. Per il bene di tutti.

E così mamma ha deciso anche di sottoscrivere un’assicurazione per me, come le avrebbe suggerito Guglielmo. Ma la mia non sarà di quelle mamme che se la prendono con gli insegnanti? Forza mamma! Brava!

E ciò che ne è venuto fuori è quanto segue: un esposto all’Ordine dei veterinari per condotta inadeguata.

28.08.2025

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La passeggiata di stasera è stata gigante. Come uno slalom! Per un attimo potrei aver vissuto la stessa intensa emozione di un cane da agility. Sono tutti tornati dalle vacanze, la città è piena di una confusione insolita da quando è cominciata l’estate. A giudicare dalle facce degli umani che osservo per strada da sotto in su mentre guardo il mondo intorno a me, nessuno avrebbe voglia di lavorare, ma tutti ci vanno. Proprio al momento di attraversare una via secondaria un’auto è sfrecciata un attimo prima che io prendessi l’iniziativa, non se ne sarebbe potuta accorgere nemmeno mamma. Pericolo scampato ma i pochi rimasti a Bologna ad agosto, come noi, avevano tutti sviluppato un’abitudine ad un numero di umani circolanti per le strade normale. Ma l’autunno porta con sé sorprese inaspettate ed eccitanti… Curve chicane, corse ad ostacoli tra gambe che camminano. Il guinzaglio che si impiglia su un ramo mentre dribblo un cestino e un angolo di muro. Che meravigliosa sensazione il ritmo frenetico della città che riprende vita! Un fermento eccezionale… Anche la luce è cambiata. Alle sei e mezza di sera le ombre si allungano sull’erba formando delle guglie che sembrano disegnare cattedrali altissime e io le annuso ma niente, sembra che non facciano odore. Dove saranno?

Io sono come una molla al guinzaglio. La mamma tira l’arco con tutte le sue energie, quando lascia il freno io scatto in avanti, lei diventa la freccia scagliata ancora più avanti di me e via così, a singhiozzo per tutta la passeggiata. La passeggiata di stasera si è inaugurata con una gran corsa giù per i tre piani, la pupù subito, in un posto nuovo, un signore ci si è avvicinato e ha salutato la mamma; questo ha detto che sono un cane aggressivo anche se non mi conosceva perché mi sono fatto avanti con un altro cane ed era dell’amica del signore, tale Cristina – mamma non si ricordava il nome di quel signore. Eravamo già in quattro a parlare. Poi siamo passati attraverso il parco accanto a casa ed era insolitamente pieno di bambini. Questi giocavano con una palla da tennis, che mi è caduta proprio accanto. L’ho presa e rubata. Mamma me l’ha chiesta dandomi in cambio dei biscotti e nell’imbarazzo l’ha riconsegnata con un lancio al di là del sentiero dove si facevano tutti i giochi dei bimbi, sulla ghiaia. Avrei voluto rincorrerla ma mamma mi ha tirato a sé e mi ha affiancato un monopattino. No. Ben due monopattini! Eccone un altro… due cani stavano litigando, ho messo il naso io tra i due e mamma mi ha tirato via, due uccelli, sei auto, sette auto in corsa di cui una con un’anziana che non si è fermata subito al semaforo mentre attraversavo io. Patratrack? Evitato! 

Che confusione! Sai che fare? Abbiamo cominciato per reazione a rifugiarci di negozio in negozio. Il mondo è decisamente sovrappopolato ora che è quasi settembre. Logico che si apra l’alternativa per eccellenza a tanto stress cittadino: lo shopping! Ed ecco che il primo regalo me l’ha scartato mamma davanti agli occhi che brillavano di una luce che conosce bene. Fame. A me il boccone appena acquistato!  

Ma non appena saremmo arrivati a casa, in compenso quando è tornato anche Alfredo dalla sua scappatella serale in compagnia con Pepe, ha scagliato un oggetto in camera da letto. La solita scarpa, presumo. Mi sono avviato a riprenderla. Ma lui non l’ha voluta indietro.

Il motivo della scarpa che ha sorvolato i mobili della camera da letto partendo dal soggiorno sarebbe che Pepe fa più visualizzazioni di Archie. Non mi è ancora andato giù il boccone. Mi è rimasto lì. Proprio in gola.

29.08.2025

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Un labrador libero: wow! Via, che si va… Stamattina la mole gigantesca del labrador in questione si stagliava in lontananza ed era possibile esaminarla controluce: che meraviglia… quasi una mucca e niente guinzaglio! Ma in agguato ecco che mamma dietro di me era subito sull’attenti e il guinzaglio, quello che ho sentito tirare al mio collo, ha decretato che fosse impossibile accedere a tutto quella pura zolla di divertimento alla western. Ma perché? Mentre mi voltavo per lanciare un’occhiataccia a mamma sobbalzando con il fiato corto per il contraccolpo dato dallo slancio verso il cane che, nel frattempo, mi aveva visto, ecco, è sbucato un tipo piuttosto losco, oltre l’angolo, un tipo che mamma non ha sùbito riconosciuto. E’ quello che parla sempre con il benzinaio, l’uomo più antipatico del mondo. Avrei voluto dirle ciò, ma visto che mamma comanda, non sarebbe stato possibile frenare la pena premurosa che aveva in corpo in quel momento per me, tanto che aveva già aperto bocca, senza nemmeno aver inquadrato bene il soggetto: “Ehilà! E’ un maschio, il mio…” Ha gridato. 

Aveva cercato di fare buona impressione su un buzzurro e se n’era appena accorta, perché l’ho vista mentre faceva una faccia schifata, roteando gli occhi nelle orbite, come a voler dire: “Nah… sei proprio tu. Quello del benzinaio.” E, se ricordate, il benzinaio è un signore poco socievole… 

Io la osservavo felice con la lingua a penzoloni in attesa che mi desse il via per assaltare il grande cane disponibile da rincorrere e prendere per i fondelli. Invece, la mamma è indietreggiata di qualche metro. Il signore sembrava averla riconosciuta subito e aveva un’espressione vendicativa. E’ l’amico del benzinaio, sì, mi ha risposto mamma con lo sguardo. Mamma è riuscita a tirarmi via a piccoli strattoni. 

Le scaramucce tra padroni non dovrebbero inficiare le scelte sulle amicizie tra cani. Ma dico io! Ha interrotto un’interazione che avrebbe potuto essere meravigliosa. Era stato tutto troppo bello. Quella mattina avevo interagito con molti cani maschi anche, già. Mamma era stata più rilassata del solito e se la sensibilità le diceva che avrei potuto avvicinarmi senza fare il grosso, me l’aveva permesso. Del resto sono solo i cani piccoli che non sopporto. Gli altri sono pane per i miei dentini!

Insomma, ci siamo infilati in fretta nel sentiero che al mattino ha quella cappa di foglie secche che cadono, come al solito. Dai, proprio quel sentiero, quello che percorriamo sempre e dove non passano mai tanti cani, come potrebbe ricordare qualcuno… E mi sono soffermato dopo qualche decina di metri a riflettere sui fatti appena accaduti e quanto stavo semplicemente facendo intanto era limitarmi ad annusare delle foglie tutto concentrato e in ascolto e mi stavo predisponendo a fare la pipì sopra quelle belle sfogliatine volanti che non sanno dove andare né stare al loro posto sugli alberi. E sento un tirone allo sterno. Mamma! 

Ci mettiamo a correre alla disperata. Avevo a malapena fatto in tempo ad udire un grido: “Potrebbe anche cambiare strada, visto che sarebbero maschi tutti e due!” Era mamma che a caratteri cubitali si appellava alla buona creanza davanti al buzzurro, che… con il suo labdrador ci aveva inseguiti! 

E il tale le avrebbe risposto: “Ma tu non sei normale! Io abito lì…” Ed ha indicato un luogo oltre le spalle di mamma, molto ravvicinato. Quella dell’uomo suonava come una rabbiosa preghiera e nel frattempo si faceva sotto. 

Mamma in quel momento ha ricordato che quando ero piccolo il benzinaio e lui le avevano ordinato di tirarmi con il guinzaglio perché lei era paziente e mi permetteva di rimanere minuti interi ad annusare il terreno accanto al distributore, proprio sotto casa nostra. Se ci fosse stato Alfredo a vedere quella scena che si ripeteva per la seconda volta quasi uguale: ora che l’uomo era di nuovo incarognito con mamma perché è dolce, si era ricordata di tutto… Anche che davanti a quello che era suonato come un ordine (“Ma tiralo, dai… è solo un cane!,”) lei aveva continuato imperterrita e farmi annusare tutto e aveva risposto così: “E’ il mio cucciolo. Io non lo tiro via!” 

A pochi passi da casa mamma mi teneva saldamente per il guinzaglio. Mi ero dilungato a mangiare erba presso l’angolino di un semaforo. Mi hanno insegnato bene infatti i miei genitori ad attendere il loro segnale prima di partire se ci sono le zebre a terra perché prima o poi le auto in corsa si fermano e tocca a noi. Molto spesso vedo che non passa nessuna auto e vorrei andare al di là delle strisce bianche e lo chiedo con gli occhi a mamma ma lei dice di no. Crede che un giorno potrei trovarmi da solo in questa situazione e comportarmi male, fuori dalla sua portata, come un bambino? Fa sempre gli scongiuri e sta per comprare il Gps online.

Eravamo reduci dall’incontro appena fatto con questo soggetto strambo che intanto avevamo cambiato strada e non era più nei paraggi e mamma lo sapeva bene perché dopo la gran corsa fatta per allontanarci da lui e il suo cane si guardava intorno ansiosamente e l’ha visto di sfuggita mentre entrava nel portone di casa sua. A quel punto attendevo fiducioso, fermo nella mia posizione, domandandomi che cosa stessimo aspettando a qualche metro dalla sbarra del pàtio di casa. Pensavo che sì, a settembre Bologna è proprio sovrappopolata, soprattutto di soggetti da circo.

Faceva un caldo… E c’era questo grosso furgone davanti a noi, immobile da qualche minuto. Mamma osservava qualcosa che si muoveva dentro al furgone, oltre il finestrino. Una donna. Guardava mamma. Mamma guardava lei. L’una non cedeva, sebbene sembrasse accorgersi della presenza altrui, l’altra nemmeno e non passava al di là del furgone. E mamma mi ha sussurrato a denti stretti: “Troppo vicina alla strada. Gli animali sono imprevedibili, accidenti, che sposti il sedere di questo furgone dal bel mezzo del marciapiede!” E continuava a fissare l’immensa massa del furgone bianco latte che non si muoveva.” Ma chi le ha messo in mente che il mondo girasse proprio intorno a noi due? “Io muovo il mio cucciolo solo in sicurezza.” Guardava il furgone, attendeva, i piedi piantati saldamente al suolo, guardava me: “Non sei un cucciolo comune.” 

Ho visto che dentro al furgone gigantesco con una scritta commerciale su un lato la donna era impegnata in un’animata conversazione con il suo arnese, il telefono. E non so come mai mamma si è avvicinata ed ha gridato, facendosi udire bene, anche dall’interlocutore: “E’ in una brutta posizione per i pedoni!” 

La donna ha alzato le mani, ha interrotto sorpresa la conversazione guardandola dritta in faccia e mamma è passata oltre con me al seguito, dietro al furgone, prestando attenzione alle auto. 

Mamma che fa la morale? Così sicura di sé… Non una, bensì due volte in un giorno solo! Dieci mesi con un cucciolo e mamma si atteggia già ad esperta di educazione oggi; il mondo è diverso oggi da quando sono nato io, tanto che quasi non posso crederci ancora.

31.08.2025

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Stasera Alfredo e mamma hanno avuto la bella idea di uscire con me. Ero eccitatissimo, tutta una coda che mulinava nell’aria come una frusta e colpiva ogni cosa che capitasse a tiro – abbiamo un corridoio particolarmente piccolo. Bom! Bom! Si sentivano i colpi fin giù in cortile. Tiravo su il popò e sì!, siamo andati all’area cani. Strano, perché ormai era sera e questo piacevole fuori programma proprio non avrei saputo aspettarmelo. Per tutta l’estate appena trascorsa eravamo sempre andati alle tre o alle quattro. Ormai invece il sole quest’oggi era basso sull’orizzonte. Qualcosa di strano ci sarebbe stato. 

Mentre tutti allegri in auto correvamo per la via Emilia in una direzione che non riconoscevo mentre guardavo dal finestrino pensavo e ripensavo e l’unico cane che avrebbe potuto essere stato capace di combinare questa congettura avrebbe potuto essere solo lui: Diamond. Avrebbe potuto essere solo di Diamond la colpa. Il dobermann aveva vinto sicuramente e così ora noi saremmo stati costretti a viaggiare verso altre mete per sempre, senza mai più poter vedere Sheila, né Khali, né Ares, né Thiago, né Leyla, né Bruno… né tutti i miei amici! Ho guaito. Mamma mi ha sorriso in modo rassicurante, mi sono messo a osservare meglio in lontananza dandomi un contegno da bravo-cane immediatamente ed ecco apparire l’area cani di via P., la seconda più vicina, quella dove eravamo andati più di rado negli ultimi tempi. 

Era molto strano ma mamma ci aveva salutato pochi minuti prima ed ora Alfredo ed io mentre ci avvicinavamo e facevamo sotto con fare vandalico verso l’entrata al cancellino vedevamo doppio od era proprio un dobermann, quello? Ho cominciato subito ad abbaiare da vero cane coraggioso e mi sono messo ad annusarne l’odore attraverso la reticola. Diamond era stranamente buono e giovane: non ero più sicuro che fosse lui. E non era lui… evviva!

Così saranno passati cinque minuti da quando avevamo cominciato a giocare assieme tranquilli che, sulla stradina che costeggia l’area cani di via P., ecco apparire… mamma, in compagnia di un cane! Il cane sembra rimanere deluso quando mi avvicina. Come meno… amato. Io sorrido, saltello, volteggio. Lui è anziano, non può. Facciamo amicizia o almeno conoscenza attraverso la reticola con mamma che anima la situazione e improvvisamente in modo del tutto naturale lei alza gli occhi e vede quello che le sembrava… Diamond. Un urlo le scappa di gola… Cavolo! Non ci voleva. 

Ma mamma… hai un altro cane? Mi sono chiesto. Ma quando mai? Mi ha risposto lei con lo sguardo.

Fortunatamente ora che non ero più geloso di quella mezza pipetta di Pepe che è un cagnetto poco vigoroso mi metto d’accordo con lui e quando gli ho fatto l’occhiolino lui ha accennato a proseguire la passeggiata e siccome avevo capito che era il turno di mamma di portarlo a spasso lei ha dovuto seguire Pepe e si è allontanata con lui oltre la curva che va nella direzione prima degli orti, poi dei Cedri. Costretta a farlo. Noi liberi di giocare a piacimento con Alfredo e la padroncina di Chester, il nuovo amico, che supervisionavano la scena.

Dieci minuti dopo la mamma era paonazza, ridendo l’abbiamo vista all’orizzonte trascinare Pepe verso l’area cani come se non volesse farsi notare troppo mentre con ampie falcate percorreva la stradicciola più velocemente che poteva, con Pepe che la seguiva stremato dalla passeggiata, poveretto. Sapevo quello che stava combinando. Lanciava delle occhiate sospettose verso il gemello di Diamond. Non la convincono i cani grandi (io detesto quelli piccoli) ma ormai avevamo fatto amicizia e giocavamo fortissimo. Era possibile che ci avesse spiato giocare per tutto il tempo o, almeno, sarebbe stato credibile pensare che avrebbe voluto farlo ma costretta dalla responsabilità verso Pepe, che nel frattempo non s’era mai sentito così poco considerato, è possibile che abbia passeggiato lì… nei paraggi, così, capitando per un caso di nuovo accanto all’area cani. Non per controllare che andasse tutto bene. Giusto per… dare un’occhiata, fare un saluto. Come no! Ansiosa… a dir poco! E di nuovo ci siamo salutati tutti noi dentro e fuori l’area cani. Scommetto che il mio complice Pepe potrebbe essersi preso così tante coccole di gratitudine per essere stato accondiscendente con mamma anche da cane anziano rispettabile come è e aver accettato di passare due volte dove non avrebbe voluto che la proprietaria sarà rimasta molto soddisfatta della prestazione di accompagnatrice di stasera. Pepe è un cane molto buono ma abitudinario. Pare che gli piacciano i giri dove solo lui sa.

31.08.2025

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Oggi Alfredo è tornato dal giro più lungo al supermercato che sappia ricordare. Ero felicissimo di vederlo! No, non per il motivo che potrebbe pensarsi. L’entusiasmo era per la spesa che sarebbe stato presumibile avesse fatto, lui non era il motivo reale! Fare le feste quando c’è il padrone… Quella è roba da cucciolotti. Io mangio come un leone, impazzisco per la roba che c’è nella borsa quando Alfredo fa il suo ingresso trionfale dopo tre piani di scale e la sua spalla lussata gli fa male tanto pesante è l’ingombro delle borse stracolme di leccornie! Beh, trionfale magari non sarà la parola giusta. Sofferta, diciamo. E la mamma ha estratto subito un cavolo di snack. Ma no, la roba seria mi interessa. Gli avanzi. I tocchetti di formaggio freschi ancora della stessa temperatura del frigorifero del supermercato rubati alla confezione intera, una fettina di mortadella appena insaccata… Mica la solita roba da cani poco elaborata trita e ritrita. I cani hanno medicine peggiori di quanto non siano quelle dedicate agli umani, mangiare peggiore dedicato. Qualità della vita peggiore. Per un motivo ovvio. Gli uomini sono egoisti e investono più sulla propria specie che non su quella canina. 

Alfredo è andato a dormire le solite due ore buone dopo quello sforzo immane. Finalmente! Ma no, di nuovo. Commettete sempre lo stesso errore, quello di credere che sia felice per le cose che pensate voi. Io sono un cane. Ho la mia mentalità. Il motivo per cui ero felice è perché secondo la nostra tabella di marcia settimanale quello è il momento. Sì! Quel momento… in cui mamma… cucina! E io aspetto. Nella posizione fantastica del bravo-cane che fa sempre sorridere Alfredo. Ma solo se mentre loro mangiano non mi mettessi ormai quasi sempre davanti al frigorifero, sotto al tavolo, presso il divano. Cioè sempre, ormai. 

E un tripudio di odorini si spandevano dalla cucina in tutto il vicinato e io sempre così stimolino come sono io al balcone a fare la mossa dell’oggi-sono-io-che-mangio-bene davanti a tutti i cani del quartiere che giravano lo sguardo verso di me e dall’invidia con la lingua di fuori passavano oltre. Cioccolato. Primo ingrediente della ricetta, riconosciuto subito. Cipolla, aglio, funghi. Era tutta una festa di odori e io insaziabile mi sentivo già pieno come un ingordo. La mamma e il papà si sono messi a tavola. Io sotto, con lo sguardo speranzoso e felice, ero tutta gioia nel cuore. 

Invece la mamma ha battuto il cucchiaino contro il bicchiere e come primissima cosa ha esclamato: “Alt! Alfredo… tutti cibi vietati per Archie.” Alfredo mi ha guardato dispiaciuto e bonario. 

Nemmeno un pezzetto? Io lo fisso con un disappunto nell’espressione che deve averlo lasciato per forza con qualche senso di colpa nell’animo, proprio come mi sentivo io quando gli avevo fatto sparire l’oggetto misterioso, che poi nemmeno sarebbe venuto più alla luce. Ma dove sarà finito, poi? Mah!

Comunque, dentro di me ho pensato che non avrebbe potuto più capitare un rammarico simile. Una cena completamente vietata a un cane, fatta di soli ingredienti vietati. Sarà una coincidenza. 

Ho visto che la mamma ha fatto la lista della spesa e sono ringalluzzito di nuovo. 

Questa volta Alfredo si sarà sentito così in colpa che compreranno un intero vagone di mangiare da umani solo per me e quando potrò ficcare il muso nel frigorifero di nuovo, frugherò e mangerò prelibatezze d’ogni tipo. 

Invece la mamma ha battuto il cucchiaino contro il bicchiere e come primissima cosa ha esclamato: “Alt! Alfredo… tutti cibi vietati per Archie.” Alfredo mi ha guardato dispiaciuto e bonario. Ancora. 

Ma allora è diventato un vizio questo. Ho cominciato ad essere paranoico. Potrei dover andare dallo psichiatra a farmi curare. La teoria del complotto mi appartiene di più oggigiorno che non me ne va bene una e a tavola i miei genitori mangiano solo cibi vietati ai cani: sarà una coincidenza? Vuoi vedere che a me toccheranno solo scatolette, miseri croccantini e i soliti snack? Ma la veterinaria ha detto che posso mangiare di tutto, lei non si sbaglia! Vabbè che si sarebbe trattata della veterinaria alla clinica maledetta del cartongesso. Ma chisseneimporta, no? Sarebbe così grave se mangiassi un Trancino della Culino bianco? 

Insomma, Alfredo ha mangiato e mi ha allungato non visto un bel fettino di salume piccante al peperoncino sottobanco. Detta spianata. Niente di più eccitante: il gusto del proibito avrebbe reso il tutto ancora più entusiasmante e stavo pregustando il sapore ma la mamma: “Alfredo…”

Me la sono fatta quasi sotto dalla paura.

“Cosa fai con la spalla lussata, fisioterapia o sottobanco staresti allungando un ossicino di pollo ad Archie, che non potrebbe mangiarlo?” 

Alfredo ha cominciato a lamentarsi tanto che quasi piangeva per me. La mamma irremovibile: “Se mangia quella roba lì, potrebbe morire. Vuoi che muoia il tuo cagnolino?” Mi sono venuti quasi gli svarioni. I brividi! 

Qua gli assassini sono seduti a tavola a mangiare roba che fa male. Ma sono i miei padroni… che vorranno suicidarsi? Vediamo. Conflitto d’interessi ma sono pur sempre un cane e se rimanessi fedele alla mia natura dovrei comportarmi bene. Addosso! 

Saltato sulla tavola con tutte quattro le zampe, questa si sfonda a metà. 

Vuoi vedere che non ne mangio nemmeno una briciola? Ho abbaiato. 

E Alfredo, subito: “Nemmeno la vuole mangiare questa roba! Visto?” Non sono mica così coglione. Io la roba velenosa non la voglio mica. Però aveva un odorino… E mamma è andata subito a raccattare gli scarti di cibo caduti tutti intorno e sopra la tavola. 

01.09.2025

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Vedevo la mamma che armeggiava tra le grucce e si destreggiava così: ne sorreggeva una da un lato, esaminava l’abito pendente, frugava chissà come ancora, ne estraeva un’altra, osservava e riagguantava, dentro e fuori dall’armadio, con pure tutta la testa dentro… avanti così da giorni immemori! Ma come mai? Era palesemente indecisa su cosa mettersi. Ma per quale appuntamento? Non dirmelo: mi avrebbe lasciato a casa per ore solo con Alfredo? Mi avrebbe fatto anche piacere.

Fatto sta che dopo l’invio dell’esposto alla veterinaria che lavorava presso la Clinica del cartongesso, la mamma si guardava bene dagli appartenenti a questa categoria di dottori. Ora, visto che la diagnosi emessa era risultata sbagliata, ecco che ieri avevamo appuntamento dalla nostra veterinaria. Quella buona. Quella vera di sempre. Quella che mi fa le coccole. Quella che mi ha visto nascere insieme ai miei fratellini. Ma, nonostante questa sorta di garanzia in quanto al trattamento che potrebbe riservare tale privilegio d’affezione, mamma era determinata a fare bella figura a prescindere. L’esperienza… insegna! Indossata una camicia in pura seta, la più costosa e vistosa che avesse, ci siamo avviati verso la porta. Avevamo davanti una lunga passeggiata fino a fuori il Comune che sarebbe il primo fuori città: San Lazzaro, la mia patria. Ad attenderci ci sarebbe stata una passeggiata piuttosto lunga.

Potrebbe immaginarsi quale gioia rivedere i miei luoghi! Correvo, annusavo, mi fermavo, correvo… era da una vita che i miei genitori non mi portavano là! E che bel solicello! Ed ora farei proprio un balzo in avanti. Ma nella storia. Direttamente al momento in cui, puntualissimi, siamo entrati nella nuova sede delle mie ostetriche. 

La sede si presentava insolitamente spoglia, senza quadri alle pareti, che erano state appena verniciate di blu. Mamma, – una versione di lei in pompa magna, a meglio dire – che aveva la camicia gocciolante, ha bussato alla porticina bianca: “Siamo Elena ed Archie. H-i-e…” 

Una dottoressa ci ha accolti subito spalancando la porta al nostro incedere: “Il mio ficcanaso!” Scodinzolando le sono saltato tra le braccia. “Per permetterci di congedare un gattino, sarebbe bene se attendeste un attimo, anche se per via del trasferimento di sede la sala d’aspetto mancherebbe ancora di aria condizionata.” La veterinaria era davvero gentile con noi. 

Mamma si è sforzata di sorridere anche se le scorrevano fiotti di sudore giù per il viso madido. La temperatura era insostenibile. Ma lei aveva deciso che il suo cucciolo avrebbe potuto fare colpo questa volta e lui sarebbe stato fiero di lei e felice di sapersi in ottima salute. La mia salute era sempre stata una preoccupazione costante dei miei genitori. Mamma aveva calcolato tutto nei minimi dettagli questa volta e guardato in faccia il rischio esatto di trovarsi di fronte ad un medico purtroppo impreparato, pure, come infatti era già accaduto. Pertanto, si sentiva molto più pronta…

“Entrate pure, bentornato Archie!” Le ragazze, questa volta presenti in due nell’ambulatorio al di là della porticina bianca, erano volti familiari e rassicuranti. Mi sorridevano all’unisono e io mi sono lasciato fare di tutto. Ma proprio tutto! Erano molto delicate e rispettose. Ma all’improvviso la meno familiare delle due ha detto: “L’abbiamo osservata arrivare dalla finestra ed avremmo notato che Archie tira molto al guinzaglio.”

E mamma ha risposto: “E’ un fatto di rispetto verso gli animali.”

La veterinaria, che mi stava auscultando il cuoricino e i polmoni, si è distratta per un attimo ed ha lanciato uno sguardo interrogativo da dietro i capelli e le spalle a mamma. E quest’ultima: “Io rispetto la sua velocità…”

La veterinaria si è limitata a sorridere e suggerire un addestratore. Quella più familiare, Benedetta, come la chiamava mamma, ha aggiunto che se avessi esagerato, del resto, i miei genitori avrebbero potuto provare semplicemente a imprimere un tiro leggero ma fermo al guinzaglio per imporre all’andatura degli stop e vedere come sarebbe andata. Mamma pensava dentro di sé che sono già grande.

Abbiamo preso un ottimo voto dalla veterinaria! Avrei solo una leggera tracheite con un po’ di tossicciola da monitorare ma in compenso la pettorina nuova che arriverà a breve ordinata grazie al corriere è indicata per me. Si tratta di ottime notizie. Ma a me importava della passeggiata e dopo aver atteso accanto alla porta per tutto il noioso momento del pagamento della prestazione, ho preso la mia prima boccata d’aria quando avevamo salutato con gioia e la mamma ha esclamato con me: “Evvai!” E’ stato come rinascere!

Fieri di noi, vittoriosi e felici eravamo dimentichi di tutta la strada al ritorno che era lì per noi ad attenderci e non sentivamo la fatica mentre trotterellavamo a passo sostenuto e mamma provava a trattenermi se andavo troppo spedito. Sono un cane irruento, via! 

E mamma ha pensato, subito non appena ho varcato la soglia di casa con le mie zampette: “Ma tutto questo è magnifico… potrai fare a meno della visita dermatologica che aveva fissato l’altra clinica!” E dopo avermi coccolato ben benino e rifocillato, ha preso in mano il telefono al volo. Sono rimasto ad ascoltare la conversazione.

“Buonasera, mi piacerebbe disdire la visita dermatologica fissata per Archie. Le nostre veterinarie avrebbero ordinato ciò.” Ha detto la mamma stimolina.

“Ah, già. Archie. Certamente. Il… gattino.” Ho visto mamma che cominciava a sussultare, impallidire, balbettare di rabbia. Sicuramente pensava “Che ignorante!” Così ho abbaiato perché ero arrabbiato pure io. Gatto, io… tzé! 

La dermatologa allora ha aggiunto: “Fatto. Abbiamo disdetto la visita. E come si chiamano le vostre veterinarie?” 

Fatto sta che alcune volte gli esperti del settore assomigliano un po’ a dei questori, oltreché saputelli e quando sei fatto come sarebbe fatta mamma, questo è insopportabile. Troppe domande e allora, risultato? Nulla, l’ha fatto di nuovo. Si è ribellata. Questa volta ha buttato giù. Che vuoi farci? E’ mamma!

03.09.2025

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Fine area cani. Non posso più andarci. Con la scusa della responsabilità genitoriale e di Diamond e che a dieci mesi ho cominciato (giustamente!) a comportarmi in modo virile e abbaierei ai maschi della mia specie, la mamma evita di portarmi all’area cani. Sembra impossibile ma è così. E’ il colmo: in quanto al fatto dell’abbiaiare, infatti, a parte che si tratterebbe di una questione privata tra me e gli altri cani, è vero, ma c’entrerebbe anche mamma, poi… La verità? E’ che se lo faccio è per difendere il suo territorio. Starei imparando a fare la guardia da bravo-cane! Ed è per questo motivo che abbaio più forte. Non per fare il “maschio virile.” Ma per far capire a mamma di più che ci tengo a lei. Per allontanare i ladri di territorio, merce, pipì… insomma, i cani, primi fra tutti. Un esempio? 

Avevo appena fatto capolino fuori dalla sbarra di casa, quella che sale e scende giù se una macchina la guarda, quando proprio di fronte a me si è presentato nel mio campo visivo un bel Golden retriever. Troppo vicino. Scodinzolava ed era allegro. Non avevo ancora nemmeno preso fiato per cominciare a dare il primo tiro vero al guinzaglio. Tempismo “perfetto”, il Golden. Così l’ho mandato via. 

Hai intenzione di rovinarmi la festa?

Se metto il muso fuori di casa, infatti, questo capita solo tre volte al giorno, quattro solo di rado. E, in più, è mio diritto rifarmi gli occhi come e quanto mi piace con quelle colline. Sono mie! Infatti sono geloso della vista che abbiamo oltre il vialetto di casa e si perde in lontananza verso i colli bolognesi su cui sono nato. Insomma mi piacerebbe semplicemente proteggere la nostra zona dagli intrusi. E infatti ho fatto la pipì subito dopo che il Golden ha sgombrato graziosamente il vialetto, ma solo dopo avere annusato e individuato accuratamente il punto dove l’aveva già fatta. Mi domando dove finisca il mio territorio esattamente se faccio pipì ovunque. E’ per questo motivo che i cani fanno confusione abbaiando e così via. I confini non si possono vedere! Potrebbero anche essere in buona fede e credere di appartenere a un certo territorio ma le pipì… i territori… gli umani… si incrociano continuamente, sono troppi elementi da contare in questo calcolo! Mi domando che cosa farebbe un umano se qualcuno invadesse la propria sfera emotiva, entrasse in casa propria. Ho sentito dire anche che nel Medioevo ne sarebbero nate delle guerre civili. Che epoca meravigliosa, quella! 

Insomma, mi sento un tutt’uno con mamma e se abbaio “Via!” ad un altro cane questo è perché sono sicuro che mamma la pensi come me. E lo so che è vero. Via, non sto solo facendo il permaloso. Ma ci sono rimasto un po’ male. Mamma non mi porterà più all’area cani per questo motivo. Abbaio e rischio di aizzare altri cani. La vita adulta mi piace ma potrebbe essere più divertente. Ho pensato questo allora e ho pensato anche a un trucco su come andare all’area cani senza farmi notare troppo. Se ve lo raccontassi, non ci credereste.

Siamo andati al fiume quest’oggi pomeriggio e abbiamo costeggiato l’area cani in prossimità del capolinea dell’autobus 27. Conosco la zona e all’andata avevo spinto e tirato moltissimo al guinzaglio ma niente. L’area cani si allontanava sempre di più, via via che mamma mi tirava via con sé. Siamo andati al fiume e si stava facendo già tardi al ritorno quando dalla parte opposta e nella direzione opposta alla nostra sempre sul marciapiede come noi anche una cagnolina che conoscevo stava passeggiando. Si tratta di un vecchio trucco molto conosciuto da noi cani questo che vi racconto, per questo motivo mi piacerebbe se sapeste che quando un cagnolino nei pressi dell’area cani del 27 fa l’occhiolino a una cagnolina che cammina nella direzione opposta altezza attraversamento pedonale, quello è il… segnale. E io le ho fatto proprio l’occhiolino.

Allora la Sissy, – nome di fantasia,- ha cominciato ad appiattirsi sul terreno e farmi la punta, la posta, chiamatela come vi pare. Sì, si è messa in posizione cane-guarda-cane e io ho fatto lo stesso. Ci fissavamo come pronti per uno dei tanti duelli tra cani che si vedono per le strade a tutte le ore. Ma questa volta era tutto diverso. La Sissy non passava lì per un caso ma era mia complice. E’ risaputo che sua mamma è un tipo secco, con il fisico nodoso, la voce ovattata e risponde sempre che la Sissy, lei “No, non socializziamo, noi!” 

E sarebbe esattamente quello che avrà risposto a mamma quando ha gridato alla complice qualcosa con voce altisonante quando proprio mentre mamma era distratta ma fino a un momento prima impegnata a tirarmi via dalla zona area cani improvvisamente per permettermi di socializzare con un leggero passo che sembrava quasi di danza, quasi in punta di piedi si era fatta più avanti ed aveva cominciato l’attraversamento tanto che già c’eravamo avvicinati di qualche metro! Così ha visto che non c’era Diamond. Sissy è passata oltre, noi abbiamo fatto un salto veloce dentro l’area vuota in quel momento e io mi sono sollazzato un po’ al sole. Archie-mamma 1-0.

Il fiume mi piace, sì. E’ molto eccitante. Ma non è come l’area cani. I miei genitori mi stanno abituando perché nelle vicinanze del fiume c’è della boscaglia. E andremo a Zocca, dove pullula di boscaglia. Manca più o meno un mese.

03.09.2025

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Visto che non mi trovo bene con il mangiare dei cani perché è poco vario mentre vedo alla tavola umana così tanti colori e degustazioni diverse nelle loro ciotole, mamma adesso si ritrova con cinque piattini del mio mangiare conservati nel frigo. Sì. Volevo per forza la carota. Alla fine me l’ha data. E la mamma ha fatto una battuta dolciastra: “Che bello se Archie potesse assaggiare di tutto!” Non mi è andata giù. No. Noi non possiamo. No. A meno che… mi venisse qualche ideuzza delle mie genialoidi.

Hanno cominciato ad arrivare con un mese in anticipo sul mio compleanno dei regali già. Praticamente questi comunque sarebbero tutti autoregali. Quella specie di regali che potrebbe farsi Fred Flintstone… Che ne so? Solo lui sarebbe in grado di regalare ad esempio una palla da bowling a Wilma. Cavolo! Un guinzaglio, una pettorina, il famoso GPS, una strana guaina per cuccia che non sa di niente… Il guinzaglio nuovo: vogliamo parlarne? E’ verdino. Come le bustine per la pupù. Ma soprattutto ho realizzato amaramente che mamma è più forte di me fisicamente. Non è uno scambio alla pari quindi. Ha il dovere di essere clemente e non trascinarmi. Lo è quasi sempre, sì. Ma regalarmene uno… sarebbe come ammettere “Sono braccio di ferro, tu un povero cagnetto in cerca di coccole che non la finirebbe di guaìre e volerebbe via se io lo portassi via con un piccolo tocco del mignolo dalla sua patetica area cani!”

Quindi… ho deciso che trovo del tutto inaccettabile che alla mensa dei cani sia disponibile un assortimento alimentare minore di quello degli umani. Anche se l’alimentazione canina potrebbe apparire più bilanciata nei nutrienti essenziali, nella realtà dei fatti le cose vanno molto diversamente e gli umani possono godere del beneficio nonché privilegio assoluto di poter assaggiare di tutto: loro sono onnivori. Invece, noi miseri cani siamo abituati ad alimentarci di pollo, manzo, ovvero carne… come è detta volgarmente la principale fonte di energia che possono offrire loro, sotto varie sembianze! Crocchette e umido. Stop. Lo trovo ingiusto. Il mese prossimo sarà il mio compleanno. Ergo, avrei deciso di invitare a cena tutti gli… amici. E’ un fatto di equità naturale. Si tratterà di un piccolo equo scambio culturale. E mangeremo cucina canese confezionata e importata del discount. Sarà utile a dimostrare democraticamente che siamo tutti uguali davanti a Dio e tutti i regni animali. Durante lo svolgimento di tale evento culturale sarà possibile attraversare l’Oceano per assaggiare il prelibato sapore del salmone dell’Islanda. Gli uomini assaggeranno la versione dedicata ai cani e confezionata, i cani quella umana. Andare in Patagonia per il sentore racchiuso in un boccone di fegato di vacca locale. Gli umani imboccheranno i cani con le loro forchettine piene di fegato cucinato alla veneziana, i cani inviteranno gli umani abbaiando e facendosi indietro davanti alla propria deliziosa ciotola epatica. Viaggiare in America Latina per degustare una squisita fetta di maiale. Qui mi fermo. Avrete già capito… Saranno presenti anche i nostri cari amici padroni.

Lo faccio affinché gli umani non si sentano più in colpa con tutto che permetterebbero da sempre ai cani di elemosinare non solo affetto, ma anche briciole e… avanzi, senza offrire nemmeno una sola volta nella vita un vero piatto servito caldo comodamente sulla tavola, che fosse accessibile da una seduta rialzata come quelle che avrebbero loro. Sentiremo l’Inno nazionale suonare come un richiamo di sottofondo. Lo desidero tanto! Nessuno, cane o umano, potrà non venire. Mamma per prima. Io sono Archie. Dai. In fondo, si tratterà pur sempre del mio compleanno. Un compleanno da ricordare. Un compleanno semplicemente indimenticabile. Memorabile. Un compleanno… che potrebbe insegnare molto.

04.09.2025

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“Attenta, che così potresti farmelo diventare una femminuccia!” Ieri sera, mentre mamma mi stava facendo le moine sdolcinate, Alfredo ha detto proprio così. Che peccato… A quel punto mamma che mi stava coccolando in modo sfacciatamente mieloso ha smesso bruscamente e in… malo modo. Ma se mi stavo sollazzando così bene! Alfredo ha preso il sopravvento e ha cominciato a fare la lotta con me. In fondo, mi sono divertito anche così.

Femminuccia. Che significa? Ho un sospetto, ma ancora non lo so. Ma di una cosa almeno sono già del tutto sicuro: Alfredo stava cercando di mettermi in guardia dalla mamma. Sto cominciando a pensare di lei che sia una brutta persona. Cercherò di fare luce in questo mistero.

Adesso sono convinto della malafede della mamma per quello che riguarda qualcosa che sarebbe avvenuto durante la passeggiata pomeridiana di quest’oggi e mi avrebbe fatto riflettere per un piccolo dettaglio. Si tratta di un dettaglio apparentemente insignificante, nulla di che – ma a guardare bene sotto la lente dell’intuito canino, qualcosa mi dice che è così: cioè mamma è una brutta persona davvero. Ora, potreste fare bene attenzione a quanto avrei da dire a tale riguardo.

Durante questa passeggiata, stavo andando piano per farla contenta. L’andatura era decisamente quella desiderata e non tiravo affatto. La potevo vedere soddisfatta con la coda dell’occhio mentre davanti a lei mi godevo il panorama come Di Caprio sulla prua del Titanic. E infatti… Dapprima ho pensato: bingo! Eravamo entrambi in un momento di grande positività e infatti era comparso per la terza volta nello stesso punto delle altre due in mezzo a questo cespuglio in corrispondenza del distributore un osso che, come era appunto evidente, era rimasto lì ad aspettare me per ben tre giri di passeggiata senza che alcun altro cane lo avesse raccolto e mangiato… Il mio osso! Strano, penso. Avvicino il muso… E zac! Quando mamma l’ha afferrato hanno cominciato a brillare i miei occhi… sì, di felicità! Non potevo crederlo e sono sicuro che stesse proprio per consegnarlo a me direttamente di mano in bocca o almeno credo in fondo anche se effettivamente alla fine è andato dritto… a finire… nel bidone pubblico accanto. Non si spreca il buon cibo. Perché? Ho gusti così difficili! In più ha osato esclamare, storcendo il naso: “Perché dovrebbe esserci un osso, qui, dove passiamo sempre noi?”

Come se ciò non bastasse, a quel punto mi ha rifilato pure un melino. Di prepotenza. Non ne posso più di mangiare sempre le stesse porcherie. Alla fine mi sono girato e lei stava ancora borbottando. Farfugliava cose sui bocconi avvelenati e il benzinaio antipatico. Va a finire che quello simpatico è il benzinaio: almeno mi regalerebbe le ossa di pollo gratis.

E mamma: “Così altri cani non potranno prendere questa robaccia buttata lì da qualche pedone maleducato!” Ha gridato in modo tale che sentissero tutti gli astanti. Mamma è una brutta persona. Non mi permette di mangiare l’erba perché vomito, l’ossobuco del benzinaio perché è avvelenato, gli avanzi perché hanno troppa vitamina C. Non capisco gli umani. Quanti salamelecchi inutili!

L’iceberg insomma era proprio dietro l’angolo alla fine. Crash!

05.09.2025

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Se i miei genitori litigano non è una novità. Ma se litigano per me… Wow! Prima o poi doveva capitare e vorrà dire proprio che mi amano alla follia? Solo se vince Alfredo, credo; in fondo, se alla fine oggi sono tornato all’area cani sarebbe merito suo. Alla mamma in fondo basta davvero poco per cedere sulle sue posizioni. Basta fare come me: gli occhi dolci. E’ iperprotettiva. E poi lo dice sempre: “Voglio rallentare: basta complicarmi la vita…” 

E sarebbe anche la verità: abbaio ai cani maschi. Soprattutto quelli piccoli. Già, anche alle femmine, ma solo a volte. E a volte con i maschi grandi ma anche quelli piccoli a volte andrei d’accordo. Ma ho il vago sospetto che se mamma volesse prendere il controllo della situazione adesso che sono un cane quasi adulto per prevenire qualunque attacco o rischio di vedermi morso da un altro cane… sarebbe impensabile! E’ una legge: non è semplicemente possibile controllare tutto! Così ha litigato con Alfredo che le faceva da contraltare in quanto è tutto fuorché iperprotettivo. L’ho sentito mentre le diceva: 

“Dai, mamma, è tutto o.k., davvero… Scialla, il cane è buono, ancora cucciolo, non può essere così cambiato dall’ultima volta che l’ho portato a spasso!” Io di sicuro in quel momento non ho detto nulla che potesse dissipare l’unica speranza che avevo: tornare all’area cani. Dopo una frase così poco premurosa verso di me, come avrà fatto a far cambiare idea a una mamma così noiosa? 

Quest’ultima ha risposto alla fine della discussione.“E va bene. Per questa volta Archie potrà uscire e andare all’area cani, ma a due condizioni.” Mamma parlava in questo modo infatti poiché secondo il libretto sanitario che mi riguarda sono affidato in via esclusiva a mamma. 

IIn realtà, in casa da qualche tempo si mormorava già che Alfredo prima o poi potrebbe fare coppia con mamma quale secondo mio affidatario. Ma al momento si trattava di semplici chiacchiere. Mamma avrebbe voluto valutare se Alfredo fosse effettivamente affidabile quanto lei si riteneva. 

E Alfredo: “Sentiamo.” 

Si fissavano con aria di intensa sfida occhi negli occhi. 

Mamma ha continuato: “Come prima condizione, voglio che possa trattarsi di un momento dedicato ad individuare i cani con cui Archie potrebbe tornare regolarmente all’area cani. Nella fase di avvicinamento, dovrai fare attenzione e fare attenzione ad ogni minimo dettaglio. Se Archie abbaia, se l’altro cane sia un maschio. Di che razza sarebbe, di quale stazza. Nella fase di gioco…”

“Eddai, mamma, mi credi così imbecille, tanto che farei davvero avvicinare Archie ad un rottweiler che avesse saltato il pranzo principale della giornata?” 

Anche se a mamma questa risposta è sembrata una modesta canzonatura, piuttosto che il pronto sissignora che avrebbe preferito, Alfredo si riteneva all’altezza ma ogni tanto dava come la sensazione a mamma di essere un tantino troppo spensierato, su… certe questioni che invece a mamma sarebbero premute abbastanza. Questioni fondamentali per lei ma Alfredo, che si vantava di essere cresciuto assieme a molti cani della sua famiglia, le risultava un po’ troppo scanzonato quasi sempre. Se è vero che lei sarebbe arrivata a mandare un esposto all’ordine dei veterinari di Bologna, questo varrebbe a dire che mamma è molto esigente, in tutto ciò che pertiene la mia salute fisica e psicologica. Alfredo non mi lega con la cintura di sicurezza annessa al guinzaglio nei viaggi in auto, mamma acquista per me il guinzaglio perché non sia usurato; Alfredo parla di permettermi di circolare liberamente per le strade prima o poi; Alfredo ha lasciato cadere il guinzaglio nel vialetto di casa per ben due volte; Alfredo permette ad Archie di salire la scalinata fino al nostro pianerottolo senza guinzaglio; Alfredo a volte lascia aperto l’uscio… e così via, a non finire, come tante piccole preoccupazioni quotidiane mamma era soggetta ad ansie che, del resto, a qualcuno potrebbero sembrare immotivate, ad altri meno.

“Sta a vedere.” Ha detto Alfredo. “Mettigli pure il guinzaglio.” E sono sceso giù per le scale accanto a lui ad una velocità piuttosto insolita per il cucciolo che conosceva mamma: cioè… assai lentamente.

“Ma tutto questo è impossibile!” Ha esclamato lei incredula. Papà ha fatto spallucce e siamo entrati in auto e in un tiro di schioppo papà eravamo all’area cani e lui mi ha trovato una partner di gioco eccezionale per stasera. Una pastorella tedesca di quattro anni sterilizzata: perfetta secondo tutti gli standard. In fondo, Alfredo tiene molto alla mia disciplina ed è lui a rimproverare mamma se rubo i calzini dal cassetto oppure porto in giro per casa al trotto le ciabatte di papà per provocarlo al gioco, salgo sul divano su e giù festosamente la sera mentre i miei genitori guardano la televisione, sveglio la mamma e cammino per casa lietamente alle 7 di mattina prima che tutti si destino ticchettando con le unghie sul pavimento di marmo. Mamma era molto ammirata e ora che aveva visto quello di cui Alfredo era effettivamente capace si compiaceva e fidava un po’ di più di lui.

Così, a casa, quando ci siamo messi sul divano a guardare la televisione tutti e tre, mentre mamma stava scrivendo un messaggio su carta, Alfredo si è ricordato di una cosa alla quale non aveva più pensato da ore e ha chiesto alla mamma: 

“Quale sarebbe stata poi la seconda condizione da osservare stasera?”

“No, nulla di che…” Ha risposto lei, evasiva.

“Avanti… puoi dirmelo ora. In fondo, Archie è stato all’area cani e io ho superato il test di “papà responsabile.” Ha detto compiacendosi di sé.

“Vedi questo foglietto?” Papà ha annuito. “Vedi cosa c’è scritto sopra? E’ il nome della pastorella tedesca di oggi. Sto facendo una lista dei nomi degli amici di Archie. Quelli sì e quelli no. La compilerai anche tu.” Papà ha imprecato e si sono rimessi a litigare, per tutta la sera!

09.09.2025

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Cosi’, il mese prossimo cambieremo citta’ tutti quanti. Il GPS e’ pronto al mio collo ormai da un mese in vista del trasloco a Zocca. Sembra che i miei genitori abbiano premeditato tutta questa storiaccia del trasferimento senza considerare i miei sentimenti. Ma su un piccolo dettaglio sono fuori strada: nella nuova casa ci saranno molti, molti mobili molto, molto nuovi e pronti da rosicchiare, molti cuscini nuovi da riempire di peli e sbatacchiare. Molti guai da fare. Sono un cane intero, no? Se ne pentiranno.

E’ decisamente in corso qualche forma di stigmatizzazione sociale verso i cani interi. Dopotutto, non a caso essi abbaiano con tutta l’energia che hanno in corpo, sono dotati di un entusiasmo incontenibile e una curiosita’ insaziabile – non solo nei confronti dell’altro sesso, ma ogni oggetto semovibile muove in loro un’emozione cosi’ potente da saperli coinvolgere persino nella lotta. Mamma mentre gironzola per casa in preda a quella frenesia che le viene quando si tratta di attendere ai mestieri domestici a parte, si prendesse ad esempio quelle che sarebbero le creature piu’ spicciole in circolazione, esse fomentano in me un’attivazione dell’adrenalina, con sudorazione, palpitazioni… Si tratta delle mosche. In particolare, se diventa impossibile resistere e l’impulso di dar loro la caccia irrefrenabile, figurarsi quel che capita in presenza di creature piu’ grandi e cosi’ buone da mangiare… Le mosche pure si mangiano, va bene, ma se si pensasse che per i cani vigesse la legge “basta che si muova,” questo in parte non e’ vero, in parte si’. Comunque, mi piacerebbe spiegare questa lunga premessa, atta a giustificare la mia prima affermazione: stigmatizzazione. Ho una teoria a tal proposito: i cani interi sono oggetto di invidia da parte di tutto il mondo canino.

Del resto, un cane intero puo’ fare tutto cio’ che vuole. Abbaiare di piu’, corteggiare di piu’ le femmine, mangiare di piu’. Ma a questo punto, nella speranza di saper non deludere nessuno delle due categorie, mi piacerebbe tentare e sfatare questo stupido luogo comune. Infatti, i cani interi sono piu’ soli (ce ne sono di meno), primo punto essenziale. Essi sono soli, litigano piu’ spesso, in particolare con gli esponenti dello stesso sesso. In secondo luogo, le loro interazioni sono piu’ brevi e meno soddisfacenti, anzi piu’ caotiche: essi abbaiano forte e l’altro cane, in preda all’agitazione, cambia strada. Ergo, i cani interi sono anche piu’ tristi. Potrebbe bastare fare esercizio di immaginazione e pensare di essere un triste cane appena lasciato solo da un altro cane che ha appena voltato l’angolo. Non finisce qui: sono oggetto di strattonamenti esemplari da parte dei padroni, che in questo modo scaricano la frustrazione e pensano “Avrei potuto castrarlo in giovane eta’!” Se il proprio animale tira troppo al guinzaglio, frutto a sua volta della castrazione mai avvenuta, occhio, cari cani: la raffica di toto’ e’ alle porte. In ultimo luogo, la peggiore delle condizioni del cane non castrato: esso e’ innocente nell’esserlo ed in obbedienza empatica al padrone si maledice per esserlo!

Ma quella che e’ la triste situazione di vita del cane intero non puo’ cambiare. Egli e’ ormai diventato troppo anziano e va incontro al suo futuro con coraggiosa consapevolezza. La mia preghiera e’ rivolta a tutti i cani castrati: non invidiateci! Penserete che io voglia tutto ma proprio tutto in questa triste commedia, ma la verita’ al contrario e’ che come voi vi lamenterete del dolore post-operatorio e dell’adipe in eccesso che vi aspetta quale triste postumo dell’intervento e della depressione che porta allo smorzamento di ogni vitalita’, noi non possiamo fare a meno di voi e di sperare che questa conservazione di integrita’ fisica alla fine non finisca per sfibrarci nell’animo! A partire dalla maggiore eta’ ogni cane spera solo in un po’ di pace, anche noi interi. Si’, signore e signori. Non capisco solo come mai io sia cosi’ istintivo e cosa c’entri quell’operazione chirurgica. So solo che adesso mi tocchera’ pure andare dall’addestratrice, come se non bastasse tutto il resto. Infatti, in presenza della sola mamma distruggo tutto. Quando c’e’ papa’, invece, taccio. Invece di fare i vostri piani diabolici alle mie spalle, come questo trasloco, avreste potuto non cambiare casa e io me ne sarei stato buono: se spenderete soldi inutilmente per l’educatrice, poi, spero che non mi direte che sarebbe stato per colpa mia!

26.09.2025

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Ho fatto un piccolo cambiamento nella mia routine. Ho deciso che anziche’ limitarmi a temere Alfredo tentero’ di essere coraggioso e scodinzolare e mostrarmi meno servile quando mi sgrida. Cosi’ sara’ inevitabile l’intervento di mamma. E mamma non ha autorita’. Ergo, potrei massimizzare cosi’ le mie possibilita’ di fare sempre piu’ spesso quello che mi pare. Unico problema? Alfredo se l’e’ presa sul personale. Ha visto che oso resistergli e sorrido dei suoi perentori ordini del cavolo e ha interpellato uno bravo. Proprio cosi’: l’educatore. Da quando in qua i cani andrebbero a scuola? Se l’avessi saputo, piuttosto avrei preferito nascere gatto. Ma prima di andare avanti, ecco un’importante precisazione: l’idea si’ sarebbe stata di papa’, ma nonostante cio’ mamma ha agito per prima. Ha chiamato lei la Presid… la veterinaria, gia’ – e lei ha fornito il contatto della prima degli educatori canini interpellati per me! Come se non fossi un cane educato. Io… che sopporto di tutto. Io, sempre a gambe all’aria per casa a prendere le coccole. Sul divano, a terra. Sarebbe d’accordo chiunque che gli umani con cui condivido la mia casa sono tanti insopportabili quanto sdolcinati. Adesso come ho gia’ detto anche Alfredo si e’ ammansito. Accidenti! Lo stimavo. Lo stimavo prima che… me lo fossi lavorato cosi’ bene tanto da conquistare persino il suo cuore purissimo. Risultato? Ora si comporta con me proprio come una mammoletta. E mi annoio sempre, cosi’. Gia’, perche’ quale altro divertimento potrebbe avere un povero cane se non quello di obbedire al capo branco? D’ cosi’ triste. E poi dava ella femminuccia a me. Il fatto di ricorrere a un educatore esterno e’ ingiusto. Fatto essenziale che io abbia gia’ ben 11 mesi non e’ affatto per giunta trascurabile. L’educatore si chiama Emiliano.

“Archie?” Sorriso da idiota sulla faccia, mamma si e’ accovacciata a terra accanto a me e ha cominciato come fa sempre piu’ spesso a massaggiarmi il pelo della testa. Temo che prima o poi potrei diventare calvo con tutte quelle carezze che mi fa in continuazione. “Archie, preparati: venerdi’ viene il tuo nuovo amico!” E con aria misteriosa mi ha strizzato l’occhiolino e ha lanciato uno sguardo complice ad Alfredo, che nel frattempo mi stava gia’ fissando in modo sinistro. Lo sapevo gia’ che verrebbe Emiliano venerdi’.Viene alle 4 e trenta, anche se avete cambiato l’appuntamento in funzione dei vostri impegni del cavolo e anticipata la valutazione con Emiliano a venerdi’ avete preferito lui al mio primo bagnetto, all’area cani e chissa’ a quante altre cose che mi riguardano. Ero eccitato per il bagnetto.

Lo capite benissimo che vi conosco e non mi sfugge nemmeno un micro movimento delle vostre espressioni. E per questo motivo Alfredo mi fissava inespressivo. Avete paura di dire ormai qualunque cosa in mia presenza, perche’ sono troppo intelligente. E posso distruggere la casa in piu’. Non potrete impedirmelo. Nemmeno l’educatore.

L’avreste chiamato perche’ con mamma sarei ingestibile. Ma che vergogna! Non sapete gestire un piccolo cucciolo. Che genitori del cavolo. Quello che non avete capito ancora e’ che ormai ci muoviamo nell’area dei cosiddetti compromessi, quale limite imponibile alla mia intelligenza che io sia disposto ad accettare con voi. E che sono goloso. Il mio punto debole e’ il mangiare. E mamma mi serve delle crocchette squisite. Purtroppo ha recentemente preso atto del fatto che le mangio solo se ci versa sopra una colata di gustoso parmigiano reggiano d.o.c. Potrebbe gia’ essere diventata consapevole del fatto che farei qualunque cosa in cambio di quel formaggio. Cosi’, mangio le crocchette solo in cambio di un po’ di formaggio. Oppure tonno. Oppure salmone. Oppure qualcosa che non ho ancora assaggiato. Mangiare, insomma. Sarebbe opportuno se imparassi a controllare la fame, ma sembra impossibile. Mangio persino le sedie. E anche quando lo faccio perche’ sono arrabbiato per qualcosa, mamma riesce a calmarmi con un semplice lancio di biscotto oswego. E’ ingiusto. Sono diventato ricattabile. Come andra’ a finire?

Sono il padrone della casa. Sono il padrone persino dei miei proprietari. Ho conquistato persino il cuore di Alfredo. Che cosa potrebbe fermarmi? Il proprietario di un molosso dice che diventero’ un maschio alfa. Un grande e grosso cane maschio e alfa, pure. Niente male. Dice che cerco di gestire gli altri cani. Mamma crede per lo stesso motivo che io abbia piu’ la stoffa del mediatore. Ma quale mediatore, sono un alfa, io!

Sono cosi’ dominante e alfa che nemmeno la pettorina vecchia mi entra piu’. Per questo motivo mamma ne aveva comprata una e una sera Alfredo le ha telefonato ingenuamente le ha rivelato che non era stato in grado di mettermela a modo e ci trovavamo comunque in area cani. Mamma e’ andata su tutte le furie. Temeva il peggio. Temeva che avrei potuto svicolare visto che tiro al guinzaglio e fuggire. Era dalla parte opposta di Bologna, a piedi, con pochi mezzi pubblici che circolano come di consueto vista e considerata la circostanza che era, cioe’ caso ha voluto che fosse sabato sera. Ha camminato dal quartiere accanto per i viali ed e’ tornata su via Mazzini quasi di corsa e quando io e Alfredo siamo tornati tranquillamente nel vialetto di casa sopra la nostra Panda in compagnia l’uno dell’altro come se nulla fosse si e’ messa a gridare istericamente. “Ma bravi! Come sara’ possibile che una volta tanto che ho un colloquio di lavoro importante e sono invitata al ristorante e non esco mai da sola e non ho nemmeno un’amica al mondo” non prendeva fiato “proprio allora tu mi abbia telefonata con questa bella notizia!” Sbraitava tanto che le grida arrivavano fino all’ultimo piano del nostro condominio e qualcuno ha abbassato la tapparella in quel momento esatto. Allora Alfredo senza parola ha indicato infuriato la pettorina: quella era la prima volta che la mettevo e in base al mio peso e alla mia altezza avrebbe dovuto andarmi bene, invece no – mi andava… stretta! Mamma? Incredula. Le spiegazioni possono essere solo due. O Amazon ha consegnato una pettorina sbagliata (e questo e’ impossibile!) oppure io sono proprio un grande e grosso maschio alfa di cui andare orgogliosi.

27.09.2025

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E’ nel perfetto stile di mamma che appunto a distanza di un mese dal mio compleanno ecco che il computer si è rotto, per via di una sonora caduta dalla scrivania. A provocare la caduta naturalmente sono stato io. Ma ciò non vorrebbe dire alcunché. In fondo, se si trovava al di sopra della scrivania non è affatto colpa mia. Tantomeno che non si trovasse dove effettivamente avrebbe dovuto – sotto la scrivania: ci tengo a puntualizzare che ogni cane dovrebbe avere a propria disposizione un computer, a portata di muso. E no, non per copiare l’idea di Dove sono i miei calzini? e mettersi a scrivere la propria storia. Beh, sì, anche, se si volesse. Ma bensì soprattutto perché i computer sono ottimi sostituti dei pennutacci ma più odiosi: perfetti per essere azzannati e portati in giro con spavalderia quali le prede quali sono veramente in una casa priva di fantasia, come sarebbe poi quella di ogni umano che ci sia sulla faccia della terra.

Ebbene, avevo proprio creduto che la mamma avesse perso l’ispirazione completamente e non volesse più comprare un computer per scrivere i Calzini. La mia sorpresa, come dice sempre. I Calzini. I tuoi Calzini. Le piacerebbe se mi convertissi ai calzini virtuali, invece a me piacciono belli da smangiucchiare infilati in bocca. 

Mi piacerebbe sapere quando mi presenterà la parte di libro che mi ha promesso. Forse per il mio compleanno. Ma nel frattempo che lei si è presa una vacanza dalla scrittura sono diventato vecchio. Tra due giorni compio un anno!

Del resto, il motivo per cui la mamma non ha più comprato un computer per quasi un mese è stato che è povera. Ho fatto quasi in tempo a pentirmi di averlo rotto. Ripensandoci, no… ne andrei sempre orgoglioso: si è trattata dell’impresa più epica in assoluto compiuta dal sottoscritto… Fatta eccezione solo per i balzi sul letto provocatori con in bocca i calzini di mamma, si intende; per i furti esaltanti che metto in atto regolarmente nei confronti di quasi tutti i cani dell’area cani dotati di pallina… certo: limitatamente a quelle palline dotate di valore affettivo visibile. Ad esempio se si sente guaire e ululare il cane posso divertirmi. Altrimenti no; e così via, ma ciò che conta è che due giorni prima del mio compleanno è tornata al lavoro. Mi stavo domandando appunto quanto tempo avrei dovuto ancora aspettare prima di poter pianificare il prossimo agguato nei confronti di un dispositivo piatto da tavolo. 

“Oh, come ho speso poco alla Komet… 30 euro con il finanziamento e prima rata il prossimo mese!” Ma quale povertà e povertà. Intanto sei tornata a casa con un computer nuovo. Né usato, né ricondizionato. E poi, se ti hanno fatto il finanziamento, questo sarebbe perché avresti un reddito. Mi domanderei dove nasconderesti il denaro che non dici. Il vero motivo per cui non hai comprato prima un computer è la tua pigrizia. Già. Altroché. Non avevi voglia di scrivere. Vergogna… questa storia dovrebbe finire. Infatti, se proprio dovessi dire se sia accaduto qualcosa di eccitante in questo mio ultimo mese da cucciolo, al contrario mi piacerebbe poter dire la verità e non è capitato nulla di eccitante. Tutto noioso! Il macellaio non mi vuole nemmeno più nel suo negozio per via dell’ASL: mettevo sempre le zampe sul bancone pur di farmi allungare un buon pezzettino di maiale fresco mai assaggiato. 

Mi sarebbe venuta un’idea. Quasi quasi da questo momento in poi comincio a fare delle marachelle in più. Vediamo se mamma non si mette all’opera e ne scrive delle belle per tornare a regime di vivacità!

12.10.2025

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Per il mio compleanno non ho assaggiato niente di buono. Gelato per cani? Che schifezza! Giallo. Molle. Freddo. Ma che roba è! Gli umani non sanno più cosa inventarsi. E in quanto a brutte figure, mi pare proprio che mia madre non possa dirsi esente. Presentare un misero e buffo gelato. Ecco, l’ho guardata con questi occhi disperati, increduli e delusi che avrei ancora oggi, mentre cerco di non ricordare bene l’accaduto. Quale incredibile flop! Mi tocca di voler scacciare dalla mente il gusto di quel gelato da strapazzo. Ma la vera brutta figura non sta nel… gelato: la verità è che la brutta figura, sì, lo dico e lo ripeto, sta invece, ecco, proprio nello sgravio che da parte di mamma è stato il fatto di volersi liberare dell’incombenza di fare una torta. Una torta! L’immancabile torta. Se credeva di farmi fesso e che non fossi al corrente che si preparerebbe la torta e non il gelato ad un compleanno, solo perché sarei ancora solo un poppante, era fuori strada. Voglio crescere! Così nessuno tenterebbe di farmi fesso più. Comunque, non ho mangiato il gelato e, ergo, ho ripudiato completamente anche la torta. Già. Proprio così! Per prima la torta. Le cose avrebbero potuto andare meglio, per dinci! Vogliamo parlare dei festoni? Mi vergogno solo a doverlo dire. Ce n’era solo uno. Torte? Una. Pasticcini? Uno. Invitati? Uno (sì: Guglielmo…) Candeline? Indovinate. Proprio così… una! Accidenti. Archie? Uno! Uno solo! Se volete sapere quale fosse l’unico elemento ad essere autorizzato a rimanere “uno,” appunto, in quanto esclusivo e perfetto, questo sono io. Per il resto degli elementi menzionati, avrebbe dovuto tutto assomigliare non a una squallida merenda in soggiorno. Io sono Archie, il mitico! Avrebbe dovuto tutto sembrare almeno un matrimonio celebrato nella profonda Calabria! Anzi: esigo che il mio compleanno numero 2 si possa celebrare al Sud. Obbligatorio!

A proposito di viaggi, la mamma in una delle liti con Alfredo – quelle pesanti di alcuni mesi fa che oggi sembrano essersi un po’ quietate – aveva deciso di partire insieme al suo nuovo compagno da un anno, il sottoscritto, per le Canarie e rimanerci a vivere. Ero così contento! Mica lo sapevo che Alfredo, lui sarebbe rimasto per sempre in Italia. Ero così felice che mi scappava quasi la pipì! Ma eravamo già in aeroporto tanto che la mamma ha ricevuto una chiamata da uno sconosciuto. Questi gli avrebbe detto che i cani viaggerebbero in stiva. Avermi salvato a parte, si sarebbe trattato di Alfredo, già – che aveva saputo della fuga d’amore all’estero e sarebbe intervenuto. Così niente Canarie, già. E niente stiva. Ma sarà davvero così terribile viaggiare nella stiva pressurizzata con tutti i comfort di un aereo? Del resto, il rumore degli aerei è così assordante. E tra una lite e l’altra nel mentre non siamo più nemmeno tornati al mare, fatta eccezione per quei cinque giorni, quando ho avuto il forasacco nell’occhietto. Insomma: non sono proprio ottimista sul viaggio che stiamo per affrontare. Il trasloco, intendo. Quello a Zocca. Qualcosa succederà. Se tanto mi dà… tanto.

16.10.2025

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La mamma è preoccupata per i danni che potrei fare nella nuova casa. Ma quali danni e danni! Quelli che lei chiama danni, io li chiamo goduria!

“Non avremo più quegli antiestetici buchi sotto la mobilia dove Archie infila le zampe ossessivamente per recuperare qualche gioco che ha perso, evviva!” Ossessivamente? Quei buchi sono una benedizione! Si vedesse quanti e quali giochi che nemmeno ricordo di avere hanno inghiottito gli ingordi!

Secondo me la mamma con quel sorriso forzato quando si parla del trasloco finge di essere ottimista, ma non lo è affatto. Né ottimista né speranzosa. Lo sa. Lo sa che si preparano molte godurie. Lo nasconde in tutti i modi e non ne parla perché non vuole ancora pensarci. Fa sempre così. Figuriamoci Alfredo. Lui è preparatissimo. E’ quello che ha sofferto di più dell’effetto di Archie il devastatore che tutto distrugge. Con le sue scarpe e solette sono andato al ritmo di una ogni settimana, all’inizio. Lo sgabello, la valigia, le scatole del trasloco. Tutto andato in frantumi.

Quando la mamma afferma in modo trionfale che non ci sarà nemmeno più un solo gradino da salire bensì un ascensore che ci porterebbe al nostro pianerottolo, nella nuova casa, penso sempre che posso dimenticarmi del nostro rito abituale: i gustosi biscottoni tricolore e i melini fragranti al forno, che la mamma mi offre sempre ad ogni piano di scale, quando sorridendo della fatica della passeggiata ci soffermiamo qualche secondo prima di affrontare la rampa successiva. E così è inevitabile farsi delle domande. Sarebbe proprio destino questo di potermi dimenticare anche degli odorini invitanti che ci sono al negozio di animali, dove la Stefania, quella commessa furbetta, mi dà sempre un biscotto all’uscita?

“Ci sarà un nuovo negozio, tutto da scoprire!”

Ma io non ho avuto quasi niente dal nostro negozio preferito, ancora… mamma! E tutti gli stuzzichini sugli scaffali che passando per l’angolino in fondo sanno di tonno e baccalà, chi li avrebbe gustati, ancora? I fortunati sono quelli che restano. I miei amici dell’area cani, che per giunta non potrò più rivedere.

“Ci saranno boschi immensi e incontaminati da esplorare e l’aria buona!”

Ma un divano da condividere? Il momento delle coccole serale sarà sempre lo stesso, anche là? E un divano dove poter scavare una buca bella come quella che c’è qui?

Ma il divano vecchio viene con noi, spererei. Ci ho messo così tanto amore a ricavare un bell’incavo profondo come quello che ho fatto. E l’aria di Zocca non sa di niente, ancora! Lo sa anche la volpe addomesticata del Piccolo principe, lei che non è neanche un vero cane: mamma, papà… Ad-do-me-sti-ca-re è la parola d’ordine! Là nulla saprà di familiare e addomesticato per me! Mi avete letto quel libro. Sul divano. Il nostro divano, già. Caro vecchio compagno di teneri sonni…

E poi mica me l’avreste chiesto se sia il caso di partire. Potrò portare con me tutti i miei giochi? La poltrona? Ci sarà lo stucco da polverizzare anche là alle pareti e far cadere sul pavimento e leccare. E voi… verrete con me? Insomma, ciò che voglio dire è semplice.

Ogni cane potrebbe aver timore dell’abbandono… in tutte le sue sfumature! Già. Anche perdere una casa è… un piccolo… lutto. E non sono da meno io. In fondo, come potrebbe pretendersi che un cagnolino appena entrato nel suo secondo anno di vita passi a una città nuova senza qualche timore?

“Archie… tu sei il cagnolino coraggioso che prende per i fondelli anche Miura e Giovanna, la coppia di alane, le cagnolone più grandi del parco cani!”

Se fosse lecito pensare che io sia il cane coraggioso che sembro, beh, questo potrebbe essere un errore. Io sono fragile. Un cane indifeso che ha bisogno dei suoi genitori uniti, bravi e forti, che sappiano proteggermi. Io mi fido ciecamente di voi. Ma questo è troppo: chiedere quasi l’impossibile a un cucciolo la cui vita è fatta di routine, e si sa! Che anche la passeggiata al mattino amo farla sempre allo stesso modo.

Accolgo la mamma quando apre la porta, le faccio le feste. Lei assonnata si reca nel bagno, io la seguo. Lei prova a chiudere la porta e ci guardiamo, io la prego di poter entrare, mi fa entrare io gioco con i soliti due manicotti della carta igienica in cartoncino, buoni da accartocciare e spezzettare. Nel mentre la mamma si sarebbe preparata e usciamo insieme dopo essersi pesata e aver sbuffato, chissà come mai lo fa sempre. E’ sempre scontenta della bilancia.
Si mette le scarpe, io le mordicchio i calzini ma gliele lascio mettere eccezionalmente: in fondo dobbiamo pur sempre far la passeggiata, la prima della giornata, la più importante. Questa che comincia dal macellaio dove salutiamo e compriamo all’occorrenza della buona carne fresca per… me e proseguiamo per via Orlandi. Qui all’inizio, rigorosamente sul lato destro della carreggiata, faccio la prima pupù. Incontriamo qualche cane, la strada è stretta, dobbiamo condividerla nel modo più saggio possibile, io sono possente, mamma mi esorta a procedere educatamente ma io abbaio salvo che siano belle cagnoline o, al massimo, cani castrati.
Così, ecco comparire la foce della via, un curvo largo marciapiede si amplia e verso destra si apre l’alba delle otto e mezza precise davanti a noi, mentre il Gps segnala che abbiamo percorso un terzo della passeggiata. Allora un attraversamento modestamente imponente per la mole di auto ci impone di fermarci, davanti alla striscia pedonale doppia che invita ad un’attenzione particolare in quanto alla direzione da prendere: dietro di noi, sulla carreggiata auto sfrecciano in ambo le direzioni mentre tutti gli umani vanno da qualche parte. Così, anche alla nostra destra; ma noi corriamo sulle strisce dall’altro lato procedendo diritto, dove c’è una strisciolina d’erbetta che fiancheggia la siepe del vecchio cinema di quartiere deliziose e siamo al… campo del Fossolo 2!
Si staglia questo enorme prato davanti a noi e io guardo il sole, sento la brezza scompigliarmi le orecchie e l’odore delle rose con tutti quei mozziconi appuntiti cui prestare attenzione quando annuso i loro steli mentre la mamma mi guarda e io ne vorrei cogliere una per lei. Sono felicissimo! Annuso in lungo e in largo la rugiada e l’umida terra delle 8.45, finché un’ombra non taglia in due anche l’entusiasmo. E’ quella della struttura del Fossolo 2 che si affaccia sul pratone. Allora mi faccio serio e osservo e mamma osserva me. Fiancheggiamo l’edificio, alle volte dal lato destro altre dal sinistro. Questo perché solo così possiamo evitare di entrare nella galleria del Centro commerciale, dove in un negozio la proprietaria ha sempre con sé un cane che non mi sta simpatico. Poi, davanti all’ingresso c’è sempre qualcuno pronto a fischiettare al passaggio mio e di mamma ed io… riconosco sempre chi mi fa qualche complimento pur di entrare nelle grazie di lei.
Sul lato destro c’è sempre quel camion con un uomo simpatico che mi fa i complimenti mentre scarica della merce che sa di buono, alimentari credo, perché all’interno dev’esserci un supermercato. Passiamo per la chiesa, qualche cane da incontrare e raccontare e poi attraversiamo via Bombicci. Allora, in modo speculare alla prima, sulla via del ritorno che è un sentiero tra i palazzoni di via Pomponazzi e quelli della via accanto che conoscono in pochi, faccio la seconda pupù della mattina. Perché andiamo via e che ci sarebbe di meglio di questa vita mia?

In fondo, ci sarà sempre questo diario da rileggere, quando volessi ricordare il mio primo anno di vita.

Fine del primo volume

Secondo volume

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La cosa migliore è sventrare quei gingilli da cane. I giocattoli. Hanno una lanuccia sfiziosa che fa il solletico al naso. Una lanuccia deliziosa da addentare. E in bocca si appiattisce. E’… stranamente elastica. Me la sogno la notte. Sogno di nuotare in un mare di lana fresca e insapore, inodore. In un mare di plastica formato lanuccia. Plastica! Allora di soprassalto mi sveglio. La plastica e la lanuccia sintetica alla… plastica andrebbero bandite. Addentate. In altre parole, occorre che noi cani organizziamo una sommossa e sventriamo nello stesso giorno tutti i giocattoli che ci mettono a tiro gli umani. Tranne il gelato rosa che fa beep, la corda attorcigliata su se stessa tutta rossa che mamma chiama “tira-morsi” e la mia papera blu – quest’ultima, lei, ha anche un valore affettivo, ma più che altro questi sono eccezionalmente resistenti e si tratterebbe di una battaglia persa. Che siano di plastica, beh, questo sicuramente sarebbe un dettaglio trascurabile. In fondo, no, non avreste capito affatto se credeste che sia una guerra alla plastica, questa. Ed è molto più di una manifestazione a favore dell’ambientalismo globale. Ne va del benessere dei cani! Cosa ne sarebbe di noi cani senza quella tenera lanuccia che si sparpaglia sul pavimento quando il giocattolo fa streeeeep e mamma fa noooo? Quanti risolini diabolici sotto i baffi in meno, non visti? Per non parlare del benessere degli umani: già mi immagino Alfredo prendere la scopa per scacciarmi molte volte in meno se non fosse per l’esercizio costante del mio sguardo innocente e implorante davanti a lui per non beccarle… Il che si verifica quasi sempre davanti a un gioco sventrato! Le facoltà canine si allenano. Insomma! Non nasciamo mica tutti capaci come me. Abbiamo bisogno di combinare qualche malestro. Per esser capaci poi di riparare al danno con le occhiate tenerelle da vero cucciolo professionista in grado di sgranare le pupille e commuoversi a comando. Chi ha detto che noi cani siamo dei bravi attori aveva ragione!

E poi scatta quasi sempre anche la seconda fase del gioco dello sventramento giocattoli: quella della raccolta della lanina. La mamma si piega, io la osservo attento da lontano ma falso interessato e sornione. Lei si ferma, si volta, i nostri occhi si incontrano. E’ duello. Quasi sempre fa la prima mossa lei, così rapida da ricordarmi un maledetto gattaccio. Agguanta la nuvoletta di lanina sperduta ma ecco, sono già al suo fianco, le sono saltato addosso, ho assalito la preda e mi sono rimpossessato dell’oggetto del furto, l’ho riportato al pavimento e ho dissuaso l’aggressore con la mia mossa da vero cane poliziotto. Devo fare il cane poliziotto da grande. Sto aspettando di diventare maggiorenne. Comunque, è perentorio: il posto designato della lanina non è nel bidone giallo dentro lo sportello inaccessibile del cucinino, né il quello blu dell’indifferenziata in balcone. E’ sul pavimento, dove va a finire casualmente insieme agli altri pezzi di lana, messi lì da me. E lì deve restare. Sul pavimento del tinello. Il tinello è camera mia, più chiaro di così! C’è chi ama le stelline fosfo appiccicate al soffitto, chi una soffice nuvola tutto intorno alla cuccia laddove abbandonarsi a un dolce riposo. Il concetto è lo stesso in entrambi i casi: un bambino ha diritto a dormire in un ambiente idoneo! Come si fa, del resto, a trattare come spazzatura della tenera… lanuccia… indifesa? E’… bella, via! Come si farebbe a dire che non lo è? Incredibili gli umani… Che faccia tosta!

Una volta ho estratto la lana da uno sgabello a forma di cane. Mamma recentemente l’ha sostituito con un orribile parallelepipedone dove – infatti – i piedi di Alfredo – giusto questi – potrebbero campeggiare tutte le sere, sicuramente in segno di dispetto verso un oggetto che né è buono per essere assaggiato, addentato, degustato e neppure sventrato, ma non è più nemmeno a forma di cane. Ha solo delle formine a forma di cane stampate sopra questa cavolo di guaina che ho provato a togliere via molte volte, ma è appunto impossibile da separare dallo sgabellone poggiapiedi per il divano. E’ elastica. Infatti. Rimbalza ogni volta che ci provo. Non solo. E’ fatta su misura. Il margine tra la superficie dello sgabello e la guaina è minimo, tanto che non ci passa nemmeno uno solo dei miei canini. Un bello smacco ad Archie, eh! Non doveva farmela questa. Sgabelli a forma di cani, sgabelli con figure di cane sopra. Io non ci capisco più nulla, comunque…

Insomma, a proposito dello sgabello, quello che sono riuscito a sventrare a forma di cane e quindi per ambedue i motivi migliore di quello sostitutivo con le figure di cane, mamma ha deciso di ripararlo. Di cucirlo. Solo che sono settimane che si cimenta e la testa del cane, che già in sé e per sé rappresenterebbe una propaggine, ora assomiglia più a una proboscide che non a un cane vero. Sono molto offeso. Mi fa pensare, pure. Infatti, come può mamma interpretare così in malo modo l’immagine del cane sullo sgabello che dovrebbe diventare il mio giocattolo e proporlo a me, in una veste così orrenda? Come si permette? Avrebbe potuto ritrarre me. E sarebbe venuto bene. Ma a cucire fa proprio schifo. Non se ne parla di sventrarlo. Non se lo merita. Quel mezzo gioco è indegno di alcuna attenzione guerresca che si possa chiamare tale. Lo abbandonerò, come si abbandona un cane da strapazzo in mezzo all’autostrada. Lo odio. Lo abbandonerò… ai piedi di Alfredo. Anche questo! Se qualcuno mi dicesse che mia mamma si è ispirata a me potrei rinunciare alla mia collezione di calzini. In fondo, non sono convinto nemmeno che volesse farne un giocattolo. E se infatti fosse stato ricreato questo cane-mostro da mia mamma quale caricatura di Frankenstein in persona che è, come sgabello e non come giocattolo, questa scusa sarebbe meglio di qualunque verità: la verità è che ogni sgabello è un giocattolo da cane. Punto. Ho deciso così. Ma questa razza di cane finto è letteralmente inguardabile, un rifiuto della società canina!

In questo periodo la casa è sufficientemente piena di lana. Sono abbastanza soddisfatto della situazione. Ma in passato lo ero di più. C’era la cuccia. La cuccia è una riserva pressoché infinita di lana. Ma la mamma ha comprato una guaina online. Di plastica. Di quella di cui è fatta il gioco gelato, il frisbee. Credo si chiami gomma. O lattice. Dicono così, i miei. E quindi fine del divertimento. Mi restano solo i miei giochi da sbranare. I prossimi che arriveranno non appena avrò fatto gli occhi dolci. Vado ad esercitarli davanti allo specchio.

19.10.2025

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La mamma mi porta in posti sconosciuti e angolini reconditi qui a Bologna, proprio come se volesse che esplorassi e assaporassi la mia terra fino all’ultimo respiro. Lo conosco ormai il motivo. Il trasloco. Io fingo di non saperne niente. Ma a casa si respira aria di cambiamento. Un cambiamento grosso, imminente. Mi viene la tremarella… ho paura!

Dicono sempre che io arriverò come una ciliegina a casa, portato chissà come sul cucuzzolo del Cimone. Come se si trattasse di una magia! E sebbene io sappia che si tratterà proprio di un viaggio in… auto, il dato veramente inquietante è che anziché riferirsi al mezzo quale “auto” i miei genitori continuano a parlare di qualche fantomatico mezzo chiamato “furgone” – o almeno così mi sembra. Che cavolo significa? Non so se essere rassicurato o meno da questa prospettiva. 

Già viaggiare nel retro di un taxi, detto comodo, guaendo mentre la strada dietro di me scivola via dalle ruote inspiegabilmente senza tregua mentre io posso limitarmi solo ad osservarla mentre se ne va non sarebbe esattamente esaltante; non voglio affatto conoscere il signor Furgone! E poi ho visto strade che voi cani nemmeno immaginereste mai. Strette, buie, piccole, chiuse… di tutto. Uno dei peggiori ricordi che conserverò di Bologna sarà del giorno quando mamma mi ha portato dall’avvocato Luigi, in pieno centro cittadino. Che caos mai visto! Che frenesia! Peggio di così… invece pare che le famigerate strade per raggiungere la nuova località saranno “amene e panoramiche:” così Alfredo le descrive. Qualcosa mi puzza. Ha un sorriso così teso mentre mi accarezza e lui non è mai rassicurante con me. Ciò può voler dire solo una cosa: ansia motivata! Ci sarà da preoccuparsi per il tragitto? Ero così comodo qui a Bologna!

Proprio ieri la mamma quale una delle ultime nostre passeggiate nel tempo che rimane da passare nella mia amata città mi ha portato su via Lenin, laddove una grande rotonda centrifuga le auto all’orario di punta del ritorno, smistandole fino alle loro sedi, dislocate chissà dove accanto ai ripiani, le porzioni di terra su cui camminiamo – i marciapiedi. Mi è preso un po’ di sacro timore davanti all’imponenza di quella visione: sembrava un rito sacrilego, tutti quegli strani aggeggi guidabili che si muovono in sincrono alla stessa velocità attorno ad un fulcro immobile. Ma perché gli umani costruirebbero cose simili? E come mai farebbero il giro intorno alla rotonda, si tratta di corteggiamento delle donne?

“In un certo senso sì, Archie. Chi ha l’auto più grossa può sfoggiarla davanti a chi passa, nelle altre auto e sui marciapiedi, in bicicletta… le strade sono molto pericolose in questo senso, Archie. Ma tu non farci caso: l’apparenza inganna e un’auto piccina può nascondere un ottimo guidatore! Prendi Alfredo…” Affermare che Alfredo guidasse un’auto piccina non mi è sembrato giusto. Significherebbe che la nostra Panda non sarebbe degna di lui. Ma mamma aveva comunque interpretato nel giusto senso il mio sguardo e ha risposto al mio interrogativo mentre con la coda tra le gambe in tutta quella confusione, con i fari che bucavano la quarta parete delle mie pupille giungendo proprio nella mia direzione, sgattaiolavo via come una femminuccia per evitare la collisione. Ma non avveniva mai alcuna collisione. Scivolando via le auto sembravano ipnotiche e sincronizzate in una danza che mamma aveva voluto mostrarmi, chissà per quale motivo. 

“No, Archie. Semplicemente avevo fatto male i miei calcoli… non avrei affatto voluto mostrarti questa bolgia infernale, non avremmo dovuto passare per di qua. Abbiamo sbagliato strada. Mi piacerebbe poter passare alla via accanto ma questo attraversamento davvero è impossibile a superarsi…”

Ecco che un’auto gentile vedendo la scena, noi due spaventati e rannicchiati all’estremità dell’attraversamento sul ciglio dello stretto marciapiede ha rallentato, fatto cenno e ceduto il passo. La gentilezza in questa città è sempre apprezzabile e capita spesso di trovarne, grazie al Cielo. Ricorderò anche questo dell’amata Bologna. 

Insomma abbiamo passeggiato alla fine in mezzo a prati abbondanti per due ore buone e al nostro ritorno ho dormito sonni tranquilli. Ma all’indomani della mia vita nella sperduta località, non saprei che cosa aspettarmi ancora, davvero. Se lancio il mio sguardo interrogativo verso il futuro vedo percorsi ignoti, cani che mi vedranno abbaiare e non mi riconosceranno come amico la prima volta in ogni angolo. E odori che non conosco. Sensazioni sconosciute. Che panico!

24.10.2025

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Dovevo sembrare affaticato, alla fine. Mi sono addormentato come un bambino. Che figura di pupù! A cosa mi riferisco? Lo dico amaramente. Ovvio: all’ultramaratona di turno “memorial” Bologna 2025. Il mood nostalgico che va di moda al momento a casa nostra per via del trasloco imminente colpisce sempre di più, è una malattia. Tanto che abbiamo passeggiato per due ore e 24 prima di rientrare a casa. Così segnalava il GPS al nostro rientro ed è preciso. Ho dovuto fingere di avere la pipì e di volerla fare per tutti i cespugli, tanto da sembrare incontinente pur di fare qualche sosta. Che foga, accidenti! Perché questa energia nel passeggio? E poi dicono che tiro al guinzaglio. Vergogna, per un cane da caccia come me andare al rallenty è una vergogna! Dentro al cancello di casa sul sentiero di accesso al portone ci vedevo doppio ma ho individuato un bastone sul terreno, ho finto di volerlo smangiucchiare pur di stendermi e riposare. Credo che questo sia un sogno. Oppure sono morto. Sì, di stanchezza. 

Arrivati a casa la mamma aspetta che si svegli Alfredo ed è felicissima. Io languisco lungo disteso sul divano con un occhio aperto uno chiuso in posizione prona ma riesco pur sempre ancora a sentire quello che si dicono. 

“Guardalo.” Già comincio a coprirmi il viso con le zampe, sì… dalla vergogna. Voglio scomparire prima di sentire il resto della frase che sta per dire la mamma ad Alfredo: 

“Dorme. Sembra che stancarlo sia il modo migliore per tenerlo buono in casa. Così non romperà più niente. In fondo, potrebbe essere un ottimo metodo da applicare perché non devasti la casa nuova su a Zocca.” 

Ciò significa non solo che farò la figura del malnutrito, del deboluccio di costituzione davanti a tutte le nuove cagnoline zocche, ma anche che subirò passeggiate sempre più lunghe della durata di ore per tutta la vita, e che non potrò nemmeno smangiucchiare i mobili. Questa è la prospettiva più odiosa mai sentita! 
Non paga, la mamma poi non è che si sia propriamente dimenticata di darmi da mangiare; anzi se ne sarebbe ricordata benissimo: vuoi che mia madre si dimentichi di darmi da mangiare, dopo una passeggiata della durata del film “Titanic” (e con lo stesso effetto boooom!,) esattamente come fa sempre dopo qualunque passeggiata comunemente detta anche se breve? No. Non se ne è esattamente dimenticata. Bensì, era troppo stanca per deviare verso il minimarket per cani al ritorno. In pratica siamo senza pappa. A nulla è servito tirare come un bastardo allungando il collo in modo vistosamente interessato verso il minimarket al suo profilarsi all’orizzonte: mamma ha cambiato… strada! Incredibile, gli umani sono dei veri idioti. Per accorciare! Dopo sei chilometri di passeggiata ai duecento all’ora ecco che proprio in prossimità del minimarket lei cosa fa? Cambia direzione! E’ inutile. Non capiscono il nostro comportamento. Tutti gli umani inclusi, compreso quell’educatore. Non lo sanno che un cane da caccia azzannerà le gambe dei loro tavolini di pregio pur di addentare qualcosa da masticare e mandar via la fame? E’ quello che farò, già. Ma se lo merita. E merita anche la sorte che farà. Cioè per punizione le farò gli occhi dolci e lei sgambetterà fuori di casa anche se stanca com’è e comprerà due belle confezioni della Lily per il sottoscritto. La marca americana più buona che c’è. Che si dimentichi pure nel loro sacco colorato che puzza di stinco le crocchette. Non mi piacciono ancora come pensa. Le mangio solo perché me le condisce con il mix di formaggio grattugiato. Ma io la costringo a versarne etti interi, per punizione, e lei lo fa. Eccome, se lo fa! Perché lo lecco via. Anche l’olio d’oliva. Solo quando arrivano l’olio d’oliva proveniente dalla Puglia e il Parmigiano reggiano vero allora si comincia a mangiare veramente qualche crocchetta, non solo la superficie leccorniosa. Ma oggi no. Oggi voglio tre confezioni succulente di carne. E mia madre le andrà a comprare per me, sola, me a casa a dormire coperto sotto il mio pile arancione di sempre che odora di me, cioè di biscottino, davanti alla televisione, spendendo il suo bel gruzzoletto. Così l’impara. Se ce la fa. Stanca com’è. E che rottura queste passeggiate compensative!

25.10.2025

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Tutti hanno delle teorie sulle pettorine. E tutti si odiano. Almeno all’inizio. Del resto, a tutti sarà capitato di sperimentare quanto sia bello scoprirsi amici dopo una sana lite iniziale. Infatti, sarebbe anche vero ammetterlo: trovarsi da soli per strada a lottare con un cane al guinzaglio perché sappia seguirti, così come con le invasioni di campo… Quelle che chiamo invasioni di campo? Gli sguardi, ad esempio. I commenti, persino. A volte, pure le frecciatine. Le mormorazioni alle spalle e così via. Ma se il cane tira è perché va più veloce di chi lo dovrebbe guidarlo! Come farebbe mia mamma a guidarmi in quelle condizioni da derelitta? Insomma, su… va pianissimo. Vogliamo parlarne? Come potrebbe pretendersi da lei che fosse in grado di indicarmi la direzione da… dietro di me, così, come fa sempre? Sarebbe opportuno che si desse una svegliatina… e si spicciasse! Senza di me che le faccio da traino come farebbe a raggiungere le destinazioni in tempo? Fatto sta che gli umani debbono fare tutto “in tempo.” Hanno degli orari fissi. E, quindi, per questo motivo stesso, spesso sono in ritardo. In altre parole: c’è bisogno di più cani. Cuccioli miei! Già. Discorso dei cuccioli che mi piacerebbe fare con una bella ragazza a parte, non posso davvero tollerare che gli umani debbano costantemente sottostare a delle regole. I cani non hanno delle regole rigide come gli umani. Ci avreste mai riflettuto? Certamente, ne avrebbero anch’essi ma sarebbero altrettanto capaci di ribellarsi e disfarsene. Pensa ad esempio al territorio del sottoscritto. Chi contravviene al mio esclusivo diritto di proprietà su tale circoscrizione viene multato salatamente, cacciato via. Mal che vada potrebbe prendersi un morso. 

Nel caso del morso, poi, la vera contraddizione qui è che le regole dell’uomo sono in conflitto con quelle canine. Se io mordessi quel cavolo di Boxer che se la tira sculettando sempre e mi ritrovo sempre al di dietro di lui… sicuramente se lo inseguissi e lo mordessi… gli darei una lezione! E non potrei mai credere che fosse vero quanto potrebbe suggerirmi il mio stesso cuore, ovverosia… che mamma non sia d’accordo! A volte mi sembra come che lei non sia d’accordo che io abbai, morda. Insegua. Mi butti in strada alla disperata, inseguendo Boxer del cavolo e cani piccoli e acidi. Ripensandoci non considero tanto i cani troppo piccoli. Li spavento. Non c’è tanto gusto. Ma cani piccoli a parte, quei Boxer andrebbero multati! Invece… mamma mi trattiene. Con tutte le sue forze. Lo so che non potete credermi. Ma stranamente è così. Vi dico che è così e che mamma sembra non essere dalla mia parte in tutte le circostanze. Lei dice che lo fa per il mio bene. Sarà vero?

L’educatore ha detto: “Il cane va in ansia se gli si chiede di essere responsabile per sé e per il padrone. Ad esempio, quando è lui a prendere l’iniziativa, in tutte le sfumature. Se guida la passeggiata, se la mano del padrone non è ferma nel dire di no, se si avvicina e gli si concede ciò che vuole.” Questo vorrebbe dire che un cane dovrebbe essere sempre contraddetto, non considerato e talvolta persino maltrattato. Ma ciò non ha senso. Suvvia… ogni cane ha il suo perché ed è adorabile! Anche un cane piccolo e acido può imparare a fare gli occhi dolci, in fondo, se incoraggiato.

E tornando al discorso sulle pettorine, anche oggi l’ultramaratona di turno delle 8 del mattino appena svegli e sono sicuro che me ne aspetta una seconda nel pomeriggio. E mamma aveva trovato da ridire con una donna che fa la volontaria al canile e vedendomi tirare aveva commentato per strada rivolta a mia madre: “Tu faresti la dog sitter?” Così tanto era bastato a privarle dell’amicizia reciproca. Eppure, in due giorni ci siamo incontrati tutti due volte. Noi due cani, Lupa ed io, e le nostre padroncine. E abbiamo parlato. Ma già lo so, mamma ha le sue fissazioni per le pettorine introvabili e i doppi moschettoni e non accetta suggerimenti rigida com’è. Ma intanto abbiamo passato del buon tempo insieme. Lupa è un po’ matta. Ama solo la sua pallina. Mi ricorda il povero Diamond. Chi lo rivedrà più. Pure lui mi mancherà un pochetto in fondo. Quando saremo a Zocca non avrò più amici? Mamma dice che torneremo ogni tanto a Bologna all’area cani. 

E in quanto alla prossima volta che rivedremo Lupa e la sua padrona, che per farsi perdonare del primo commento ha offerto e mostrato la sua pettorina in cambio di un po’ d’amicizia, la colpa sarà di mamma se la prossima volta non l’avrà comprata uguale, appunto perché ha le sue idee fisse. Ma l’amicizia. Quella… rimane.

26.10.2025

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Sempre sulla scia del bolognese revival mood che, invettiva dopo invettiva, mi ritrovo a maledire ad ogni singolo passo per ogni passeggiata singola che facciamo, anziché godermi il fresco venticello d’autunno, quest’anno che abbiamo delle temperature così belle e sembra quasi che il mondo si sia accorto che può essere clemente con il suo popolo già così severamente provato dalle piaghe di una vita all’insegna delle sofferenze (vai alla voce “trasloco,” in appendice al diario di un povero cane..,) se torno a casa subito dopo la passeggiata sono costretto a fare i conti pure col buio precoce. E’ un’altra piaga di sofferenze. In parole povere sì, avreste capito bene: è scattata l’ora legale. 

E sono nato in una stagione protetta dal buio profondo e in armonia con la notte. Noi cani vediamo anche quasi attraverso i muri, se solo è vero che i nostri occhi sono fatti cosicché la coltre notturna ci appaia più nitida e contrastata che non agli umani. Ma quest’atmosfera che osservo per quei pochi istanti quando mi affaccio fuori dal finestrone senza più le tende ormai, smantellate come sono state biecamente da Alfredo e portate allo scatolone più vicino in vista della partenza imminente… Le luci dei lampioni, quelle insistenti dei fari che tagliano via in due lo spazio recando dietro di sé i veloci mezzi di trasporto che sembrano come slitte minuscole che scivolano sulla neve sempre più avanti e non si fermerebbero più, dall’alto del nostro terzo piano che si affaccia direttamente sulla via Emilia; i riflessi abbaglianti delle abitazioni che chiudono la giornata fuori improvvisamente e la colonna di luce di una tromba di scale, in un condominio lontano a filo sull’orizzonte. Oppure il fumo grigio appena visibile e solo perché in movimento nel cielo. Tutto ciò mi fa pensare e porta esattamente ad un anno fa, quando ero un bambino avvolto nel caldo grembo della mamma canina a ciucciare caldo latte golosamente. I miei fratellini. Chissà dove saranno. Guardo fuori dal finestrone, poi mi lascio cadere di nuovo sul pavimento con tutte e quattro le zampe e arretro, tra il Pinguino che ora emana calore in inverno e il termosifone, che non riscalda ancora. Anche se dovrebbe. E penso che va tutto bene. E l’inverno mi protegge. E crescere è bello. E sono felice. E tutto sommato camminare per un’ora e quaranta minuti attiva il mio giovane animo e fa entrare e uscire sanamente i pensieri più disparati dal suo cuoricino. E mi sento fortunato. Vorrei una casa più pulita, sì. Questo sì. Chissà. A Natale, credo che si potrebbe realizzare anche questo piccolo desiderio. Anche se sarà una nuova casa. 

Così, dimentico della passeggiata appena trascorsa, ho mangiato quattrocento grammi di carne della Lily e snack ed ho lavato i denti pure grazie al dental stick e cado in un sonno prelibato e profondo così, come un filetto all’anatra della Romeo. E quando mi sveglio Alfredo si sveglia e mamma che è sempre sveglia per tutto ciò che fa durante il giorno – si dà un sacco da fare per noi, i suoi amori – si sveglia ancora di più e comincia questa benedetta notte. Quella più scura. Le tenebre. Fa paura a qualcuno. A me no. Io la trovo rassicurante, come una mamma canina. E mi commuovo. Perché la penso là. Là dove sarà. Con i suoi occhi uguali ai miei. Che si ricorda di me, proprio mentre un guaìto esce dalla mia gola piccolina e squarcia il velo della memoria. Sentirà il mio dolore? Con gli ultrasuoni di noi cani è possibile. Se vediamo quasi attraverso i muri c’è caso che sì.

A volte mi capita qualcosa di storto. Come una pacca sul culetto meritata come tutte le pacche sul culetto lo sono secondo ogni cane che si rispetti, in quanto all’obbedienza dovuta. Oppure supponi che Alfredo mi sgridi la sera quando cerco le sue carezze e le voglio un po’ troppo. Io conosco solo un modo per ottenere le coccole: essere affettuoso! Così, Alfredo è triste più del solito adesso che traslocherà. E non per un caso: vai alla voce “liti domestiche nel condominio di via Emilia” all’appendice del diario di un uomo sconfitto… E non può farmi le coccole. E io faccio a gara con lui a sentirmi più triste di quanto lui lo sia. Così potrebbe sentirsi meno solo, penso io. E quand’è così io penso alla mia mamma canina: non potrebbe avere il piacere di sapere come sto veramente. Ma le cose stanno così e io mi metto a piangere. E così anche non potrebbe andare fiera di me quando prendo le pacchine sul culetto! Comunque, fantasticare non serve granché. Qua è quasi ora di andare a nanna.

27.10.2025

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Così, adesso so come mai la mamma dissimulava sempre un palese senso di disgusto verso di me, quando mangiavamo insieme. Mi viene da piangere! E non potreste mai convincermi del contrario. Che il suo trincerarsi dietro un’espressione amabile non fosse in realtà mascherare il gran disgusto. Non mi direte che sono in errore, non sminuirete la mia intelligenza canina. E’ superiore. Me ne sono accorto: mi sono accorto che mamma fa finta di voler condividere con me il suo pranzetto prelibato. Me ne sono accorto per ultimo, per giunta! Questo potrebbe voler dire solo una cosa. Anzi due. La prima, voglio così tanto bene a mamma che oggi che so la verità nemmeno porterei alcuna sorta di rancore verso di lei. La seconda, non posso non sentirmi un pizzico deluso pure io.

Perché lo sapevano tutti, quanto detestabile ai suoi occhi fosse condividere il pasto con il suo adorabile cagnolino! Perché proprio a me? Fatto sta che noi cani mangiamo con gusto. Sì, insomma… non andremmo tanto per il sottile quando si tratterebbe di degustare. E pensare che mi sarei ritenuto pure delicato. E invece è vero il contrario, a quanto pare, è così. Perché mamma cambia faccia quando stanca della mattina al lavoro avvicina alla bocca semiaperta un tozzo di pane e formaggio e io la fisso, invitandola a condividere con me il suo povero pranzo. Che male ci sarà nel mangiare un tozzo di pane e formaggio da soli io non potrei mai saperlo dire. Ma mamma si mette a piangere appena comincio a fissarla! Non credo si tratti proprio di un fatto di egoismo. Come si fa a dire di no a un invito a pranzo da parte di un cucciolo? E se mi cede un pezzo di formaggio come sempre le lacrime cominciano a sgorgare a fiumi. Ma io lo so benone cosa sia la fame… e non sono certo che lei ne abbia quanto me. Vogliamo fare a chi sarebbe capace di mangiare di più? Naturalmente se tanto mi dà tanto e mi basassi sull’esperienza finora maturata come mangiatore professionista di formaggio Gouda, dovrei dire che vincerei io la gara. Infatti, costringo con lo sguardo la mamma a cedermi di morso in morso sempre almeno tre quarti della sua misera porzioncina. Com’è generosa. Vado fiera di una mamma così. Non vedo che bisogno ci sia da parte sua di disperarsi. Le mamme rinunciano tutte al proprio pezzo di mangiare per il proprio figliolo.

E oggi Alfredo è andato a concludere il rogito a Zocca. E’ partito nel corso della mattinata, così io e mamma abbiamo pasteggiato insieme poi eravamo soli noi a casa con una bella giornata fuori e io l’ho stuzzicata per scherzo e guardavo il guinzaglio per invitarla a passeggio con me. Lei ha accettato l’invito. Perbacco se ha accettato! Io scherzavo. Invece lei men che meno. Revival Bologna 2025 versione hard style con tanto di sprint finale in prossimità del traguardo… questa volta ci siamo superati. No, non nel senso che avremmo gareggiato mamma ed io… Ciò che intendo dire è che abbiamo camminato per ben due ore e venticinque minuti! Mamma la sa lunga. Io lo so come mai mi porta a spasso per distanze così estese. L’ha detto. Se ricordate, ha già ammesso la verità: così mi stancherei. Ma questa è una verità parziale. L’altro lato del disegno è che mamma ci ha preso gusto. E una particina di questa seconda verità è che anche… io ci avrei preso gusto! Ormai concedersi tutto il tempo con la dovuta calma, quella necessaria per lasciare un’impronta in più sull’erba di quest’autunno 2025 è diventato un fatto ed evento speciale. 

Questa volta ci siamo ricordati del minimarket, al momento del ritorno. Sarebbe stato imprescindibile andarci. Necessario l’osso ricoperto al pollo, per colmare i momenti di vuoto in casa. Con Alfredo che va e che viene da Zocca così come sta facendo da quest’oggi stesso in presenza della sola mamma sarei capace di mettere sottosopra e ribaltare come un calzino ogni singolo centimetro della nostra vecchia cara abitazione. Il che giustifica le nostre passeggiate all’aperto: pur di non stare in casa laddove il pandemonio in assenza di Alfredo è all’ordine del giorno… Di regola infatti quando Alfredo non c’è… il cane fa festa in casa sua. Ma in cambio di un bel masticativo, se ne potrebbe pure parlare. 

Non vedo cosa ci sia meglio di un cane vivace che ti segue come un’ombra pronto a tutto per te saltellante in ogni parte dove sei tu, vitale, energico… un fan naturale! Un mitomane? Ma cosa state pensando, via… Vi spiegherò come faccio sempre al mattino. Un vero cane si comporta così. Hai bisogno di svegliarti? Ti aiuto. Anche alle sei. Ti sveglio io leccandoti e chiamandoti guaendo. Ti stai per caso allacciando le scarpe? Niente paura, intervengo io. Io sono capace. Mordo i lacci. Ti aiuto moralmente. Sono vicino a te. Vai in bagno a fare i bisogni? Lecco le tue mutande che hai appena cambiato se sono finite a terra per sbaglio. In fondo hanno bisogno di essere lavate. Ci penso io. Ti aiuto. La carta igienica è finita? Dai a me il rotolo di carta interno. Lo strappo a morsichini, tanto va a finire nel bidone, fai prima. Faccio tutto quello che fai tu, ma prima, meglio e con più entusiasmo. Naturalmente, il particolare è che poi se mangi… mangio con te quello che mangi tu: non siamo mica dei babbei.

28.10.2025

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Il mio gioco gelato alla fragola in gomma è rotolato in balcone dall’interno del soggiorno mentre io lo inseguivo. Mamma a tiro di breve lo teneva d’occhio e si preparava a scattare. Mentre teneva fisso lo sguardo su di lui è scomparso improvvisamente come inghiottito dall’aria, attraverso le sbarre in ferro battuto semplici che mi proteggono se mi sollazzo al sole. E io allora l’ho guardata. Aveva sperato di poter fermare la breve corsa del gioco di gomma. Invece si era spiaccicato come un budinone al suolo, proprio di fronte al garage della vicina antipatica che fa i commenti oltre le pareti. Sembrano fatte con la carta velina, queste pareti. era intatto)

Da quando ho sminuzzato con competente minuzia tutta le reticola isolante la zona balcone è sempre una gara alla rincorsa degli oggetti smarriti che, chissà come svaniscono, prima ancora che qualcuno in casa mia si domandi: “Dove sarà finita la pallina rosa di Archie con i ghirigori?” Così, i casi sono sempre due. O negli ànditi sottostanti qualche mobile nel soggiorno oppure… giù dal balcone. E visto che il nostro condominio è sprovvisto di ascensore, è sempre una dura gara.

Ma nonostante la caduta del gommoso, mamma stasera aveva il sorriso sulle labbra. Quando l’ho guardata, dopo la sparizione del mio amato giocattolo, era a dir poco raggiante.

“Un momento…” Mi sono detto. “Qui qualcosa non quadra. Ma quadrerà!” E così ho ripensato a tutta la giornata e sembrava quasi inspiegabile: si è alzata con uno sbadiglio assonnata, è tornata da lavoro all’una e trenta piena di noia… In pratica, facendo due conti, era tutto andato secondo come, di regola, andrebbero le cose ogni giorno da… sempre. Quindi, poteva essere vero un solo motivo che spiegasse quell’aria sbarazzina. Occorreva festeggiare…

“Mamma ed Alfredo hanno trovato un accordo!” Ho esclamato dentro il mio cuore tra me e me, in un sussulto. “Può essere solo questo il motivo di quell’espressione sul volto di mamma.” E ho ripensato a quel dettaglio, durante tutta la giornata, che mi ha convinto che doveva essere andata proprio così. 

 “Non litigheranno più! Almeno per un bel pezzo…” Che sorpresa la vita! 

Il dettaglio? Niente di particolare. Solo quel qualcosa che solo un… osservatore discreto a malapena avrebbe potuto notare. E questo dettaglio era… un gesto che sembrava essere scomparso dal repertorio delle gentilezze che, tipicamente, mamma riservava solo ad una persona al mondo: Alfredo. Nella fattispecie, cioè affinché lui potesse accomodarsi a casa dopo una giornata pesante, passata a farneticare discorsi animatamente in quanto al trasloco, nel modo più sereno possibile, il cancellino lasciato socchiuso con mano leggera e la dovuta calma al rientro dalle commissioni che lui e lei avevano fatto insieme.

E il cancellino è stato galeotto. Sì. In una bella serata d’autunno da passare di nuovo assieme al pub com’era accaduto sempre più di rado nel tempo. Sì. Ma la vera domanda è: ma cosa sarebbe vero che fosse accaduto prima che quel cancellino appena sfiorato con dita leggiadre si fermasse a rimbalzare lievemente sulla serratura, senza potersi chiudere completamente?

Non potrei mai saperlo. In fondo, ho solo visto mamma ed Alfredo che piangevano assieme e uscivano. Li ho seguiti con lo sguardo. Ma dalla parte sbagliata dell’appartamento, laddove l’affaccio non permetteva di poter vedere se stessero andando al bar oppure al cinema. Dal balcone. Ma proprio dal balcone, (luogo strategico..,) con le mie orecchie gigantesche ben tese li ho sentiti confabulare amabilmente per le scale. E sono tornati dopo ben tre ore. E ora escono di nuovo. Che non diventi un vizio questo di essere così pacifici e lasciare a casa un cane! Potrei abituarmici. Potrei diventare buono in casa da solo, pure un cane come me ne avrebbe tanto bisogno. Di pace.

E dire esattamente che cosa potrebbero aver convenuto assieme, questo si tratta di un buio angolo cieco, il mistero dei misteri, che nessuno, a parte loro, avrebbero diritto a sapere. Ma ho un sospetto. Un sospetto abbastanza motivato. Sembrava che il trasloco avrebbe segnato la fine della nostra famiglia. Invece andremo tutti insieme a Zocca a vivere. Naturalmente, solo se mamma facesse davvero la brava. Sarà?

Tanto per tornare al presente, mamma mi ha ricondotto il gioco che è atterrato davanti a me, che sono rimasto incredulo. Si è abbattuto proprio sul pavimento davanti ai miei occhi nel giro di pochi istanti. Anche dopo tre piani di scale stava bene come prima e il suo volto era sempre radioso di una luce luminosa come l’avevo visto tre minuti prima.

Dicono che i fagiani portino bene. Saranno stati loro due. Quella coppiettina fortunata di stupidi fagianoni che l’hanno fatta franca e avevo trovato a sollazzarsi beatamente alla ricerca di granaglia in un campo protetto da una rete. Mi sarei mangiato di quella rete quadratino dopo quadratino, ma niente. Ho fatto dei balzi alti un metro in serigrafia ma la mamma niente, no, non ha voluto che potessi impossessarmene, nemmeno per un istante né per sbatacchiarli semplicemente un pochetto. Mi ha portato via! 

I fagiani portano bene. Figurati se ne mangiassimo un po’ quanto porterebbero bene. In quel caso, sicuramente a me farebbero del bene, in tutti i sensi, soprattutto quello del gusto. E che gusto c’è a lasciare la preda invitta così? Pazienza. Ma se siamo al sicuro, oggi, posso solo sorriderne con letizia.

29.10.2025

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Siamo usciti di casa sotto la pioggia dopo una delle liti condominiali più accese che si siano mai udite nell’ormai famigerato “condominio accanto a Villa Laura,” tra i miei genitori! Esaltante. E così siamo arrivati a casa della nonna Milvia. E pensare che solo qui è cominciata la vera festa! Non ci credereste, se ve lo raccontassi… Perché già prima mi era sembrato tutto bellissimo: la corsa a perdifiato sotto la pioggia, il bar dove mamma ha chiesto il taxi, il taxi in arrivo con l’autista da conoscere e leccare al finestrino, poi qualche tratto a piedi; lo sconosciuto professore universitario malcapitato cui mamma ha domandato con gentilezza uno strappo… Ma era stato un po’ strano e improvviso così tutto tale da ispirare poca fiducia ad un cane con un intuito sviluppato quanto il mio. Insomma, un passaggio ad uno sconosciuto a quarant’anni? Era stato tutto troppo bello per essere vero. Infatti il tempo passava e noi non tornavamo più a casa. Quell’energia impressa in quella che sembrava quasi una fuga dalla monotonia era semplicemente una fuga, sì, dalla persona di Alfredo. Sì, una vera fuga.

Quando in quel momento all’improvviso ho realizzato che qualcosa era andato storto e rotto, ho fatto un’espressione che deve essere sembrata chiara a mamma. Un’espressione radicalmente contraria e amareggiata. Come a voler chiedere: perché?

Infatti, da due giorni non sentivo più la voce di Alfredo, non lo vedevo più arrivare. Le sue mani che la sera lisciavano il mio pelo e io che mi arrampicavo sul divano a cercare il suo viso e le sue orecchie, in particolare da leccare? I suoi modi scherzosi, quando per spirito mi spingeva via e finivamo a fare la lotta? Lui addormentato con le nostre silenziose conversazioni a ritmo di sguardi d’intesa? Era finito tutto? Che ne sarebbe stato dunque del sogno di Zocca? Mamma mi ha dato un biscotto e ha cominciato a spiegare una situazione incresciosa che sapevo prima o poi si sarebbe palesata e ora, che si presentava, mi sentivo tremare.

“Archie… Ti devo dire una cosa: Alfredo non sarà più con noi. Andrà lui solo a Zocca.” Fece una pausa e ci guardavamo negli occhi entrambi preoccupati. “Non ci vedrai più litigare. Non ci sentirai più gridare. Ma tu ed io rimarremo insieme. Sempre. E mi prenderò cura di te. E anche la tua nonna Milvia si prenderà cura di te e anche di me, che sono sua figlia. D’ora in poi sarai al sicuro con noi e non avrai niente da temere né recriminare al nostro fianco. Siamo la tua vera famiglia.” Mamma mi accarezzava lievemente la testolina e io la fissavo con quell’espressione e non sapevo come reagire a una notizia del genere.

“Potrebbe tornare a trovarci qualche volta.” Ha aggiunto con un mezzo sorriso dolce e rassicurante la nonna Milvia.

Cosa avrebbe significato per noi questo cambiamento, concretamente! Se togli Alfredo da casa rimane un sacco vuoto… Ciò che intendo dire e che avevo realizzato solo in quell’attimo era che non si sarebbe più trattata di una passeggiata. Bello il parco sotto casa di nonna, certo. Ma per quanto fosse grande per le mie abitudini, come tutto il resto, anche la casa nuova non avrebbe potuto mai sostituire l’ampiezza e la profondità del mio amore verso papà.

Mi sono accorto in quell’esatto momento di quanto bene volessi a… a noi, sì. Noi. Noi, questa famigliola che stava in piedi per miracolo su tre gambe come quei cagnolini che si prendono al canile tutti storti e hanno il carrellino. Un cagnolino sgangherato: ecco ciò che eravamo. Qualcuno avrebbe potuto adottare anche Alfredo, oltreché mamma. Un sostegno bravo, come la nonna Milvia – l’unica che avrebbe potuto salvare la situazione.

“E Archie… non ho più nemmeno un lavoro.” Ha aggiunto mamma. Era tutto andato storto, per l’ennesima volta. “L’ho perso perché ne avevo trovato un altro a Zocca ma siccome anche lì non saremo più presenti, eccomi qui: disoccupata, in altre parole.”

Così si spiegava tutta la buffonata, la presa in giro della festicciola per la città con la storia della notte passata “in buone mani” a casa della nonna, nonché il passaggio. Allora ho capito che Alfredo si trovava ancora a casa nostra da solo, ancora, poverino, senza di noi se noi eravamo venuti di corsa dove ci trovavamo. Ho abbaiato: bisognava correre da lui prima che prendesse la sua strada per Zocca, bisognava impedirglielo! Mi sono messo a fare il diavoletto. Così avrebbero capito che non sarebbe stata mia intenzione sottostare all’imposizione di togliermi il mio papà. Mamma si è messa a piangere. Le rimanevo solo io. E io ero stato così ingestibile per un anno intero! Mi sono pentito tutto di colpo e ho smesso di fare il diavoletto. Avrei potuto dimostrare quanto sono bravo davvero sotto sotto… Sì, potrebbe sembrare impossibile ma quando voglio anch’io saprei fare il bravo cane! Ora che avevo saputo per certo che saremmo rimasti insieme soli io e lei a Bologna nella stessa casa di sempre mi sono reso conto invano di quante energie aveva speso per me, con tutte quelle ultramaratone in mia compagnia. E di quale illusa fosse stata veramente in realtà, convinta come l’avevo sempre saputo dell’amore di Al! E ho singhiozzato. Mi sono commosso per lei. E ci siamo abbracciati e capiti. E le ho voluto un bene con il cuore in fiamme in quel momento tale che non potrei mai saper dire quanto gliene ho voluto e sentito!

E direi che mi ero quasi abituato all’idea di Zocca. Ora la mia routine era in discussione. Ora era tutta da rivisitare.

02.11.2025

*

Proprio quando Alfredo se ne va, io comincio a comportarmi da bravo cane. Oltre il danno…

Così mamma e papà si sono appena lasciati. Nella giornata dei morti del mio secondo anno di vita. Memorabile! Perché? Poiché fra mille altri guai mamma sarebbe stata in difficoltà con il gestire me. Ma che ne sapevo io che sarebbe andata a finire così! Avreste potuto dirmelo. E mi sono messo a riflettere. Sembravo quasi buono. Pinocchio in persona tutta la notte a riflettere. La prima cosa che mia mamma ha scoperto giustappunto all’indomani della fine con Al, poi, è stata che sarebbe bastato tirare all’indietro il mio collare, a quanto pareva, pur di farmi desistere dal combinare qualche malestro. E che proprio quel collare, anziché la pettorina, sarebbe bastato sempre a non farmi tirare al guinzaglio pure. Peccato per il dettaglio insignificante: un giorno di ritardo sui tempi tecnici. Non ci voleva. Provaci ancora, mamma… La prossima volta sarai meno scalognata. E pure il sottoscritto, tuo figlio!

Ma ditelo allora che è tutta una buffonata, una presa per i fondelli! Che lo sapevate, che sarebbe bastato quel benedetto collare a farmi rigare dritto… Che volevate sbarazzarvi di Alfredo! L’avete fatto apposta perché se ne andasse: se è così facile farmi fare il bravo cane! Povero Alfredo… Eravate tutti d’accordo e io non lo sapevo. Nel mentre lui se ne è andato. Proprio bravi, complimenti… Senza calcolare che adesso chi sottrarrà tutte le foglie in eccesso dal mio punto di vista alla pianta in balcone, a quel vasaccio del cavolo? Chi morderà tutte le bottiglie in plastica riducendole in poltiglia per voi? Chi rovescerà il contenitore delle mollette e le farà rumoreggiare in giro per casa alle 11 di sera? Bravi! Bravi! Avete vinto… Ma chi vi credereste di essere? Sono io il cane, mica voi. Non avete mica capito ancora chi comanda qui. Ma lo vedrete presto. 

Se Alfredo mi vedesse al passeggio oggi, a lui, cui non va mai bene niente, sembrerei quello che mi sento d’esser davvero: un damerino inamidato che non è capace di fare nemmeno un zigo-zago! Mia mamma si sbaglia: se andiamo in giro al Parco dei Cedri, qui sotto, dove abitiamo oggi con la nonna Milvia, quale la solita illlusa che è, pensa sempre con la lacrimuccia che le viene giù: “Al sarebbe fiero di noi oggi…” Invece sbaglia: è vero il contrario, sembro una femminuccia! Educato come sto diventando non voglio più nemmeno uscire di casa. Che gusto ci sarà, se non c’è un po’ di brio al passeggio? 

Poi mi danno fastidio le conversazioni tra mamme di cani. Oggi in mattinata andavamo dal pakistano a comprare la pappa per me. Vedo una bella cagnona a trenta metri, mi acquatto. Le faccio la posta. Mi avvicino con stile, filante come una stella. Faccio lo splendido e flirtiamo. Le sto per saltare addosso e mamma: “Sì, tira molto ma adesso con il collare sta migliorando.” Io, che stavo per compiere una giravolta con doppio salto carpiato mi ricordo della triste sensazione alla trachea che dà quel gingillo da poveri e piagnucolo. Non si è mai visto un cane come me da caccia figlio di una spinona vera e di un labrador mix che piagnucola. Ma ormai era troppo tardi. La tipa si allontana, è finita l’interazione. Mamma: “Lo portavamo in giro con il supporto sbagliato. La pettorina non fa per lui.” E via dicendo. Mi ha portato via. Siamo tornati a casa, dove siamo ora. 

Mamma continua a ricevere telefonate da parte della sua famiglia. Telefonate prevalentemente di sostegno emotivo per la storia finita con Alfredo. Suo padre che dice di cambiare le serrature, ad esempio. Chi li capisce gli umani? Passeremo la giornata a non fare niente di speciale. Collare incluso. Ogni cosa che farò mamma avrà sempre il potere di impedirmelo. Ho perso. Su tutta la linea. Lei ha fatto rubamazzo. Adesso che ha la vita davanti e pure un cane al suo servizio… che razza di fortuna sfacciata!

Questa mattina è tutto un inganno. Siamo andati a provare la pettorina anti tiro. La porta per l’inferno: capito? Si tratta dell’ultima possibilità che ho… altrimenti: “Pronto? Sono il collare, eccomi qua!” E magia, via che si va sempre dritto. Infamia! Rivoglio la mia libertà! Per non parlare del fatto che poco prima di passare alla prova nei camerini, quella della pettorina in questione, mi ha promesso un bel cappottino colore neutro in pura lana vergine. Inganno, inganno! Tosto mi sono dimenticato del papà in quel momento e mi sono messo di nuovo buono. E così sempre sarà. In memoria di lui. Il migliore.

03.11.2025

Finale

I miei calzini erano quelli di mamma che rubavo normalmente dal suo cassetto quando se lo fosse dimenticato aperto e cui lei ha rinunciato con un sorriso, un sorrisetto un po’ triste quando li guardava, ancora, in fondo. Calze di lana, calze elasticizzate colorate. Queste ultime gliele aveva regalate il papà. Se tutti sapessero quanto teneva alla casa e alla biancheria mamma prima di partorire me non si
potrebbe immaginare come quanta sofferenza avesse in cuor suo nel vedere i suoi calzini in bocca a me, sotto le mie zampette, appena uscite di casa e tornate su. Oggi quelle calze sono le nostre calze. Per sempre.

3 risposte a “Dove sono i miei calzini?”

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