Dove sono i miei calzini? Volume II – Brutta copia I

Dove sono i miei calzini? 

Volume II

La cosa migliore è sventrare quei gingilli da cane. I giocattoli. Hanno una lanuccia sfiziosa che fa il solletico al naso. Una lanuccia deliziosa da addentare. E in bocca si appiattisce. E’… stranamente elastica. Me la sogno la notte. Sogno di nuotare in un mare di lana fresca e insapore, inodore. In un mare di plastica formato lanuccia. Plastica! Allora di soprassalto mi sveglio. La plastica e la lanuccia sintetica alla… plastica andrebbero bandite. Addentate. In altre parole, occorre che noi cani organizziamo una sommossa e sventriamo nello stesso giorno tutti i giocattoli che ci mettono a tiro gli umani. Tranne il gelato rosa che fa beep, la corda attorcigliata su se stessa tutta rossa che mamma chiama “tira-morsi” e la mia papera blu – quest’ultima, lei, ha anche un valore affettivo, ma più che altro questi sono eccezionalmente resistenti e si tratterebbe di una battaglia persa. Che siano di plastica, beh, questo sicuramente sarebbe un dettaglio trascurabile. In fondo, no, non avreste capito affatto se credeste che sia una guerra alla plastica, questa. Ed è molto più di una manifestazione a favore dell’ambientalismo globale. Ne va del benessere dei cani! Cosa ne sarebbe di noi cani senza quella tenera lanuccia che si sparpaglia sul pavimento quando il giocattolo fa streeeeep e mamma fa noooo? Quanti risolini diabolici sotto i baffi in meno, non visti? Per non parlare del benessere degli umani: già mi immagino Alfredo prendere la scopa per scacciarmi molte volte in meno se non fosse per l’esercizio costante del mio sguardo innocente e implorante davanti a lui per non beccarle… Il che si verifica quasi sempre davanti a un gioco sventrato! Le facoltà canine si allenano. Insomma! Non nasciamo mica tutti capaci come me. Abbiamo bisogno di combinare qualche malestro. Per esser capaci poi di riparare al danno con le occhiate tenerelle da vero cucciolo professionista in grado di sgranare le pupille e commuoversi a comando. Chi ha detto che noi cani siamo dei bravi attori aveva ragione!

E poi scatta quasi sempre anche la seconda fase del gioco dello sventramento giocattoli: quella della raccolta della lanina. La mamma si piega, io la osservo attento da lontano ma falso interessato e sornione. Lei si ferma, si volta, i nostri occhi si incontrano. E’ duello. Quasi sempre fa la prima mossa lei, così rapida da ricordarmi un maledetto gattaccio. Agguanta la nuvoletta di lanina sperduta ma ecco, sono già al suo fianco, le sono saltato addosso, ho assalito la preda e mi sono rimpossessato dell’oggetto del furto, l’ho riportato al pavimento e ho dissuaso l’aggressore con la mia mossa da vero cane poliziotto. Devo fare il cane poliziotto da grande. Sto aspettando di diventare maggiorenne. Comunque, è perentorio: il posto designato della lanina non è nel bidone giallo dentro lo sportello inaccessibile del cucinino, né il quello blu dell’indifferenziata in balcone. E’ sul pavimento, dove va a finire casualmente insieme agli altri pezzi di lana, messi lì da me. E lì deve restare. Sul pavimento del tinello. Il tinello è camera mia, più chiaro di così! C’è chi ama le stelline fosfo appiccicate al soffitto, chi una soffice nuvola tutto intorno alla cuccia laddove abbandonarsi a un dolce riposo. Il concetto è lo stesso in entrambi i casi: un bambino ha diritto a dormire in un ambiente idoneo! Come si fa, del resto, a trattare come spazzatura della tenera… lanuccia… indifesa? E’… bella, via! Come si farebbe a dire che non lo è? Incredibili gli umani… Che faccia tosta!

Una volta ho estratto la lana da uno sgabello a forma di cane. Mamma recentemente l’ha sostituito con un orribile parallelepipedone dove – infatti – i piedi di Alfredo – giusto questi – potrebbero campeggiare tutte le sere, sicuramente in segno di dispetto verso un oggetto che né è buono per essere assaggiato, addentato, degustato e neppure sventrato, ma non è più nemmeno a forma di cane. Ha solo delle formine a forma di cane stampate sopra questa cavolo di guaina che ho provato a togliere via molte volte, ma è appunto impossibile da separare dallo sgabellone poggiapiedi per il divano. E’ elastica. Infatti. Rimbalza ogni volta che ci provo. Non solo. E’ fatta su misura. Il margine tra la superficie dello sgabello e la guaina è minimo, tanto che non ci passa nemmeno uno solo dei miei canini. Un bello smacco ad Archie, eh! Non doveva farmela questa. Sgabelli a forma di cani, sgabelli con figure di cane sopra. Io non ci capisco più nulla, comunque…

Insomma, a proposito dello sgabello, quello che sono riuscito a sventrare a forma di cane e quindi per ambedue i motivi migliore di quello sostitutivo con le figure di cane, mamma ha deciso di ripararlo. Di cucirlo. Solo che sono settimane che si cimenta e la testa del cane, che già in sé e per sé rappresenterebbe una propaggine, ora assomiglia più a una proboscide che non a un cane vero. Sono molto offeso. Mi fa pensare, pure. Infatti, come può mamma interpretare così in malo modo l’immagine del cane sullo sgabello che dovrebbe diventare il mio giocattolo e proporlo a me, in una veste così orrenda? Come si permette? Avrebbe potuto ritrarre me. E sarebbe venuto bene. Ma a cucire fa proprio schifo. Non se ne parla di sventrarlo. Non se lo merita. Quel mezzo gioco è indegno di alcuna attenzione guerresca che si possa chiamare tale. Lo abbandonerò, come si abbandona un cane da strapazzo in mezzo all’autostrada. Lo odio. Lo abbandonerò… ai piedi di Alfredo. Anche questo! Se qualcuno mi dicesse che mia mamma si è ispirata a me potrei rinunciare alla mia collezione di calzini. In fondo, non sono convinto nemmeno che volesse farne un giocattolo. E se infatti fosse stato ricreato questo cane-mostro da mia mamma quale caricatura di Frankenstein in persona che è, come sgabello e non come giocattolo, questa scusa sarebbe meglio di qualunque verità: la verità è che ogni sgabello è un giocattolo da cane. Punto. Ho deciso così. Ma questa razza di cane finto è letteralmente inguardabile, un rifiuto della società canina!

In questo periodo la casa è sufficientemente piena di lana. Sono abbastanza soddisfatto della situazione. Ma in passato lo ero di più. C’era la cuccia. La cuccia è una riserva pressoché infinita di lana. Ma la mamma ha comprato una guaina online. Di plastica. Di quella di cui è fatta il gioco gelato, il frisbee. Credo si chiami gomma. O lattice. Dicono così, i miei. E quindi fine del divertimento. Mi restano solo i miei giochi da sbranare. I prossimi che arriveranno non appena avrò fatto gli occhi dolci. Vado ad esercitarli davanti allo specchio.

19.10.2025

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La mamma mi porta in posti sconosciuti e angolini reconditi qui a Bologna, proprio come se volesse che esplorassi e assaporassi la mia terra fino all’ultimo respiro. Lo conosco ormai il motivo. Il trasloco. Io fingo di non saperne niente. Ma a casa si respira aria di cambiamento. Un cambiamento grosso, imminente. Mi viene la tremarella… ho paura!

Dicono sempre che io arriverò come una ciliegina a casa, portato chissà come sul cucuzzolo del Cimone. Come se si trattasse di una magia! E sebbene io sappia che si tratterà proprio di un viaggio in… auto, il dato veramente inquietante è che anziché riferirsi al mezzo quale “auto” i miei genitori continuano a parlare di qualche fantomatico mezzo chiamato “furgone” – o almeno così mi sembra. Che cavolo significa? Non so se essere rassicurato o meno da questa prospettiva. 

Già viaggiare nel retro di un taxi, detto comodo, guaendo mentre la strada dietro di me scivola via dalle ruote inspiegabilmente senza tregua mentre io posso limitarmi solo ad osservarla mentre se ne va non sarebbe esattamente esaltante; non voglio affatto conoscere il signor Furgone! E poi ho visto strade che voi cani nemmeno immaginereste mai. Strette, buie, piccole, chiuse… di tutto. Uno dei peggiori ricordi che conserverò di Bologna sarà del giorno quando mamma mi ha portato dall’avvocato Luigi, in pieno centro cittadino. Che caos mai visto! Che frenesia! Peggio di così… invece pare che le famigerate strade per raggiungere la nuova località saranno “amene e panoramiche:” così Alfredo le descrive. Qualcosa mi puzza. Ha un sorriso così teso mentre mi accarezza e lui non è mai rassicurante con me. Ciò può voler dire solo una cosa: ansia motivata! Ci sarà da preoccuparsi per il tragitto? Ero così comodo qui a Bologna!

Proprio ieri la mamma quale una delle ultime nostre passeggiate nel tempo che rimane da passare nella mia amata città mi ha portato su via Lenin, laddove una grande rotonda centrifuga le auto all’orario di punta del ritorno, smistandole fino alle loro sedi, dislocate chissà dove accanto ai ripiani, le porzioni di terra su cui camminiamo – i marciapiedi. Mi è preso un po’ di sacro timore davanti all’imponenza di quella visione: sembrava un rito sacrilego, tutti quegli strani aggeggi guidabili che si muovono in sincrono alla stessa velocità attorno ad un fulcro immobile. Ma perché gli umani costruirebbero cose simili? E come mai farebbero il giro intorno alla rotonda, si tratta di corteggiamento delle donne?

“In un certo senso sì, Archie. Chi ha l’auto più grossa può sfoggiarla davanti a chi passa, nelle altre auto e sui marciapiedi, in bicicletta… le strade sono molto pericolose in questo senso, Archie. Ma tu non farci caso: l’apparenza inganna e un’auto piccina può nascondere un ottimo guidatore! Prendi Alfredo…” Affermare che Alfredo guidasse un’auto piccina non mi è sembrato giusto. Significherebbe che la nostra Panda non sarebbe degna di lui. Ma mamma aveva comunque interpretato nel giusto senso il mio sguardo e ha risposto al mio interrogativo mentre con la coda tra le gambe in tutta quella confusione, con i fari che bucavano la quarta parete delle mie pupille giungendo proprio nella mia direzione, sgattaiolavo via come una femminuccia per evitare la collisione. Ma non avveniva mai alcuna collisione. Scivolando via le auto sembravano ipnotiche e sincronizzate in una danza che mamma aveva voluto mostrarmi, chissà per quale motivo. 

“No, Archie. Semplicemente avevo fatto male i miei calcoli… non avrei affatto voluto mostrarti questa bolgia infernale, non avremmo dovuto passare per di qua. Abbiamo sbagliato strada. Mi piacerebbe poter passare alla via accanto ma questo attraversamento davvero è impossibile a superarsi…”

Ecco che un’auto gentile vedendo la scena, noi due spaventati e rannicchiati all’estremità dell’attraversamento sul ciglio dello stretto marciapiede ha rallentato, fatto cenno e ceduto il passo. La gentilezza in questa città è sempre apprezzabile e capita spesso di trovarne, grazie al Cielo. Ricorderò anche questo dell’amata Bologna. 

Insomma abbiamo passeggiato alla fine in mezzo a prati abbondanti per due ore buone e al nostro ritorno ho dormito sonni tranquilli. Ma all’indomani della mia vita nella sperduta località, non saprei che cosa aspettarmi ancora, davvero. Se lancio il mio sguardo interrogativo verso il futuro vedo percorsi ignoti, cani che mi vedranno abbaiare e non mi riconosceranno come amico la prima volta in ogni angolo. E odori che non conosco. Sensazioni sconosciute. Che panico!

24.10.2025

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Dovevo sembrare affaticato, alla fine. Mi sono addormentato come un bambino. Che figura di pupù! A cosa mi riferisco? Lo dico amaramente. Ovvio: all’ultramaratona di turno “memorial” Bologna 2025. Il mood nostalgico che va di moda al momento a casa nostra per via del trasloco imminente colpisce sempre di più, è una malattia. Tanto che abbiamo passeggiato per due ore e 24 prima di rientrare a casa. Così segnalava il GPS al nostro rientro ed è preciso. Ho dovuto fingere di avere la pipì e di volerla fare per tutti i cespugli, tanto da sembrare incontinente pur di fare qualche sosta. Che foga, accidenti! Perché questa energia nel passeggio? E poi dicono che tiro al guinzaglio. Vergogna, per un cane da caccia come me andare al rallenty è una vergogna! Dentro al cancello di casa sul sentiero di accesso al portone ci vedevo doppio ma ho individuato un bastone sul terreno, ho finto di volerlo smangiucchiare pur di stendermi e riposare. Credo che questo sia un sogno. Oppure sono morto. Sì, di stanchezza. 

Arrivati a casa la mamma aspetta che si svegli Alfredo ed è felicissima. Io languisco lungo disteso sul divano con un occhio aperto uno chiuso in posizione prona ma riesco pur sempre ancora a sentire quello che si dicono. 

“Guardalo.” Già comincio a coprirmi il viso con le zampe, sì… dalla vergogna. Voglio scomparire prima di sentire il resto della frase che sta per dire la mamma ad Alfredo: 

“Dorme. Sembra che stancarlo sia il modo migliore per tenerlo buono in casa. Così non romperà più niente. In fondo, potrebbe essere un ottimo metodo da applicare perché non devasti la casa nuova su a Zocca.” 

Ciò significa non solo che farò la figura del malnutrito, del deboluccio di costituzione davanti a tutte le nuove cagnoline zocche, ma anche che subirò passeggiate sempre più lunghe della durata di ore per tutta la vita, e che non potrò nemmeno smangiucchiare i mobili. Questa è la prospettiva più odiosa mai sentita! 

Non paga, la mamma poi non è che si sia propriamente dimenticata di darmi da mangiare; anzi se ne sarebbe ricordata benissimo: vuoi che mia madre si dimentichi di darmi da mangiare, dopo una passeggiata della durata del film “Titanic” (e con lo stesso effetto boooom!,) esattamente come fa sempre dopo qualunque passeggiata comunemente detta anche se breve? No. Non se ne è esattamente dimenticata. Bensì, era troppo stanca per deviare verso il minimarket per cani al ritorno. In pratica siamo senza pappa. A nulla è servito tirare come un bastardo allungando il collo in modo vistosamente interessato verso il minimarket al suo profilarsi all’orizzonte: mamma ha cambiato… strada! Incredibile, gli umani sono dei veri idioti. Per accorciare! Dopo sei chilometri di passeggiata ai duecento all’ora ecco che proprio in prossimità del minimarket lei cosa fa? Cambia direzione! E’ inutile. Non capiscono il nostro comportamento. Tutti gli umani inclusi, compreso quell’educatore. Non lo sanno che un cane da caccia azzannerà le gambe dei loro tavolini di pregio pur di addentare qualcosa da masticare e mandar via la fame? E’ quello che farò, già. Ma se lo merita. E merita anche la sorte che farà. Cioè per punizione le farò gli occhi dolci e lei sgambetterà fuori di casa anche se stanca com’è e comprerà due belle confezioni della Lily per il sottoscritto. La marca americana più buona che c’è. Che si dimentichi pure nel loro sacco colorato che puzza di stinco le crocchette. Non mi piacciono ancora come pensa. Le mangio solo perché me le condisce con il mix di formaggio grattugiato. Ma io la costringo a versarne etti interi, per punizione, e lei lo fa. Eccome, se lo fa! Perché lo lecco via. Anche l’olio d’oliva. Solo quando arrivano l’olio d’oliva proveniente dalla Puglia e il Parmigiano reggiano vero allora si comincia a mangiare veramente qualche crocchetta, non solo la superficie leccorniosa. Ma oggi no. Oggi voglio tre confezioni succulente di carne. E mia madre le andrà a comprare per me, sola, me a casa a dormire coperto sotto il mio pile arancione di sempre che odora di me, cioè di biscottino, davanti alla televisione, spendendo il suo bel gruzzoletto. Così l’impara. Se ce la fa. Stanca com’è. E che rottura queste passeggiate compensative!

25.10.2025

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Tutti hanno delle teorie sulle pettorine. E tutti si odiano. Almeno all’inizio. Del resto, a tutti sarà capitato di sperimentare quanto sia bello scoprirsi amici dopo una sana lite iniziale. Infatti, sarebbe anche vero ammetterlo: trovarsi da soli per strada a lottare con un cane al guinzaglio perché sappia seguirti, così come con le invasioni di campo… Quelle che chiamo invasioni di campo? Gli sguardi, ad esempio. I commenti, persino. A volte, pure le frecciatine. Le mormorazioni alle spalle e così via. Ma se il cane tira è perché va più veloce di chi lo dovrebbe guidarlo! Come farebbe mia mamma a guidarmi in quelle condizioni da derelitta? Insomma, su… va pianissimo. Vogliamo parlarne? Come potrebbe pretendersi da lei che fosse in grado di indicarmi la direzione da… dietro di me, così, come fa sempre? Sarebbe opportuno che si desse una svegliatina… e si spicciasse! Senza di me che le faccio da traino come farebbe a raggiungere le destinazioni in tempo? Fatto sta che gli umani debbono fare tutto “in tempo.” Hanno degli orari fissi. E, quindi, per questo motivo stesso, spesso sono in ritardo. In altre parole: c’è bisogno di più cani. Cuccioli miei! Già. Discorso dei cuccioli che mi piacerebbe fare con una bella ragazza a parte, non posso davvero tollerare che gli umani debbano costantemente sottostare a delle regole. I cani non hanno delle regole rigide come gli umani. Ci avreste mai riflettuto? Certamente, ne avrebbero anch’essi ma sarebbero altrettanto capaci di ribellarsi e disfarsene. Pensa ad esempio al territorio del sottoscritto. Chi contravviene al mio esclusivo diritto di proprietà su tale circoscrizione viene multato salatamente, cacciato via. Mal che vada potrebbe prendersi un morso. 

Nel caso del morso, poi, la vera contraddizione qui è che le regole dell’uomo sono in conflitto con quelle canine. Se io mordessi quel cavolo di Boxer che se la tira sculettando sempre e mi ritrovo sempre al di dietro di lui… sicuramente se lo inseguissi e lo mordessi… gli darei una lezione! E non potrei mai credere che fosse vero quanto potrebbe suggerirmi il mio stesso cuore, ovverosia… che mamma non sia d’accordo! A volte mi sembra come che lei non sia d’accordo che io abbai, morda. Insegua. Mi butti in strada alla disperata, inseguendo Boxer del cavolo e cani piccoli e acidi. Ripensandoci non considero tanto i cani troppo piccoli. Li spavento. Non c’è tanto gusto. Ma cani piccoli a parte, quei Boxer andrebbero multati! Invece… mamma mi trattiene. Con tutte le sue forze. Lo so che non potete credermi. Ma stranamente è così. Vi dico che è così e che mamma sembra non essere dalla mia parte in tutte le circostanze. Lei dice che lo fa per il mio bene. Sarà vero?

L’educatore ha detto: “Il cane va in ansia se gli si chiede di essere responsabile per sé e per il padrone. Ad esempio, quando è lui a prendere l’iniziativa, in tutte le sfumature. Se guida la passeggiata, se la mano del padrone non è ferma nel dire di no, se si avvicina e gli si concede ciò che vuole.” Questo vorrebbe dire che un cane dovrebbe essere sempre contraddetto, non considerato e talvolta persino maltrattato. Ma ciò non ha senso. Suvvia… ogni cane ha il suo perché ed è adorabile! Anche un cane piccolo e acido può imparare a fare gli occhi dolci, in fondo, se incoraggiato.

E tornando al discorso sulle pettorine, anche oggi l’ultramaratona di turno delle 8 del mattino appena svegli e sono sicuro che me ne aspetta una seconda nel pomeriggio. E mamma aveva trovato da ridire con una donna che fa la volontaria al canile e vedendomi tirare aveva commentato per strada rivolta a mia madre: “Tu faresti la dog sitter?” Così tanto era bastato a privarle dell’amicizia reciproca. Eppure, in due giorni ci siamo incontrati tutti due volte. Noi due cani, Lupa ed io, e le nostre padroncine. E abbiamo parlato. Ma già lo so, mamma ha le sue fissazioni per le pettorine introvabili e i doppi moschettoni e non accetta suggerimenti rigida com’è. Ma intanto abbiamo passato del buon tempo insieme. Lupa è un po’ matta. Ama solo la sua pallina. Mi ricorda il povero Diamond. Chi lo rivedrà più. Pure lui mi mancherà un pochetto in fondo. Quando saremo a Zocca non avrò più amici? Mamma dice che torneremo ogni tanto a Bologna all’area cani. 

E in quanto alla prossima volta che rivedremo Lupa e la sua padrona, che per farsi perdonare del primo commento ha offerto e mostrato la sua pettorina in cambio di un po’ d’amicizia, la colpa sarà di mamma se la prossima volta non l’avrà comprata uguale, appunto perché ha le sue idee fisse. Ma l’amicizia. Quella… rimane.

26.10.2025

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Sempre sulla scia del bolognese revival mood che, invettiva dopo invettiva, mi ritrovo a maledire ad ogni singolo passo per ogni passeggiata singola che facciamo, anziché godermi il fresco venticello d’autunno, quest’anno che abbiamo delle temperature così belle e sembra quasi che il mondo si sia accorto che può essere clemente con il suo popolo già così severamente provato dalle piaghe di una vita all’insegna delle sofferenze (vai alla voce “trasloco,” in appendice al diario di un povero cane..,) se torno a casa subito dopo la passeggiata sono costretto a fare i conti pure col buio precoce. E’ un’altra piaga di sofferenze. In parole povere sì, avreste capito bene: è scattata l’ora legale. 

E sono nato in una stagione protetta dal buio profondo e in armonia con la notte. Noi cani vediamo anche quasi attraverso i muri, se solo è vero che i nostri occhi sono fatti cosicché la coltre notturna ci appaia più nitida e contrastata che non agli umani. Ma quest’atmosfera che osservo per quei pochi istanti quando mi affaccio fuori dal finestrone senza più le tende ormai, smantellate come sono state biecamente da Alfredo e portate allo scatolone più vicino in vista della partenza imminente… Le luci dei lampioni, quelle insistenti dei fari che tagliano via in due lo spazio recando dietro di sé i veloci mezzi di trasporto che sembrano come slitte minuscole che scivolano sulla neve sempre più avanti e non si fermerebbero più, dall’alto del nostro terzo piano che si affaccia direttamente sulla via Emilia; i riflessi abbaglianti delle abitazioni che chiudono la giornata fuori improvvisamente e la colonna di luce di una tromba di scale, in un condominio lontano a filo sull’orizzonte. Oppure il fumo grigio appena visibile e solo perché in movimento nel cielo. Tutto ciò mi fa pensare e porta esattamente ad un anno fa, quando ero un bambino avvolto nel caldo grembo della mamma canina a ciucciare caldo latte golosamente. I miei fratellini. Chissà dove saranno. Guardo fuori dal finestrone, poi mi lascio cadere di nuovo sul pavimento con tutte e quattro le zampe e arretro, tra il Pinguino che ora emana calore in inverno e il termosifone, che non riscalda ancora. Anche se dovrebbe. E penso che va tutto bene. E l’inverno mi protegge. E crescere è bello. E sono felice. E tutto sommato camminare per un’ora e quaranta minuti attiva il mio giovane animo e fa entrare e uscire sanamente i pensieri più disparati dal suo cuoricino. E mi sento fortunato. Vorrei una casa più pulita, sì. Questo sì. Chissà. A Natale, credo che si potrebbe realizzare anche questo piccolo desiderio. Anche se sarà una nuova casa. 

Così, dimentico della passeggiata appena trascorsa, ho mangiato quattrocento grammi di carne della Lily e snack ed ho lavato i denti pure grazie al dental stick e cado in un sonno prelibato e profondo così, come un filetto all’anatra della Romeo. E quando mi sveglio Alfredo si sveglia e mamma che è sempre sveglia per tutto ciò che fa durante il giorno – si dà un sacco da fare per noi, i suoi amori – si sveglia ancora di più e comincia questa benedetta notte. Quella più scura. Le tenebre. Fa paura a qualcuno. A me no. Io la trovo rassicurante, come una mamma canina. E mi commuovo. Perché la penso là. Là dove sarà. Con i suoi occhi uguali ai miei. Che si ricorda di me, proprio mentre un guaìto esce dalla mia gola piccolina e squarcia il velo della memoria. Sentirà il mio dolore? Con gli ultrasuoni di noi cani è possibile. Se vediamo quasi attraverso i muri c’è caso che sì.

A volte mi capita qualcosa di storto. Come una pacca sul culetto meritata come tutte le pacche sul culetto lo sono secondo ogni cane che si rispetti, in quanto all’obbedienza dovuta. Oppure supponi che Alfredo mi sgridi la sera quando cerco le sue carezze e le voglio un po’ troppo. Io conosco solo un modo per ottenere le coccole: essere affettuoso! Così, Alfredo è triste più del solito adesso che traslocherà. E non per un caso: vai alla voce “liti domestiche nel condominio di via Emilia” all’appendice del diario di un uomo sconfitto… E non può farmi le coccole. E io faccio a gara con lui a sentirmi più triste di quanto lui lo sia. Così potrebbe sentirsi meno solo, penso io. E quand’è così io penso alla mia mamma canina: non potrebbe avere il piacere di sapere come sto veramente. Ma le cose stanno così e io mi metto a piangere. E così anche non potrebbe andare fiera di me quando prendo le pacchine sul culetto! Comunque, fantasticare non serve granché. Qua è quasi ora di andare a nanna.

27.10.2025

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Così, adesso so come mai la mamma dissimulava sempre un palese senso di disgusto verso di me, quando mangiavamo insieme. Mi viene da piangere! E non potreste mai convincermi del contrario. Che il suo trincerarsi dietro un’espressione amabile non fosse in realtà mascherare il gran disgusto. Non mi direte che sono in errore, non sminuirete la mia intelligenza canina. E’ superiore. Me ne sono accorto: mi sono accorto che mamma fa finta di voler condividere con me il suo pranzetto prelibato. Me ne sono accorto per ultimo, per giunta! Questo potrebbe voler dire solo una cosa. Anzi due. La prima, voglio così tanto bene a mamma che oggi che so la verità nemmeno porterei alcuna sorta di rancore verso di lei. La seconda, non posso non sentirmi un pizzico deluso pure io.

Perché lo sapevano tutti, quanto detestabile ai suoi occhi fosse condividere il pasto con il suo adorabile cagnolino! Perché proprio a me? Fatto sta che noi cani mangiamo con gusto. Sì, insomma… non andremmo tanto per il sottile quando si tratterebbe di degustare. E pensare che mi sarei ritenuto pure delicato. E invece è vero il contrario, a quanto pare, è così. Perché mamma cambia faccia quando stanca della mattina al lavoro avvicina alla bocca semiaperta un tozzo di pane e formaggio e io la fisso, invitandola a condividere con me il suo povero pranzo. Che male ci sarà nel mangiare un tozzo di pane e formaggio da soli io non potrei mai saperlo dire. Ma mamma si mette a piangere appena comincio a fissarla! Non credo si tratti proprio di un fatto di egoismo. Come si fa a dire di no a un invito a pranzo da parte di un cucciolo? E se mi cede un pezzo di formaggio come sempre le lacrime cominciano a sgorgare a fiumi. Ma io lo so benone cosa sia la fame… e non sono certo che lei ne abbia quanto me. Vogliamo fare a chi sarebbe capace di mangiare di più? Naturalmente se tanto mi dà tanto e mi basassi sull’esperienza finora maturata come mangiatore professionista di formaggio Gouda, dovrei dire che vincerei io la gara. Infatti, costringo con lo sguardo la mamma a cedermi di morso in morso sempre almeno tre quarti della sua misera porzioncina. Com’è generosa. Vado fiera di una mamma così. Non vedo che bisogno ci sia da parte sua di disperarsi. Le mamme rinunciano tutte al proprio pezzo di mangiare per il proprio figliolo.

E oggi Alfredo è andato a concludere il rogito a Zocca. E’ partito nel corso della mattinata, così io e mamma abbiamo pasteggiato insieme poi eravamo soli noi a casa con una bella giornata fuori e io l’ho stuzzicata per scherzo e guardavo il guinzaglio per invitarla a passeggio con me. Lei ha accettato l’invito. Perbacco se ha accettato! Io scherzavo. Invece lei men che meno. Revival Bologna 2025 versione hard style con tanto di sprint finale in prossimità del traguardo… questa volta ci siamo superati. No, non nel senso che avremmo gareggiato mamma ed io… Ciò che intendo dire è che abbiamo camminato per ben due ore e venticinque minuti! Mamma la sa lunga. Io lo so come mai mi porta a spasso per distanze così estese. L’ha detto. Se ricordate, ha già ammesso la verità: così mi stancherei. Ma questa è una verità parziale. L’altro lato del disegno è che mamma ci ha preso gusto. E una particina di questa seconda verità è che anche… io ci avrei preso gusto! Ormai concedersi tutto il tempo con la dovuta calma, quella necessaria per lasciare un’impronta in più sull’erba di quest’autunno 2025 è diventato un fatto ed evento speciale. 

Questa volta ci siamo ricordati del minimarket, al momento del ritorno. Sarebbe stato imprescindibile andarci. Necessario l’osso ricoperto al pollo, per colmare i momenti di vuoto in casa. Con Alfredo che va e che viene da Zocca così come sta facendo da quest’oggi stesso in presenza della sola mamma sarei capace di mettere sottosopra e ribaltare come un calzino ogni singolo centimetro della nostra vecchia cara abitazione. Il che giustifica le nostre passeggiate all’aperto: pur di non stare in casa laddove il pandemonio in assenza di Alfredo è all’ordine del giorno… Di regola infatti quando Alfredo non c’è… il cane fa festa in casa sua. Ma in cambio di un bel masticativo, se ne potrebbe pure parlare. 

Non vedo cosa ci sia meglio di un cane vivace che ti segue come un’ombra pronto a tutto per te saltellante in ogni parte dove sei tu, vitale, energico… un fan naturale! Un mitomane? Ma cosa state pensando, via… Vi spiegherò come faccio sempre al mattino. Un vero cane si comporta così. Hai bisogno di svegliarti? Ti aiuto. Anche alle sei. Ti sveglio io leccandoti e chiamandoti guaendo. Ti stai per caso allacciando le scarpe? Niente paura, intervengo io. Io sono capace. Mordo i lacci. Ti aiuto moralmente. Sono vicino a te. Vai in bagno a fare i bisogni? Lecco le tue mutande che hai appena cambiato se sono finite a terra per sbaglio. In fondo hanno bisogno di essere lavate. Ci penso io. Ti aiuto. La carta igienica è finita? Dai a me il rotolo di carta interno. Lo strappo a morsichini, tanto va a finire nel bidone, fai prima. Faccio tutto quello che fai tu, ma prima, meglio e con più entusiasmo. Naturalmente, il particolare è che poi se mangi… mangio con te quello che mangi tu: non siamo mica dei babbei.

28.10.2025

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Il mio gioco gelato alla fragola in gomma è rotolato in balcone dall’interno del soggiorno mentre io lo inseguivo. Mamma a tiro di breve lo teneva d’occhio e si preparava a scattare. Mentre teneva fisso lo sguardo su di lui è scomparso improvvisamente come inghiottito dall’aria, attraverso le sbarre in ferro battuto semplici che mi proteggono se mi sollazzo al sole. E io allora l’ho guardata. Aveva sperato di poter fermare la breve corsa del gioco di gomma. Invece si era spiaccicato come un budinone al suolo, proprio di fronte al garage della vicina antipatica che fa i commenti oltre le pareti. Sembrano fatte con la carta velina, queste pareti. era intatto)

Da quando ho sminuzzato con competente minuzia tutta le reticola isolante la zona balcone è sempre una gara alla rincorsa degli oggetti smarriti che, chissà come svaniscono, prima ancora che qualcuno in casa mia si domandi: “Dove sarà finita la pallina rosa di Archie con i ghirigori?” Così, i casi sono sempre due. O negli ànditi sottostanti qualche mobile nel soggiorno oppure… giù dal balcone. E visto che il nostro condominio è sprovvisto di ascensore, è sempre una dura gara.

Ma nonostante la caduta del gommoso, mamma stasera aveva il sorriso sulle labbra. Quando l’ho guardata, dopo la sparizione del mio amato giocattolo, era a dir poco raggiante.

“Un momento…” Mi sono detto. “Qui qualcosa non quadra. Ma quadrerà!” E così ho ripensato a tutta la giornata e sembrava quasi inspiegabile: si è alzata con uno sbadiglio assonnata, è tornata da lavoro all’una e trenta piena di noia… In pratica, facendo due conti, era tutto andato secondo come, di regola, andrebbero le cose ogni giorno da… sempre. Quindi, poteva essere vero un solo motivo che spiegasse quell’aria sbarazzina. Occorreva festeggiare…

“Mamma ed Alfredo hanno trovato un accordo!” Ho esclamato dentro il mio cuore tra me e me, in un sussulto. “Può essere solo questo il motivo di quell’espressione sul volto di mamma.” E ho ripensato a quel dettaglio, durante tutta la giornata, che mi ha convinto che doveva essere andata proprio così. 

 “Non litigheranno più! Almeno per un bel pezzo…” Che sorpresa la vita! 

Il dettaglio? Niente di particolare. Solo quel qualcosa che solo un… osservatore discreto a malapena avrebbe potuto notare. E questo dettaglio era… un gesto che sembrava essere scomparso dal repertorio delle gentilezze che, tipicamente, mamma riservava solo ad una persona al mondo: Alfredo. Nella fattispecie, cioè affinché lui potesse accomodarsi a casa dopo una giornata pesante, passata a farneticare discorsi animatamente in quanto al trasloco, nel modo più sereno possibile, il cancellino lasciato socchiuso con mano leggera e la dovuta calma al rientro dalle commissioni che lui e lei avevano fatto insieme.

E il cancellino è stato galeotto. Sì. In una bella serata d’autunno da passare di nuovo assieme al pub com’era accaduto sempre più di rado nel tempo. Sì. Ma la vera domanda è: ma cosa sarebbe vero che fosse accaduto prima che quel cancellino appena sfiorato con dita leggiadre si fermasse a rimbalzare lievemente sulla serratura, senza potersi chiudere completamente?

Non potrei mai saperlo. In fondo, ho solo visto mamma ed Alfredo che piangevano assieme e uscivano. Li ho seguiti con lo sguardo. Ma dalla parte sbagliata dell’appartamento, laddove l’affaccio non permetteva di poter vedere se stessero andando al bar oppure al cinema. Dal balcone. Ma proprio dal balcone, (luogo strategico..,) con le mie orecchie gigantesche ben tese li ho sentiti confabulare amabilmente per le scale. E sono tornati dopo ben tre ore. E ora escono di nuovo. Che non diventi un vizio questo di essere così pacifici e lasciare a casa un cane! Potrei abituarmici. Potrei diventare buono in casa da solo, pure un cane come me ne avrebbe tanto bisogno. Di pace.

E dire esattamente che cosa potrebbero aver convenuto assieme, questo si tratta di un buio angolo cieco, il mistero dei misteri, che nessuno, a parte loro, avrebbero diritto a sapere. Ma ho un sospetto. Un sospetto abbastanza motivato. Sembrava che il trasloco avrebbe segnato la fine della nostra famiglia. Invece andremo tutti insieme a Zocca a vivere. Naturalmente, solo se mamma facesse davvero la brava. Sarà?

Tanto per tornare al presente, mamma mi ha ricondotto il gioco che è atterrato davanti a me, che sono rimasto incredulo. Si è abbattuto proprio sul pavimento davanti ai miei occhi nel giro di pochi istanti. Anche dopo tre piani di scale stava bene come prima e il suo volto era sempre radioso di una luce luminosa come l’avevo visto tre minuti prima.

Dicono che i fagiani portino bene. Saranno stati loro due. Quella coppiettina fortunata di stupidi fagianoni che l’hanno fatta franca e avevo trovato a sollazzarsi beatamente alla ricerca di granaglia in un campo protetto da una rete. Mi sarei mangiato di quella rete quadratino dopo quadratino, ma niente. Ho fatto dei balzi alti un metro in serigrafia ma la mamma niente, no, non ha voluto che potessi impossessarmene, nemmeno per un istante né per sbatacchiarli semplicemente un pochetto. Mi ha portato via! 

I fagiani portano bene. Figurati se ne mangiassimo un po’ quanto porterebbero bene. In quel caso, sicuramente a me farebbero del bene, in tutti i sensi, soprattutto quello del gusto. E che gusto c’è a lasciare la preda invitta così? Pazienza. Ma se siamo al sicuro, oggi, posso solo sorriderne con letizia.

29.10.2025

Dove sono i miei calzini?

*

Siamo usciti di casa sotto la pioggia dopo una delle liti condominiali più accese che si siano mai udite nell’ormai famigerato “condominio accanto a Villa Laura,” tra i miei genitori! Esaltante. E così siamo arrivati a casa della nonna Milvia. E pensare che solo qui è cominciata la vera festa! Non ci credereste, se ve lo raccontassi… Perché già prima mi era sembrato tutto bellissimo: la  corsa a perdifiato sotto la pioggia, il bar dove mamma ha chiesto il taxi, il taxi in arrivo con l’autista da conoscere e leccare al finestrino, poi qualche tratto a piedi; lo sconosciuto professore universitario malcapitato cui mamma ha domandato con gentilezza uno strappo… Ma era stato un po’ strano e improvviso così tutto tale da ispirare poca fiducia ad un cane con un intuito sviluppato quanto il mio. Insomma, un passaggio ad uno sconosciuto a quarant’anni? Era stato tutto troppo bello per essere vero. Infatti il tempo passava e noi non tornavamo più a casa. Quell’energia impressa in quella che sembrava quasi una fuga dalla monotonia era semplicemente una fuga, sì, dalla persona di Alfredo. Sì, una vera fuga.

Quando in quel momento all’improvviso ho realizzato che qualcosa era andato storto e rotto, ho fatto un’espressione che deve essere sembrata chiara a mamma. Un’espressione radicalmente contraria e amareggiata. Come a voler chiedere: perché?

Infatti, da due giorni non sentivo più la voce di Alfredo, non lo vedevo più arrivare. Le sue mani che la sera lisciavano il mio pelo e io che mi arrampicavo sul divano a cercare il suo viso e le sue orecchie, in particolare da leccare? I suoi modi scherzosi, quando per spirito mi spingeva via e finivamo a fare la lotta? Lui addormentato con le nostre silenziose conversazioni a ritmo di sguardi d’intesa? Era finito tutto? Che ne sarebbe stato dunque del sogno di Zocca? Mamma mi ha dato un biscotto e ha cominciato a spiegare una situazione incresciosa che sapevo prima o poi si sarebbe palesata e ora, che si presentava, mi sentivo tremare.

“Archie… Ti devo dire una cosa: Alfredo non sarà più con noi. Andrà lui solo a Zocca.” Fece una pausa e ci guardavamo negli occhi entrambi preoccupati. “Non ci vedrai più litigare. Non ci sentirai più gridare. Ma tu ed io rimarremo insieme. Sempre. E mi prenderò cura di te. E anche la tua nonna Milvia si prenderà cura di te e anche di me, che sono sua figlia. D’ora in poi sarai al sicuro con noi e non avrai niente da temere né recriminare al nostro fianco. Siamo la tua vera famiglia.” Mamma mi accarezzava lievemente la testolina e io la fissavo con quell’espressione e non sapevo come reagire a una notizia del genere.

“Potrebbe tornare a trovarci qualche volta.” Ha aggiunto con un mezzo sorriso dolce e rassicurante la nonna Milvia.

Cosa avrebbe significato per noi questo cambiamento, concretamente! Se togli Alfredo da casa rimane un sacco vuoto… Ciò che intendo dire e che avevo realizzato solo in quell’attimo era che non si sarebbe più trattata di una passeggiata. Bello il parco sotto casa di nonna, certo. Ma per quanto fosse grande per le mie abitudini, come tutto il resto, anche la casa nuova non avrebbe potuto mai sostituire l’ampiezza e la profondità del mio amore verso papà.

Mi sono accorto in quell’esatto momento di quanto bene volessi a… a noi, sì. Noi. Noi, questa famigliola che stava in piedi per miracolo su tre gambe come quei cagnolini che si prendono al canile tutti storti e hanno il carrellino. Un cagnolino sgangherato: ecco ciò che eravamo. Qualcuno avrebbe potuto adottare anche Alfredo, oltreché mamma. Un sostegno bravo, come la nonna MIlvia – l’unica che avrebbe potuto salvare la situazione.

“E  Archie… non ho più nemmeno un lavoro.” Ha aggiunto mamma. Era tutto andato storto, per l’ennesima volta. “L’ho perso perché ne avevo trovato un altro a Zocca ma siccome anche lì non saremo più presenti, eccomi qui: disoccupata, in altre parole.”

Così si spiegava tutta la buffonata, la presa in giro della festicciola per la città con la storia della notte passata “in buone mani” a casa della nonna, nonché il passaggio. Allora ho capito che Alfredo si trovava ancora a casa nostra da solo, ancora, poverino, senza di noi se noi eravamo venuti di corsa dove ci trovavamo. Ho abbaiato: bisognava correre da lui prima che prendesse la sua strada per Zocca, bisognava impedirglielo! Mi sono messo a fare il diavoletto. Così avrebbero capito che non sarebbe stata mia intenzione sottostare all’imposizione di togliermi il mio papà. Mamma si è messa a piangere. Le rimanevo solo io. E io ero stato così ingestibile per un anno intero! Mi sono pentito tutto di colpo e ho smesso di fare il diavoletto. Avrei potuto dimostrare quanto sono bravo davvero sotto sotto… Sì, potrebbe sembrare impossibile ma quando voglio anch’io saprei fare il bravo cane! Ora che avevo saputo per certo che saremmo rimasti insieme soli io e lei a Bologna nella stessa casa di sempre mi sono reso conto invano di quante energie aveva speso per me, con tutte quelle ultramaratone in mia compagnia. E di quale illusa fosse stata veramente in realtà, convinta come l’avevo sempre saputo dell’amore di Al! E ho singhiozzato. Mi sono commosso per lei. E ci siamo abbracciati e capiti. E le ho voluto un bene con il cuore in fiamme in quel momento tale che non potrei mai saper dire quanto gliene ho voluto e sentito!

E direi che mi ero quasi abituato all’idea di Zocca. Ora la mia routine era in discussione. Ora era tutta da rivisitare.

02.11.2025

*

Proprio quando Alfredo se ne va, io comincio a comportarmi da bravo cane. Oltre il danno…

Così mamma e papà si sono appena lasciati. Nella giornata dei morti del mio secondo anno di vita. Memorabile! Perché? Poiché fra mille altri guai mamma sarebbe stata in difficoltà con il gestire me. Ma che ne sapevo io che sarebbe andata a finire così! Avreste potuto dirmelo. E mi sono messo a riflettere. Sembravo quasi buono. Pinocchio in persona tutta la notte a riflettere. La prima cosa che mia mamma ha scoperto giustappunto all’indomani della fine con Al, poi, è stata che sarebbe bastato tirare all’indietro il mio collare, a quanto pareva, pur di farmi desistere dal combinare qualche malestro. E che proprio quel collare, anziché la pettorina, sarebbe bastato sempre a non farmi tirare al guinzaglio pure. Peccato per il dettaglio insignificante: un giorno di ritardo sui tempi tecnici. Non ci voleva. Provaci ancora, mamma… La prossima volta sarai meno scalognata. E pure il sottoscritto, tuo figlio!

Ma ditelo allora che è tutta una buffonata, una presa per i fondelli! Che lo sapevate, che sarebbe bastato quel benedetto collare a farmi rigare dritto… Che volevate sbarazzarvi di Alfredo! L’avete fatto apposta perché se ne andasse: se è così facile farmi fare il bravo cane! Povero Alfredo… Eravate tutti d’accordo e io non lo sapevo. Nel mentre lui se ne è andato. Proprio bravi, complimenti… Senza calcolare che adesso chi sottrarrà tutte le foglie in eccesso dal mio punto di vista alla pianta in balcone, a quel vasaccio del cavolo? Chi morderà tutte le bottiglie in plastica riducendole in poltiglia per voi? Chi rovescerà il contenitore delle mollette e le farà rumoreggiare in giro per casa alle 11 di sera? Bravi! Bravi! Avete vinto… Ma chi vi credereste di essere? Sono io il cane, mica voi. Non avete mica capito ancora chi comanda qui. Ma lo vedrete presto. 

Se Alfredo mi vedesse al passeggio oggi, a lui, cui non va mai bene niente, sembrerei quello che mi sento d’esser davvero: un damerino inamidato che non è capace di fare nemmeno un zigo-zago! Mia mamma si sbaglia: se andiamo in giro al Parco dei Cedri, qui sotto, dove abitiamo oggi con la nonna Milvia, quale la solita illlusa che è, pensa sempre con la lacrimuccia che le viene giù: “Al sarebbe fiero di noi oggi…” Invece sbaglia: è vero il contrario, sembro una femminuccia! Educato come sto diventando non voglio più nemmeno uscire di casa. Che gusto ci sarà, se non c’è un po’ di brio al passeggio? 

Poi mi danno fastidio le conversazioni tra mamme di cani. Oggi in mattinata andavamo dal pakistano a comprare la pappa per me. Vedo una bella cagnona a trenta metri, mi acquatto. Le faccio la posta. Mi avvicino con stile, filante come una stella. Faccio lo splendido e flirtiamo. Le sto per saltare addosso e mamma: “Sì, tira molto ma adesso con il collare sta migliorando.” Io, che stavo per compiere una giravolta con doppio salto carpiato mi ricordo della triste sensazione alla trachea che dà quel gingillo da poveri e piagnucolo. Non si è mai visto un cane come me da caccia figlio di una spinona vera e di un labrador mix che piagnucola. Ma ormai era troppo tardi. La tipa si allontana, è finita l’interazione. Mamma: “Lo portavamo in giro con il supporto sbagliato. La pettorina non fa per lui.” E via dicendo. Mi ha portato via. Siamo tornati a casa, dove siamo ora. 

Mamma continua a ricevere telefonate da parte della sua famiglia. Telefonate prevalentemente di sostegno emotivo per la storia finita con Alfredo. Suo padre che dice di cambiare le serrature, ad esempio. Chi li capisce gli umani? Passeremo la giornata a non fare niente di speciale. Collare incluso. Ogni cosa che farò mamma avrà sempre il potere di impedirmelo. Ho perso. Su tutta la linea. Lei ha fatto rubamazzo. Adesso che ha la vita davanti e pure un cane al suo servizio… che razza di fortuna sfacciata!

Questa mattina è tutto un inganno. Siamo andati a provare la pettorina anti tiro. La porta per l’inferno: capito? Si tratta dell’ultima possibilità che ho… altrimenti: “Pronto? Sono il collare, eccomi qua!” E magia, via che si va sempre dritto. Infamia! Rivoglio la mia libertà! Per non parlare del fatto che poco prima di passare alla prova nei camerini, quella della pettorina in questione, mi ha promesso un bel cappottino colore neutro in pura lana vergine. Inganno, inganno! Tosto mi sono dimenticato del papà in quel momento e mi sono messo di nuovo buono. E così sempre sarà. In memoria di lui. Il migliore.

03.11.2025

*

Ero sicurissimo che sarebbe rientrato il papà, ieri. Il campanello ha suonato alle 7. La mamma davanti alla porta che mi ha osservato e fatto un sorrisone grandissimo con la bocca a ovale. I passi che si avvicinano sulle scale. Ero preparato a vederlo comparire lì, davanti a me. Ad accoglierlo come si conviene scodinzolando e gongolandomi e sorridendo. Invece, quando si è aperta la porta, era Guglielmo. 

E dire che avevamo già ricevuto una visita nel pomeriggio. Era stato il turno del dog trainer con la nuova dog sitter, sua collega. Così, i giorni passano e di Alfredo non vi è traccia. Non solo sono preoccupato. Ma nemmeno sono così tanto sicuro che si farà vivo ancora. Molto strano… Se voleste sapere come andrebbero le cose, in realtà i primi tempi sono stati piuttosto duri. Mi sentivo sorpreso a morte, quasi elettrizzato da quella novità: la domanda imperativa – “Dov’è finito papà?” non finiva di assillarmi e per quasi due settimane non ho fatto altro che agitarmi sconcertato da quel vuoto immenso. La notte non riuscivo a smettere di tormentare la mamma. Ma io non ero abituato! A cosa? A dormire nel lettone con lei! Non sapevo che cosa farmene di tutto quello spazio immenso nel lettone lasciato dl papà. Non sapevo cosa farmene di quella fossa nel letto delle dimensioni del corpo grande del papà. Il suo odore per casa… Sempre meno intenso, odore che sfuggiva via. Ogni volta che apriva una finestra per arieggiare avrei voluto inspirare così profondamente quell’odore amato che sprigionava lui tanto che avrei potuto quasi lanciarmi fuori dalla finestra. Gli abiti del papà, le sue scarpe. Bel tiro mancino quello di nasconderci dalla nonna Milvia per una settimana per agevolare quell’affare losco della partenza del papà. Ora, chissà quanto sarebbe durata. Figuriamoci… “Conoscendo i due” mi sono detto “Papà tornerà dopo una settimana.” Invece… Sono ancora qui che aspetto.

Ora sono entrato in intimità con la mamma. Ciò che voglio dire è che ho stretto un rapporto piuttosto esclusivo con lei e le racconto tutto di me. Se ho fame mi basta mostrarle il mangiare con un cenno del muso e lei mi accontenta. E’ piacevole. E’ piuttosto comprensiva e accogliente. Fatta eccezione per quando mi dice di no. 

Lo fa con quella sua arma segreta, la bottiglia nera del papà che si è dimenticato qui lui, dovunque sia ora… E insomma, le basta avvicinarmi la bottiglia, io avverto l’odore del papà e desisto da qualunque cosa stia facendo. Così se mangio un mobile, se tolgo lo stucco dal muro, se massacro il divano. Dovunque io sia a fare qualche malestro per casa vedo spuntarmi davanti agli occhi questa bottiglia misteriosa scivolosa, cilindrica. Impossibile da azzannare, in altre parole. E di una dimensione tale da permettere alla mamma anche di proteggersi le terga se alle spalle le corro dietro per giocare per la casa, alla ricerca del suo popò, cui mi piace appendermi. Ha delle braghe con le tasche irresistibili.

Ho imparato che al mattino posso dormire quando la mamma esce per andare chissà dove. Mi dispiace vederla uscire, ma a quell’ora, subito dopo la passeggiata, posso riposare tranquillamente. La luce candida e splendente che entra dall’affaccio del soggiorno mi concilia il sonno a quell’ora. Ma la questione cambia se la mamma esce di casa per più di un’ora al pomeriggio. Allora vado in ansia. A quell’ora mi piace poter contare sulla mamma. Ho un po’ di sacro timore delle ore piccole oppure meno luminose. Così, sebbene in generale mi sia molto tranquillizzato in generale, da quando papà non è più assieme a noi, se la mamma non è con me a condividere il suo tempo con le passeggiate o altri giochi e passatempi o mangiatine, non me la godo. E mi metto ad aspettarla davanti alla porta di casa. Sdraiato, con le orecchie tese al minimo rumore che possa udirsi fuori dall’uscio. Proprio come faccio quando penso che sia in arrivo il papà ogni sera. E la mamma entra solo dopo molto, troppo tempo. E io la sgrido felicemente. Già, non posso evitare di essere felice di rivederla ma sono anche rincoglionito per l’attesa e infuriato! La assalgo con le feste e le coccole, la porto dentro con me prendendola per le maniche delicatamente e poi le tolgo il cappotto. Il cappotto è quell’ingombro che gli umani mettono sulle spalle prima di uscire di casa, ergo in casa non va mai messo. E’ solo per uscire. E se ce l’hai addosso, ergo, stai per uscire. Invece mia madre vuole sempre tra le mura di casa.

Così parrebbe che ora mia madre stia cercando in tutti i modi di procurarsi un lavoro da casa. Gestirebbe la transizione lavorativa dal lavoro precedente a quello che avrebbe trovato da remoto pur di stare con me. Queste sì che sono soddisfazioni! La vita di mia mamma in funzione mia… Un piccolo segno che sono importante nel cuore della mia proprietaria. Ma nel frattempo ci sarà bisogno della dog sitter, per uscire le ultime uscite di casa. Adoro quando la mamma si mette al computer. Abbiamo spostato la mia branda king size traspirante dalla camera da letto dov’era prima al soggiorno. Così mia madre può controllare meglio le mie mosse, sì, è vero. Ma a me piace dormire adesso, soprattutto se la mamma sta al lavoro al computer nella stessa stanza. A me piace controllare le sue mosse, in altri termini. A me piace fare sempre le stesse cose che fa la mamma, nello stesso istante. Lei esce, io esco, lei cucina, io supervisiono che cucini bene, lei è in balcone a fumare… Beh, no, dai: in tal caso sì, va bene che è inevitabile che io abbia provato ad aspirare il fumo… Passivo. Già. E’ capitato, ma ho starnutito. Questo non mi piacerà mai: che la mamma fumi ogni tanto ancora. 

Quando usa la sua sigaretta elettronica mi ricorda il papà. Fumavano assieme da modelli diversi di sigarette e ne parlavano per ore. Era uno dei loro argomenti. E io dormivo su quella poltrona che oggi non è più agibile, perché nei “primi tempi,” sì, ho massacrato così tanto il divano che il salotto mi è stato interdetto del tutto all’accesso. Oggi campeggia davanti alla porta chiusa non un cartello di divieto. Molto peggio: un cestone da lavanderia pieno di vestiti per fare peso in modo tale da impedirmi di aprire la porta con il peso del mio corpo. Cosa di cui sono perfettamente capace. Peccato! Era così bello la sera prendere le coccole. Ma papà non c’è più. Il divano non c’è più. In fondo c’è chi è rimasto. La mamma ed io. Una famiglia.

*

Semplicemente stamattina mi sono svegliato e mi sono detto: “Andiamo a sentire cosa mi dicono oggi le pipì!” E così determinato com’ero ci siamo avviati alla prima passeggiata delle 7. Annusavo tutte le pipì. La verità? Stavo cercando la pipì di un cane che mi aveva fatto incazzare. Il solito boxer. Una lenta marcia alla scoperta dei piaceri e dei dispiaceri che i cani si dedicano “messaggio dopo messaggio,” muretto dopo muretto. Mi sono soffermato ad auscultare con il mio naso grande e vibrante lungo il muro tutto l’odore di una lunga strisciata di pipì. Ho subito lasciato perdere. Si trattava di un messaggio della Lulù. Fatto scrolling al trotto per un breve tratto di strada un altro profumo ha attirato la mia attenzione. Era una pipì più piacevole. Si trattava niente po’ po’ di meno della Chanel che mi lasciava scritto “Ti voglio bene.” Allora mi sono incantato per un momento a riflettere con il muso a terra immerso nei ricordi. I cani vivono di ricordi. Infatti vivono di ricordi. Questo odore ricorda al mio naso la Chanel, è un buon profumo; quest’altra pipì mi ricorda Dylan, un profumo più frizzante, malinconico. Ed il bello è che dalle pipì capisco sempre dove sono e come stanno i miei amici. Per questo motivo ne faccio tanta. Perché sono socievole. E so che qualche follower ce l’ho. Qualcuno che come anch’io seguirei pipì dopo pipì per la strada per stanarlo, farebbe la stessa cosa con me. E’ per questo motivo che amo passeggiare. Per andare alla ricerca di altri cani per mezzo delle loro pipì. I cani desiderano essere trovati. I cani desiderano cercarsi. 

E vedendomi così assorto a pensare con un’espressione buffa sul muso una signora che ogni tanto si ferma a farmi un complimento mi ha sorriso e io di colpo mi sono messo a fissarla, occhi negli occhi, mentre lei si chinava verso di me con quel fare simpatico che hanno tutti i miei fan. Sono molto selettivo in realtà. Mica sono ruffiano con tutti quelli che mi desiderano. Normalmente abbaio. Ormai so chi vuole bene alla mia mamma e chi no. Lo capisco dai micromovimenti avanti e indietro che la mamma segretamente imprime al guinzaglio e dal ritmo del suo respiro. Siamo praticamente in simbiosi. Ad esempio, ora un signore mentre eravamo al cancellino si è avvicinato un tantino troppo con un sorriso palesemente tirato verso di noi per accedere e ha ceduto il passo per entrare ma non mi piaceva. Che vuoi? Sono fatto così. Ho abbaiato. Capisco chi finge, chi recita ma anche chi fa sul serio. 

A volte la sera la mamma e il papà si parlano ancora. Li sento tubare mentre la mamma è accanto a me nel lettone e io mi chiedo come mai si riduca ad aver registrato la voce di papà sul telefono. Non posso credere che papà sia nascosto nel telefono. E’ vero che non torna da tanto. Ma non può essere diventato così piccolo. Fatto sta che la sua voce esce da lì, proprio quell’aggeggio che mi ruba sempre le attenzioni tanto che pretendere che la mamma cessi di tenere premuto l’aggeggio all’orecchio molte volte mi costa molta fatica. Lei dice: “Sto lavorando!” e sbuffa mentre io le tiro una manica. Ma questa storia del lavoro da casa è una baggianata! Una scusa per tenersi attaccata allo smartphone. Così lo chiama: smartphone. Che nome ridicolo! Archie è un nome come si deve. Come si fa anche solo a pensare di dare un nome a un… Oggetto! Figuriamoci poi se lo si deve chiamare all’inglese e con un nome così ridicolo: smartphone!

Insomma le giornate proseguono, papà non è ancora tornato, si è nascosto forse da qualche parte nello smartphone e io ogni tanto abbaio e faccio la guardia, non solo all’esterno dell’appartamento come ho già raccontato, ma anche dal balcone davanti agli operai che lavorano e vanno di fretta. E davanti a chiunque si avvicini troppo al nostro pianerottolo. Come faccio? Ne sento i passi. Adoro vedersi allontanare a causa del mio feroce abbaiare un umano o un cane. Mi dà una sensazione di fierezza. 

Poi su al quarto pieno, proprio quando papà è al momento scomparso, ecco che la notte e di giorno odo uno strano grido. E’ particolarmente sgradevole. E segue sempre qualche rumore fatto da me. Se capita che sbatacchio il mio osso di cervo indistruttibile sul pavimento di marmo oppure balzo sul letto, ecco che si risveglia quel grido sottile. So che proviene da qualche parte al di sopra di noi. Mi intimorisce il solo pensiero. La mamma lo sa. “E’ un bambino.” Io mi sento imbarazzato. Minacciato, come con tutti i rumori troppo bruschi e vicini alla nostra abitazione. Proprio come con tutti i movimenti bruschi che si fanno per strada durante le passeggiate. Ma quel grido sconosciuto è… Tenero, anche, in qualche modo. Così, sì, mi capita ancora di abbaiare a volte ma… E’ un errore?

La notte mi sono già addormentato e mi trovo acciambellato ai piedi del lettone con mamma che legge un libro alla luce calda dell’abat-jour quando improvvisamente esplode quel grido che squarcia la notte, io sospiro anche se non mi sveglio del tutto e mamma lo sa, che sono confuso. Così mi fa una carezza, sorride e dormiamo, immersi nei nostri dubbi, debolezze e incerte speranze. 

22.12.2025

*

Questa mattina abbiamo fatto una passeggiata insolitamente breve. Il giro dell’isolato a malapena. “Oh… Qua non è giornata,” mi sono detto e prima di svoltare l’angolo del vialetto oltre la solita sbarra, mi sono accucciato alla veloce e ho fatto i miei bisogni. Ho borbottato qualcosa per protesta e già stavamo salendo le scale al ritorno. In più la mamma era stranamente guardinga. Ma non si guardava attorno: osservava… L’asfalto del marciapiede, il prato, il terreno. Ma non come una che è triste. Nemmeno come una che pensa. Tutt’al più, come… Una che cerca qualcosa con attenzione, pronta ad intervenire in qualche modo. La conosco. La conosco davvero. Eppure, questa volta non mi spiego quello che stesse facendo. 

Petardi: ecco cosa cercava. Ma farò un passo indietro… Se ci ripenso, era mattino anche sul presto quando aveva aperto gli occhi sul cuscino, improvvisamente. Aveva uno sguardo strano. L’avevo vista. Per forza: l’avevo svegliata io, come tutte le mattine, leccandole la faccia. Che adesso il fatto di leccarci sulla bocca sia in discussione per via della recrudescenza della mia parassitosi non importa; al momento basterà dire che era preoccupata. La sua espressione era vigile e stranamente le sopracciglia erano aggrottate. 

“Maledizione…” La sua prima parola al risveglio. Poi faceva più silenzio del solito. Così, appunto siamo usciti di casa. In uno stato d’animo che mi ha fatto riflettere e domandarmi che cosa stesse accadendo di così brutto, tanto da preoccupare una mamma sempre pronta all’azione come lei.

Allora sono balzato sul letto e dopo la passeggiata ho fatto finta di addormentarmi, in camera da letto. Lei è venuta a darmi una carezza: era esattamente quanto mi fossi aspettato da lei – dopodiché è tornata tranquillamente in cucina. E’ stato in quel momento che ho teso le orecchie e, proprio come mi sarei aspettato da lei, è cominciata quella che, se non ci fossi stato io ad origliare di nascosto dalla mia posizione al riparo, avrebbe potuto essere quella che si chiama propriamente una telefonata segreta.

Era la sua amica. Bionde entrambe, con la vita incasinata entrambe. Stesso modo di esprimersi. Vogliono entrambe andare a vivere altrove. In altri termini gemelle, più che amiche. Incredibilmente si chiamano Elena tutte e due.

“Qui bisogna correre ai ripari. Ma mia madre mi correrà dietro, ma non con la coda dell’occhio, nemmeno con la sua auto: a bordo di un’ambulanza!” Era quell’esagerata di mia madre ad esordire nella conversazione. Pur di non farsi udire da me, proferiva queste parole in un agitato sussurro. Dopo il tempo della risposta ha ricominciato a sussurrare, ma io non sentivo più perché sussurrava sempre più piano. Così mi sono allungato giù dal letto e posizionato più vicino, ma senza farmi comunque vedere, per non perdere i pezzi della conversazione. Cosa avevano tramato le due? Cosa avevano deciso?

“Sarà pericolosissimo. Non esiste, no! Non è più possibile restare a Bologna. A Capodanno ci saranno… I famigerati botti.” E la chiamata così com’era cominciata è finita. 

In quel momento mi sono reso conto di quello che stava per succedere. Sono rimasto a riflettere per qualche millisecondo. Poi ho realizzato:

“Si va a fare un viaggio!” 

Non ero mai stato così felice! Sì, anche se non sapevo ancora se avremmo raggiunto una località con il mare o la terraferma oppure se finalmente avrei visitato un bosco come sarebbe nella mia natura di cane da caccia, mentre la mamma faceva finta di niente e prelevava il localizzatore dal mio collare per andare a ricaricare la batteria del dispositivo di proposito per le emergenze, ho interpretato con grande gioia tutto l’insieme e la novità delle circostanze che si sarebbero presentate. Ma la mamma aveva un’espressione ancora più corrucciata. 

Sono andata a leccarle le mani. Cos’hai? “Non abbiamo soldi Archie.”

Così la prospettiva del viaggio era appena sfumata.

Ma la mamma ha aggiunto: “Partiremo, ma dovrò vendere questa bella collana appena comprata alla gioielleria e l’anello in argento con il rubino pur di pagare la benzina del viaggio…” 

Allora visto che al contrario di quanto avessi pensato la notizia era ufficialmente stata confermata, mi sono messo a fare dei balzi sul letto e a far volteggiare tra le fauci come so fare io qualunque oggetto mi capitasse a tiro. Maialini in pezza che fanno sqeeek, palline, pezzi di carne essiccata per cani sparsi per la casa ma anche una maglia con l’odore di Alfredo che la mamma ha sempre con sé sul lettone e una crema per gli occhi.

La mamma non aveva capito ed era perplessa davanti a tanta felicità esibita, tuttavia quando mi sono calmato la mamma aveva ancora quell’espressione combattiva e fissava un punto nel vuoto però. Allora ho capito: quella che aveva negli occhi era la determinazione di una madre che vuole a tutti i costi salvare il figlio dai botti di Capodanno.

“Partiremo, Archie. Giuro che andremo via.” E io mi sono sentito fortunato perché il nostro Natale sarà accanto a chi amo, senza una linea telefonica stabile dello smartphone e lontano dai rumori molesti del Capodanno cittadino.

Il problema era la nonna Milvia. Lei sarebbe stata contraria al viaggio. Gravemente malata e preoccupata costantemente per qualche cosa, non sarebbe stata messa al corrente di queste intenzioni. Così la mia mamma ha deciso che saremo rimasti, come prima volta, giusto il tempo che le baby gang si sbarazzassero dei loro petardi scatenando l’inferno a Bologna, per poi tornare a casa. Una semplice toccata e fuga. 

Questo avrebbe voluto dire anche abbandonare i progetti lavorativi precedenti. Sembrava tutto così complicato e mancavano pochi giorni alla data fatidica… Al giorno di Natale. Ce l’avremmo fatta? 

23.12.2025

*

Chi crede di poter fare del bene a chi non ne vuole sapere, del suo bene, è nel torto marcio. E spesso si tratta di una volontà di bene falsata dall’egoismo di chi crede ancora secondo la mentalità imperialista americana che se l’America ha colonizzato qualche Stato, questo è stato per bontà e non per profitto. Sarebbe come volere dire che il tornaconto per chi si offre volontario a braccia aperte per il bene altrui è pur sempre una logica che non sfugge a chi non si fida, giustamente o meno, a primo acchito, del prossimo, così come sull’unghia. E questo è il difetto di chi si spaccia per benefattore altruista e invece è in cerca di qualcosa di oscuro che può solo spaventare. L’anima non è così invisibile tanto da non potere essere scandagliata. E non sfugge un solo microbo di malafede a chi ha occhi per vedere al di là delle apparenze. Occhio: tanti ne sono capaci. Mia mamma lo è. Dunque, se si vuole fare del bene, ad esempio, a mia mamma, di regola bisognerebbe come minimo verificare se questo bene sia bene accetto in partenza.

Il meccanismo di quell’orologio chiamato tempo per una notte si è inceppato. Sì, avrei tanto preferito vedere un po’ di neve, questa notte mentre la pioggia batteva sopra il cornicione sottostante. La mamma mentre io accanto a lei sonnecchiavo aveva appena avuto una conversazione telefonica con qualcuno, che le aveva promesso prima un passaggio, come al solito, così da illuderla, povera mamma, poi l’aveva ricattata successivamente: “Ti dò un passaggio se tu lo dici a tua madre.” Ma non si scherza con i sentimenti di un cagnaccio rognoso e bastardo come me. E pensare che il viaggio, quello che mi avrebbe salvato dai botti di Capodanno, sarebbe dipeso dalla disponibilità di quel qualcuno che ora accampava pretenziosamente questo diritto di veto “arbitrario” su mia madre… Non gli importava di me come era andato dicendo sempre, con i botti che faranno nel nostro quartiere? Chi era per parlarci così! Quale peccato scandaloso! Mia madre non era stata trattata così mai da nessuno, neanche dal suo povero padre. Per fortuna che la mamma aveva visto bene negli occhi una buona parte di mondo e aveva conosciuto gente davvero valida, anche se meno abbiente di quel qualcuno: stavo cominciando a credere che questo borghesuccio avesse quasi ragione in quanto a sani principi, quando invece il campanello è suonato ed è entrato il Natale, nella persona di papà vestito di rosso.

La mamma l’ha fatto entrare anche se subito dopo quella conversazione, lei era… Furiosa: “Appena ieri avevo dichiarato che sarei partita. Quando tutti sapranno che è prevalso il punto di vista di quell’odioso essere, cosa scriverò sul diario di Archie! Cosa si dirà della mia determinazione a salvare Archie dai botti! Adesso solo perché mi sono confrontata con la persona più noiosa di questo pianeta, l’ottusità altrui dovrebbe spingermi in una direzione indesiderata al punto di influenzare negativamente anche la mia vena creativa?” La mamma e papà si sono messi al “tavolo dei desideri,” se così vogliamo intendere il nostro tavolo sbocconcellato da me quale luogo d’affetto ritrovato e hanno cominciato a parlare dell’accaduto. Ma cosa era successo veramente?

La mamma si faceva forte di sé mentre ricordava chi era, prima di avventurarsi nella spiegazione del proprio stato d’animo turbato e sconvolto: una che era stata capace di stare  accanto per quattro anni a un uomo importante come quello che era papà, di ben quattordici anni più grande… Una matura. 

“In fondo, non è un reato recarsi nell’abitazione di famiglia per proteggere il proprio cane, con le chiavi messe a disposizione proprio dalla legittima proprietaria dell’appartamento.” Sosteneva lei. Peccato che il dubbio, su cui raffinatamente, astutamente e sapientemente aveva fatto leva quel qualcuno in questione era lecito e sottilmente psicologico, molto nascosto: da brividi ma… Anche se avessimo voluto salvarci dal Capodanno in città e il fine della mamma fosse stato anche nobile e da lodare, in realtà temevamo fortemente di trovarci davanti a un tafferuglio come andava sbandierano quel qualcuno! 

L’equivoco in quanto alle motivazioni implicite del nostro timore, al di là di ogni paranoia, stava nel fatto che da parte nostra vivevamo quale ingiustizia e torto essere deprivati e non potere recarci nella casa che consideravamo quella di una famiglia: la nostra! Quale vergogna… Mentre dal canto suo Milvia, contraria per qualche motivo sconosciuto e incomprensibile a chi concepisce la famiglia quale aiuto e fonte d’amore aveva sicuramente avvisato i vicini e chiesto di essere contattata se ci fossimo recati effettivamente là, chissà per quale ragione inconcepibile per chi è come noi. La mamma, con me appresso e senza un mezzo proprio si sarebbe trovata sovraesposta e forse trascinata di fronte alla possibilità di dovere affrontare una situazione che non avrebbe voluto, allora e in una posizione di estrema fragilità, proprio a… Natale. Il vero cuore della questione è che la mia mamma ha dei precedenti sanitari.

Ma di fronte a un bivio, se rischiare che il Capodanno del suo cagnolino si svolgesse a Bologna piuttosto che là, a Quinzano, allora per l’ennesima volta, anche accettando di giocare nel ruolo di accattona che sapeva di certo non competere a lei, si era scontrata con un avversario più forte di lei. Proprio quello con cui aveva appena comunicato al telefono e che, per l’ennesima volta, le aveva rifiutato un passaggio in Tesla. La mamma quando ricordava la sua Tesla nera pensava a quanto avesse sempre odiato i tipi come lui, noiosi, vincenti… Risolti, quadrati, prevedibili. Peccato che si conoscessero da bambini, questo complicava le cose. Da bambini erano stati buoni amici. Molto di più. Ma chi era esattamente? 

Uno che si faceva beffe di lei già da qualche tempo. Non solo: tradiva la sua fiducia, visto e considerato che mentiva spudoratamente in quanto al dato che, anche se questo ci infastidiva, si telefonava ancora con papà. Ceto sociale, insomma? “Spocchia.” Laddove sarebbe stato opportuno ricevere qualche incoraggiamento con la prospettiva dei botti alle porte e la possibilità di andarsene dal cuore di Bologna all’amabile casa di montagna, anche senza il consenso della nonna Milvia, al contrario avevamo appena avuto spezzate le nostre aspettative di sostegno con la prova dolente che quello che si chiamava un amico in realtà sorrideva di noi e sarebbe stato contento di veder fallire i nostri piani di tutto rispetto. 

Perché? Credo in forza del fatto che più volte noi non c’eravamo di certo fatti problemi a dire come la pensavamo dei suoi comportamenti altezzosi, anche se si trattava di un conoscente di lunga data. Non c’era fattore di convenienza poi che reggesse davanti al fatto che un comportamento inaspettato può anche indignare giustamente e fare inasprire i toni, anche quando ci si pensi ad oltranza una sorta di eroe, in quanto capace di “sopportare di tutto” da parte di una donna litigiosa come di fatto la mamma è diventata malgrado tutto. Quel qualcuno si faceva fregio a causa delle deboli ossa spezzate da una vita segnata da continue svilenti liti domestiche con la nonna M. – e sto parlando di mia madre. E quel soggetto si dimostrava, ancora una volta, iniquamente dalla parte della nonna, alla stregua di un irriconoscente ed ingrato, come non potrebbe mai convenire a chi si chiama a confessare eterna amicizia meno di poche settimane prima, quando per una volta che il signorino si era concesso alla mamma lui e lei erano andati in pizzeria dopo una vita che nemmeno si vedevano. 

Una vita passata a cercarsi. Sì, ma a senso unico. Con la mamma che confusa da queste esternazioni sempre amichevoli ha frainteso che forse avrebbero potuto sembrare in qualche modo vere, ma non si sarebbero realizzate tali di fatto. Anche quando mia madre l’avrebbe piuttosto denunciata per maltrattamenti anziché soggiacere alle sue prevaricazioni, se è vero che le rimaneva ancora qualche forma di lucidità e in virtù dei suoi interessi primari, tra cui il piano futuro di una famiglia, la nonna M., poi, in tutto questo, come al solito, latitava nel buio di una notte solitaria dove di sicuro la mancanza di calore umano la sentivamo già in tre. E in quel momento, pensando la stessa cosa all’unisono, ci siamo guardati negli occhi noi tre. 

Se volessimo entrare più nei dettagli, si potrebbe dire che cogliendo il lato dubbioso della mia mamma egli, G., il conoscente, al telefono l’aveva demolita sottomettendola alle sue ragioni, accampando quale facile accusa quella infondata che stava per fare un torto alla nonna, se si fosse recata con me a Quinzano. Aveva alimentato la sua insicurezza, davanti alla prospettiva paventata che andava sbandierando la mamma che ci recassimo presto al domicilio di montagna, con o senza quel qualcuno. Forse era a conoscenza del fatto che la mamma desiderava già da tempo tutelarsi dalle condotte reiterate tendenti al maltrattamento di sua madre e avrebbe voluto impedirglielo? Con quale diritto! Comunque stessero le cose, se fosse stato un amico avrebbe compreso all’istante quanto fosse importante per me un passaggio a Capodanno! 

Comunque, aveva fatto così tanta pressione tantoché eravamo rimasti terrorizzati al punto di convincerci del punto di vista di quello che si arrogava il ruolo di coraggioso consigliere di diritto – niente di più malsano! Qualcosa non quadrava. Quello che la mamma aveva sempre conosciuto come un nanetto senza particolari qualità adesso le parlava da vero adulto con un tono saccente. Era arrivato il momento di farsi un esame di coscienza. Come era ridotta a quasi trentanove anni? Sola in una città medio-grande, nullatenente, con un lavoro da imprenditrice non ancora avviato e uno come pulizie da archiviare forse un domani e un cane al seguito. Eppure era ancora in piedi. In pratica, il punto era che era avvolto nel mistero il nodo centrale della questione, cioè cosa sapesse lui che noi non sapessimo tale da renderlo così caparbio nel perorare la propria causa. C’era qualcosa di immensamente caparbio nel suo cuore tale da costringere ogni volta mia madre a piegarsi e ridurla ad ammettere la verità nuda e cruda, anche quella nascosta in un errore relativo che non sapeva di commettere mai. Lui capovolgeva costantemente il suo punto di vista. Era ciò che non le andava giù. Era sconvolgente ogni volta. Non piacerebbe a nessuno essere ridotta all’ignoranza ogni volta. “Che vada a fare il suggeritore a teatro… Chino sotto il palco a guardare dal basso quelli come me, quelli morsi dalla vita, quelli che la vita sanno cos’è!” 

Come si può chiedere a una donna umiliata da tutti di umiliarsi ancora, in modo così inatteso? Al di là di tutto, aria di sufficienza, arroganza, spocchia, altezzosità incluse, la mamma ha potuto solo accettare quella lezione morale da parte di qualcuno di cui non riconosceva affatto l’autorevolezza. Ciò poteva amareggiarla ancor più se pensava a ciò che questo significava. Che se considerava un bamboccio chi l’aveva messa k.o. sul piano intellettuale, lei valeva ancora meno di un bamboccio.

Quel soggetto aveva il vizio di comportarsi da persona assolutamente assolvibile e innocente, estranea a qualsiasi coinvolgimento emotivo e quasi imbarazzato davanti alle esternazioni veementi di quanti lo detestavano per la sua abitudine ad arridere ad una tranquilla arroganza naturale solo perché aveva la forza delle motivazioni più conformiste e comuni che ci fossero. Era un infermiere di professione e per formazione pertanto era costretto a non discostarsi affatto di un solo centimetro da quella che è la mentalità del potere precostituito, cosa di cui lui era parte per definizione mentre la mamma aveva dichiarate posizioni anarchiche.

A proposito di quanto detto, ci sarebbe tanto da dire. Anzitutto, un precedente vistoso agli occhi di chi ormai ci conoscerà. Nel 2023 questo ragazzo con la nonna M. avevano chiamato un’ambulanza che portasse via la mia futura mamma per un alterco avuto in famiglia. Quindi, nulla a che vedere con il suo reale stato clinico ma l’accertamento sanitario ha costretto mia mamma a rifugiarsi per strada per giorni interi per prepararsi in solitudine psicologicamente ed è stato tutto inutile: ha brillantemente superato l’accertamento sanitario. Così, non sarebbe stato possibile superare di sicuro gli effetti psicologici che nel tempo si sarebbero protratti quali conseguenze inevitabili di un episodio che ha creato una linea di confine netta tra passato e futuro, tra “io” e “voi che avete mandato l’ambulanza,” tra vincitori e sconfitti. E infatti quel ragazzo non perdeva occasione per ricordare tristemente quell’episodio purtroppo per lui istituzionalmente noto. E dal canto suo, la mamma sapeva sempre dentro di sé quando comunicava con lui che gli faceva un favore a rivolgergli ancora la parola. Insomma, non era una storia messa da parte del tutto anzi, per nulla. Eppure non ne parlavano apertamente. Sicuramente quel qualcuno non aveva la maturità né la conoscenza profonda della vita familiare di mia madre per ammettere il proprio torto e mia madre non aveva abbastanza stima di lui tale da rendergli le cose semplici oppure facilitargli il compito di perdonarsi.

Ho pensato che davvero fosse stato irresponsabile da parte sua esprimersi come ho raccontato più sopra, nei confronti di una donna in difficoltà veramente, a fronte della quale la lamentela di ogni eventuale disagio arrecato dalle effettive continue richieste di un passaggio o denaro a qualcuno di meno pieno di sé sarebbe apparsa per quella che era: un fatto palesemente circostanziale e irrisorio! E i consigli non richiesti a me non erano mai piaciuti… Allora ho cominciato a fare la guardia davanti alla porta nel cuore della notte. E la mamma: “Archie, che cosa fai lì, alle 2? Non crederai veramente che passerà qualcuno sul pianerottolo a quest’ora, da potere sgridare?” Non so perché, mi aspettavo di veder comparire qualcuno, mi sentivo pronto all’azione. 

Era solo l’alba e noi avevamo dormito davvero poco. I pensieri continuavano a sgorgare come un fiume in piena dal cuore senza nessuno a cui riferirsi. La mamma li raccontava a me, ad alta voce e io ascoltavo il suo tono di voce stanco, intimo e ancora vagamente irritato dalla nottata insonne malgrado tutti gli sforzi, per quell’inaccettabile contegno così maledettamente sicuro di sé di quel qualcuno tanto che era incontenibile l’odio che aveva in corpo lei e non sapevo come rispondere e le leccavo le mani mentre lei ringhiava frasi alla rinfusa a labbra strette schiumante di rabbia. Non poteva tollerare che avesse passato tutta la notte spendendo energie a consumarsi nell’astio di quell’ingiusto veto voluto da qualcuno che mia madre non rispettava abbastanza da attribuirgli un ruolo di riferimento su di sé e non sapeva quale spiegazione dare a se stessa pur di giustificare la sensazione sgradevolissima che in fondo quell’ometto bruttino e saccente avesse detto qualcosa di giusto e l’avesse pensato prima di lei. Ha dato la colpa al fatto di aver avuto troppi pensieri da mettere in fila. Non poteva essere vero che quel “bamboccio perbenista” fosse stato più intelligente di quanto lei non si considerasse. La domanda che si faceva sotto sotto era questa: se quest’uomo è capace di questo, cosa altro sarà capace di indurmi a fare che io non voglio? E con ciò pensava alla violenza ricevuta con un certo garbo e le veniva in mente quanto sarebbe stato facile che si vendicasse mandandole un’altra ambulanza. 

Per i maltrattamenti che aveva subito in famiglia infatti soffriva tutto l’anno di ansia anticipatoria. “Di cosa sarai capace, ancora, malandrino? Sei da evitare. Tutto qui. Sei una persona pericolosa. Inaffidabile. Promesse mai mantenute…” Si era sentita trattata quale un numero. Se l’aveva fatto a lei, alla sua dignità, chissà a quanti altri era toccata la stessa sorte. Quella si soggiacere alla volontà altrui. Al potere altrui. “Come hai fatto?” Si domandava.

Ma era vero anche che la nonna MIlvia sarebbe stata capace di chiamare la polizia pur di metterci i bastoni tra le ruote. Tante volte l’aveva già fatto, all’epoca dei ricoveri, sebbene ogni tafferuglio che si è creato non avrebbe mai potuto nemmeno lontanamente rappresentare il vero suo stato clinico: era frutto piuttosto di un mero conflitto familiare. Come nel 2023. Come vorrei un avvocato qui in questo momento, come vorrei l’avvocato che ho avuto nel 2023…” Ma era ancora mattina presto e anche volendo gli avvocati sarebbero stati nel mondo dei sogni e l’unica cosa possibile era ancora purtroppo sognare ad occhi aperti chimere. 

La mamma si è consolata da sé, facendosi forza da sola anche se era vero che a malapena la metà dei problemi si sarebbero risolti, in quanto a ciò che ha pensato di fare, cioè: “Cancellerò definitivamente il numero di quel bigotto. Anche la veterinaria ha consigliato di recarmi a Quinzano con te!”

Presa la decisione, mamma ha fatto spallucce e la questione è passata in secondo piano, piazzato il soggetto per ordine mentale in ottima compagnia e ora meritava del “voi” insieme a tutti quelli che in passato avevano promesso delle garanzie bancarie, dell’ingente denaro, dei passaggi su una Tesla e poi si erano dileguati. 

Come intendere il comportamento da parte di chi promette e poi non mantiene? Molto semplice, c’è chi lo fa anche “di professione” o “per sport” quasi… E’ una banale legge universale: offrire a una donna sprovvista di tutto ciò di cui ha bisogno generando delle illusioni cui poi non si ottempera se non con grande profusione di parole sarà anche utile a farsela amica. E’ tipico di chi si stanca in fretta delle persone.

Del resto può essere letale per chi davvero ha bisogno di beni e vive in povertà. Senza un auto, senza un amico, senza un guadagno sicuro. Con tanti sogni. Con un cane bambino. Tanti buoni propositi per il nuovo anno. Come rubare i biscotti ad un cucciolo… 

Quel qualcuno era proprio lui, l’unico amico che avevo conosciuto o almeno quello che si era spacciato per tale. G. Il solito amico di sempre. L’unico in assoluto. Aggiungo io: “In assoluto col grande difetto di sentirsi una specie di eroe che sacrifica il proprio tempo all’umanità a lui inferiore e si ritiene una divinità.”

Cosicché abbiamo archiviato la questione e ho provato pena per lui che in fondo era stato un ragazzo sfortunato anche nel corso dell’infanzia, con i propri genitori in difficoltà e la mamma era cresciuta insieme a lui ma quando da grande aveva avuto la bella idea di tendere una mano alla mia mamma lei era troppo orgogliosa e non avrebbe accettato l’aiuto di nessuno. O forse… Solo di una persona al mondo. Papà.

*

Ogni giorno la stessa scena che si ripete. Ogni volta che io saltello in ogni dove festosamente la mamma che se ne sta seduta pigramente e si ostina a fare quello che sembra essere il suo passatempo preferito perfettamente inutile, battere insistentemente i polpastrelli sopra un piatto rettangolare con lo sguardo fisso contro un piatto verticale che le illumina la faccia, come si volge verso di me io so che potrà fare solo una cosa a quel punto: andare su tutte le furie. “Basta casino, sto lavorando!” Ma che razza di lavoro sarà quello di osservare la luce in contemplazione mentre le mani si muovono in un bizzarro modo, una specie di danza rituale che ormai poveretta fa ogni giorno con una devozione che quasi mi sento in colpa se la distraggo. Devo accettarlo: è fatta così. Non c’è da meravigliarsi poi se la criticano tutti. Almeno prima quando lavorava davvero usciva di casa e io potevo fare casino indisturbato, anche se ogni tanto piangevo. Quasi quasi era meglio prima, quando le sentivo la mancanza. Adesso scocciata sta scrivendo – o almeno così direbbe lei – e subito alzatasi in piedi si ribella con il volto contratto in una smorfia disturbata. Come se a fare casino fossi sempre io, poi. Vogliamo parlarne? Farò anche del casino io, se con ciò vogliamo intendere i normali rumori condominiali di cui si lamenta ogni tanto il vicinato. Quelli assimilabili ai vagiti del bambino del quarto piano, ad esempio. Ma lei di rumore non ne fa solo quando mi sgrida… Anche quando si fa borbottare dietro dalle signore perbene che le gridano dietro qualche improperio, se si mostra troppo per strada con quelle maglie scollate! Mi sento proprio seccato… Casino, io… Ma dove? Se proprio lei è la prima a chiamarsi maestra dei casini. Tanto per cominciare proprio dal suo risaputo vittimismo: “Ah, casini, casini. Povera me, faccio sempre dei casini…” Povera me? Alla spicciolata uno sconosciuto potrebbe a prima vista pensarla come lei, che ne so… Persino empatizzare. Ingiustamente, però! Chi la conosce bene lo sa quanto sia maestra nell’arte di mettersi nei casini. Quindi non giudichi me se ogni tanto mordo un pezzo di mobile, faccio crollare un vaso da uno scaffale, mangio un pezzo della sua preziosa cordicella dei pantaloni di cui va tanto fiera oppure abbaio nelle ore notturne. Ci vorrebbe un po’ più di pace ini giro se fosse un mondo più giusto.

Se fosse un mondo più giusto, ad esempio ogni tanto potrebbe dirmi anche “Grazie, Archie!” Quando la salvo da qualche disastro. Così come lei è arte nel mettere a soqquadro l’ordine che c’è, io lo sono nel salvarla se va nel mirino di qualche curioso per strada. E’ possibile che non se ne sia accorta. 

Davvero, meglio così. Meglio che non sappia mai che se infilo il naso nel cespuglio tante volte non è la vergogna che mi guida, un passerotto e nemmeno una polpetta bensì qualche negoziante che sa com’è fatta ed è pronta a metterla nei guai. Come! Non si sa quanto siano territoriali e pronti al pettegolezzo e bisticcio i negozianti? Ma se è Natale!

Ma qualcosa la mamma ha capito. Oggi mentre due passavano dietro di lei mormorando di proposito sul suo conto ho ficcato il muso improvvisamente in un cespuglio, con tutte le forze trascinando con me la mamma in modo tale che non vedesse chi erano coloro che passavano. Ed erano G. con sua zia. Con la loro cagnolina. Maggie. Quando si dice una “coincidenza…” Mi sono venute le lacrime agli occhi. Non perché mi sono costretto a non salutare la Maggie, nonostante ci conosciamo ed è la mia preferita, e sono socievole di natura. Ma perché la mamma non ha protestato. Quando le ho consentito di muoversi, tutta attorcigliata com’era al guinzaglio siccome avevo deciso di nasconderla, ha osservato distrattamente nella direzione di chi c’era più avanti e si è accorta del mio gesto nobile da cane devoto. In fondo, anche se è una canaglia, è pur sempre mia madre e le voglio un bene immenso.

Così sono tornato a casa e mi sono guardato a lungo intorno con aria malinconica. Non sarà facile il prossimo anno. Con l’aria che tira. C’è odore di guai in arrivo. Speriamo bene.

24.12.2025

Finale

I miei calzini erano quelli di mamma che rubavo normalmente dal suo cassetto quando se lo fosse dimenticato aperto e cui lei ha rinunciato con un sorriso, un sorrisetto un po’ triste quando li guardava, ancora, in fondo. Calze di lana, calze elasticizzate colorate. Queste ultime gliele aveva regalate il papà. Se tutti sapessero quanto teneva alla casa e alla biancheria mamma prima di partorire me non si
potrebbe immaginare come quanta sofferenza avesse in cuor suo nel vedere i suoi calzini in bocca a me, sotto le mie zampette, appena uscite di casa e tornate su. Oggi quelle calze sono le nostre calze. Per sempre.

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