La prima bella copia del primo volume dei Calzini di Archie

Dove sono i miei calzini?

Diario di un cane

Volume 1

Ciò che per un cane fosse scontato, sarebbe prezioso agli occhi dell’uomo.

E. Ferrari

Dedica

Al nostro meraviglioso Archie.
Perché io possa scrivere questo diario per tutti i giorni della nostra vita assieme e lui possa ascoltarlo dalle mie labbra quando questi saranno finiti affinché possa conoscere la grandezza del nostro amore.


Prefazione

Nel Diario di Archie scopriamo un mondo raccontato con la spontaneità pura di un cucciolo: un incrocio tra uno spinone e un labrador nato il 14 ottobre 2024 a San Lazzaro, arrivato in famiglia come un regalo di solstizio invernale, il 21 dicembre. Attraverso la sua voce naïf, materna, eppure sorprendentemente acuta, Archie ci guida tra memorie, sensazioni, desideri e timori: la casa, il giardino, le passeggiate, i biscotti, il pollo, i piccoli drammi famigliari e le fragilità quotidiane di sua “mamma” Elena e di Alfredo, l’uomo che lui chiama “il Gigante”.

Quella di Archie non è una semplice cronaca: è un diario intimo che intreccia l’umorismo tenero di un cucciolo con la profondità emotiva di chi osserva e sente ogni sfumatura dell’amore che lo circonda. Parlare di piccole cose — i biscotti, il guinzaglio, i piccioni — diventa un modo per esplorare temi universali: solitudine, affetto, identità, la necessità di sentirsi al posto giusto, insieme a chi si ama.

Archie, con innocenza e ironia, denuncia le contraddizioni degli umani, gli equilibri complicati, le emozioni sussurrate: l’affetto, la protezione, la preoccupazione, la speranza, il bisogno reciproco. Ogni parola è intrisa di un’umanità disarmante, e il lettore non può fare a meno di sentirsi parte di questa famiglia, di condividere la sua quotidianità frammentata eppure piena di vitalità.

Questo diario non è solo una storia di cane; è una storia d’amore familiare, intessuta di imperfezioni, di tenerezza, di desiderio di appartenenza e di protezione. È l’elogio delle piccole cose, viste dal punto di vista più dolce e sincero che esista: quello di un cucciolo che conosce il mondo rendendo chi lo circonda migliore

Introduzione

Ciao! Mi chiamo Elena, e questa storia parte da un dolore molto grande: mi hanno portato via mia figlia. Quel vuoto mi ha cambiata dentro, facendomi sentire persa, come se stessi cercando i miei calzini dentro un cassetto che non si apre più. Poi è arrivato Archie, un cucciolo dolce e un po’ pasticcione, e tutto è iniziato a cambiare.

Archie è entrato nella mia vita come un pacchetto regalo il 21 dicembre 2024. Era un cucciolo di due mesi e mezzo, un incrocio tra uno spinone e un meticcio labrador. Il suo arrivo mi ha sconvolto il cuore nel modo più bello possibile: mi ha ridato un senso di calore, compagnia, e un motivo per sorridere di nuovo.

Questo diario è scritto dal suo punto di vista, come se fosse Archie a raccontare la sua storia insieme a me (“mamma Elena”), usando parole semplici, affettuose, e anche un po’ buffe — proprio come farebbe un cane curioso e innamorato che esplora il mondo al mio fianco.

Nei giorni di tristezza, Archie diventava la mia ancora. Con lui ho riscoperto piccoli gesti di cura, quei momenti di complicità che riempiono una casa. Ogni passeggiata, ogni rumore di calzino che sparisce, diventa un’avventura condivisa, un’occasione per riconnetterci.

Questo diario non è solo una storia di perdita. È soprattutto una storia di amore che sboccia ancora, di cura reciproca tra una mamma che si sente fragile e un cane che capisce più di quanto si pensi. È il racconto quotidiano di come due cuori scossi possono inventare una nuova famiglia — fatta di passi, odori di macelleria, carezze, risate e tanto, tanto affetto.

Se ti senti a volte solo o ti manca qualcuno, sappi che tra queste pagine potresti trovare un po’ di conforto: l’amicizia può arrivare nei modi più inaspettati. E a volte, quelle piccole creature pelose, con un naso umido e occhi dolci, sanno insegnarti che si può ricominciare a sentire amore, anche quando sembra impossibile.

Buona lettura, e benvenuti nel mondo di “Dove sono i miei calzini?”, raccontato dal punto di vista del piccolo Archie — un diario che, tra un guaito e un sospiro nostalgico, riporta a casa i frammenti di un cuore ferito.

Omaggio


Caro diario,


mi chiamo Archie Ferrari ho 5 mesi e sono un incrocio tra uno spinone (la mia mamma) ed un meticcio labrador (il mio papà.) Sono nato a San Lazzaro il 14 ottobre del 2024. Ma sono arrivato dai miei legittimi genitori il giorno del solstizio d’inverno. Il 21 dicembre. Praticamente come un pacco regalo. In fondo, sarebbe presto stato Natale. Mamma e papà avevano un impegno a Modena pure. E mi hanno lasciato a casa. Quella è stata la prima e l’ultima volta.
Non ricordo molto dei miei primi giorni di vita. Ricordo sensazioni, affetto, ricordo il calore della mamma che mi accudiva. Ricordo il mio fratellino (più grande di me) che era sempre con me. Tanto affetto.
Nascere è un’esperienza unica e sconosciuta non sai cosa succede dopo la nascita e c’è bisogno di qualcuno che ti stia vicino e che si occupi di te. La mamma per me era queste cose.
……….
Gli uomini mi incitavano timore come tutto quello che ti è sconosciuto e che è incredibile più grande dei tuoi 2 kg.
All’ inizio è così.
Avevamo una casa con un bel prato la mamma il mio fratellino ed il nostro padrone erano il mio mondo e per quanto può esserlo un neonato di cane mi sentivo felice.

Contributo di Alfredo Sitti Boarini.


14.03.2025

Primi giorni

“Sono due e sono grossi. Sai cosa sono?” Due Boxer mi fissavano sicuri di sé, irremovibili, standosene ad alcuni metri dalla posizione mia e di mamma. E non ho potuto fare a meno di constatare:

 i cani molossi… 

Allora ho udito quel richiamo: “Archie?” I miei occhi sono ruotati nelle orbite per la stanchezza data dall’essere stato assiduo testimone solo di squallide filastrocche da bambini piccoli. E dopo un sospiro di stanchezza paziente ho riconosciuto nella voce che mi chiamava il tono vagamente titubante di qualcuno che, dopotutto, non potrebbe ancora conoscermi bene. La mamma. Ma come sia possibile che una mamma non conoscesse il suo cucciolo, sarà più chiaro in seguito. In fondo, erano passati dal mio arrivo solo quattro mesi all’incirca. 

Durante ogni passeggiata un brusio di sottofondo mi diceva che la mamma mi stava spiegando qualcosa, di volta in volta. Un cinguettio, una foglia che cade al suolo ed ecco, prima ancora che me ne accorgessi il suo indice era già puntato sul dato “scientifico” che un tono di voce calmo e il corpo chino al mio fianco, il sorriso lieve e gli occhi commossi trasmetteva a me, piccolotto vigoroso, la sensazione che occorresse correre dove c’era tutta quella vita e tenermi stretta quella mamma che sembrava sapere tante cose del mondo. Il suo mormorio costante e rassicurante come la presenza stabile di chi si prendeva cura di me anche se mi sapevo un cagnolino tosto mi narrava della natura, delle circostanze in cui la pioggia viene giù dal cielo… E non mi faceva mai pesare quanto fosse delicato il difficile compito di essere alla mia altezza. Avrei imparato tutto grazie a lei. Sì, in alleanza con il mio infallibile fiuto. 

“Archie?” La mamma ha insistito, così ho acconsentito a riprendere la nostra marcia a passo spedito come al solito verso casa. 

Dicono tutti che diventerò un cane grande e grosso e io ne sono felice: così finalmente potrò affacciarmi fuori dalla finestra del bagno completamente! Posso fare capolino e la mia testolina di cucciolo color crema con il pelo raso, la nocetta, le rughette pronunciate, il naso grande e rosa che diventerà nero con la strisciolina bianca sul muso su, per tutta la sua lunghezza si vede sbucare solo di tanto in tanto fuori dalla finestra del bagno oggi, perché ancora non ci arrivo. Sono alla ricerca delle radici con cui l’albero si sorregge da una vita intera. Quattro mesi. Sono tanti. E’ un albero che oggi mi appare così gigantesco e magnifico perché sono ancora piccino. Ma quando sarò diventato grande mi sembrerà della sua dimensione naturale, in tutta la sua regale bellezza. Invece di guaire e smaniare come un pivello come faccio oggi quando mi arrampico su per quella finestra, un dì potrò osservare il mondo occhi negli occhi.

Pinzando con le dita la pelle in eccesso sul mio tenero coppino, che si sta sviluppando, la mamma diceva all’inizio ogni sera: “E’ grosso, ha solo quattro mesi…” 

E così, visto che mi voleva bello in carne e in salute, mi porta a fare la coda dal macellaio tutti i giorni. E’ da questo momento esatto che comincerò a raccontare come si svolgono le mie giornate. 

Quest’oggi ad odorare l’aria di pollo e stracotto del macellaio c’erano molti avventori davanti ai quali la mamma faceva un degno sfoggio di me. Nel mentre che sentivo le mani di tutti che facevano a gara per potermi accarezzare il pelo, sentivo che uscivano da quel buio laboratorio nel retro degli odori prelibati e potevo immaginare già la selvaggina che sarebbe entrata senza alcuna fatica nella mia ciotola all’orario del pranzo. Mi spavento un po’ quando vengo accerchiato da molte persone, tante da togliermi l’ossigeno dalle narici. Non avete mai visto un cucciolo? Sono così carino davvero? Non vorrete portarmi là dietro?

Ed uscivo dal negozio tra le braccia della mamma a respirare un po’ d’aria incontaminata. Quella posizione protettiva cuore contro cuore è utile a sfuggire le attenzioni quando sono troppi gli sguardi su di me e così anche gli stimoli, che un cucciolo che deve riposare e crescere bene non deve ricevere in eccesso. Ma ogni volta che arriviamo giustappunto in prossimità del cancello di casa e la mamma ha estratto la chiave faticosamente con la mano libera dalla tasca, con me un poco più pericolante, la presa si fa più forte e avvolgente attorno al mio corpicino e proprio in quel momento… Patatrack! Qualcuno irrompe sempre con un indesiderato entusiasmo nella nostra passeggiata giunta ormai alla conclusione e si complimenta per il nuovo arrivato. E’ l’anziana vicina di casa che non sa cosa fare durante il giorno.

“È un bracco!” Ogni volta un po’ spazientita ma pur sempre inevitabilmente con un sorriso che per quanto voglia sembrare di circostanza in realtà sotto sotto è autenticamente fiero del suo piccolotto, – anche se cerca di nasconderlo pudìca, – la mamma taglia corto e le dà sempre un benservito di fretta. Fatto sta che la signora è sorda. Così non vuole saperne di girare al largo, anche se noi due barcolliamo visibilmente, impegnati nel tentativo di percorrere tutto il vialetto che porta fino alla nostra abitazione e uscirne vivi. 

I bracchi sono cani di razza. Godono ufficialmente del rispetto di tutti! Vedo brillare una luce negli occhi di tutti quelli che mi guardano dall’alto al basso per osservare meglio come sia fatto un cucciolo: sono un cucciolo di bracco! Proprio così sembrerebbe. 

“Suo padre è un mezzo bracco. Lui è solamente un giovane meticcio.” Quando si fa sera, papà mette sempre in riga la mamma. E lei: “Si dirà incrocio, non meticcio.”

Mia mamma è una povera donna, che ha sofferto tanto. Papà è alto uno e novanta, – molto più di me, – ed è il suo nuovo compagno. Lei per pudore dice marito ma sarebbe stato prima di tutto il suo amante, molto tempo fa. Questo da un punto di vista tecnico. Era sposata, prima. Non ero ancora nato all’epoca. Me l’ha raccontato. La sera mi racconta quelli che dovrebbero essere dei racconti fiabeschi. Si tratterebbe di favole inventate; ma io lo so che dice il vero…

Vivo con la mamma e papà nella città dove sono nato il 14 ottobre 2024. Sono nato precisamente nella località detta Croara, alla Ca’ Bianca. Là abitavo in una bella villa con un grande giardino dove ho scorrazzato per due mesi e mezzo. E voglio dire anche una mia riflessione: a me sembra che tutto il mondo sia mio. Si capisce che se mi approprio di un piccolo bastone e poi l’abbandono, poi lo ritrovo. Ma a volte non è così. E’ quello che sta capitando a me. Chi la ritroverebbe più la mia casa di prima? Se non posso più andarci, la colpa non è del mio fiuto. Il mio fiuto lo sa dove si trova quella birbantella della mia famiglia. Quando ci avviciniamo o sono in balcone e mi arrivano delle folate di vento da quella direzione io sento il suo odore di cucinato, di detersivi, di fratellini della mia stessa cucciolata. Allora penso che potrebbero averla invalidata. Depredata altri, che ne so… Sono preoccupato per la mia famiglia. Non posso credere che questa mamma possa aver invece rubato me… Anche se alle volte in cuor mio lo credo. Certo: sono un cucciolo troppo bello, tenero!

E’ divertente ma quando è arrivata la mia mamma umana alla Ca’ Bianca io avevo già capito che lei, la sconosciuta che avrebbe varcato la soglia del cancello che dà accesso diretto al giardino di quella casa, in quel momento sarebbe diventata la mia famiglia per sempre.

La mamma è arrivata in taxi alla Ca’ Bianca quel 21 dicembre del 2024 che è stato poi il giorno del mio arrivo a Bologna nella mia casa vera. Avrà pensato di portarmi via senza troppi convenevoli così, proprio come ha fatto, perché era incredula. Non pensava di farcela a farsi affidare una creatura. Non si sentiva all’altezza di me. Ricordo che è entrata tremante dal cancello del grande giardino alla Ca’ Bianca e il proprietario di prima mi ha chiamato: “Biondino!”

Siamo usciti tutti al trotto io, con la mia mamma e il mio fratellino e quando mi sono sentito chiamare per nome dal mio proprietario sono subito scattato con la lingua a penzoloni tra le braccia della sconosciuta che mi avrebbe accolto per non lasciarmi mai più, come l’immensa vita fa con tutte le creature.

Lei si è chinata emozionatissima e io le sono corso incontro. Le piangevano gli occhi. Aveva una punta di ombrosità e diffidenza nello sguardo verso il mio proprietario di prima che mi piaceva molto. Era gelosia. Mi ha preso tra le braccia quasi come si fa di nascosto con qualcosa di proibito. Non credeva che fossi già convinto di lei e preparato all’adozione prima di conoscerla. Invece sì. Già suo al primo sguardo, al primo slancio, al primo tocco. E’ stato amore così, senza un perché. Mi aveva visto su Subito.it. Mi ha messo in una gabbietta dopo poche coccole. Temeva che il mio proprietario cominciasse a giudicarla in base alla sua esperienza con i cani. In fatto di cani non aveva esperienza, ma in compenso sì che ne aveva tanta in fatto di uomini e aveva timore di loro, ha pensato di affrettare le cose e mi ha fatto salire sul taxi che ci aspettava solo andata verso la mia nuova vita, senza più ritorno verso la mia famiglia. Per quanto coraggioso sia, ammetto di aver guaito e che il taxi è partito comunque. E’ stata sorprendentemente dura. 

La verità? Il mio proprietario era commosso e soddisfatto. Aveva avuto molti cani, tutti da caccia come me. E sapeva bene che se arriva una richiesta da parte di un adottante, è lecito fare di tutto per sistemare il cucciolo meno appetibile. Il mio fratellino era più ambito all’epoca. Mi domando che cosa direbbe oggi se sapesse che me la spasso, visto che auguro anche a lui di essere in buone mani. 

Papà non sapeva affatto che si sarebbe trovato accanto un cucciolo di cane, a partire da quella sera stessa, da accudire ogni giorno a partire dall’esatto momento in cui una sera d’inverno che coincideva con il Solstizio avrebbe rimesso piede nella sua legittima dimora a Bologna dopo il turno di lavoro stressante, proprio come faceva da quattro lunghi anni. Davvero! Il proprietario di prima non deve essere stato accorto di questo. Che bisogno c’era di non dire nulla così? E questo ha inciso molto nel tempo… In quanto al fatto se scegliere di vivere una vita assieme per sempre. Io ho capito subito che qualcosa non andava con il papà. E ho cercato di fare di tutto per conquistarlo. Sdrammatizzavo sempre scodinzolando quando potevo farlo se lui aveva un motivo di sofferenza verso di me. Era un uomo particolarmente sensibile alle emozioni e il suo cuore andava in mille pezzi per ogni sussulto che la vita gli presentava, cosa che con la mamma, casinista per definizione, succedeva spesso… Quasi sempre, diciamo. Se tornassi daccapo nella mia breve vita rifarei tutto daccapo e rivorrei lui come papà per sempre. Ma ci saremmo persi per strada. Per fortuna non si trattava di una strada così brutta, men che meno di una pericolosa autostrada come capita a certi cani sfortunati. Ma ci saremo più ritrovati?

Appena sono arrivato dalla Ca’ Bianca alla nostra casa in via Emilia, ho osservato tre giorni di muso duro. 

Quando dopo soli tre giorni mi sono allontanato dalla copertina in corridoio ed ho cominciato a mordere, sbatacchiare, vedevo che la donna che si prendeva cura di me era elettrizzata. Se ci ripenso… Il momento peggiore di tutti è stato quando sono timidamente scattato in piedi che avevo le formiche persino agli speroncini sul retro delle zampe. Tre passi verso di lei e si è messa a gridare di gioia. Poi, quando mi sono ritrovato in piedi davanti a lei che faceva capolino con un sorrisetto dal cucinino osservandomi invitante e mi aveva incoraggiato, ci siamo guardati finalmente negli occhi ed è stato subito un idillio reciproco. Non avevo il coraggio di muovere un passo in questa casa ma dopo tanta fatica oggi eccomi qui, sulla stessa copertina sopra la quale ho osservato il rito del silenzio della durata di tre giorni al mio arrivo. Sì, allo stesso modo: ma molto più soddisfatto.

La mia famiglia

Alla passeggiata del mattino sgambetto sempre con tanta energia. E quando siamo tornati a casa e tutto torna stranamente fermo di nuovo occorrerebbe inventarsi qualche passatempo. Così cerco il mio osso ricoperto con il pollo e prima lo spingo più avanti con il muso facendolo scivolare sul pavimento, poi quando urta da qualche parte contro la parete davanti a me mi sdraio e afferratolo tra i denti lo faccio volteggiare al di sopra di me. Quando questo gioco sospinto da me arriva fino in prossimità di una cavità che conosco bene, sfugge alla mia frenesia e sparisce come inghiottito nell’ombra sotto il mobile principale del soggiorno. E’ allora che io comincio ad abbaiare. Così papà dalla camera da letto riemerge dal sonno durato poco più di qualche ora e biascica qualche improperio infastidito con la bocca impastata. Allora improvvisamente mamma si ritrova chissà come a rassettare ed io a dormire nella cuccia grande. Insomma, facciamo finta di niente, in modo da non farci scoprire subito ma… E’ sempre troppo tardi, purtroppo. Papà è sempre preso male se accadono eventi che lo infastidiscono, tra cui il rumore dei miei giochi sul pavimento.

Orbene, come abbiamo detto nel giorno del Solstizio d’inverno di soppiatto la mamma mi è venuta a prendere mentre papà era ignaro intento a lavorare presso lo stabilimento di Crespellano dove smistano e fanno consegnare dei pacchi importanti per un’azienda internazionale e mi ha portato qui. Le valutazioni in quanto alla mia futura famiglia adottiva sono andate a buon fine perché la mamma avrebbe fatto di tutto per adottare me. Così ha detto. E avrebbe anche ammesso di aver spudoratamente mentito in fase di colloquio conoscitivo. Di aver detto di essere una casalinga sposata ad un uomo di buona famiglia da quattro anni e di abitare in una casa di proprietà nella località di San Lazzaro. La verità? E’ una disoccupata che ha un compagno con cui litiga sempre con dei precedenti penali da quattro anni e abita in comodato d’uso nella casa di proprietà di suo nonno nel quartiere Savena. C’è andata vicina alla verità, con qualche piccolo dettaglio da aggiustare che avrebbe fatto la differenza in sede di scelta della famiglia che mi avrebbe accudito. Ma una cosa è stata lampante sin dall’inizio: se ha fatto questo per me, mentendo, l’ha fatto per una buona causa: me! 

Abbiamo detto anche che se ci avviciniamo con l’auto alla zona dove ho abitato da neonato con la mia mamma spinona ed il mio fratellino riesco sempre a fiutare l’odore dell’erba in cui le mie tenere zampette sono affondate in profondità lasciando tante orme piccole e tutte uguali. E che questo è accaduto prima che mi rapisse qualcuno. A volte quando passiamo di lì mi confonde quell’odore familiare che passa attraverso la fenditura del finestrino. Sono in attesa di sapere cosa provare e non capisco, non esce a salutarmi nessuno. Non si mette in bella vista la mia mamma. Perché nessuno si fa vedere da là? Allora mi stizzisco, mentre la nostra auto indifferente verso di me supera la strada del mio ritorno alla magione dove sono nato, la Ca’ Bianca. La mamma mi lancia un’occhiata ogni volta che passiamo all’altezza della Ca’ Bianca. Controlla le mie reazioni. Ma quando farò più ritorno là?

Ora mi piacerebbe però passare a parlare di argomenti di cui non abbiamo ancora parlato e mettere un punto così al passato. Mi piacerebbe parlare di me. Dei miei gusti, tanto per cominciare. La prima cosa che voglio dire è che amerei l’idea di poter stringere tra i denti un uccello. Una beccaccia. Ma in modo del tutto inspiegabile non ce ne sono mai a portata di muso. Così mi accontento di scuotere gli oggetti che mi capitano a tiro. Quando scuoto il suo cappello preferito mamma prima si preoccupa. Poi ridacchia tra sé e sé e scuote la testa come se fosse il suo stesso cappello. Quello che in quel momento dalle mie fauci passa abbandonato al pavimento. 

A volte amo mordere le maniche dei polsi alla maglia della mamma e papà. No, la mamma non si comporta in questo modo a sua volta. Non sarebbe un comportamento socialmente accettabile secondo la regola degli umani. I cani sono diversi dagli umani nel comportamento. Ci avevate mai pensato?

Intanto, generalmente i cani tendono ad essere più socievoli degli umani e in un modo più disinibito. Parlando anche solo di interazioni cane-uomo, personalmente sono testimone del fatto che se saltassi sulle gambe di chi chiunque mi volesse avvicinare per farmi una coccola, questi reagirebbero bene. 

Tra umani è tutto diverso e la questione è più complicata. Prendi solo a mo’ d’esempio anche solo il semplice fatto che saranno tre mesi che mia nonna, M., non si fa viva. Non viene a trovarci più. Peccato, mi ero già affezionato tanto dopo la prima volta che l’avevo conosciuta. Per non parlare del nonno: lui passa ore ed ore al telefono con sua figlia, la mamma e viene a trovarci di rado. Almeno loro due vanno d’accordo ma mi viene in mente una possibile spiegazione: forse anche a lui potrebbero aver depredato la casa a Bologna e abita in un’altra località. Mi hanno detto che abita a Mantova. Potrei parlarne la prossima volta quando verrà. Anzi, potrebbe essere stato proprio lui a depredare la Ca’ Bianca. Infatti non si è ancora mai fatto vedere di persona più d’una volta. Forse si sente in colpa. 

La mamma e papà invece gridano tra di loro. E pure piangono, poi. E fanno la pace, papà e mamma. Io li guardo e penso. Penso. Penso. Già. Penso tanto. A quanto siano stupidi. Ma capita anche spesso che papà ed io scherziamo e facciamo la lotta. In quei momenti ce la godiamo… Sembra strano, tra una lite e l’altra. Così, quando lui esclama: “Il nostro bel cane…” Mamma lo corregge: “Il nostro bimbo.” A me sembra di trasognare. E capisco anche la mamma. Papà è calmo. A volte provo ad avvicinarlo ma con lui occorre rispettare sempre un certo gap. Non mi permette di saltargli addosso e fare di sé ciò che voglio. Lui assomiglia tanto ad una statua. Glielo farei davvero un bel complimento. Un monumento, io, se avessi la manualità di un bravo scultore, degno di essere chiamato a fare il monumento a un omone, un energumeno, un iron man. Così lui si definisce di solito. Ma sarà proprio vero che lui è il mio papà? Io sarei incredulo. Un uomo del genere, robusto e ben messo. Chissà come potrò venir su bene, io! Non vado quasi mai a spasso con il papà, fatta eccezione per le volte che la mamma è indisposta o ci fosse un terremoto in arrivo che inghiottisse tutto… La questione mi lascia perplesso. Perché? Io vorrei legare di più con papà. Solo una volta mi ha mandato via perché stavo mangiando la sua ciabatta. Ma io non lo sapevo che stavo facendo un malestro. Io voglio bene a papà. 

La mamma in più è la mia affidataria. E’ scritto sul libretto sanitario di mia competenza. Non so esattamente quello che significa ma papà dice che ciò porterebbe lei a comandare di più su di me. Ma invece io la conosco e la mamma è delicata come una farfalla. Porta i capelli biondi e ha la pelle diafana ed è magra come uno stecchino. E’ così magra e fragile che mi viene fame al solo pensiero di averla vicina. Basta che io le gironzoli intorno con il codino che scodinzola che lei mi darebbe subito una carezza riconoscente. E non so perché ma quando faccio una pausa e guardo negli occhi la mamma dopo un piccolo balzo attendo e lei scoppia a ridere e credo che si senta persino sorpresa di ritrovarsi a ridere così di gusto, improvvisamente per una mia espressione. Mi fa piacere. S’avvicina a me pensierosa e si ritrova a sorridere senza nemmeno accorgersene. Poi non ne conosco ancora il motivo e la mamma non mi vuole dire come mai non abita con noi anche una bambina che vedo sempre nelle fotografie appese nei quadretti alla parete del salotto. Avrà trovato da ridire anche con lei, visto che sembra che la mamma abbia proprio la fama di essere una con un caratterino scorbutico e una certa dose di “personalità,” suo malgrado. Lei dice che si tratta di una questione di intelligenza. Chi non la conosce non è d’accordo: per questi ultimi, sarebbe una donna poco raccomandabile e basta. Poi vedremo come mai.

La bambina avrà all’incirca sei anni. La mamma mi ha promesso che potrei conoscerla un giorno. Quella bambina è sua figlia e dovrebbe sapere la dose d’amore che si perderà frattanto che si prolungasse la sua assenza da casa. 

Anche in mezzo a mille vite incasinate con gli occhi guardarobieri di gente che la fissa come una scarpa inchiodata lì, al muro, appesa e abbandonata; come uno straccio che per un decreto di allontanamento sarebbe caduta in disgrazia mi sa di sopruso che mia mamma si trovi a trentotto anni così malmessa tanto che sua figlia rimane lontana da lei. Avrò preso il posto di qualcuno, io. Sarà così. Potrebbe scalzare pure me dal cuore di mamma, mia sorella, se tornasse. Pensa che fortuna che ha, che continua a non considerare… Adesso che la mia è una mamma popolare perché si fa notare con me e ha fatto amicizia con i proprietari di cani di tutto il quartiere forse andranno via i bambini anche a tutte quelle mamme che amano i cani come le persone. Sarebbe equo. La verità è che l’amore è l’amore ed è uno e viene da una fonte sola che ha sede nel cuore, umano e canino e… Dirò di più. Persino felino e per quanto detesti dire questo non importa, è così. L’amore è l’amore. E dispensare amore è gratuito, incondizionato, immeritato e sempre a doppio senso di circolazione. L’amore che sgorga dal profondo del cuore è puro. E io questo lo so. 

Vola-vola

Proprio il vola-vola, dai. Sapresti sicuramente dire a quale gioco mi riferisco. Quel gioco che si fa nel fitto dell’erba folta con pochi arbusti da poter mordere, per la dentizione anche. Per questioni di spazio, ovviamente! Non sarebbe possibile fare il vola-vola se ci fossero più arbusti d’attorno. Intralcerebbero ogni movimento. Serve più spazio che si può. Ed occorrerebbe comunque morderli solo… Successivamente al vero e proprio vola-vola, appunto. Visto che devo spiegare sempre tutto io, potrei dire di più. In fondo, trascorriamo minuti interminabili in quel praticello ridotto in base alle dimensioni e come incastrato nell’asfalto che si trova tra la pompa del benzinaio e il nostro vialetto, oltre la sbarra d’accesso automatica che si alza al solo tocco di un pulsante su quello che la mamma chiama telecomando e io ammiro spesso lì, sul mobile dove si trova e dove non arrivo ancora con le zampe. Mi piacerebbe proprio smangiucchiarlo. E’ così giallo e gommoso, con tutta la piccola pulsantiera da divellere… 

Tornando al vola-vola, quando comincio a… Correre all’impazzata tutt’intorno alla mamma, che regge il guinzaglio lei grida entusiasta “Vola vola vola vola vola vola vola!,” tutt’intorno sembra svanire nel nulla ed io sto bene! Ecco cosa sarebbe il vola-vola! La nostra danza mattutina. Un vero toccasana per scambiarci l’augurio per una buona giornata. Anche se la mamma dopo sembra più affaticata, e non è più pronta e disponibile a scattare come lo era prima del vola-vola, amo quel fazzoletto di terra coperto d’erba che è poco più grande di una comune aiuola da albero da frutta anche solo per mangiare qualche stelo di fiore. 

Adoro l’erba. Masticarla. I cani scelgono la propria erba. Amo i fiori. Amo masticare i… Fiori. I miei preferiti sono le margherite. A volte quando la mamma va a lavorare e torna alle due dal solito giro che fa fare alla Luna, una cagnolina di sedici anni della donna che a quell’ora è a lavorare e abita poco distante da noi, me ne porta una e poi porta un piscialetto a papà. Io li faccio sparire (entrambi,) mangio prima l’una e poi l’altro. Non faccio differenza tra fiori! Papà in fondo è sempre disinteressato ai fiori che gli dona la mamma. Per me i fiori invece sono tutti uguali e tutti diversi al contempo. Sono attraenti. Piccoli. Fanno il solletico. Ma non come l’erba. Hanno forme più interessanti e più belle. E sono meno comuni degli steli d’erba. Anche l’erba sa di buono. Ma quando ne mangio troppa poi vomito. Così, dalla parte opposta della reticola, quando ci soffermiamo al ritorno da ogni passeggiata che si rispetti ne mangio sempre qualche fiore che sa di miele preferibilmente. 

Ma poiché oggi starebbe piovendo, so già che anche se non vorrei guarderò fuori dalla finestra e vedrò la stessa immagine deprimente. Anziché prati e colline in fiore, quel piatto squadrato e rialzato di una strana struttura che mamma chiama così: “Il grande tetto del benzinaio. Non dalla parte del bagno ma da quella opposta. Quella è la parte della casa che frequento meno. Il nostro piccolo appartamento è al terzo-piano-senza-ascensore con ben due affacci: uno di questi è sulla storica via Emilia e lì si vede il piatto della pompa del benzinaio.

Per un biscotto donato

La mattina come prima cosa lecco bene le labbra, le mani e le gambe alla mamma. Lei si scopre la testa mentre è stesa nel lettone sotto le lenzuola. Il lettone, per chi non lo sapesse, è quel posto dedicato ad hoc dove i cuccioli giocano più tardi nella giornata e possono sbatacchiare il loro osso ricoperto al pollo, senza essere rimproverati. Quando la mamma si sarà lavata e vestita alla mia eminente presenza, comincerà il rito della prima passeggiata. Ma prima, guardo il guinzaglio appeso alla parete per mezzo del gancio apposito. Lo osservo per un istante con un certo grado di intenzione e volitività. Allora la mamma è sicura che voglio uscire e quando dopo una fase di frenesia iniziale sono tornato nella posizione seduta, ci possiamo avventurare in città. Nell’ambito della passeggiata, l’unica sosta che concedo alla mia accompagnatrice è dal giornalaio. A me piace andare spedito e annusare ogni pipì, ma il giornalaio si chiama Cesare, è un tipo importante. Più che importante… Conosciuto, azzarderei dire. E’ diventato il re del quartiere standosene seduto composto sempre al seggio della propria edicola per tutta una vita intera ma adesso è stanco e in pensione da alcuni giorni. Era una presenza rassicurante. Peccato! Mi dava sempre un piccolo biscotto sbocconcellato. Io lo sgranocchiavo al cospetto di qualche personaggio che si faceva avanti per salutare Cesare prima del pensionamento, più che per comprare il giornale. Così, io e Cesare abbiamo collaborato. Sì. Sono stato anche il collaboratore del signor Cesare in persona. Modestamente… Ho un’attitudine naturale per la vendita. Posso dimostrarlo: spontaneamente si faceva avanti sempre qualche curioso amante dei cani, più o meno consapevolmente attirato dall’inaspettata “presenza,” che sarebbe poi quella del sottoscritto. Ma sì, la mia! Io, con i miei occhietti vispi, nell’atto di sbirciare oltre il banco interno all’edicola in attesa del biscotto in arrivo con le zampe posate su di esso sono una favola! E alla fine da semplici collaboratori siamo diventati soci veri e propri quando la mamma ha fatto la pensata – per non recar disturbo… – di procurare i biscotti a Cesare a nostre spese. 

All’inizio, quando mamma ha consegnato a Cesare la prima scatola di markie, mi sembrava che avesse perso di significato il gesto del biscotto. In fondo, non si trattava più di un’offerta disinteressata ma Cesare è andato in pensione con il sorriso, anche se è emerso che la mamma aveva capito che si era impoverito così tanto con tutti quei giornali invenduti con i tempi che corrono tanto che avrebbe potuto fare qualcosa di buono per lui, se gli avesse risparmiato la spesa dei markie. Da quando Cesare passa il suo tempo in pensione, tutto il quartiere si è sentito sollevato. Ma io torno sul posto di lavoro ogni giorno ancora oggi a salutare il cartello affisso che campeggia proprio sul fronte della serranda abbassata, dove un tempo i biscotti piovevano come fossero state gocce di pioggia. Il cartello dice: “In vendita.” Ma sappiamo già che agli eredi del buon uomo nessuno darà nemmeno un centesimo per quell’antiquata edicola all’angolo di un quartiere prevalentemente popolato da anziani sì, ma anche dalle nuove generazioni di baby gang.

Un fatto di intelligenza

Mamma si sorprende sempre che sia naturale per me passeggiare entro le sponde del marciapiede. Ma dico io! Mi avrebbe scambiato per un gatto di quelli che aveva prima a casa con sua madre? E sempre a proposito di intelligenza canina, voglio proprio raccontarne alcune delle mie. 

Poiché sono tanto amato da lei, papà dice alla mamma ogni tanto che è un poco ansiosa verso di me, lei lo ammette e già sta sospirando quando si volta verso di me e mi fa un occhiolino, così io la guardo sornione e le faccio cenno di cambiare faccia davanti al papà subito. Come potrebbe non essere preoccupata su questioni delicate come la mia educazione, la mia crescita corretta? Lo sono pure io! Del resto, io sono un cane vigoroso ed energico. Un cane fisico. Mi piace andare a passo deciso speditamente lungo la via e assaporare fino in fondo ogni attimo del mio tempo e preferisco l’aria aperta alle “pause” nella cuccia tra una passeggiata e l’altra. Adoro poi stare al centro dell’attenzione di tutti quelli che ci sono. Sono affettuoso, vispo e passionale. Per tutte queste ed altre qualità che ho mi piacerebbe se i miei genitori mi sapessero amare come si conviene. Ad esempio, dovranno fare molta attenzione ai miei movimenti. Sin da subito ho mostrato di saper tirare molto bene il guinzaglio nella mia direzione. Mi dispiacerebbe se qualcuno cadesse di peso a causa della mia innata forza muscolare. Ho un aspetto palesemente atletico, con i muscoli del petto in risalto e delle rughe d’espressione marcate sulla fronte che mi fanno apparire intento a riflettere più del dovuto. Sarà anche per questo che dicono di me che io sia un cane abbastanza dotato d’intelligenza.

Dicono di me che io sia intelligente. Ma se fosse vero questo conoscerei le parolone come questa: intelligente. Non potrebbe essere diversamente. Papà me lo ripete sempre: “Sei intelligente…” E la mamma subito gli fa eco: “Sei bello!” E papà: “Stai zitta.” Allora lui si avvicina al mio muso con un sorrisetto spiritoso e io gli mangio il naso o… Almeno ci provo molte volte, a dire il vero… Invano. Se fossi intelligente come dicono, furbo come dicono ci sarei già riuscito. A dire il vero glielo ho morsicato, una volta. Ma lui mi ha rincorso e ha un vocione così grande che io scodinzolo a testa bassa e trotterello imbarazzato qua e là per qualche metro e pur di non vederlo più reagire in quel modo spropositato mi butto anche  sfacciatamente a uovo nella cuccia e fingo di dormire! Serve ad imitare una quiete apparente, fingere di dormire. E’ da questi piccoli accorgimenti, o stratagemmi, parte integrante della mia innata inventiva, che mi rendo conto di quanto io sia intelligente di fatto e mi sento in pace con la coscienza. Peccato solo che capiterebbe anche a quel gatto della favola di saper fare il morto. Me l’ha raccontato la mamma una sera o l’altra, quando mi fa le confidenze prima della ninna nanna. Ma è anche vero che occorre sorvegliare responsabilmente sulla propria intelligenza. Mentre fingevo di dormire, una volta ho fatto l’occhiolino a mamma e lei l’ha fatto a me. Chissà perché lei l’ha detto al papà e lui mi ha svegliato e rincorso. 

Comportamenti fantasiosi

“Ma non si gioca con il mangiare!” La mamma prima fa il verso a papà di nascosto e quando faccio un gesto con il muso, al segnale la mamma lancia il boccone, che si abbatte sul pavimento oppure entra nella mia bocca. Alcuni pezzi di cibo purtroppo si spiaccicano al suolo prima che io possa averle afferrate. 

Io salto di qua e di là festosamente e poi finisco la preda. Allora per festeggiare il boccone mangiato ecco che si reciterà la filastrocca dei due cani grossi oppure, – ancora meglio,- la mamma accompagnandolo con una carezza, mi chiama con il mio soprannome, cioè Barbagianni, che mi piace tanto. In dialetto mantovano Barbesàn. Questi sono i nostri motti e le nostre parole segrete. 

Sono l’unico cane che mangia i pezzi di cibo al volo. O almeno ci provo.

Presto bene voglio crescere così grande che potrò in men che non si dica guardare fuori dal bagno e vedere giù, financo le radici dell’albero di cui oggi posso ammirare solo la punta ed una cornacchia che fa capolino, lassù.

I miei cinque mesi, la fine della dentizione

Mi sono sgranchito le gambe, facendomi indietro sul sederino e piegando le zampe anteriori per il lungo fino a terra quando siamo usciti di casa e saranno state le otto, come sempre quando questa mattina c’era il solito sole primaverile che scaldava a malapena e io ricordo che indossavo il mio cappottino giallo, quando improvvisamente ho visto alcuni piccioni mangiare delle piccole briciole di pane buttate lì, da un bambino, ignari della mia presenza. Stavo cercando di non farmi notare dai pennuti per coglierli di sorpresa. Ma nel preciso istante ove sarei stato più pronto a balzare nel bel mezzo della loro sezione di prato, la mamma ha sussurrato al mio orecchio: “Sai perché i cani corrono, quando vanno al guinzaglio?” Così, la mia concentrazione si è dileguata scemando, insieme ai piccioni che stavo puntando. E la frase si è conclusa così: “Perché qualcuno li insegue!” Che delusione… Ho ruotato gli occhi nelle orbite, sospirato, poi per ripicca ho cominciato a correre per il portico di via Lombardia in gran carriera, con la mamma al seguito che ansimava forte e cercava di nascondere tutto quell’affanno dovuto alla vecchiaia incipiente: non avere più il fiato d’una volta le dava quella sensazione sempre più pressante. La sensazione di stare invecchiando. E si è bloccata improvvisamente sulle punte dei piedi a pochi centimetri dall’apice della mia coda simile a un fiammifero là, nel punto esatto dove io mi sono fermato di colpo. Avevo arrestato la marcia nel cuore della corsa all’impazzata, nel bel mezzo del porticato, laddove a terra avevo avvistato un misterioso oggetto che aveva appena stuzzicato tutta la mia curiosità in un batter d’occhio. I nostri riflessi completamente fusi gli uni negli altri, come se la passeggiata fosse proprio una danza.

Si trattava di una mia abitudine quella di mettermi in bocca di tutto. Mamma diceva che stavo facendo la dentizione a cinque mesi. Una volta avevo un chiodo e un pezzo di plastica in bocca. Non so come ma mi ha tolto tutto dalle fauci in meno di quattro secondi. Li ho contati. Infilare le mani nella mia mandibola… Sono pur sempre un cane, dovrei mettere almeno un po’ di paura; non sarò mica così tenero? Adoro dormire nel lettone, annusare la cuffia di cotone sdrucito rossa della Jorda ma soprattutto amo masticare le cose. Qualunque cosa finisca nella mia bocca ne uscirà solo quando lo vorrò io e nello stato che deciderò io se potrà essere quello finale.  

“Non provare a metterlo in bocca…” E la mamma con un fare materno e imbarazzato, perché ci teneva che le facessi fare bella figura, ha provato a distrarmi con un oggetto, forse un piccolo biscotto di quelli preparati al forno, che lei chiama melini.

Ma io ero già deciso a infilare tutto il corpo sconosciuto all’interno della mia bocca di cane curioso. Mamma in fondo era abituata a infilarmi le mani senza alcuna remora e con molta naturalità fin giù nella gola, in fondo all’ugola ed estrarne sassi, muschio, terra, bastoncini, persino pezzi di metallo e la testa intera di un pesce scartato da un ristoratore. Ma poi… Incredibilmente ho cambiato idea. E da questo momento ho cominciato a non mettere più le cose in bocca

Area cani


Rispettare i miei tempi per fermarmi. 

Per annusare. 

Per osservare. 

Puntare. 

Dare la caccia ai volatili in sicurezza. 

Trotterellare senza fretta. 

Correre sotto i portici in sicurezza. 

Farmi osservare i cani in lontananza. 

Farmi notare dai cani in lontananza. 

Farmi interagire con i cani. 

Farmi interagire con tutti i cani ma non i molossoidi. 

Attraversare la strada sulle strisce solo con il verde…

La lista delle responsabilità legate al momento dedicato alla passeggiata che aveva compilato la mamma era lunga e cresceva ogni giorno a vista d’occhio e adesso, solo la sera, cautamente, spettava a papà accompagnarmi a spasso. E’ avvenuta in questo modo la svolta. Papà ha deciso che tanto per andare più sul sicuro, mi avrebbe portato solo nell’area cani. Ciò che non sapeva è che anche l’area cani meglio frequentata può essere un luogo pieno di insidie e pericoli per un cane come me.

Il rito del bagnetto secondo la mia mamma

La mamma non non mi lava tanto perché ha chiesto a Gpt se fosse il caso di lavare un cucciolo. Siccome consulta così spesso Gpt su di me il papà è un po’ scettico. Cibi consentiti, cibi tossici. A me, invece, va bene non essere lavato sempre. Infatti mamma dice che odoro di biscotto. Papà non sente gli odori anche se mamma da sempre non gli crede del tutto. Forse lo dice perché ormai la casa non profuma più di fiori come prima che arrivassi io, ma mamma sostiene, quale ex-colf professionale, che il dolce compromesso pur di ricevere tanto amore da un cucciolo è quello di lasciare andare un po’ la casa e il papà non ci guarda nemmeno, alla casa. 


Metodi educativi

Oggi mi sono accorto che la mamma usa i melini quale metodo educativo. Bastoncino/carota. È scorretto. Mi sento un po’ tradito. Pensavo che i biscotti fossero solo un fine. E che tale fine fosse il piacere di mangiarli. Non pensavo che i biscotti fossero un mezzo. Il punto è che lei così si pone al di sopra e questo ruolo non spetta a lei. Spetta a papà. Lui è il capo branco. 

Una volta l’ho vista guardarsi intorno mentre si asciugava la fronte con un gesto plateale da diva come se si fosse trattata di una sua fatica quella di rinunciare a un pomodoro gigante smarrito finito sotto i miei occhi in quel preciso istante… E subito dopo offrirmi un melino. Ma dico, io… Non ho più quattro mesi. Ne ho cinque ora.

Lei si ostina a trattarmi ancora da cucciolotto ma io peso quindici chili. Ma vi dirò che lei si sente San Francesco d’Assisi in persona che parla con gli animali solo perché può fregiarsi di avere un cane a modo. E’ indecente! Io protesto. A meno che lei proprio non… faccia quella cosa irresistibile e carina di far finta di togliermi il melino per protesta non mangerò più melini per un paio d’ore buone. Se invece lo farà, no, allora non potrei comunque evitare o sottrarmi alla sfida. Mi dispiace ma in tal caso il melino va mangiato e al volo, pure… Diversamente, se non me lo facesse un pochino desiderare, protesterò. Promesso.

Mia madre mi usa come un “trofeo” e potrebbe sentirsi così responsabile che sono quasi convinto che racconterebbe che discendo da un bracco anziché dire che sono un meticcio ad esempio. E io dico meticcio. Ma lei no. Incrocio. Più rispettoso. Suona meglio. Più pulito… Limpido, anzi. Mi farà venire i sensi di inferiorità verso gli altri cani. Quelli di razza! Mi ha letto Harry Potter perché è un mezzosangue, puoi scommetterci. Ma se voleva un cane di razza, che mi riporti pure da mio padrone alla Ca’ Bianca con quel grande giardino e se ne prenda uno. Che tra un mese tanto avrò quasi metà anno e sarò da buttare via, abbandonare.

Stranezze

Quando mi mette la pettorina la formula magica che recita per proteggermi come un mantra ossessivo compulsivo dai pericoli della strada prima di uscire è: Ti voglio bene sei il migliore. A fine passeggiata: Grazie Archie. Lo dice sempre. Odio questa formuletta! Forse crede che potrebbe arrivare Harry Potter su una scopa a salvarmi da un autobus in corsa… Glielo farò credere. Mi mette un po’ di inquietudine tutto questo. Dev’essere un po’ fuori di sé per qualcosa che è capitato. Dovrei rifletterci. 

L’incidente dal veterinario

Eravamo appena scesi dalla nostra Panda rossa nel parcheggio riservato ai pazienti della nostra clinica veterinaria. Ci trovavamo lì per la visita mensile di routine con la consueta consegna mensile delle feci, che servono a monitorare se ho ancora la giardia. Alla soglia dell’ambulatorio, mi sono sentito improvvisamente più leggero. Ma non si trattava solo della contentezza di rivedere l’amato ambulatorio che mi fa sentire al sicuro. Non so come, non avevo più la sensazione del guinzaglio che tratteneva il mio peso; non sentivo più tutti quegli strattoni improvvisi, non subivo più i cambi di direzione imposti dall’alto. Avevo addosso una sensazione di libertà inaudita e irrefrenabile! Ero così felice che ho cominciato a correre per la strada all’impazzata… Un’auto è sfrecciata proprio a pochi metri da me. Allora ho sentito la mamma che da lontano gridava il mio nome. Ma aveva una paura addosso che mi sono spaventato anch’io e mi sono lanciato in un allungo ancora più rapidamente. Poi di colpo mi sono fermato. Ho riflettuto per un istante. Ho sentito un odore nell’aria. Era un cane, dietro di me, che mi cercava. Sono andato verso di lui. La mamma che nel frattempo era arrivata lì accanto mi ha abbracciato fortissimo e mi ha rimesso il guinzaglio piangendo. Se non fosse stato per lo spirito di collaborazione tutta al femminile tra mamme di cani oggi non potrei essere qui a raccontare questo incidente, fortunatamente conclusosi bene. Da allora la mamma per me prende solo guinzagli con il doppio moschettone. Abbiamo detto addio a quello difettoso.

L’origine del mio nome

Papà mi ha dato il nome di Archie. Ma voglio confessare che c’è ancora chi crede che il mio nome si scriva proprio come quello del famoso Circolo gay. “Archie? Archie? Archie-Leone? Archie-Leo? Vieni qui, corri qui Archie, prendi il melino.” No. Non suona bene come nome. Avrei voluto chiamarmi in tanti altri possibili modi. Fido. O Bambi, visto che sembro anche un cerbiatto. Oppure un bel nome adatto ad un vitellino, sarebbe andato bene. Chupito. Freccia. Ercole. Ci voleva tanto per pensare a dei nomi belli davvero?

Trasloco

“Non fare questo. Sputa la pigna. Evita di calpestare quell’aiuola con quei bei fiori freschi. E dimenticati del giardino con la ghiaia, o la manderai giù!” Questo posto è un inferno, sotto sotto, pieno di regole. Divieti dappertutto. Auto che sfrecciano a go-go. Ero già arcistufo di questa mia breve vita passata a Bologna quando, una sera di queste, mi sono accorto che i miei genitori stavano confabulando qualcosa tra di loro che a prima vista avrebbe potuto sembrare solo… Qualche segreto da proteggere. Ma io sapevo già di cosa si sarebbe trattato. Che sarebbe stato nei piani segreti di mamma e papà escludermi dal divano, ancora! Ergo dal letto. Cosa ancora più inaccettabile perché loro frequentano regolarmente il letto e anch’io tecnicamente sarei un membro della famiglia. Ma non si trattava di questo segreto. Bensì di un altro segreto. E sapevo io come scoprire quale…

Non potrei fare a meno di dirlo, anche se è così triste: sarei disposto a tutto pur di conoscere ciò che è nascosto. In fondo, sono pur sempre un cane da caccia: è nella mia indole il senso della scoperta. Ma è stato più facile del previsto questa volta. Del resto, mamma mi vizia. Soprattutto con quei biscotti. I famigerati melini al forno. Sono piccoli e leggeri. Mamma li compra per risparmiare. Invece sono letali al gusto. Proprio perché sono piccoli e carini, ne mangerei uno dietro l’altro a non finire… Insomma, giacché sono riuscito a lavorarmi la mamma ben bene ottenendo molti melini, dapprima ho imbonito la mamma e quando ho potuto sedermi sul divano accanto a lei ce l’ho fatta. Era in arrivo la soffiata sul segreto. Pare che papà comprerà una casa in collina!

La morte del pollo cotto


“Complimenti…” Ho pensato serio dopo che la mamma mi aveva servito del pollo fresco nella ciotola migliore che aveva. Si vedeva che era di buon umore anche lei. Accidenti, se lo era! E quando mi sono voltato, mamma leggeva un libro e ho sorriso anch’io del suo buon umore dovuto al pensiero del trasloco “imminente.” Ero così soddisfatto che dopo essermi fatto un primo giro di pollo fresco avevo ancora appetito. Allora sono tornato alla ciotola. Lei ha mollato giù il libro e continuava a servirmi pollo fresco cotto nell’acquetta presente in quella padellina che una volta o l’altra avvicinerò anche mentre cuoce sul fornello trovando il modo di evitare il calore che promana irresistibile. Stavo solo scherzando… Lo so quanto sia pericoloso! 

Mamma ci mette sempre troppo tempo a cucinare quando ci si mette. Mi fa desiderare così tanto il pollo fresco che non so se il mangiare che fa è buono tanto quanto lo pregusto. Lo desidero, lo sogno, sento l’acquolina assalire la lingua. Mi sentivo traboccare di acquolina. 

Vedevo già la mamma contenta e felice che si metteva in mostra e sculettava come fa lei nel suo pigiamone nel cucinino dove si dà da fare e si nasconde da papà se la rincorre, con una ciabatta.

“Mi piace tanto quando mangia i miei manicaretti!” Leziosa mi stava cucinando un altro pollo fresco. Non si trattava del solito pollo comprato dal macellaio, oppure del mio piastrone. Quest’ultimo è una lastra congelata di scarti a base di carne macinata mista di natura variegata che confeziona il macellaio ed è destinata ai cani come me. Ci sono andato avanti per mesi e mi aveva appena stancato. Quello che cucinava la mamma ora era invece un pollo che aveva reperito in campagna da una parente che aveva il pollaio. Filiera diretta! E pensare che avevo anche pensato male di lei, che in passato mi aveva imposto le scatolette semplici prese al negozio d’animali. 

Diciassette euro di petto di pollo di alta qualità. Pollo al gusto di proibito. Decisamente proibito. Sì, perché papà era contrario a quel genere di iniziative prive di senso per lui. Non avrebbe mai potuto capire il gusto che si prova a veder degustare il proprio cucciolo un piatto così prelibato in un’intera vita! Sì, perché la mamma gli avrebbe impedito sempre di guardarmi. Ma avrebbe continuato a farlo, per il gusto di sapermi felice. Ma c’era un problema. La mamma non riusciva a tenere la bocca chiusa con papà. Non c’era alcunché di nascosto tra di loro e candidamente anche questa volta si è tradita. Gli ha fatto capitare sotto gli occhi lo scontrino. Che abbia fatto di proposito o meno, questo è il mistero dei misteri.

A papà non andranno mai giù questo genere di iniziative però: “Diciassette euro!” Se capitava per caso che un’iniziativa scaltra uscisse allo scoperto, solitamente se ne usciva fuori con qualche frase buttata lì. Ma questa volta era davvero grave e mi sono preparato e sono uscito dalla stanza. “Come hai potuto? Quei soldi mi servivano per comprare le piadine e il formaggio!”

Non so ancora come andrà a finire. Confido che mamma riuscirà a trovare il modo di permettermi di mangiarne ancora ma non ne sarò sicuro fino a quando i miei occhi vedranno altro pollo cucinato da manuale. Sono in attesa da giorni, al momento. Si tratta di un triste lutto.

Ma la mamma questa volta sembrerebbe comportarsi più correttamente delle altre volte. Accidenti a me! Non ci credo quasi. Dove avrà nascosto il pollo, la furbetta? Io lo so. Sono un cane da caccia. Ho un fiuto sopraffino e un quoziente da fiuto più elevato della media. È nel mobiletto a credenza del tinello, nel mio scomparto. Quello dove stanno tutte le strenne. Frigorifero a parte, si tratta del mobiletto a credenza dei sogni. Dei miei sogni. Quando ci infilo la testa dentro che faccio segno con la zampa a mamma di aprire (e lei mi accontenta sempre) dentro ne estraggo di tutto! Ma il pollo? Sarà lì…. Direste voi. E invece no. Nessun odore. Nessuna traccia. Né nell’aria né visibile. Come farò? 

Ossicini finti di pasta insaporita. Snack. E biscotti, sempre biscotti, che noia. Bleah… Biscotti qua, là. So già cosa sono, basta biscotti! Sempre la stessa pappa. Almeno il pollo non mi stancava. Illudere un cane inappetente come me è stato proprio un tiro mancino…

Poi mamma un giorno sarebbe tornata. Con quello che sembrava del pollo. L’ho accolta con un sorriso da favola, feste senza fine… Mi sembrava di sognare, strabuzzavo gli occhi. E invece… Quando l’ho assaggiato aveva un sapore strano. Mamma continuava a ripetere: “E’ pollo, è pollo!” Ma… Era tacchino, accidenti! Mi sono detto: “Accidenti, mai più pollo. Ora ci sarà sempre e solo tacchino in tavola!” E mi sono rifiutato di continuare a mangiarne. La mamma è scoppiata a piangere. Papà ha lanciato la sua ciabatta: “Quanto l’ha pagato questo pollo la mamma perfetta che non sbaglia mai in fatto di educazione del suo piccolo cucciolo? Quanto l’avrà pagato questa mamma, che non appena si accorgerà che non sarà in grado di sbarcare il lunario nemmeno questo mese, per l’ennesima volta lo farà digiunare?” 

E la mamma ha piagnucolato: “Non è vero niente!”

E io ho abbaiato, fatto il dìscolo. Insomma, abbiamo tutti continuato così a discutere, in una confusione collettiva che non finiva più. Alla fine la casa era distrutta. Devastata. E non ho mangiato per tre giorni. Sì, ma per punizione. No, secondo me avete capito male: a scegliere che io non mangiassi non sono stati loro. Loro mi hanno pregato infine di mangiare. Incluso papà. Di mangiare. Compravano stracchino, polenta, riso integrale. Avena. Patate, finocchi. Carne salata, bresaola, mozzarella. Di tutto. Ma il pollo no. Alla fine chi l’avrà avuta vinta? Ho avuto il pollo, secondo voi?

La tirocinante

Una volta la tirocinante della psichiatra di mamma, che stava raccontando di come sono venuto al mondo sotto i cavoli mentre c’ero anch’io, mi ha chiamato in un modo che ricordo, qualcosa come: “Bastardino.” Ah, è un… bastardino.” Mamma si è rabbuiata. Tutta di colpo ha trovato una scusa, ha voltato i tacchi: “Archie. Vieni, Archie, andiamo via dal Centro di Salute Mentale.” Sembrava una cosa innocua. In più io mi fido di lei. Siamo andati a casa. 

Non la chiamano più. Ho capito che bastardino è una parola che a mamma non piace giacché non ha più messo piede là. Ma la cosa veramente sorprendente è che nemmeno la tirocinante non la chiama. Non la chiama più. Non la sopportava nemmeno prima. Ma in quanto al fatto del bastardino, sono sicuro che si sia trattato della scintilla che ha acceso la miccia di una bomba che sarebbe scoppiata anche in altri modi, se solo fosse passato altro tempo. Si è svolto tutto in modo sempre meno divertente. Prima la tirocinante le ha mandato le foto del suo cane di razza. Poi è sparita. 

Un pochino mi ero anche già affezionato alla tirocinante. Se la mamma lo avesse saputo… In nome dell’affetto dovuto al suo piccolo Archie, avrebbe ancora un medico. E poi gira di qua gira di là per la città si incontreranno di nuovo, prima o poi. Ma al momento la mamma si limita ad andare al Centro di Salute Mentale in bicicletta, prendere il suo farmaco alla chetichella e tornare subito a casa. La psichiatra? Non si fa vedere. Oppure sì, qualche volta passa per i corridoi ma dice qualcosa che suona come una scusa: “Ti chiamo io poi.” Poi, mai. Nessuno saprebbe dire alcunché a tal proposito. E la mamma? E’ tranquilla. Si odiavano. E io, bastardino, ero diventato questo: una picconata in un terreno già smosso che avrebbe provocato una frattura ancora più profonda di quella già presente in anticipo sulla mia stessa nascita. Niente di più. Ma se si conoscevano da una vita! Che solitudine…


Ora, però, la mamma c’era rimasta male davvero per quella frase irreparabile. Nemmeno lei avrebbe voluto tornare al Centro più… Quando fino a quel momento ci aveva creduto, nelle terapie. Era incredula. Non sapeva se essere felice per essersi sbarazzata degli appuntamenti mensili come quando io mangio qualcosa di gustoso e nuovo, oppure se rattristarsi. E non c’era nemmeno alcun dubbio in merito al fatto se ne avesse parlato al papà. Non c’era verso che cambiasse idea e chiamasse di sua iniziativa la tirocinante. Non chiamava più nemmeno la psichiatra. E la psichiatra non chiamava lei…

“Guarda che quando diventa grande ti stacca un braccio.” Così mamma avrebbe dovuto rispondere a quella tirocinante poco accorta in fatto di cuccioli. Ma non ne sono sicuro. Forse sarebbe stato meglio il contrario. Che io non dividessi queste acque del mar rosso così. Si, mi sento un po’ responsabile. Avrei dovuto intervenire. Non doveva succedere.

Ma un mese o due dopo, per i corridoi al Centro dove mamma era andata a prendere solo i farmaci c’era proprio lei, di nuovo la tirocinante. L’ho guardata passare. Era un po’ grande. Cioè, nel senso che era grande e grossa, sicura di sé, con quelle due grandi tette ballonzolanti e i ricci capelli neri che dondolavano alle spalle, quando è passata accanto a me. Io mi sono messo sull’attenti, seduto nel bravo-cane a fare finta di niente e mi sono guardato intorno al suo incedere. Ma quando è tornata mamma deve avermi fatto segno e io l’ho puntata. Come faccio con i piccioni. La picciona. Solo che lei è una donna. 

Se mi avesse visto con la zampetta anteriore destra alzata pronta a scattare rilassata nella sua direzione e la muscolatura atletica come è poi la mia e la coda a freccia dritta e rigida non si permetterebbe più di dire ciò che poi avrebbe detto. 

L’ho vista piegarsi rilassata e prendermi le guance. Avrei voluto sottrarmi invece ho… Scodinzolato. Scodinzolato? Direste voi, perché alla tirocinante che ti ha chiamato proprio bastardino! E poi, come se non bastasse lei mi ha accarezzato la testa fino al sedere e io le sono saltato sulle gambe e l’ho baciata… Proprio sulle labbra! Con la lingua… Ma come ho potuto! Alla mamma… Fare questo alla mia mamma! Come ho potuto! E’ accaduto veramente? La mamma è inorridita prima. Non ha avuto reazioni. Poi siamo usciti ed io ero di buon umore. Così, mi ha dato un calcetto nel sederino e “Come sei messo, come hai potuto… Archie!” E solennemente: “Niente più pollo.” Cosa? E la mia carota?” Dovevo assolutamente riparare. Ero agitato. “Muovi il tuo bel sederino e andiamo a casa.” Così ho concluso che sarei finito io al Centro di salute mentale. Sì, per mal d’amore verso la bella tirocinante…

Un macello dal macellaio

Con papà la mamma a volte si comporta proprio come farebbe una vera dittatrice. Se alzerà i toni con papà e oserà metterlo a cuccia ancora se rimproverata la prossima volta io mi metto con una chiwawa. Parola mia. Le faccio venire un coccolone io tanto da farla diventare mora. Perché non è più la stessa. Potrebbe essere addirittura la storia con quel macellaio. Lei sostiene che ama me sopra ogni cosa e sarebbe questo il motivo per cui ci va tutti i giorni così tanto. Invece, si tratta sicuramente di una delle sue scandalose malefatte. A giudicare dal comportamento non esattamente esemplare della mamma, non mi resta che pensare che lei abbia un flirt con quell’uomo maledetto. Il macellaio. Il che significa che presto potrebbe lasciare papà. Ma è impossibile. Anche se è confusa è più cristiana di me. Vorrebbe sposarsi con papà. L’ha giurato. Ma mi stupisco anche del macellaio. Un uomo dabbene. È scandaloso. Si sa come dev’essere cominciato tutto. Mamma è avvenente, compra un sacco di carne, lui si fa l’idea che lei sia ricca, le fa uno sconticino, le chiede di tornare da lui al venerdì per la carne speziata in arrivo solo una volta al mese nel suo negozio assolutamente da mangiare e da cosa nasce cosa. Sarebbe impossibile a pensarsi. Sarebbe troppo triste. Ma come andrà a finire? Come farei senza papà? Mamma non ha autorità. Felicità e fuorismo tutto il giorno non sono compatibili con il mio stile di vita attuale ormai consolidato e stabile dopo tanta fatica nei primi tempi. Spero di fare loro molta compassione in fondo. Quel macellaio deve crepare. Io lo mangio al prossimo pranzetto. 

“Così entro dal macellaio e faccio fare una brutta figura a mamma.” Penso. “Mi metto ad abbaiare e faccio fare una brutta figura a mamma, mando via le clienti. Scredito il macellaio.” 

Entriamo, il macellaio mi saluta con un coltello in mano. Io mi spavento, penso mi voglia uccidere per non avere testimoni. È un delitto passionale sicuramente. Così mi inchino portando indietro il sederino e faccio le feste. Questo per evitare di essere ucciso. E infatti lui ha deposto il coltello e si è calmato. Ma io a quel punto ero più sicuro. Così ho abbaiato una volta sola, siccome era comunque a portata di mano l’arsenale ben rifinito in fondo al laboratorio. Allora lui si è fatto indietro e io ne ho approfittato per fare pupù, siccome a quel punto ero davvero confuso. Mi aspettavo infatti che mi avrebbe aggredito, invece era pacifico. In più il luogo era caldo, accogliente e aromatico per giunta. Non ho resistito. Un odore sgradevole si è impossessato delle narici delle presenti improvvisamente. Ci sono rimasto male. Sembravano sconvolte le clienti. Perché? Se ne sono andate tutte. Che puzza, che puzza… Andatevene via, è un luogo di perdizione. In tutti i sensi. Altroché figuraccia. Ho segnato il più grande goal nella storia della nostra famiglia fino a quel giorno. Per la vergogna la mamma non è più tornata dal macellaio. Figurati! Come se fosse un problema che un cane di cinque mesi abbia fatto i bisognini carini dove c’è spazio per i cani e i… Porci. In tutti i sensi. “Di solito è educatissimo.” Questo è stato tutto quello che ha saputo dire. La faccio sempre di nascosto da occhi indiscreti. Ma quel giorno doveva andare così. 

Però che noia. Adesso sono sicuro che lei non oserà più alzare lo sguardo negli occhi di un altro uomo se non quelli di papà. Sempre ammettendo che il macellaio fosse l’amante di mamma. 

Il mocio


Un pomeriggio stavo dormendo tranquillamente nella mia nuova cuccia. Accanto a me vedo avvilupparsi improvvisamente attorno alla gamba di una sedia dei lunghi tentacoli fluttuanti adesi al pavimento che… Lo inumidivano. Io mi sono fatto tutto piatto sul pavimento e lo controllavo, avvicinavo il muso e inseguivo tutti quei micromovimenti muscolari da strapazzo. 

Ma che cavolo fa? È pazzo…

Il pavimento era già bagnato di pipì, quello era un tipo pericoloso. Una volta ero scivolato e ho dato una craniata sullo sportello delle strenne a causa sua. Il pavimento era completamente andato! Poi odorava di buono. No, non mi convinceva. Troppo strano che fosse tutto viscido e voluminoso lo strisciante oggetto.

Ti prenderò completamente e ti sbatacchierò tra le fauci come un pennacchio.

Stucco… Che passione!

Ho trovato un punto del muro che mi piace. Lo mordo e viene fuori della polvere. Stucco. Mamma mi sbatte lievemente lo straccio sul popò, io la guardo con gran astio “Lasciami qua. Sto ancora facendo la dentizione. Voglio triturare questa roba e poi ho fame.” Questo. E lei me lo ribatte lieve sul popò. Io mi sposto. Ma mi deve convincere sempre alla fine con quel melino che ormai non mangio più.


Gechi

Questa mattina durante la passeggiata lunga ho trovato una strana cosa in un mucchio d’erba nel quale mi sono messo a rovistare. Una specie di lucertola. Più grossa. La mamma non appena ho afferrato e masticato mi ha infilato, come al solito, un’intera mano fin sotto l’ugola. Le gengive indolenzite mi dicevano che ne sarebbe uscita tutta quella porcheria che avrei divorato. Il sapore non era… Malvagio. Poi, anziché complimentarsi per aver trovato la mia seconda piccola preda in assoluto sembrava quasi disgustata: “Archie, dove l’hai preso questo? Hai infilato il muso nel bidone?” 

E via agli insulti di ogni genere. Pensavo mi avrebbe picchiato. “Questo geco avrebbe potuto procurarti della dissenteria, poverino.” 

Ma poi si è come imbarazzata. Le è uscita una piccola lacrima. E mi ha rispettato. Dopo aver riflettuto, – strano ma vero, – mi ha coccolato lì seduta stante e mi ha detto: “Bravo… In fondo hai fatto bene il tuo mestiere di cane da caccia.” 

Ma… Che soddisfazione! Non avevo mai avuto tanta felicità nel cuore… È stata intelligente per la prima volta. Si è fidata. D’accordo, non avrà portato a casa il mio dono per lei. Ma in compenso si è accorta dell’altro dono, quello per me, quello di madre natura, la mia vocazione inespressa. La cacciagione vera dove dovrei trovarla, se non nei bidoni infatti? E i gechi sono entrati di diritto nel repertorio delle prede di Archie, ufficialmente al primo (e ultimo) posto dell’omonima classifica. 

Il tutto è avvenuto davanti a due anziani signori che hanno chiesto a mamma di farmi avvicinare per sottolineare che i cani sono più affettuosi dei gatti. Brava mamma! Si è accorta che valgo almeno due gechi. 

Ad essere onesti, il primo geco dei due l’avevo trovato in una pianta. Che tristezza quando appunto la mamma aveva telefonato al veterinario quando mi ero addormentato a casa. La mamma al telefono continuava a insistere convintamente che fossi più letargico del solito. Ipocondria pura. La sua! Ma a mie spese. Ha spiegato che avevo messo nelle fauci un geco morto. Credeva che sarei morto pure io…

Ha molte cose da imparare anche lei, ne sono la dimostrazione. Soprattutto se improvvisamente vado lodato per scovare gechi e lucertole. Viva l’evoluzione… Sono l’unica cosa che posso rinvenire in mezzo a questa città così detestabile! Tortore. Uccelli. Non se ne parla. Figuriamoci anatre e fagiani. 

Bambini

Una volta una signora con un oggetto basculante molto anonimo nero davanti con le ruote e un parasole si è fatta sotto. Mi sono fatto avanti e arrampicato su per la navicella aliena senza paura per prenderne il contenuto. Mi sono stupito. “No…” Dentro la stiva della navicella c’era un bambino. E la navicella in realtà era un passeggino.

Non sapevo come collegare i fatti. Sono rimasto confuso e sconcertato. Disorientato. Ho visto il bambino, ho pensato e mi sono messo a fissare sua madre. Dove l’aveva preso? Da dove veniva? Ne volevo uno così da sbaciucchiare. Ho lanciato uno sguardo supplicante alla mamma. Una sola cosa complicava la questione spinosa. La mia mente dubitava ed esplorava le mille possibili scorciatoie, ma niente: non capivo come mai la mamma fosse così glaciale e avesse un sorriso così tirato sulle labbra. Fu la prima ad andare via, ostentando un modo di fare completamente diverso dal solito. Sempre ebete, sì. Ma più piccata. “Andiamo, Archie.” Credo che le manchi la sua bambina.

Strisce pedonali

Quando ci troviamo in prossimità di un attraversamento pedonale, grande o piccolo che sia, – peggio se piccolo, – se la visibilità è minima e le auto parcheggiate coprono la visuale, la mamma si trasforma in un rambo. Ce la vedo quasi. Il vento che sembra cominciare a scompigliare impetuosamente i suoi capelli, le vesti, le pietre che si staccano dal suolo e volano nell’etere… Lei che afferra il guinzaglio saldamente con le due mani, come fosse un badile, teatrale come poche e con la sua voce sottile si impenna sulle punte dei piedi e con la voce improvvisamente tonante mi chiama come se mi trovassi al di là di un ponte di legno posto a picco su un burrone di cinquemila metri con sotto le stalagmiti e pure le stalattiti. Odo il richiamo, questa volta la voce è simile a quella di Tarzan: è lei che grida? Già, il mio nome. Ed io ho già trotterellato allegramente sulle strisce tranquillo con accanto lei. Sì, perché in fondo tra l’elemento più teso tra noi due davanti alle strisce è sempre lei. E si carica a manetta prima di affrontare quell’impresa pressoché impossibile: farmi attraversare in assoluta sicurezza, senza mezze misure.

Lei corre alla disperata. Allora io la trovo allegra e buffa e accelero il passo. Di corsa raggiungiamo finalmente l’altra sponda ed a lei è mancato poco che si fosse buttata per terra stremata. Perché? Tira sempre un sospiro di sollievo come se avesse appunto avuto una scossa elettrica lungo tutto il corpo che l’avesse liberata dal guaio peggiore! Perdere il suo cucciolotto “adorato”, che poi sarei io! Modestamente… Figurati se il semaforo per i pedoni fosse rosso e la strada affollata. Mamma ansiosa?

Trattenermi bene sul ciglio della strada all’inizio le sembrava impossibile. Allora un giorno l’ho guardata, mi è sembrata fiduciosa e per non farla sfigurare mi sono seduto. Da allora mi siedo sempre fino al via che mi dà lei, dicendo, fiera di sé: “Su…” E si stima così tanto quando passo a fare la mia piccola sfilata al trotto, soprattutto dentro il negozio di animali, dove sono il migliore cliente, che ne va fiera.

Come ho già accennato, lì il primo giorno che mamma è andata a prendere le scatolette per me mamma era imbronciata. Ha litigato con la commessa perché non le dava attenzioni. Perché l’aveva ignorata. Oggi grazie al sottoscritto è la più amata delle clienti e si è addolcita. La trattano bene. Compra moltissimo. E’ una spendacciona. Si sapeva già.

Rotonde cittadine

Oggi mi sono affacciato ad un muretto, come faccio spesso. Al di là di esso ho visto un’immensa radura rotonda di quella materia di cui fanno gli uomini il terreno. Cosa era quel mare di auto in arrivo in curva ? “Ehilà!” Ho cercato di attirare l’attenzione barcollando da destra a sinistra. “C’è qualcuno che mi vede?” Ma le auto continuavano a sfrecciare ininterrottamente in cerchio poi se ne andavano quasi ipnotizzate da una meta indifferente, come inferocite. La mamma ha capito così che adoro mettermi in mostra. Così mi sono fatto triste perché temo che potrebbe ritorcersi contro di me questo segreto e ho scelto di fare il buono.

Sane abitudini

Mi sembra di ricordare che proprio come è accaduto anche stamattina, ieri quando mamma mi metteva il guinzaglio e la pettorina mi sono abbassato alla stessa maniera odierna con il popò all’indietro sulle zampe anteriori. E che mi sono arrampicato sulla porta prima di uscire. Ricordo anche che al sentore del profumo di edera nei pressi della sbarra alla svolta interna ancora che il vialetto di casa fa verso via Bellaria io mi sono buttato prima nel fogliame, ho fatto sempre i miei bisogni lì e poi ecco, sì, ho grattato via della sporca terra per cercare di trovare lucertole e radici fresche da addentare. Ho accelerato nei pressi della curva della siepe sulla sinistra dopo il rettilineo sul marciapiede rapido come su un circuito di Formula 1 e ho giocato con il calzino spaiato rosso che qualche bambino aveva buttato lì, con il bicchiere di carta morsicato per benino precedentemente da me e la pigna di ieri. Tutte queste sono azioni che mi sono visto fare a ripetizione di giorno in giorno sempre allo stesso modo.

“Archie! Guarda che se mi diventi meno dolce come sei già poi le cagnoline ti scapperanno e tu un giorno potresti ritrovarti solo come questa che ha appena abbaiato a te!” E’ bastato che la mamma mi dicesse questo perché avrei rivolto un cenno ad una cagnolina non del tutto amichevole come al solito, per mandarmi in stress.

La stanchezza di una tenera mamma


Una “piccola luce in una vita di guai.” Adesso sono solo questo per la mamma. Non mi considera più perché sono diventato grande. Ne sono sicuro. Anzi, Archie-sicuro. Io certe cose me le sento. Non indago con il mio fiuto sopraffino solo il terreno ma anche tutto ciò che c’è, anche l’anima. Io so di essere molto di più. 

L’ho capito perché adesso si fa desiderare. Non le leggo nel pensiero, no. Ma l’ho dedotto dai suoi comportamenti nuovi. Pensa. Incredibile. E c’era una sorta di autocompiacimento in lei mentre stava lì, distante, immersa nei suoi pensieri senza considerarmi… cosa? Altolà! Cara mamma

Ma non dev’essere nemmeno vero che avesse intenzione di farsi i cavoli suoi semplicemente. Già. Conosco bene questa sensazione che temo da sempre. La mamma è stanca. Fisicamente stanca. Di portarmi a spasso e dedicarmi il tempo che ha. Dopo i primi mesi di accudimento intenso, adesso è il calo fisiologico delle sue energie che la sta trascinando con sé in un vortice di fatica. Non vorrei che si mettesse in qualche guaio a causa di questo stato d’animo più che normale per una mamma di cane.

Ma ho captato le parole della mamma da dietro a una porta mentre parlava con qualcuno. “Ci trattano tutti come degli imbecilli. Come se non sapessimo allevare bambini. A me dicevano delle infermiere alla CRA: ti insegno a fare la… Spesa. La spesa! capisci? Che c’è di difficile nel fare la spesa! Come se non fossi capace di entrare in un supermercato, quando ne ho anche visto svaligiare uno e sono rimasta calma. Ma calma o non calma, adesso no, non posso più rimanere a guardare mentre mi portano via mia figlia giorno dopo giorno. Sarò anche invalida, ma il cervello mi funziona ancora abbastanza bene per capire che non posso più aspettare. E’ arrivato il momento in cui debbo fare un passo indietro e lasciare alla sua vita Elisabetta. Per me è troppo doloroso tutto ciò. Ma la tracotanza di chi si arroga il diritto di decidere delle sorti delle famiglie altrui non saprei mai dimenticarla.” Così la mamma oggi ha chiuso la telefonata che stava intrattenendo: “Basta elemosinare briciole di affetto da gente a cui non importa niente di me.

La mamma aveva appena chiuso con la famiglia affidataria e con la sua bambina.

Verdure


Verso le 7.43 del mio quinto complimese, dopo la frenesia della passeggiata, tornati su in casa mi sono calmato. Ma prima di questo, poiché mi ero gasato con un pezzo di zucca caduto dalle mani di mamma mentre faceva il pranzo al papà, che ancora dormiva, lei ha potuto somministrarmi uno ad uno ogni singolo pezzo di verdura dal frigorifero. Volevo vedere che altro ci fosse di così stupido in quel frigorifero e con la zampa le facevo cenno di aprirne lo sportello. 

“Bisogna fargli apprezzare anche le verdurine.” Era la sua opinione.

Io le azzannavo selvaggiamente, ci giocavo a calcio sul marmo, mi prendevo gioco di loro. Niente da fare: a mamma piace che io apprezzi quelle schifezze che sembrano ridicole. Cercavo di mostrarle in tutti i modi quanto fossero spregevoli. Hanno un aspetto sconcio e buffo: colori di ogni tipo. Un pezzo di zucca sembrava pongo puro, figurarsi. Per non parlare del broccolo, con tutti quei puntini che mi fanno a malapena il solletico al tartufo. Insomma, alla fine della guerra delle verdure il pavimento sembrava proprio un campo di battaglia. Fagiolini morsicati, pezzetti di banana spiaccicati, pure! L’insalata brutalmente massacrata. Solo il sapore era buono. Mi è venuto il dubbio che fossero da mangiare. Ma ciò non è possibile.

Infatti chi mai potrebbe fabbricare dei pezzi così ridicoli? Andrebbero bene a malapena per un neonato. E poi io ormai ho tutti i dentini. Ho già alzato ieri l’altro per la prima volta la zampa per fare pipì come fanno i grandi. Sto crescendo.

Mentre giocavo con questo mangiare di tutti i colori mi sono accorto che il pavimento era sporco. Mamma non se ne sarebbe accorta oppure sì e non ha lavato prima di permettermi di mangiare le verdure. Anche solo il pensiero di permettermi di posare il mio tartufetto riconoscente a terra e leccare un pavimento ridotto così male a me farebbe vergognare. “Archie!” 

Urlo tarzanesco. “Nooooooo!”

Ho sobbalzato. L’ho guardata con aria calma e interrogativa, la piega delle labbra simile a un ghigno ironico, fighetto e ho assunto un’aria esperta annoiata e superiore. Vale a dire: “Allora!” 

“Non lo leccare!” Lei con la scusa che io andrei a caccia del mocio piatto sul pavimento e mi accanirei con i suoi tentacoli secondo me laverebbe meno il pavimento perché con me d’attorno non le riuscirebbe più bene come prima. Senza parlare del fatto che è decisamente lei a portare lo sporco in giro per casa. Io mi limito a camminare. E camminarci sopra. E giocarci. 

“Con tutto l’amore che ci dà ho potuto lasciare andare un po’ anche la casa e… meno male!” Discorsi da donna navigata e matura.

Che sia io a portare la terra in casa sul marmo chiaro che lei è così “stanca e affaticata” poverina e papà troppo buono per rimproverare lei non regge. 

“Rivoglio la mia casa pulita. Tira fuori quel mocio del cavolo e lava il pavimento. Sei giovane. Adesso non solo non mangerò più i tentacoli del mocio e del cavolo, ma perché tu capisca che è poco igienico così mangerò anche le verdure! Non il cavolo, comunque.” Ha letto questo mamma nel mio sguardo. 

Ha sospirato, si è asciugata la fronte e allontanata nello sgabuzzino. Con lo sguardo l’ho seguita sbalordito. Ha tirato un altro sospirone tanto che non la finiva più di avere il fiato corto per i pensieri troppo affollati o altro e ha lavato da cima a fondo la casa. Sbalorditivo…

Ero così scioccato e sbalordito che non ho potuto muovermi per tutto il tempo dalla mia posizione seduta da bravo cane. La mamma che lava il pavimento. Era da giorni che non accadeva. Mi sono avvicinato. C’era un broccolo. L’ho leccato per riconoscenza, le ho fatto un complimento sfiorandole il piede con il tartufo e sono andato via soddisfatto.

Il pavimento sporco non era degno di un cucciolo. Che vergogna… Mi aveva fatto mangiare anche delle briciole di biscotto sull’asfalto a ben pensarci. Stava cedendo l’impalcatura della brava mamma. Incredibile. Ci avevo quasi creduto io per primo. Qualcosa di grave era successo. Questa donna si stava rivelando per quella che era? Si stava rilassando come se fosse difficile farmi da madre. Era sempre esausta. Forse era la depressione post partum. In compenso da quel giorno il pavimento fu sempre specchiato. Peccato: con il pavimento sporco è finita anche la storia divertente delle verdure.


14.03.202

Il sorriso

Mia madre ieri ha trovato un mio canino perché lo stavo osservando sconvolto dopo che avevo tirato un morso all’angolo del divano: 

“E tu da dove verresti?” 

Avrei dovuto rimetterlo al suo posto, mi ha fatto incavolare. Soprattutto ero sgomento perché la mamma si è sciolta, ha cominciato a sbracciare come una fuori di melone, io non capivo come mai. La guardavo mentre diceva di tutto con la voce ovattata e setosa da bambina perché a lei doveva sembrare una cosa dolce. Continuava a ripetere sfacciatamente cose come: “Vuoi i soldini?” Mi accarezzava la testa e mi baciava chiamandomi biscottino. Ti voglio bene di qua e complimenti di là stai crescendo. 

“Sono fiera di te.” Non regge. Me lo dice troppo. Arrivato Alfredo la prima cosa che dice è questa: “Credo che ad Archie potrebbe piacere del gelato.” 

Avevo appena perso un pezzo! 

Scandaloso, questi genitori credono di conoscermi, sapere tutto di me! Incredibile quanto sia dura… Ho cercato di riprendere quanto sarebbe stato mio ma la mia mamma l’ha raccolto per prima. 

No. 

Mi sono detto: “È vergognoso. Ridatemi il mio pezzo mancante. Starò sicuramente male.” Il giorno dopo ho notato di averne di nuovi. Allora aveva funzionato… Mi son detto: “Qualcosa più di me sanno questi due. Ne ho perso uno e non mi ero accorto che in cambio da alcune giornate ne avevo in bocca un intero arsenale. Li perdonerò.” Mamma ha messo il dentino in un piccolo portagioie bijou bianco e blu con dettagli rosso decorato di porcellana pura. Credo sia feticista. C’è qualcosa di strano in chi conserva un dente da latte. Cosa mi tocca…

Insomma con i denti tutti rinati ho guardato mamma e ho morbidamente mosso la mandibola. Lei ha fatto un sorrisetto. “Bene, Archie. Ora potresti mangiare tutte le verdure che vuoi.” Arcano svelato.

Perché io potessi mangiare quei ridicoli pezzi del cavolo i denti ufficiali me li ha fatti crescere lei. In un certo senso… Non so come ma potrebbe essere un prodigio questo. Cosa si potrebbe fare in meno per accontentare una madre! Sono pur sempre questo cane che sto diventando e mi tocca fare il mio dovere…


Automobili

Scarpe e calzini odorosi di buono a parte, credo di avere una passione anche per i motori. Tanto per cominciare, l’auto nella quale spesso entro più spesso è quella di papà ed emana un odore familiare. Per questo motivo mi appassiona. Sì, lo dico senza un briciolo di vergogna: si tratta proprio della Panda rossa vecchio modello tutta scassata che appartiene e con cui circola per le strade la mia famiglia. Non è questione di avere gusti bacati, da parte mia. È una questione di necessità. Intendo dire che amarla è un fatto di convenienza. Opportunismo. Mi serve per raggiungere l’area cani in un lampo. E’ un matrimonio concordato, diciamo. 

Quando viaggiamo verso il veterinario rimango meravigliato. A bocca aperta. Su due ruote sembra che il mondo serpeggi tutto all’intorno. Papà fa delle strane manovre con un aggeggio circolare che stride come un gallinaccio. Il freno a mano scoppierà una volta o l’altra. Non posso farci niente. Solo osservare il mondo che gira ed essere felice. Quindi io amo la Panda. O almeno… Così devo dire. Solo una volta mi è venuto da vomitare. Credo che il disgusto fosse dovuto alla delusione più che alle fastidiose curve. I miei genitori sembravano divertiti. Musica. Lattine di Energy-drink accanto ai sedili. Degrado. L’auto si è fermata, noi siamo scesi, io barcollavo. Ci saremo persi, ho creduto. Panico per meno di un minuto… Poi quell’ebete di mia madre mi ha fatto scendere afferrando come un badile il guinzaglio per non farmi cadere. Ed era felice. Eravamo arrivati al mare.

Non vedo però perché usino ancora quello scassino mettendosi in pericolo e mettendo in pericolo anche me. Prenderanno una Tesla, no? Ma non hanno soldi. Tutto chiaro. Il loro cucciolo. Ma ci sono così tante auto! Inspiegabile. Non direi che preferisco muovermi sempre sulle mie quattro zampe. Solo che capisco di più le auto ferme. Anche loro sanno di buono, ma di un buono diverso dal familiare odore della Panda. Io annuso. Annuso in particolare il parabrezza. O sa di pipì e io ci faccio di nuovo la pipì sopra – salvo che la mamma mi imponga di non farlo,- oppure di insetto spiaccicato. A volte di gatto spiaccicato. Una volta ho odorato del cinghiale… spiaccicato. Ci giurerei. Spero che non sia reale. Che io sia un po’ fuso… Non me lo spiego eppure spero di non capire mai. Un cinghiale invisibile nascosto in un’auto può significare una sola cosa: l’auto appartiene al macellaio oppure è stata dal macellaio. E io non sopporto quel macellaio invadente. È o è stato l’amante di mamma. Prima o poi lo faccio a fette.

In farmacia

Quando siamo andati in farmacia non mi piaceva. Nessun odore. Asettica. Confezioni grandi, impossibili da afferrare. Ero contrario. Tutti i barattoli scivolavano via dalla mia bocca, nessuno escluso. Chi compra quella roba? Cosa c’è dentro? Fanno rumore. Mamma non mi aiutava a prenderle come invece fa di solito con gli ossicini di pollo e i miei ninnoli al negozio di animali. Fatta eccezione per me quando afferro per strada ciò che mi capita, mamma mi concede tutto, anche i biscotti. Sempre. Invece qui se ne stava rispettosa e muta come una lucertola, ma più tesa, tesa come un baccalà. 

Eppure anche se erano lì proprio sotto i miei occhi tutti quei barattoli pronti uno accanto all’altro ad essere presi e sbatacchiati, niente da fare. Mamma era imbarazzata perché ho abbaiato per protesta. Perché mi sono poi arrampicato sulle gambe di una cliente supplicandola con gli occhi. Mi guardavano. Cosa ho fatto di male? Ho abbaiato. Un avventore ha squadrato mia madre come se lei fosse stata un cattivo esempio da seguire per le altre mamme presenti. Mamma si è allontanata da tutti e siamo usciti dalla porta scorrevole. Ma dico io… Così, la farmacista ha detto che sarebbe arrivata a consegnare il pacchetto all’uscita, irritata. Non appena ha messo il naso fuori e in punta di dita le ha fatto cadere il pacchetto fra le mani: “Avevo paura pure io.” Mamma avrebbe voluto sotterrarsi. Presto anche la mia mamma si sarebbe accorta di quanto sarebbe stato tutto meno facile del previsto con me. I cani sono sempre imprevedibili.

Il giorno dopo la mamma della Lulù ha incontrato la farmacista: “Quello è un cucciolo buonissimo e dolcissimo…” 

Il lato della medaglietta che non mi piace è che ha detto la mamma che d’ora in poi potrò frequentare solo un locale al chiuso tra tutti quelli che abbiamo visitato e sarebbe nella fattispecie un bar piccolissimo dove a malapena è possibile voltarsi sui propri stessi tacchi. Io lo so come mai: ha scelto di permettermi di andare solo al bar perché beve troppi caffè e non può farne a meno. Dipendente dal caffè ed egoista!

Politica e divieti

In base a come la vedo io, il mondo è uno smisurato giardino dove è possibile fruire di tutto a piene mani. Ma i miei genitori dicono di no: “Archie, non è tuo. È del signore. Restituisci ciò che gli appartiene. Archie, no, non prendere la margherita. Quella se la strappi al suo terreno spampana. Archie, potresti allontanarti dall’aiuola, è del condominio accanto. E fa parte di una raccolta di proprietà della biblioteca quel libro. Dallo pure a me e non strapparne una sola pagina.”

Intanto mettiamo subito le cose in chiaro. Chi saresti tu per dire a me di consegnare qualunque oggetto nelle tue mani… Visto che anch’io sono in grado di restituire ciò che ho in pugno? E’ vero, lo ammetto. Non capita sempre. E’ una rara eccezione. Normalmente distruggo ciò di cui mi impossesso. Ma basterebbe essere gentili: almeno un melino, in cambio di così poco… 

E’ un peccato perché nella vecchia casa avevo un vero giardino di nostra esclusiva proprietà. Un  giardino sconfinato dell’estensione di novecento ettari. Già mi immagino le facce dei miei genitori quando lo dirò a qualcuno che conoscono. Ma la verità è molto scottante. La verità è che oggi di terre sconfinate ne ho… Quante ne desidero! 

Non vedo infatti quale limite potrebbe frapporsi fra me e il mondo se è vero che il mezzo con cui potrei viaggiare sono le mie zampe. Per quanto oggi possano essere piccole, un domani saranno presto capaci di percorrere spazi pressoché illimitati. E sono avido di sapere cosa ci sarà oltre il nostro quartiere. Io, Archie, sono un cane da caccia. Ho bisogno di muovermi. Prima o poi mi basterà girare l’angolo di una strada e sarà tutto mio

Ma è vero anche che una lista… quella lista – la lista nera con la sfilza dei divieti è un continuo aggiungersi di voci in eccesso: “Archie, anche quell’aiuola non si calpesta…” 

E dove sta scritto? 

“Lì.” La mamma indica regolarmente un oggetto basculante che svetta a forma di rettangolo con su dei segni. Un cartello. Ci faccio la pipì sopra. “Archie no.” Nemmeno la pipì! La guardo stupito. Non so davvero come comportarmi ormai ogni volta. Dovrei mettermi fermo e immobile in mezzo alla strada a fare il gioco dell’osservare-e-non-toccare. Ma questo gioco è noioso. Non esiste.

Punto numero uno, anche se non saprei bene dire da chi sia partita l’iniziativa, in circolazione è possibile trovare molte aree disconosciute. La mamma li chiama “i divieti.” Intanto, non mi spiego ancora come sia stato lecito che questo soggetto sia stato eletto quale detentore di verità etiche che, in fondo, andrebbero contro l’etica di altri, poi, e le avrebbe imposte però a tutti. Le città dovrebbero essere divise in due, è palese! Da un lato quelli che la pensano come chi ha fissato le regole, dall’altra quelli che fanno le cose a modo loro. Io andrei a sbatacchiare il bel cappello di questo personaggio misterioso, a dimostrazione di chi sarebbe il capo, dopo tutto questo tempo passato a sottostare a delle regole sostanzialmente inutili come quelle che continuo a mettere in atto pedissequamente a malincuore.

Ad esempio, non vedo bene chiaro nella questione se sia giusto invero vietare che la mia aiuola non si possa calpestare con le mie zampette appunto se è vero che esse scalpiterebbero già anche solo all’idea di poter posare i miei teneri polpastrelli sopra un bel tulipano fresco. Dove va a finire così il mio diritto civile al rispetto degli istinti che mi controllano? E’ la mia natura! 

Ma è anche vero che il cane godrebbe ad essere un po’ calpestato? No, non in senso letterale. Educato, diciamo. A volte lo ammetto, sì, è la pura verità. Questo si tratta di un fatto culturalmente accettato. Ma niente a che vedere con la realtà. In realtà nessuno potrebbe cancellare il fatto che il mio punto di vista anche questa volta si conferma essere in controtendenza, cioè in contraddizione rispetto a quello della maggior parte degli umani. Perché sono un essere pensante, contrariamente ai luoghi comuni a proposito di noi cani. E come tale, ho bisogno di essere rispettato anch’io! Temo che potrebbero essere in tanti a pensarla come me. Le aiuole dovrebbero essere liberamente fruite dai cani in presenza di un tulipano fresco, soprattutto se rosso. Serve urgentemente un contraddittorio! E figuriamoci… Che tanto c’è sempre qualcosa che cozza con il mio modo di pensare originale.

Masticativi per-denti

Mia madre mi dà da mangiare al cucchiaio come se fossi un bambino.
Il papà non lo sa. Quando lo scoprirà le dirà che sono solo un cane. E se c’è una cosa di cui sarei sicuro, sarebbe che per la prima volta troverebbe d’accordo anche la mamma. Lei non sa mai come lavare il mio cucchiaio. E dire che sarebbe solo un comune cucchiaio. Sì… Basterebbe metterlo sotto l’acqua corrente, con un po’ di sapone, proprio come si fa con tutti i cucchiai. No? Detto dagli umani si tratta davvero di una forma di vigliaccheria… Detto tra di noi, gli umani sono davvero animali poco puliti. Poco puri. Sì, dai. Un po’ sporchini. Pensa a tutta la spazzatura che racimolano e buttano in strada. Noi dobbiamo raccattarla. Per essere poi sgridati. Già, noi! Al posto loro. Quante volte avrete visto un cane mettere il naso nell’immondizia accanto al cassonetto? Ciò non ha senso. Così, quando la mamma mi bacia sulle labbra penso che sia un tantino eccessivo persino da parte sua. Quale confidenza, la trovo esagerata perché se si lavasse i denti con il Dentastix capirei… Ma sembrerebbe che non l’abbia mai provato, addirittura. Le fa senso. Se fossi costretto a riflettere su quanto potrebbe fare senso a me lo spazzolino da denti viscido che mette lei con del sapone nella bocca, ben tre volte al giorno, sarebbe meno refrattaria alla modalità di pulizia profonda con il Dentastix. Con tutto quel sapone in bocca la sensazione è che lì di base non ci sia niente di pulito proprio mai. 

Alimenti per cani

Era arrivato il giorno del mio quinto complimese. Ma nonostante la festività, in casa da alcune giornate era possibile avvertire nell’aria della tensione latente. La questione era semplice ma delicata. La mamma vorrebbe che mangiassi sempre coniglio fresco con il pedigree cucinato al forno senza le spezie. Papà il manzo del discount confezionato. Chi avrebbe vinto il duello, è presto detto. Come potreste immaginare, la mamma ha fatto la prima mossa e, non senza una certa allegria, ha esordito in questo modo: “Vado al negozio di animali…” 

Ma papà subito l’ha interrotta bruscamente con una domanda a bruciapelo: “Cosa compri?” Domanda shock. 

La mamma, che mi era sembrata sul pezzo, invece ha subito sbarrato gli occhi, non respirava più. E pensare che era già di spalle accanto alla porta… Si è voltata lentamente per ritardare il più possibile l’annoso momento della risposta sincera. Piangeva a dirotto. Voleva essere sincera. Per somministrare il coniglio a me aveva mentito già troppe volte. I conti non sarebbero tornati comunque: in un caso o nell’altro aveva perso. Non avrebbe potuto evitarlo. Un urlo le è uscito dal petto tragicamente: “Coniglio!”

Stava tentando di consolarsi grazie al pensiero positivo che aveva imparato facendo tutorial low-budget con internet e si diceva “La mia sincerità nel giorno del complimese di Archie è il mio vero regalo per lui” ma in quell’istante, proprio mentre era più rilassata, è arrivato alle sue spalle papà ed ha aggiunto vittoriosamente: “Gli ho comprato il manzo e il pollo. 60 centesimi al supermercato. Tu quanto le pagherai, le tue confezioni di carne?” 

Lei poverina si è andata a chiudere in castigo in camera da letto, rifletteva sulle sue spese folli. Alla fine mi ha somministrato il manzo. E – sorpresa – mi è piaciuto. Aveva speso montagne di soldi per nutrirmi. Mentre a me il manzo è piaciuto. Questa è stata la pena più oltraggiosa per lei. Detto tra noi, purché il macellaio ne stia fuori per sempre… sarei disposto a tutto.

Gender fluid

Eravamo in giro un pomeriggio sul tardi e rientravamo a casa, quando una postina ha fatto diventare una iena la mamma: “Gender già a cinque mesi…”

Cosa vuol dire? Le ho chiesto con la solita curiosità nello sguardo.

E’ stato in quel momento che la mamma è trasecolata. E pare che il motivo dell’insinuazione in quanto alla mia sessualità, questa fosse dovuta al fatto che non avrei il guinzaglio blu bensì rosa. Poi si è informata fingendo interesse. Poi le ha mangiato la faccia. Io scodinzolavo allegramente.

La mamma non faceva che gridare cose come: “Che malizie sarebbero queste, davanti a un cucciolo di cinque mesi!”

“Ma questo è insensato. Il cane non può capire.” Ribatteva la povera vittima della mamma.

“Il mio cane capisce tutto!” Ripeteva in un loop come inferocita la mamma. 

La postina, da parte sua, a quel punto cercava di schermarsi alla meno peggio ma la mamma non la lasciava parlare. Alla fine con un gesto brusco della mano e la prima scusa che le è venuta in mente esterrefatta ha abbandonato la posta da consegnare sul marciapiede e si è messa a correre al di là di un angolo di muro, piena di spavento. La mia mamma l’aveva incenerita, povera… postina. No. Non con lo sguardo. Davvero. Le ha incenerito la posta, direste voi. Ma la verità è che l’ho vista imbronciata così tanto che sembrava miope; mancava tanto così davvero che le prendesse fuoco anche la testa. In senso stretto. Volevo scappare. Deve essere stata una mia impressione che qualcosa prendesse fuoco. Non so cosa stesse bruciando. Le lettere non erano. Di questo sono sicuro. Sì, lo ammetto, si trattava solo della mia immaginazione. Ma mettendo da parte ogni dubbio, fatto sta che sono abbastanza certo di poter affermare che la mamma è una che potrebbe mettere a ferro e fuoco la città pur di far secche le postine che fanno insinuazioni invadenti. Dal canto mio, mi sono goduto la scena divertente e sono tornato a casa soddisfatto. Sì, ma dopotutto che c’entrerò io in tutto questa diatriba sul gender… Il gender animale!

“Archie…” Voce sottile, setosa e ovattata, era la mamma che dopo aver incenerito la postina mi chiamava, chiedendomi di avviarci verso casa: “Non temere che sei il cane più cane del mondo. Un cane al quadrato!” 

Ma io ero confuso. Ho deciso: sarò fedele alla mia natura, qualunque essa sia. Non posso fare a meno di essere fedele e obbediente, al di là di ogni preferenza sessuale. Ho deciso. Sono un cane. Un cane fedele e obbediente. E sono fortunato ad essere semplicemente un cane!

Quinto complimese

La dissenteria da carenze di carne di coniglio non bastava. La depressione post partum colpisce ancora. Qualcosa mi suggerisce che la mamma voleva un cane di taglia grande. Invece peso solo la bellezza di ventitré chilogrammi. Si è palesato il dato essenziale che le aspettative troppo grandi addosso ad un cane così giovane quanto me potrebbero danneggiare il suo piccolo animo. L’impalcatura della brava madre scricchiola di nuovo e papà ha giustamente risposto su questo punto: “Anche se non arriverà a diventare il cane di taglia grande di venticinque o ventotto chilogrammi che ci aveva preventivato la veterinaria, lui sarà sempre il cane unico che è.” Ho applaudito.

Bravo. Ben detto.

Fatto sta che sono figlio unico. Beh, sì, fatta eccezione per la bambina assente. Ma in pratica è come se lo fossi. Come la mettiamo? Semmai mi venisse pure l’ansia da prestazione sarebbe tragico su tutti i fronti. Ed io sono nato per essere fedele! Non posso… ribellarmi in caso capissi che vengo educato secondo dei principi sbagliati, fuorvianti. Capisci? E’ diventata una sofferenza. Ora spiegherò. 

La mamma sostiene che non vedrebbe l’ora che io diventi grande. Però si corregge sempre: “Grande in senso… Anagrafico. Mi preme la sua salute e felicità. Non la stazza.” 

Si tratterà anche di una sottigliezza, ma già questa parola… “Stazza” dice tanto di lei. Insomma non sarei mica una mucca. Affermare che non sarebbe importante la mia “stazza” mentre si fanno affermazioni quali “Guarda com’è cresciuto, guarda che grandi zampe, diventerà un cane enorme più avanti!” Tutte le sere così è penoso. Mi fa pensare che non vada bene alla mia mamma così come sono.

 Ora poi starò a tempo pieno con la mamma a casa sotto sua completa responsabilità. Papà mi ha spiegato che avrebbe trovato lavoro. Che significa che deve uscire di casa ogni giorno per ore interminabili come una madre vera non farebbe mai, senza ombra di dubbio. Una madre vera non permetterebbe che il suo bebè rimanesse in sua attesa ad annoiarsi a casa in assenza di divertimenti. Giocherò solo al pomeriggio e sarò condannato ad essere disciplinato tutta la mattina accanto a papà? Non ne usciremo vivi! Per fortuna al suo ritorno mi subisserà di coccole. Ma ciò non basterà. 

La osserverò per un minuto intero con la forza dello sguardo dolce e triste che ogni cucciolo ha mentre sulla soglia uscirà di casa con i sensi di colpa. Lei piangerà a dirotto e la farò pentire se non mi saluterà come si conviene. Eravamo inseparabili… Dopo che avrà chiuso la porta andrò quasi di sicuro pronto a giocare come se non fosse nulla. Ma ciò non è importante – dopotutto sembrerà anche strano ma non amo esageratamente i drammi familiari. Sarebbe così immaturo piangere in sua assenza. Ho già cinque mesi. Ma ciò che mi infastidisce è che la penserò. E sono sicuro che si toglierà a sua volta quell’espressione devastata dal viso subito oltre il portone. Si asciugherà sicuramente quella lacrimuccia finta che le esce dall’occhio a comando ogni volta che vuole e per ore si dimenticherà di noi. Ho intenzione di guaire così tanto non appena sarà uscita di casa che i muri potrebbero tremare per tutto il nostro condominio.

La spazzola

Recentemente la mamma mi ha regalato una spazzola per il pelo. Sicuramente l’avrà fatto per farsi perdonare il fatto che ha trovato un lavoro mentre il suo posto dovrebbe essere a casa con me, in congedo di maternità. Come lo scolaro che firma il libretto delle giustificazioni, solo che lei è assente da casa e io sono il suo maestro. E… Alla faccia della spazzola! Dovrà trattarsi della depressione se la mamma non si è accorta dentro al negozio di animali: la spazzola punge! Ha dei cavolo di pistilli di ferro al posto delle setole presenti su tutte le spazzole dei miei amici cani. E quando mi stavo stimando del regalo all’area cani, presenti tutti, il mio sederino si è sentito pungere così ho pianto. 

Al negozio di animali anche la commessa S. deve aver capito che è così innamorata di me tanto da voler fare la collezione dei doni da fare al suo caro cagnetto. Soprattutto quelli inutili. O inutilizzabili, che dir si voglia. 

Appena consegnato il dono a me, mi ha invitato a provarla: “E’ una spazzola speciale!”

E io ho letto una scritta presente sulla confezione: spazzola antipulci. In pratica, pur di vendere qualunque cosa le rifilano tutti i gingilli più cretini! E lei si fa prendere in giro? Sì! Io non accetterò più biscotti da quelle due commesse. Diciamo la verità… Mia madre avrebbe fatto molto meglio a rimanere scorbutica con la S. e litigare sempre per la spesa di due scatolette. È povera! Quella spazzola fa schizzare i peli da tutte le parti! Me li toglie con degli spuncioni spaventosi… Ma dove l’avrà presa! “E’ per i nodi…” Ha detto la mamma. So che mente. Io ho il pelo raso. Potrebbe volermi morto, ora che ci penso. In fondo, in casa non ha più nemmeno una soletta delle scarpe che sia rimasta integra.

Ma se io ho il pelo raso! È un disastro orribile a vedersi, la mia anima di cane svolazzerà nell’aria insieme ai peli se mamma non la finirà di togliermeli con quell’aggeggio infernale, con la scusa dell’estate che avanza. Chissene importa del caldo! Assenze ingiustificate a scuola di cani, peli svolazzanti… La mia prima estate sarebbe già deludente prima ancora di essere cominciata. E siamo solo a marzo. 

Vorrebbero pure farmi nuotare. Al mare, già. Quando loro andranno alla solita meta familiare. Cattolica. Sì, già. Proprio così. Loro partiranno. Mentre io me ne starò in panciolle sul pavimento fresco lungo disteso privo di pelo. Ormai reduce da una battaglia con quell’arnese maledetto i miei peli avranno fatto ciao con la manina. E parlano sempre con gli occhi lucidi di emozione. Che cosa avrà tanto di speciale questo mare? 

Il trasloco

Non so dove andremo a finire. Ho una brutta sensazione. I miei genitori mi tranquillizzano e parlano di campi aperti dove passeggiare al sicuro e altre quisquilie come strade meno affollate, auto ridotte al minimo, salite e discese. Aria buona. E dove sarebbe il divertimento allora, se non ci saranno ostacoli da dribblare come cestini insistentemente presenti e puzzolenti, scooter parcheggiati male, claxon e ambulanze in azione che sfrecciano ovunque intorno a me? La caccia al tesoro dei vuoti a rendere finiti negli anfratti più remoti da scoprire non avrebbe conosciuto mai la fine. Ma così… Bologna è la mia città! La città dove sono nato. Io sono un bolognese. La Daisy, la Lulù, Bacco, Argo e tutti gli altri cani li potrò più rivedere?

Normale disperazione

Una volta che la mia mamma si è assentata da scuola l’ho pescata a viaggiarsela e marinare nella tromba delle scale che mi evitava e mi sono chiesto come mai. Sembrava stanca e depressa. Aveva il capo chino e si reggeva il mento con le mani. E mi sono incuriosito e preoccupato. L’ho trovato strano. 

Avevo già fatto tutti i compiti. Come estrarre tutti quei calzini dai cassetti, ribaltare la cuccia uno e la cuccia due, dare la caccia alle verdure, sporcare il pavimento, scavare il vano nel divano, mangiare lo stucco dal muro, rovinare il mobiletto, raccogliere ciò che è caduto in terra come chiodi e mangiarli sta diventando quasi noioso. Mancava solo che rientrasse lei! Invece aveva deciso di fare tardi quel giorno e niente sembrava potesse farle cambiare idea. Se ne stava seduta lì e mi è sembrato addirittura che piangesse. L’ho sentita singhiozzare. Era preoccupata che io non ci fossi? 

Solo la casa era devastata. Io stavo ancora bene. Volevo salvarla dalla sua monotonia, sembrava proprio disperata seduta nella tromba delle scale così al freddo. Non entrava, biascicava come innervosita cose insensate tra sé e sé: “La casa è un disastro…” 

Ho cominciato ad abbaiare. Era disperata. Quando papà è tornato, l’ha trovata lì da sola e ha detto: “Che ci fai qui, perché non entri?” 

Ho paura che mi assalga Archie.” Che risposta è? Paura di un cucciolo?

E papà l’ha ripresa subito con aria di rimprovero: “Hai paura di un cucciolo.” 

“Mi toglie i calzini.” E’ stata la sua risposta laconica.

Papà era esterrefatto e scandalizzato. Ha ragione. Un cucciolo ha sempre ragione. Adesso vado a devastare i bidoni neri che sono in balcone. Puzzano e li voglio aprire per vedere che cavolo ci sarà dentro che emana cattivo odore. Perché mamma non se ne libera buttandoli da basso come fa papà con il caffè? I bidoni in balcone. Nel mio balcone. Quello dove amo sollazzarmi al sole. Proprio lei che si vanta tanto di essere ordinata, invece è una zotica.

Mattina

Così tutte le mattine. Papà vuole dormire, noi la sveglia presto. Ma non c’è verso di poter conciliare le due attitudini. 

Allora mi sono guardato allo specchio nel riflesso di un portone e chi ho visto? Un bambino. 

Devo essere pazzo. Sono pazzo pure io! Sono i geni di mamma. Povero me, credo di avere le allucinazioni. Potrei aver preso troppi fermenti lattici. Sono fuori controllo. Mi sembrava di camminare su quattro zampe. Sono confuso. Dovrei averne due. Me ne sento quattro mentre cammino, due davanti e due dietro. E nello specchio? Quattro… Quattro zampe! Ma io so contare? Fa impressione. Chi sono, un cane o un bambino? 

A quel punto mi sono svegliato e ho capito che questo era stato solo un sogno. L’immagine di me bambino riflessa nello specchio era svanita. C’ero solo io nella mia cuccia con le coperte calde di pile. Ma ero agitato. Dove sarebbe stata la mamma? E dove sono i miei calzini? Ho pensato. 

Stavo gironzolando per casa alla ricerca dei calzini, quando mi sono ricordato che ogni volta che al mattino come prima cosa guardo fuori dalla finestra dando le spalle a lei, sembra incredibile ma la mamma è così discreta che farebbe invidia a un sarto. Infatti è così silenziosa che nel mentre che sono voltato e nemmeno me ne accorgo sa misurare a me la statura. Lo fa così velocemente che nel mentre che io mi arrampico alla finestra lei avrebbe già estratto il metro di tasca, l’avrebbe svolteggiato, afferrato ai due lati, allungato, me ne avrebbe posato la linguetta sulla testa e si sarebbe chinata. 

E avrebbe sentenziato: “Fino al battiscopa 20 cm fino alla base del termosifone 26 fino alla mensola del copritermosifone 46 base stipite finestra 51, parte finestra 1 fanno 55 prima parte esposta all’esterno 60 cm e testa Archie… Un metro! Archie sporge tutta la testa fuori dalla finestra! È cresciuto ancora…” Ma io ero già fuggito in un’altra parte della casa. Stavo finalmente ammirando tutto l’albero magnifico con le radici piantate a terra nella sua bellezza.   

Poi mi sono ricordato dove erano finiti i calzini. Mi ricordavo di averli già piantati uno ad uno fino in fondo al vano nel divano scavato da me. Mamma li stava cercando invano nel proprio cassetto. Sono andato al vano nel divano scavato da me per sedermi sopra di esso e nascondere i fatti. Ho fatto finta di niente. Ma la mamma lo sapeva già. E’ stata lei ad agire con prontezza questa volta: ha aperto la finestra. Erano le cinque e venti del mattino. Mi ha chiamato: “Archie?” 

La finestra aperta era quella che dava su via Emilia, quella da cui è possibile osservare il lato del benzinaio. Seguendo un istinto irrefrenabile viziato oltretutto dall’abitudine, sono subito scattato in piedi dapprima. Poi ho trotterellato tranquillamente verso la finestra e mi sono sporto a osservare tutta la pioggia battente che c’era a fare la pozzanghera sulla tettoia e mi sono esaltato. Vento, tuoni, fulmini… Mi sono sentito carico a manetta per la passeggiata. Più di un vero leone. Ma è stato proprio in quel preciso momento che, mentre io ero voltato a osservare il lago di pioggia in fondo al vialetto dove saremmo andati a passeggiare, la mamma ha esclamato: “Ecco i calzini!”

Si trovava proprio accanto al divano e sventolava uno dei miei preferiti. Io ho storto il naso:

Davvero brava. 

Le zampe cariche di fretta hanno battuto una ad una sul pavimento e di riflesso sono arrivate, una ad una, con il loro ticchettio, dritte alle sensibili orecchie del papà, che dorme sempre di un sonno leggerissimo. Papà si è rivoltato nel letto mentre ancora stava dormendo. Emerso dalla camera da letto un grido altissimo si è levato quale sveglia mattutina assai precoce: “Elena!” 

Mamma si è contorta su se stessa e coperta la faccia dalla vergogna, si è mangiata le mani e siamo usciti mogi a passeggio sotto la pioggia dopo una bella lavata. Sì, di testa. Non era la pioggia.

Bocce

Oggi io e la mamma abbiamo fatto colazione e giocato a bocce. Peccato che le bocce fossero la colazione. Non so come sia potuto capitare. Ma fare colazione è stato proprio giocare a bocce. Bocce che sapevano di crocchette. Forse le bocce sanno tutte di crocchette? Dovrei provare in bocciofila dove le bocce sono gonfie e pesanti. Sembrerebbe un ben di Dio. Dal cucinino mamma me le lanciava sorridente e felice. Io da più lontano facevo dei balzi per eccitarla. Lei rideva, scuoteva il capo. Me ne mandava altre. Una a una io le mangiavo, non senza averci giocato un po’ con il muso e le zampe ed essermi rotolato sopra di esse. Il grasso coppino di cui i miei genitori vanno così fieri ogni tanto mi prude. E mamma ha esclamato fiera di me: “È l’unico che mangia così. Archie non è un cane normale!” 

Pranzo al cucchiaio, gioco delle bocce. Qualcosa mi dice che no, la normalità non è di casa quaggiù.. “Ma Ahrchie…” Mamma ha pronunciato il mio nome con un fiero ruggito a inizio aspirazione. Come se stesse arrotando la “r” sopra un affilatoio. Il mio nome è Ahrchie. Ufficiale.

Lumache

Ho conosciuto il muso delle lumache. Alcune con, altre senza guscio. Sono carine. Dolci. Molto dolci. In pratica me ne sono quasi mangiata una, ma per impedirmelo mamma l’ha pestata. Credeva fosse velenosa. Era una scusa per provare la sensazione e il brivido di un croccante guscio che si spappola sotto il duro della scarpa. Lo so. In pratica ha fatto quello che avrei fatto io. Mamma non potrebbe mai ammettere che è liberatorio. Perché come ho detto la mamma potrebbe essere un po’ fetish, proprio come tutti gli umani che tengono i denti dei cani. 

È capitato ieri notte. Sono confuso. Del resto, sono come una lumaca anch’io un animale. Mi ha fatto sentire un po’ in preda al panico. Poi in più mi ha tirato via. A me manca solo il dono della parola ma parlo con gli occhi e capisco. Così le ho spiegato: “Mamma tanto è già morta… L’hai uccisa tu.” Omicidio colposo. 

“Niente di buono da mettere in bocca, Archeolito… Solo una lumaca. Vieni pure!” Setosa e ovattata. Con un certo imbarazzo allora ha messo la mano sinistra nella tasca dei pantaloni militari che porta da settimane e me lo ha mostrato lentamente con il sorrisetto invitante: il markie. Un biscotto. “Che cane obbediente…” 

Per un attimo mi sono trovato indeciso tra la lumaca e il markie. La scelta era durissima. Chi mi avrebbe sbucciato la lumaca? Ho guardato supplichevole mamma. Mi era sembrata dolce. “No.” Ha detto. E così, mangiato il markie, siamo tornati a casa. 

Non pensavo che la mamma fosse fatta così. È esagerata. Come farebbe una lumaca ad essere velenosa? Che delusione… Povera lumachina! Buffa cosa. Un animale tanto sfortunato tanto da far pena a un cane da caccia. R.I.P. 

Condominio

Avevo conficcato ben benino una scopa con più di metà del manico sotto il mobiletto appoggiato al lato breve del balcone, tanto che non si muoveva più. Non combatteva ormai. Quel pennacchio… Ora sì che mi sentivo esaudito. Mia madre è arrivata ed ha cominciato a smuovere tutto l’apparato che avevo creato per non permettere più all’uccellaccio a forma di scopa di muoversi. In pratica, ha afferrato per il manico quel manigoldo e cominciato a smuovere. “Ma sei impazzita?” 

Per qualche motivo voleva estrarre la scopa. Mi sono ribellato con gesto ed espressione stizziti. Ad un certo punto si è sentito un ciocco. Era notte. Stava cadendo qualcosa che si sarebbe abbattuto step by step prima sul terrazzo più sotto, poi su quello ancora oltre. La mamma ha imprecato. 

Che volo! 

Io stupefatto sono rimasto ad osservare il magnifico pezzo di legno pesante impattare contro il suolo e frantumarsi e sgretolarsi in mille piccole asticelle di legno. Queste sono schizzate mirabilmente da tutte le parti dopo la caduta di tre piani e finalmente si sono fermate. I miei occhi erano incantati davanti ad un prodigio simile. Non avevo mai visto niente del genere. Pennuti a parte, non avevo mai visto volare niente di così pesante. Invece, stranamente la mamma è rientrata più frettolosamente possibile all’interno della nostra abitazione e ora mi guardava come nascosta dietro la tenda di macramé e trina color crema della sala da pranzo. Sembrava preoccupata. Ci siamo guardati. Io mi sono domandato che cosa ci fosse di male nel fatto appena accaduto. Sembrava tutto normale. 

Mamma, ti sei spaventata? 

“Non bastavano le grida nottetempo.” La mamma si era messa al telefono. Odiavo quell’aggeggio che era in grado di far sì che la mamma si dimenticasse di me, per interi minuti. Chiuso in balcone la udivo parlare. “Adesso volano giù anche le assi dal balcone. Alla riunione di condominio ci mangeranno vivi…” 

“Siamo spacciati…” Ho pensato. Non so perché ma l’ho pensato. La mamma era troppo preoccupata.

Così, con la riunione del condominio alle porte, la mamma si preparava al peggio quando un incontro per così dire casuale l’ha spiazzata. 

“A quattro mesi lo sfintere nemmeno lo controllava!” Solo alcuni giorni dopo l’espisodio della scopa volante era stata la mamma a dire questo fermamente con me al seguito alla caposcala, la strega della situazione. Una stoccata energica all’altezza del cancello di casa ed ecco, la donna era tornata al suo posto – e se avevo fatto la pipì nelle cosiddette aree comuni non poteva essere considerata una colpa a soli quattro mesi di vita! Era da mettere in conto quando c’era un cucciolotto appena adottato. Era dovuta un po’ di tolleranza dove erano accettati animali. Nel nostro condominio ci sarebbe stato anche un altro cane già da prima del mio arrivo. Ma se regnava tutta questa diffidenza, il motivo era che la mamma e papà litigavano troppo da sempre.

Anche la figlia della coppia che abitava al secondo piano sembrava spaventata da noi. Lei e sua mamma sorridevano ma si capiva che erano a disagio. Quando passavo io si facevano indietro e appiattivano contro il muro lasciando passare noi. Io osservavo la scena stupefatto e volevo rassicurare quella piccola che andava tutto bene. Mi fermavo. Devo farlo! Sono un buon cane. Mi avvicinavo e la signora cominciava a respirare più forte. Potevo sentire il fiato della bambina a poche decine di centimetri da me. Mi agitavo. La bambina piagnucolava. Era a disagio. Sua madre le sussurrava mogia di nascosto: “Sta calma…” Io le leccavo le mani per consolarla. Piangeva, accidenti! Così arrivava il padre e facendo finta di niente trascinava via a forza le due parenti paralizzate da un terrore senza pari. Se mi avvicinavo a questa ragazzina per un leccottino affettuoso, lei si ritraeva subito e mi scansava via. Ma se sono solo un cucciolo… 

Dovevamo sorbirci anche tutte le critiche tra un pianerottolo e l’altro oltre gli spioncini. Il mio arrivo era ancora molto recente e, sfortunatamente, anche quello dei miei genitori in questo condominio. Erano tutti molto diffidenti gli uni verso gli altri. Era una specie di spaghetti-western ogni giorno qua da noi. Tutti a mormorare oltre gli spioncini: “Come faranno a non spaventare quel povero cagnolino con tutte quelle urla nottetempo?” In seguito sono diventato quello che abbaierebbe, ma ne vorrei parlare poi. 

Se ormai mi ero abituato alle grida, regnava la paura nel nostro condominio? La paura era il leit motiv in questo grigio condominio dell’orrore? Che vuoi che sia! Io ero abituato a veder volare piatti e vasi cinesi ed elettrodomestici per casa quando i miei genitori litigavano ormai. Ma i condomini dai loro appartamenti dislocati per lo stabile udivano provenire dei rumori che chiamavano molesti nelle ore del silenzio.

Cambiamenti caratteriali

Credo di essere diventato adulto. Rispetto a qualche tempo fa oggi ho più preferenze, in materia di compagni di gioco. Ho deciso: quando avrò dieci mesi me la prenderò con quasi tutti i cani maschi interi. Allorquando non sarò più nemmeno un cucciolo, potrò permettermelo. Il primo ad essere colpito sarà il Boxer che vedo sempre sul marciapiede opposto. E non chiamatemi più abbaione. Oppure, abbaierò più forte.

Crescendo mi sono accorto che i cani maschi non mi stanno più tanto simpatici. Soprattutto quelli interi come me. Oggi all’area cani mi ha quasi morso un cane e gli ho mostrato pure il mio bel sorriso. Che sarebbe stato proprio un volpino, c’era da aspettarselo. Me la sono cavata ma qualcuno ha dovuto separarci… Così ha fatto l’eroina della situazione la mamma che era sembrata allarmarsi. Il papà giocava a tennis con il telefonino.

La pettorina stretta

Si fa sempre ogni giorno alla stessa maniera, come da manuale. Anche oggi stavo per arrampicarmi sulla porta di casa, dove tocco già la maniglia abbondantemente con le zampe anteriori. Era mattina presto e stavamo uscendo. Un’imprecazione improvvisa alle mie spalle e mi sono voltato. La mamma aveva le mani tra i capelli: “La pettorina!” 

La stavo guardando in modo offensivo e svilente. Volevo uscire immediatamente, andiamo! 

Lei non guardava nemmeno la faccia seccata di rimprovero che le stavo riservando ed ha continuato imperterrita, stava fissando qualcosa sulla mia schiena, all’altezza delle scapole. Mi è venuto un sospetto orribile. Poteva essere solo una cosa. Una zecca! Cerco di raggiungere con il muso quel punto imprecisato longitudinalmente alla spina dorsale che lei continuava a fissare come ipnotizzata e rapita, lontana, pensierosa. 

Mi sono accorto dalla sua espressione che stava ricordando qualcosa. Quando ho smesso di leccarmi ossessivamente ha detto: “Quanto è grande!” 

Allora papà è accorso spaventato. Mancava all’appello giusto lui, che con il vocione che ha, ha esclamato con notevole spavento: “Che succede! Una zecca?” 

Ho sobbalzato dallo spavento. Ma la mamma ha risposto: “Dovrebbe arrivargli a metà schiena. Gliene copre a malapena un quarto!” 

E papà: “Come sarebbe, vorresti dire che la dimensione della zecca è piccola?”

Incredibile come gli umani siano dei veri imbecilli. E pure impressionabili. Io avevo già capito, mentre papà faticava a comprendere. In più, ormai disinteressato all’argomento, io ne ho fatto a quel punto un fatto di vita o di morte: c’erano piccioni là fuori che aspettavano solo me… Sporchi piccioni, da scacciare! Ma mamma solennemente aveva appena emesso la sua sentenza: 

Non può uscire con la pettorina stretta. Non è sicuro per lui.” 

Come sarebbe a dire? Era letteralmente inaccettabile… Ma se è colpa tua se per due mesi non ti sei accorta che la pettorina era stretta! Tralasciando il fatto che avrei finto di non accorgermene per continuare ininterrottamente le passeggiate, Che cosa avevi in mente quel giorno che mi hai trovato l’arrossamento sotto l’ascella e hai chiamato la veterinaria? E perché dovrei rimetterci io? Quei piccioni si convinceranno di essersi liberati di me! 

Quando la mia protesta silenziosa ma intensa è finita, alla fine mamma mi ha portato a spasso, ma con le dovute precauzioni. Ha apposto un doppio moschettone al gancio della pettorina. Fai-da-te, va bene. Ma pur sempre un doppio moschettone. Che vuoi… Le dava la sensazione che sarebbe stata una passeggiata più sicura con il moschettone tratto dal borsello di papà, che era lì da una vita tutto arrugginito. Pazienza. Non sarebbe servito a niente, ma la mia pettorina non mi aveva mai tradito prima, d’altronde, anche se ormai fuori misura. 

Però mi sono accorto camminando per la prima volta che i miei movimenti erano impediti. Se avesse tenuto chiusa la bocca la mamma avrei potuto continuare a vivere nella mia illusione. Invece ora che sapevo quanto mi stava stretta di misura la pettorina di sempre mi sembrava tutto più difficile, anche camminare. Mi sentivo ridicolo pure. Con il fiato corto. Avevo il passo zoppicante. Mi serviva un bastone. Non vedevo l’ora di tornare a casa subito dopo questa cavolo di passeggiata…. Avevo bisogno di nascondermi per la vergogna.

L’arrivo dell’estate (e dei peli)

Ieri mentre faceva il bucato ed estraeva gli indumenti dal cestone la mamma ha fatto cadere la felpa nera preferita di papà a terra. Così io per salvare la situazione allegro come sono di solito mi sono lanciato con tanto di galoppo sul pavimento partendo dall’altro lato della casa e l’ho afferrata. Sorpresa! 

E la mamma ha esclamato: “Archie, ridammela! È di tuo padre.” 

Dopo averla trascinata per alcuni metri nella direzione desiderata l’ho mollata a terra, ho starnutito e girato l’angolo. Poi mi sono seduto e guardavo mamma che osservava la felpa con un certo grado di sbalordimento e disappunto: “Oh, no. Al. Osserva che guaio…” Papà ha alzato gli occhi dal divano dov’era seduto, pensando che la felpa avesse toccato dove ancora facevo la pipì sulla traversina. Invece non era la pipì il problema. E lì papà ha capito. “Peli. Non è così?” Ha chiesto. Poi è tornato al suo telefonino da maneggiare. 

Mamma ha armeggiato un po’ con la felpa tra le mani esaminando bene la situazione ed ha aggiunto con mestizia subito dopo: “Quanti peli… Non ne avevo mai visti così tanti!” 

“Non sono tanti.” Ha ribattuto papà in disaccordo, alzando gli occhi dallo schermo illuminato. 

E la mamma, in tutta risposta, rispose bruscamente: “Ma tu ne avresti bisogno oggi per andare a giocare alla partita di basket!” 

Papà ha minimizzato allora: “Che vuoi che sia… Potresti pur sempre sbatterla in lavatrice!” 

Mamma è trasalita: “Cosa!” Ha preso fiato, poi ha commentato imprimendo tutta la forza che aveva in corpo: “Non è così semplice, anzi… Si tratta proprio di un problema enorme! Si va verso l’estate. La casa è già in condizioni pietose a causa delle verdure. Non basterebbe un intero rotolo di carta adesiva qui! Terra, peli.” Poi ha fatto una pausa, ha preso fiato e ha deciso: “La tua felpa è da igienizzare.” 

Presa la decisione ha afferrato subito un contenitore blu-shocking dallo scaffale sopra la lavatrice ed ha iniettato una sostanza trasparente e viscosa al felpone. Papà continuava a scrollare il telefonino con un notevole grado di indifferenza. Pensava che la sua felpa dopotutto sarebbe andata bene anche più pelosa. Un fatto di moda e di gusti personali. 

Quella tragedia non avrebbe dovuto avere quartiere invece la mamma continuava a sproloquiare. “Già abbiamo dovuto rinunciare al mio tappeto rosé di misura per la zona scrivania del salone a causa delle deiezioni. Come faremo!” 

Papà ha alzato il capo: “Non mi vorresti dire veramente che saremmo rovinati per via di una manciata di peli…” Lei ha buttato tutta la felpa nel contenitore bianco e fatto il solito lavaggio a mano. 

E papà: “È un segno che non dovevi prendere il cane.” 

Questa frase sempre più ricorrente faceva imbestialire la mamma. Ma questa volta, al contrario delle altre, pensava più alle sue lenzuola estive di lino, alla lavanderia dove aveva già mandato il piumone per il cambio armadio che non a me… Così è inorridita: “Non dirmelo….” Ha tagliato corto. 

Poi è andata in cucina. Io innocente come un bambino l’ho raggiunta e ho cominciato a leccarle le mani giunte in preghiera perché sembrava disperarsi stranamente e piangeva. Per così poco… Non mi sono offeso, mamma. Stai tranquilla! 

Singhiozzava la mamma: “Archie… Già mettere in sicurezza la casa è stato un disastro! Ho messo i gancini parabebè alle prese della corrente e coperto gli spigoli più pericolosi, rinunciato alle protezioni pesanti e a malapena appese dei termosifoni, all’unico tappeto, spostato le piante con la terra, i detersivi pericolosi, messo le posate appuntite in un luogo più sicuro. Mi sono armata di pazienza ed ho evitato di porre il vaso dell’acqua con la candeggina del mocio sporco a terra nonostante il mal di schiena. Mi ero illusa che sarebbe bastato e invece… No!” Ha fatto una pausa per soffiarsi il naso. Poi ha proseguito: “A quanto pare ci sarebbe ancora molta strada da fare assieme. Ora anche i peli! Non li vedi quasi e non fanno altro che svolazzare dappertutto sempre.” Poi ha riflettuto un attimo e ha smesso di piangere. Ed ha aggiunto semplicemente: “Ma so io come fare…” 

Curioso, l’ho seguita fino al bagno, dove si è recata arrestando il passo proprio accanto al cesto della biancheria.

Che fai? Mamma mi ha scansato, ha preso un panno e l’ha scosso. “Vengono via bene…” Si è meravigliata. Ora aveva in mano un burazzo della cucina e faceva la stessa cosa. Scuoteva i panni. Magia! Mamma era più serena. 

Si deve sapere a questo punto che quando le scarpe e le calze attirano la mia attenzione bisogna subito sistemarle al loro posto. Potrei trattenere tra le fauci le scarpe, anche se calzassero un piede quarantasette come quelle di papà. Vale a dire più grandi della mia testa. E potrei portarle in giro poi sul letto e lì concludere il loro ciclo di vita. Proprio la sorte che più si addice ad un vecchio pennuto… 

E la mamma nello sgabuzzino aveva afferrato un dozzinale Dyson sottomarca che molte volte avevo annusato, proferendo un enfatico: “A me!” Questo era stato sempre posato lì proprio accanto a tutte le paia di scarpe buttate lì fretta e in malo modo. Non perché i miei siano disorganizzati, bensì perché mangerei le scarpe, io. “È rotta.” Ha concluso. Aspirapolvere fuori uso, mamma k.o

Carezze

Preferirei se la mia cuccia si trovasse in una posizione più riparata, per poter dormire meglio (e parare i colpi dei possibili piatti in volo rivolti verso la mia direzione…). Regolarmente la mamma viene a stuzzicarmi anche se sto riposando perché così in questa posizione mi ha sempre sotto gli occhi. In più, se è vero quanto credo le piace toccarmi. Mi tocca in continuazione. La fa sorridere. Fare facce buffe. Ma cosa avrà di speciale il pelo di un cucciolo? 

Ultimamente ha portato a casa insieme ai soliti fiorellini di campo per me delle sfogliatine immangiabili che saprebbero di talco. Me le spalma sulle zampe. Cosa sono? “Salviettine fresche!” La pantomima tutte le volte… Mamma finge di vendere salviette a me! Ma va’! Che sciocchezza le salviette… Lo so cosa vuole veramente fare. Pulirmi le zampe. Io potrei mangiare quelle salviette ma non sanno di niente. Allora le sbatacchio. Tutte le volte va a finire allo stesso modo: io gliele prendo, lei mi supplica, io gliele cedo, lei mi abbraccia e mi ha pulito solo una zampa dopo ogni passeggiata, tra tante coccole e baci. 

Il sorriso (bis)

Mi sono cresciuti degli strani gingilli appuntiti per tutta la bocca. La mamma li ha notati per prima, una sera. Ha alzato gli occhi su di me. Io ero sulla poltrona e stavo riposando beatamente nella posizione della ciambellina. L’ho osservata con i miei grandi occhi castani in modo sereno. E lei ha esultato: “Ehi, guarda un po’ Archie… Ha la bocca bianca!”  

Mi sono quasi preso paura. Ho cominciato a guardarmi intorno alla ricerca dell’oggetto delle attenzioni improvvise che era palese dovesse trovarsi da qualche parte che non avevo notato vicino alla mia posizione. Ma non ho visto nulla. Così ho ricominciato a guardare negli occhi la mamma per capirci qualcosa di più.

“Ma che bello, guarda: sono bianchissimi!” Ha aggiunto stupefatto papà.

“Quando sarebbe capitato?” Hanno detto in coro. “Come sarebbe possibile che non ce ne fossimo accorti ancora?” A quel punto ho passato la lingua vanitosamente sopra il mio bel sorriso e mi sono riaddormentato. Probabilmente si riferivano ad un moscerino di passaggio dalle mie parti. In estate ce ne sono tante.

Voglia di compagnia e coccole

Dicono di me che vado così forte che la mamma perderebbe quasi l’equilibrio quando passeggiamo assieme. Che io sia prepotente al guinzaglio. Dicono che facciamo dei rally con il cane e non delle passeggiate. E trovo ingiusto che si dica ciò! Infatti io ho il dovere di seguire il mio istinto, la mia curiosità. Ma anche questo sarebbe un fatto di cui andare molto poco fieri, stando a quanto ne direbbero gli umani. Mi dispiace solo che non possa fare niente a tal proposito. Non c’è pezza, quando vedo un cane all’orizzonte lo punto. Zampa destra flessa, posizione canina inclinata in avanti, coda a punta. Al segnale del via libera della mamma ecco che scatto in avanti. Il segnale è: “Freccia… No!” E come accade sempre poi, il momento del gioco si fa inevitabile. Se ho tirato il guinzaglio, non sarebbe stata mia intenzione. Avrei solo voluto condividere con un amico un momento dedicato alla compagnia e al puro divertimento. I cani hanno poche opportunità di socializzare. Solo per strada e per pochi minuti. Così è bello quando la mamma si sofferma qualche istante in più. E se annusiamo le pipì altrui è perché siamo pazzi di gioia se ne troviamo una che ci ricorda un amico! Abbiamo tanta voglia di compagnia noi cani. Non godiamo mica del privilegio di poter fare gruppo a scuola o sul luogo di lavoro come gli umani.

Sigaretta

La mamma ed io avevamo appena fatto un vero “rally” su strada ed ero eccitato quando siamo rientrati. Subito tornati a casa, lei aveva cominciato a cedermi uno ad uno dei buoni melini perché io non facessi del rumore e fossi impegnato in qualche attività mentre il papà stava dormendo. E così ha fatto una cosa che si discosta nettamente dalle nostre abitudini. Davanti a me ha acceso una bella sigaretta e aspirava con delle boccate avidissime. Mi è crollato il mondo sul popò. Folate di fumo voluttuose arrivavano alle mie narici. La guardavo disperato e deluso mentre era al balcone. Il sole brillava ma davanti a me improvvisamente è diventato tutto grigio. 

Perché fa questo? 

La faccenda era più curiosa siccome mi dava poi le spalle come se volesse stare da sola con se stessa e se tentavo di avvicinarla lei mi respingeva. 

Cosa sarebbe questo tuo strano interesse per il fumo, ora, senza permettere a me di poterti dire nemmeno quello che penso a tale riguardo?

Visto che spingevo per entrare in balcone e la guardavo in modo colpevole e urgente, disgustato, la mamma ha borbottato: “Archie… Non osare intrometterti.”

Prima di spegnere tutto nella pianta del balcone, mamma ha preso altri due tiri. Ben due tiri le sono voluti prima che si decidesse a fare la cosa giusta. Troppo, troppo. Fumare davanti a me, cucciolo di cinque mesi? Ho assunto un’espressione così delusa e l’ho fissata in modo indiscreto, accusatorio e incredulo

Tu? 

Spenta la sigaretta è volata in cucina per discolparsi e si è lavata le mani e la bocca con il sapone per i piatti ed è tornata a farsi annusare da me come prova che ora non c’era più la puzza. Non potevo credere ai miei occhi. Avevo appena potuto vedere qualcosa che avrei sperato di non vedere mai: la persona più cara che ho che nasconde una sigaretta spenta nel fondo del bidone e si stra-lava le mani con il sapone sgrassante per i piatti pur di eliminare ogni odore della sua colpa. Quella mattina ha smesso di somministrare a me allegramente i soliti melini come faceva di solito e si è isolata a scrivere con il telefonino, presumibilmente una pagina di questo diario. Io sono rimasto solo sul balcone a pensare e ripensare l’accaduto. Era palese che quello non era affatto un odore salubre. Perché dunque una donna potrebbe desiderare il proprio stesso male? 

In quel momento osservavo la mamma e la vedevo incerta, come bisognosa di offrire delle spiegazioni. Si trattava di un problema complicato. Ma non sappiamo parlare in modo del tutto… leggibile, noi. Mi dispiace quasi ammetterlo, ma ogni tanto sarebbe opportuno potersi dire tante cose senza le quali si rimane peggio. Ma non si può. Allora, la cosa migliore sarebbe prevenire l’occorrenza di quegli equivoci, che danno vita ai malintesi come in questo caso. Mia mamma avrebbe dovuto evitare di fumare. E se proprio avesse voluto, avrebbe dovuto farlo fuori casa. E per quanto riguarda il suo ritorno a casa, avrei preferito se si fosse lavata le mani comunque. 

Sarebbe stato così bello piangere assieme ma io non so parlare. Mai saprò. Mai nemmeno saprò se potessi. Per questo l’ho osservata triste e deluso mentre un capannello di persone innocenti voltava l’angolo e io li seguivo con lo sguardo mentre uscivano dal mio campo visivo, come la folla dei pensieri che se ne andava via. 

Regalo di compleanno

Oggi la mamma mentre lanciava il formaggio dal cucinino verso di me fermo nella posizione del bravo cane rideva ogni volta con un’inedita gioia. Sarebbe il suo compleanno e che questo fosse risaputo o no, anche il benzinaio aveva pensato di farle il suo bel “pensierino…”

Appena siamo arrivati giù da basso una transenna mi ha impedito il passaggio al solito fazzoletto di terra del vola-vola, dove avrei tanto voluto mangiare dell’erbetta scelta. Non mi sono perso d’animo subito. In fondo ultimamente l’erbetta, visto che era primavera, spuntava oltre la reticella di fil di ferro sul sentiero che va alla nostra amata abitazione. Così me ne sono cibato oltre la reticella. 

Fatti alcuni passi poco più avanti ecco un bel marciapiede dal quale scendere per appartarmi; niente po’ po’ di meno che un punto che somigliava proprio a quell’altro che è il mio preferito e si trova sul sentiero dove però non mi trovo più bene come una volta. Così avevo proprio la sensazione che sarebbe stato perfetto e mi sono accucciato. Del resto, potrebbe sembrare strano ma i cani fanno ciò che si sa ogni beneamato dì… Anche durante le feste. 

Si sa come sarebbero le mamme: sempre preoccupate in fatto di pericoli. La mia mamma è molto attenta al passaggio delle auto: adesso che mi aveva comprato anche la pettorina nuova stava più attenta ancora, visto che sarebbe stata più ampia di quella che avevo da cucciolotto piccolissimo, affinché non mi si sfilasse. 

L’ansia è una scelta per una mamma! Subito mi ha incitato a venir via mentre io me ne stavo da parte sentendomi al sicuro nonostante la brevità del guinzaglio e il pericolo delle auto. Ma non appena mi sono voltato… Un cane grande. In altre parole: irresistibile… 

Giocare è una tentazione, anche così, per strada, sul marciapiede, anche se le auto sfrecciano. Mamma era preoccupata se sarebbe stata capace di trattenermi così con le sue forze sul ciglio della strada. Preoccupata di che? In fondo, giocare è un affare da cuccioli. E di cane, per giunta. Mica scherziamo! 

Un giorno poi avevo scoperto anche che la fa ridere una cosa in particolare: l’inchino con il popò all’insù. Quindi lo faccio a ripetizione e lei si sganascia come se non ci fosse un domani. Sarò un cane spiritoso!

Mi sono preparato. Ho messo il popò all’insù. L’altro cane ha accettato. Ci siamo messi a fare dei balzi in su e in giù per il marciapiede. Mamma aveva la cacca in mano con la busta nero pece da due soldi che aveva comprato formato famiglia al negozio solito. E chissene importa della cacca no? Era l’ora di scattare, via! La mamma aveva l’anima preoccupata. Me in una mano. Il cane di fronte. La cacca dall’altro lato del corpo. 

L’altra proprietaria sembrava non capire la situazione. Io ne ero solo felice: questo significava che il gioco sarebbe continuato. Ma la mamma si è impuntata e ne è nato un duello… Il cane non c’entrava più ormai. Il duello sarebbe scattato tra lei e me. In pratica, avrebbe voluto portarmi in salvo al bar poco distante. 

Ci siamo sfidati con lo sguardo profondissimo. Ne andava dei prossimi cinque minuti: andare o rimanere ancora. Mamma avrebbe perso la sfida! Irresistibile! Che avevo detto? Proprio così. Si è sciolta davanti alla tenerezza mia nel gioco con l’altro cane. Tuttavia, perdendo la sfida aveva dovuto rinunciare all’arma: la cacca. Che è volata abbattendosi al suolo con un rumore sordo. 

Uscendo dal bar dove facciamo colazione quasi sempre e dove avevo mangiato un bel po’ della brioche che la mamma aveva comprato per noi, è poi tornata sui suoi passi a guardare. 

Beninteso. Sarà anche solo una battuta. Ma qual era dunque il regalo di compleanno del benzinaio? 

La cacca che in quel momento è stata schiacciata da un’auto in corsa che sarebbe passata mentre facevamo la nostra prima colazione. 

Pensare alla pioggia di critiche di quanti stavano osservando dalla vicina fermata dell’autobus la scena è stato inutile. La mamma si è messa a ridere come una matta e siamo corsi via. Ora, il ricordo schiacciato del trentottesimo compleanno di mamma campeggiava proprio all’uscita del benzinaio come ricompensa per aver bloccato il passaggio d’accesso al nostro fazzoletto di terra.

Aggressività

Ho già quasi sette mesi e sono un adolescente piuttosto arrabbiato. Vedo un cane? Prima lo punto. Zampina molle, postura in avanti col petto all’infuori, coda dritta, sguardo brillante, leggero sorriso sulle labbra da birichino professionista. Sguardo in avanti: “Fatti sotto!” Tutto di me deve saper dire ciò. Sono una birba rompiscatole. Ed è sacrosanto! Un vandalo. Ed è sacrosanto! Mi apposto, prendo posizione davanti a ogni cane in arrivo, a distanza debita. Aspetto. Pronto, mi sdraio con la pancia ingiù. Semplice. Il cane si stanca, io lo sorprendo – e TAC! Scatto che non si aspettava una velocità improvvisa simile e sono davanti a lui a fargli le feste! A volte si spaventa. A uno di loro è venuto il singhiozzo. La parte della mamma! Dimenticavo. Lei…. si inchina. Quando io sono in posizione la sua parte consiste nell’inchinarsi e dire: “Ciao!” al cane. Tremenda strategia d’attacco! Lo induce a credere che abbiamo buone intenzioni. In pratica, siamo complici in un gioco che non finisce mai. Dopo avermi presentato comincia la danza, il cane si convince che sia tutto “ok” perché l’umana è stata gioiosa, come quando ci si stringe la mano e prende fiducia. Maschi, femmine… non faccio differenze. Io? Gioco. E basta. E’ una cosa seria. Una missione.

Sono due giorni che abbaio per strada. Ho tirato fuori una voce da basso che la mamma mi ha fatto anche i complimenti. Ha detto che potrei fare il cantante soul. Il primo si trattava del boxer che vedevo sempre lungo il nostro percorso mattutino. E ho deciso che d’ora in poi andrò anch’io a simpatie. Ed abbaierò a tutti i cani maschi interi come me. 

Il suo padrone è un uomo aitante con delle mani che mi sentivo già svolazzare le orecchie. L’ho chiamato, naturale! Vieni qua, stordito! La festa è da questo lato della strada! Si è proprio accorto di me. Da allora saranno “felici” i condomini: ci scommetto! Saranno felici di sentire sempre le prove del coro che si tengono a tutte le ore del giorno e della notte, al passaggio di ogni cane maschio intero. E comunque, avevano proprio bisogno di una mano, in quanto ad argomenti di conversazione infra-pareti-veline. Con la bella voce da basso che ho, figuriamoci!

Un giorno per dimostrare la mia rabbia ho portato in bocca la spugna trovata dietro un cespuglio per tutto il quartiere. La mamma dietro di me non so se ne era consapevole. Non so se era consapevole di quanto avessi un’aria pericolosa, mentre mi aggiravo in quel modo per tutto il quartiere. C’è chi al coltello tra i denti preferisce la spugna. Non serve a niente essere un pirata. Basta essere come me.

Continuava stancamente a dirmi: “Bravo, bravo…” Sbadigliando. Credo fosse ironica oppure stesse usando una tattica. Non è una cosa innocua una spugna tra i denti. E’ un messaggio chiaro che vuol dire “Stammi alla larga, faccio cose strane davanti a tutti!” 

Non è in grado di comprendere il grado di attrattiva che ha sulle cagnoline poi il mio gesto mentre stringo una maledetta spugna tra i denti. Il mio intento era dimostrare quanto sono aggressivo. Insomma con l’espressione da joker, da assassino, i denti bianchissimi e l’espressione vivacissima normalmente ottengo delle reazioni che vanno dall’”Oddio!” della signora attempata che si ritrae al “Caro, vieni da questa parte: è… Archie-bald-lecter!” 

O almeno tutto questo esisteva nella mia fantasia prima che mi capitasse di accorgermi che l’aggressività va bene ma lo è di più condividere. E se penso a qualcuno con cui vorrei condividere le mie esperienze questa è la mamma. E io mi oggi mi sento in debito con qualcuno che mi vuole bene davvero. La mamma. Lo sono per un motivo più che solido, questa volta. 

Modestamente, siamo una coppia. In simbiosi. Siamo parte l’uno dell’altra. La mamma ha il mio cuore, io il suo. Non perché mi basta spostare gli occhi davanti a lei con intenzione verso il guinzaglio, sempre per questo stesso motivo posato nello stesso scaffale… Per farle capire che ho voglia di uscire. Non sarò un cane prepotente, ma uno di quelli buoni. Vivaci. Giocherelloni…

Per strada a sette mesi nonostante mi chiamino già cagnone e abbiamo riverenza di me ancora tanti sbalordiscono, si stupiscono quando mi guardano con occhio più attento un attimo dopo avermi squadrato. “Ah! Sei un cucciolo, quanto tempo hai?” 

Sono così contento… Oggi mi avranno fatto i complimenti in sette: “Com’è carino… E’ un cucciolo? Sembra giovane!” Anziché abbaiare, ho scelto di ribaltarmi sul dorso in mezzo all’erba. Così, si sono chinati su di me tutti ed ho visto stagliarsi e muoversi le nostre ombre sul marciapiede. Ho sentito una carezza sul muso. 

Così, è ancora difficile pensare ai semafori ma alle strisce pedonali mi fermo dopo ogni corsa. Aspetto. Ansimo. Guardo dietro di me chi mi guarda le spalle come un angelo protettore. Lei si guarda intorno, sempre ansiosamente. Marciapiedi stretti, semafori rossi di una lunghezza indefinibile e traffico… Traffico soprattutto. Ma io non corro più a più non posso con la mia partner dietro che mi insegue: fino all’altra sponda del marciapiede vado più piano e ci sorridiamo. So che vengo chiamato bravo tutte le volte che si può e mi si riconosce già come cane adulto, quasi adulto. Cucciolo grande…

Voglio solo crescere come un cane equilibrato.

Della caccia: prudenza e faciloneria

Dovevamo conoscere una persona. La persona di cui avevamo sentito tanto spesso parlare. La famosa donna la cui fama era giunta a noi tramite terzi precedentemente, tramite un uomo. E quell’uomo fa il cacciatore. Abita nel nostro quartiere. Ha una cagnolina con cui vado d’accordo. E quando ci soffermiamo la sera, soprattutto, su via B. quando noi cani stiamo giocando assieme sul marciapiede lui dice alla mamma che sono rimasti assai pochi cacciatori a Bologna. E vanno tutti a mangiare alla trattoria che si trova nella località detta “Pulce.” Già, perché è lì che vicino c’è una magione. E quella magione misura molti ettari. In quella magione è possibile far cacciare i cani. Era destino che noi e quella donna ci incontrassimo. 

Quella era la giornata fortunata in cui avremmo conosciuto la persona che faceva proprio al nostro caso. Quella che, a quanto sembrava in base agli accordi presi, era la proprietaria della magione alla Pulce e avrebbe potuto prendermi per mano, – o le zampe… – e guidarci tra mille imprese organizzative ed economiche e di altra natura per farmi diventare davvero in sicurezza un vero cane cacciatore. Ci siamo conosciuti all’area cani del Fossolo, poiché avevamo sentito parlare di lei, donna avvolta nel mistero che solo molte soffiate arrivate a noi sul suo conto ci avevano permesso di riconoscere, a colpo sicuro, grazie a una descrizione accurata che qualche mamma di cane ci aveva offerto di lei. Era una donna sulla cinquantina, grassoccia e men che meno avvenente. Eppure, il suo sguardo brillante rivelava una forte personalità e un’intelligenza sopraffina nei modi di parlare si sono distinti subito, quali caratteristiche appetibili se indossate da una trainer, com’era vero che fosse. L’affidabilità sarebbe stata la condizione allo scopo di poter consegnare me a lei come allievo per le missioni venatorie. “Con tutti i cinghiali che ci sono alla pulce, signora…” Ha esordito, saggiando il terreno oculatamente prima di accettare un incarico che la mamma non aveva precisamente ancora osato chiedere ma piuttosto si era limitata a caldeggiare delineando i confini accettabili secondo la sua mentalità. Confini entro cui rimanere quali compromessi con il mio desiderio venatorio. In modo tale che potesse impostare sin dalle origini in questa nuova conoscenza con la mia potenziale trainer “seria” un equilibrio di questo desiderio naturale con il fattore essenziale: la mia sicurezza nel corso delle uscite in muta dei cani cacciatori. 

L’affermazione sui cinghiali è apparsa carica di senso di responsabilità alla mamma e l’ha fatta pensare. Da parte sua, quest’ultima avrebbe tanto voluto assecondare la mia naturale propensione e desiderio ma era restìa, per via dei pericoli connaturati alla missione cui avviarmi avrebbe potuto espormi perfino a qualche pregiudizio. Banalmente, si dice in giro che molti cani da caccia siano spesso vittime di maltrattamenti, come ad esempio essere legati e mantenuti giorno e notte con una catena ad un palo e poi liberati per finalità venatorie. E poi… Un cucciolo come me, davanti a un cinghiale, se solo, che cosa potrebbe? Così, la mamma voleva fortemente saperne di più. Era come mandare il proprio figlio a un corso di pianoforte, quando il maestro di pianoforte si è proposto con serietà per un percorso che possa tenere in considerazione anche la carriera di concertista a lungo termine: una carriera e una scelta non facile, che ne esclude altre automaticamente, sin dalla più tenera età.

La donna, F., ha notato immediatamente che mia madre non sarebbe stata il tipo di madre “facilona” né “sempliciotta.” Nemmeno una di quelle meno abituate a prendere la vita con la dovuta cautela, che sottovalutano e minimizzano i possibili rischi ma invece li sanno affrontare con giudizio e temperamento. Così F. ha esitato qualche istante, visto che a sua volta era un tipo non facile a sua volta; poi però ha deciso e ci ha invitati a seguirla il sabato successivo, con la richiesta di potermi valutare alla luce dei concreti comportamenti che avrei manifestato in magione, alla Pulce, dove si sarebbe trattato di mettermi alla prova. Una prova di coraggio, determinazione ma anche soprattutto furbizia, abilità fisiche e intelligenza. Certamente, inizialmente si trattava di avviarmi alla caccia con ben più di qualche restrizione. Si trattava di un percorso di formazione continua che non avrebbe richiesto solo denaro, organizzazione, ma anche molto coraggio da parte mia e della mia famiglia. Si trattava solo di accettare e mettermi alla prova. Mi sono detto: “Magari rivedrò il mio vecchio padrone che abitava alla Ca’ Bianca.” Lui era uno degli ultimi cacciatori rimasti in persona che si contavano sulle dita… Anche se la mamma ancora non avrebbe potuto sapere.

Quando papà ha saputo che quel giorno avevamo incontrato una dog trainer preparata nell’addestramento dei cani da caccia è subito esploso in un’esternazione di profonda contrarietà: “Mandarlo a caccia… Vergognati!” Papà è mezzo vegano.

E la mamma ha ribattuto: “Non credo che sarebbe così pericoloso per lui. Dopotutto se incontrasse un cinghiale si troverebbe pur sempre sotto la strettissima supervisione dei trainer. Almeno così credo io…” Ma non era convinta.

Questa è stata la frase che avrebbe rotto quel briciolo di illusione che avevo in cuor mio. La mamma a tal proposito come leggendo nel mio cuore ha aggiunto: “Sarà per la felicità del nostro cucciolo di quasi otto mesi, ha l’età giusta! Un terreno sconfinato di duemila ettari, una muta di cani con lui, beccacce a non finire. Non costerà molto…” 

Così papà mi ha guardato. Lui, che non mi porta ancora a spasso. Ed ha ammesso: “Se tu fossi come Archie saresti una persona normale. Lui è un buon cane.” E si è messo a piangere per la sorte terribile che mi sarebbe toccata se avessi incontrato un cinghiale e… La mamma si è accorta che sarebbe stato di gran lunga meglio non espormi affatto a un rischio del genere.

“Come ho potuto anche solo lontanamente pensare di mandare il mio adorato cucciolo…” E così la mamma e papà si sono accorti che mi amano fino al punto di mettermi al di sopra di tante altre cose e no, non hanno ancora finito di litigare. 

Ma spero che la lite finisca prima o poi. E spero ancora di poter andare a caccia prima o poi. Ma in macelleria. E di non avere mai paura degli animali grandi che ci sono liberi per le campagne e colline qua intorno. Anche per le strade. Visto che l’attesa è infinita e c’è la fila degli oranti per varcare la porta della conclusione della lite, però, nell’attesa mi accontenterei di un piccione all’uccelletta cucinato bene. In fondo, a sentire tanto parlare delle beccacce che ci sono in giro, mi sarebbe venuta una bella fame.

Un quartiere da sorvegliare

Nel corso della passeggiata, ho visto che c’era un merlo che faceva il nido. Meno male che eravamo in un quartiere tranquillo, mi sono detto. 

Se cominciassero a moltiplicarsi questi pennuti i cani dovrebbero inseguirli in muta per ogni angolo, proprietà privata o meno. Mentre facevo queste ed altre considerazioni eravamo già arrivati non lontani da casa. Allora con un moto di evidente soddisfazione ho fatto un cenno alla mamma: “Possiamo avviarci e fare ritorno. Tutto tranquillo. L’una di notte e tutto va bene.” 

Sarebbe proprio il caso che qualcuno sorvegliasse questo quartiere. Non solo per via dei merli. Va bene, ci saranno anche tante brave persone… C’è una che vorrei come padrona, per esempio. Sa che ho un debole per lei. La mamma, che lo sa, le strizza l’occhio e mi agevola nel compito di avvicinarmi a lei. In pratica, le mette in mano di “nascosto” un biscotto dei suoi! Così, lei può donarmelo. Di recente nel suo negozio di fiori, quello dove lavora, hanno comprato dei cracker “ad personam” per me. Che vuoi… E’ evidente che c’è del tenero. Non che la mamma voglia cedermi. Le piace solo l’idea di condividere con gioia con chi mi vuole bene ma più che volere bene a me, cui io voglio tanto bene.

E merli e negozianti carine a parte ci sono anche i cani che andrebbero banditi. Un cane che mi ha morsicato. Sì. Un pastore australiano invidioso che ha fatto tutta una sfilata per mettersi in mostra con la sua padrona perché si sa bello. La sua padrona ha esordito così, quando c’eravamo appena conosciuti: “L’area cani è un po’ come un ring!” Così, siamo entrati nel recinto e quando io ho provato a montare il cane, Blu, lui senza mezzi termini mi ha azzannato all’altezza della zampa vicino al collo e io ho guaito, anche se è vero che sono solo un cucciolo. Ma i cani sono imprevedibili. La mamma avrebbe potuto fare meglio il suo dovere e cogliere quell’antifona nascosta nella frase a mo’ di avvertimento, da parte della proprietaria del pastore. E’ stato abbastanza drammatico e ho provato per la prima volta dolore. Oggigiorno sono molto più vigile nel contatto con gli altri cani, soprattutto maschi. E sapete perché? Perché io sono sempre il solito giocherellone che si intrufola come una pantofola sotto il divano nelle vite dei miei amici cani e ciò non cambierà mai. Ma qualcosa cambierà. Solo un piccolo dettaglio da aggiustare a mo’ di orientamento delle ie scelte future: sarò più attento che la mamma non commetta degli errori a mie spese e sarò io a badare a me stesso e alla mamma anche, perché sto diventando un cucciolo adulto. I cani maschi lo sentono dall’odore che emano. In altri termini, comincerò a fare la guardia e sarò un cane responsabile.

In estate: pezzi di stoffa e colpi di calore

Ho staccato un pezzo del divano. Sì. Pezzettino, diciamo. Piccolo. Solo la gommapiuma. La rete metallica sottostante è rimasta divelta come conseguenza. Che non avrebbe avuto senso lasciarla integra. Tanto senza stoffa, gomma piuma, cotone, il divano era già rovinato, mi sono detto. Tanto vale buttare via tutto il divano, mi sono detto, guardando quello che avevo fatto alla fine del raptus. E F., la trainer, sostiene che occorrerebbe metterci delle lenzuola vecchie sparpagliate dentro. Nel buco. Sembrerebbe che in tal modo potrebbe più facilmente allettarmi l’idea di farci la cuccia sopra, farci il cuflino. Il cuflino? Ho mangiato anche quelle. Le lenzuola. Le ho sbrindellate e sparse sul pavimento. Volevo vedere cosa rimaneva del divano sotto, insomma, così coperto non vedevo niente… Ero seriamente preoccupato! Mi preme la bellezza della nostra casa. Sono io il primo a dire che un tocco artistico ci vuole. È per questo che ho fatto il vano nel divano. Grigio, molle. Brutto. Facciamoci un buco, dai, un po’ di fantasia! E papà – vi direte? Giorni dopo, insospettito, sentendo del duro sotto la sua posizione da spettatore di partite NBA incallito, ha buttato un occhio sotto la massa di lenzuola sbrindellate messe con poca arte dalla mamma proprio a un centimetro dal suo sedere. E quando ha gridato il mio nome io ero in balcone. Felice di sentire la voce del padrone di cui vado matto con la lingua a penzoloni scodinzolante vispo nello sguardo mi sono diretto in salotto. Indovinate pure come mai trenta secondi dopo mi trovavo relegato di nuovo in balcone…

Ho divelto anche tutta la rete della terrazza. Adesso è più aperto. Si vede meglio. Ma non sarebbe stata poi tutta questa genialata come avrei immaginato. L’estate infatti come stagione non mi convince affatto. Per esempio, quando siamo rientrati dopo la consueta passeggiata di due ore, non smettevo più di ansimare. Mi sono messo nella sala dove c’è più fresco. Ma ansimavo e non potevo smettere. Ascoltavo i battiti del mio cuoricino che acceleravano inspiegabilmente e mi sono preoccupato per la mia salute. La mamma mi osservava da lontano. Ha atteso pochi secondi, poi ha detto sconsolatamente: “Ha un colpo di calore…” 

Già ero ansimante e stanchissimo. La mamma mi ha infilato anche un termometro nel sederino. Non mi sembrava un bel gioco allora ridendo le ho fatto capire che non era il caso di esagerare con le molestie giocherellone e mi sono voltato più volte per estrarlo ma non ci arrivavo… Così ha suonato. Ha vinto lei, ho capito. Ma almeno un po’ di letizia, dopo quel bel momento di gioco! Te lo sei sudato tanto mamma! Lei non sorrideva affatto. Pare che avessi pure la temperatura troppo alta al momento. Oh, ma non ti va mai bene niente. E poi? Vuoi vedere che ho anche una zecca? 

Si, te lo dico io! Non ti accorgi che stiamo camminando da due ore nel sole rovente con l’asfalto che tra un po’ fuma solo perché non hai mai avuto un cane; se è vero che non sei erudita su tutti i fattori di disagio per un cane allora è automatico che non ti sarai accorta nemmeno della zecca che ho attaccata proprio al culetto.

L’estate, sì… Non mi piace proprio. Zecche, caldo. Adesso anche le passeggiate brevi. Papà che controlla con l’intelligenza artificiale se è vero che tra le dieci e le sei del pomeriggio non potrei uscire al passeggio. Meno fame. Che delirio… L’unica cosa buona è la mattonella del ghiaccio da freezer a donare del refrigerio. Ma l’ho addentata con troppa energia, anche quella proprio come il divano. Come la rete. Come tutto, anche le cucce stesse! Così la mamma mi dà saltuariamente la mattonella e solo sorvegliando me. Ne ho a basta. Noi cani abbiamo la temperatura alta… La volete smettere di accendere il termosifone universale? Ore interminabili a dormire poi la sera i miei genitori che stanno sul divano a parlare oppure escono per conto loro. Litigano un po’ che la mamma vorrebbe dietro anche me mentre papà obietta. Perché gli piace andare al Circolo in bici e io non so ancora andare in bici. A proposito, visto che sarebbe estate… Mi insegnerete ad andare in bici prima o poi? Sveglia! Pericoloso… È la vita; a Zocca ci siete pure andati, niente po’ po’ di meno che sul vostro scassino impreparato… Bastardi, così senza di me al seguito! A Cattolica ci andiamo in vacanza. Eccome che ci andiamo. E’ un controsenso. Senza neanche passare dal via. Perché allora non andare tutti insieme al Circolo in auto, adesso… Non ditemi che non mi volete con voi! E a Zocca, comunque, ci sono pochi marciapiedi. Perché lo so? Io so tutto. Anche l’italiano. Oltreché il canese. Perché parlo di Zocca ve lo spiegherò in seguito…

Archie eroe mascherato

Parliamoci chiaro. Intanto i bambini di fare a brandelli la rete in balcone, polverizzare lo stucco del muro sul pavimento e leccarlo tutto, imbrattare con le zampate il pavimento non sono in grado. Sì, possono frapporsi nel buco tra la mamma e il papà sul divano, nel letto, fare gli occhi dolci. Ma sanno anche ridere, far sorridere? Rubano le attenzioni a noi cani! Come la mettiamo? I bambini mi confondono le idee. Non li capisco. Mi derubano della serenità.

I bambini e i cani non potrebbero mai andare d’accordo. Ma ho visto la solita carrozzina in marcia dal nostro lato della carreggiata e mi sono deciso. Adesso gli faccio un bau, mi sono detto. Mi sporgo sulla carrozzina, il bambino mi fa un sorrisone. Un’ottima reazione da parte sua, sembra che il ragazzo cresca bene – per essere la prima volta che provo a spaventare qualcuno almeno una reazione qualunque c’è stata. “Beh… Posso migliorare,” mi sono detto. Allora ho provato ad abbaiare ma non mi è uscito niente… Sono stato in grado solo di guaìre come un pivello perché non mi aspettavo il sorriso. Ero intimidito. Che delusione… Allora ho cominciato a lamentarmi con la mamma e arretrare dietro di me colto dal solito disappunto verso l’esperienza sconosciuta e curiosa come quella di trovarsi davanti un neonato. Sciocco da parte mia… Lei che è sempre la stessa mentre guaivo ha cominciato a farmi le carezze per consolarmi, proprio come si fa con i novellini. Che sciocchezza… Dovrei provare a fare più il duro con i bambini. Se piaccio loro così tanto come mi sembra dal sorriso è logico che la mamma potrebbe volerne uno, prima o poi. Come potrebbe non essere così? Potrei provare a mascherarmi con uno di quegli zavagli, le… Museruole. Sono un cane troppo sensibile.

La mamma aveva comprato una museruola con il corredino, quando sono stato adottato, per portarmi in auto a norma di legge. Hai mai visto un cane in auto con la museruola? Ti sei già risposto. No. Io ho mai messo la museruola? No. Mi piacerebbe? Fa figo ma fa lo stesso. La risposta è sempre no. No e no. Avrete già capito chi comanderebbe in giro. Se i cani o la Polizia locale. Adesso potrebbe tornare utile lo zavaglio però. Così ho piantato il muso nel mobiletto solito delle strenne, ma non avrei saputo come indossarla. La mamma mi ha visto e per una volta, – si fa per dire, – avrebbe abboccato: “Archie! Bravo… Vuoi mettere la museruola!” Aveva pensato dentro di sé che si trattasse di una novità felice. In fondo, anche se non ce n’era stato mai stretto bisogno, quale abitudine preventiva davanti all’ignoto futuro che avvolge tutta l’umanità la frontiera della museruola potesse anche andare bene, per il tempo di una passeggiata di prova. Nessuna vergogna. Nessun pregiudizio: un cane con una museruola non è necessariamente un cane pericoloso. Ma bensì, un cane tutelato e a norma di legge. 

Mentre per strada mi guardavo intorno imbragato a quel modo però le persone si facevano indietro e non potevo socializzare, respiravo meno bene, udivo il rumore del mio fiato che rimbombava leggermente. Non volevo abituarmi a portare lo zavaglio. Volevo solo giocare all’eroe mascherato e trovare un bambino per fare il duro! E invece sai la sorpresa? Quando anziché andare alla ricerca del bambino con cui giocare – io credevo che la mamma avesse compreso le mie intenzioni al momento della vestizione – abbiamo fatto un giro in auto con papà, che sbandava da tutte le parti appena sveglio dopo una dormita e poi siamo tornati a casa. Boia!

Mestieri di casa

La mamma per fare le pulizie è negata. Dovrebbe leggersi qualche manuale, invece di spargere dei liquidi che puzzano di mela, limone, tea-tree oil e lavanda in giro per casa. E’ pericoloso. Sapete quello che voglio dire, insomma – è chiaro che se vedi tua madre che sventola una pezza sopra un mobile sopraelevato in vetta a una struttura barcollante per profumarla, non pensi subito che sta piantando una bandiera sulla Luna. Bensì ti preoccupi. Pensi che abbia sicuramente un principio di demenza, stia invecchiando prima del tempo… Che ne so! Non certamente che stia pulendo cose. I cani lo sanno bene come si fa a pulire. Si lecca. 

Tocca a me regolarmente riportare la mamma “con i piedi per terra.” Sì, ma… In senso letterale. Salgo sulla scala, le rubo la pezza, la scuoto in segno di protesta e siccome però pizzica di detersivo e fa uno strano sapore con tutto quel profumo dolciastro, la sputo per terra e ci salto sopra. Ovvio! Per non parlare del mocio. Mi dispiace così tanto, ma tanto se inizialmente proteggevo mia madre dal mocio, con tutti quei tentacoli che ricorderete. Mi dispiace perché invece dovevo proteggere lui da lei. E’ pazza. Ho fatto la pace col mocio, sono incavolata con lei. Mi vuole convincere sempre più spesso che sia ok spargere umidità sul pavimento. E’ viscido! Dev’essere pazza. Quel polipo deve saperlo che è in pericolo. Insomma, lo cosparge di detersivo! Come si permette? Lui sopporta di tutto. Quando sta fermo io lo guardo e con il potere dello sguardo calmo da bravo cane preoccupato per la sua salute mentale gli spiego pazientemente che va tutto bene. Ma non appena mamma comincia ad agitarlo dappertutto devo farlo: provare a salvarlo dalle grinfie di mia madre, persuasa di salvarci dai germi invece che di spargere schifezze per tutto il nostro ambiente vitale! Ma dove prenderà quei profumi nauseabondi? A volte torna a casa con delle borse piene di detersivi. Invece di estrarne fuori gli snack per me ne tira fuori dei flaconi. E’ pazza. Che spreco di tempo… 

Un altro bell’esempio. Secondo voi dove dovrebbero andare a finire i miei poveri peli, che mi tolgo dal manto uno ad uno quando mi lecco dopo la passeggiata, prima del pollo? Certamente non nel cestino. Che stiano dove li metto, potrebbero pur sempre tornare utili, un giorno; a ricoprire le copertine di pile sul divano in vista dell’inverno, tanto per dirne una… Per non parlare dei pezzi di carta che strappo dalle mani della mamma. Bollette sparse fatte a brandelli, fotocopie fatte a brandelli, brandelli e brandelli di ciabatta, poi plastica di bottiglia mangiucchiata. Gli scarti vanno a finire tutti nel cestino! Quale spreco di risorse che potrebbero tornare utili un giorno per giocare in assenza di palline da tennis. Ne ho così poche al momento. Solo quindici. I cani non buttano via niente. Ma non lo sa mia madre che le buone famiglie non buttano via niente? Mamma crede poi di buttare via tutto, secondo te? Lo farebbe se e solo se non ci fossi io a saltare su e salvare la situazione. Tocca sempre a me il lavoro sporco. Anche quello di andare nel cestino a riesumare i rimasugli di sporcizia che lei vorrebbe eliminare. Come se del maiale buttassero via la coda. Ci sarà sempre un cane affamato pronto a spigolare, no? Se tu una coda di maiale la butti per strada… Si griderebbe subito all’infamia! 

Mi viene in mente poi che ieri mamma con spirito da vera mantide religiosa ha abbandonato per strada un pezzo di biscotto. Così “anche gli uccellini avrebbero avuto qualcosa da mangiare…” A parte che io i piccioni li ammazzerei tutti; ma poi… Che fesseria! Dai – i piccioni tu li mangi dal macellaio senza neanche cuocerli a casa tua… Li mangi lì su due piedi con gli occhi perché non hai un soldo in tasca però e se è vero quanto dico in casa tua togli di mezzo tutti gli scarti! E vogliamo dirlo? Ti capita anche di buttare via tutto nell’indifferenziata quando sei stanca! La coerenza è un optional a casa nostra… L’unica spiegazione è che stia facendo di tutto in buona fede per ingrassarli e poi cuocerli nel forno. Sì, ma per il sottoscritto e per farsi perdonare la storia della sottrazione degli scarti sparsi per la casa.

Socializzazione forzata

Anche oggi, dopo le grandi pulizie in occasione della visita del nostro unico conoscente che ogni tanto si degna e viene a trovarci, G., andremo a fare la passeggiata ed entreremo in ogni singolo negozio su strada. Lo so sin da ora. Ci metteremo ore solo per visitarne due, perché naturalmente i negozianti che stanno nei negozi appunto per negoziare cercano regolarmente e puntualmente di vendere la loro merce agli avventori. Anzi, farebbero di tutto… E’ logico. E’ il loro mestiere per definizione. La mamma approfitta della loro gentilezza per farmi socializzare. Con la storia della socializzazione la mamma usa ogni pretesto per farmi fare un giro dentro gli ambienti a portata di strada come i negozi, gli uffici. È imbarazzata e così chiede sempre un biglietto da visita che giustifichi l’interesse pretestuoso. Usa ogni artifizio che le venga in mente. Fa delle facce, delle moine, pur di prolungare il momento dentro al negozio e coinvolgere me. La veterinaria avrebbe detto che dovrei. Ma che razza di modi sarebbero questi! In più, non posso comprare niente: mica andiamo sempre e solo al negozio per animali! Ciò che posso limitarmi a fare è solo elemosinare affetto generando un’illusione in chi spera di guadagnare qualcosa per mezzo di un’interazione che mi sembra eccessiva. Che la mamma si faccia pagare per interagire! Sarebbe più giusto… 

Quando i negozianti mi avvicinano per una carezza la mia mamma se ne esce come nulla fosse, come se avvicinarsi fosse il modo migliore per guardare negli occhi chi mente spudoratamente. Nella fattispecie? Noi… Ma chi l’avrebbe deciso! Attira addirittura alcuni negozianti con la storia che è caldo e avrei sete: “Hai una ciotola d’acqua fresca per il mio povero cane?” 

Conoscerete poi la vecchia storia che i negozianti al dettaglio hanno sempre un biscotto per cani… Per arruffianarsi la clientela con la storia del cucciolo affettuoso in città-nuovo acquirente sicuro insomma è sempre più tutta una chiacchiera. Sempre che ci sia un biscotto per cani di mezzo. Certamente: la mamma non concede mica attenzioni da parte mia senza questo scambio culturale. Il biscotto è la condizione sine qua non. Entriamo precipuamente laddove ci sia un biscotto. Dove c’è Archie, c’è un biscotto. 

Risultato… Chi sarà a socializzare sempre, se è vero che nei negozi gli umani conversano mentre i cani aspettano? Mia madre. Che novità sarebbe adesso questa che si entra, si esce? E i bisogni? Quando li faccio? Dove posso farli? Dentro o fuori dal negozio di alimentari? Dentro o fuori dal negozio di abiti? Non esiste. Aria condizionata, afa, afa, aria condizionata. Centri commerciali. Prima non mi portava mai, adesso sono sempre in giro a tutte le ore a fare shopping. Ma che rompimento di scatolette di manzo… Sono pur sempre anche un maschietto, poi. Non mi piace lo shopping, nei negozi al femminile. Tradotto in altri termini, adesso fungo da chaperon… Da accompagnatore!

“E’ così affettuoso!” Una volta o l’altra mi hanno stropicciato le guance. Era qualcuno che mi aveva prima avvicinato il naso alla faccia e… Mi aveva persino baciato. Mamma aveva fatto goal in quel caso. Ma io sono rimasto sbigottito. Ho una dignità! Sono solo un cucciolo… Mio Dio! Non sono affatto un peluche per umani adulti… Devono smetterla i negozianti con queste usanze infantili! Sono infantili le infatuazioni. Piuttosto che crescere mieloso come un umano, preferisco rimanere un cane rigoroso. L’ultimo dei mohi-cani, già… 

Frase infelice

Ieri è venuto a trovarci il nostro G. Un ragazzo piuttosto antipatico, a mio modo di vedere. Ha sempre fatto tutte le cose bene, in fila, quelle giuste, persino quelle più in. Non ha niente da dire se non tanti argomenti piuttosto scontati. Tantoché ci stavamo facendo delle chiacchiere così belle che così nella penombra estiva della camera raffrescata leggermente grazie al Pinguino noi tre eravamo in “estasi” e naturalmente la mamma con una frase ha rovinato tutto. Una frase così infelice che ve la posso raccontare, con tanto di lacrime agli occhi. G. stava così bene ma così bene in compagnia anche lui che si stavano progettando grigliatone ferragostane, incontri al Circolo me incluso, giri in montagna dove abbiamo la casa di famiglia e anche un incontro condiviso al mare. Infatti si sa ormai – anzi è arcinoto – che siamo tutti impegnati e fervono i preparativi della partenza per una località di mare, la Perla della Romagna, Cattolica. 

La mamma in pratica si annoiava e aveva un occhio aperto e un altro chiuso, con la guancia posata sul gomito. E distrattamente quando tutti ridevano e brindavamo e mi facevo coccolare alla grande da vero protagonista della situazione mentre ero spanciato sul divano e pensavo al mare, la mamma ha biascicato: “Dai, G. Vieni a Cattolica. Così se prendi il mio posto anche solo per un’ora posso finalmente godermi un po’ di pausa detox da Archie.”

G. non l’ha presa bene. Subito non ha capito. Ha fatto una pausa. Ha pensato a quello che volesse dire la sua amica. Era palese che il significato era riferito al fatto che mentre lui vive bene una vita di comfort senza problemi non ne sa nulla della vita di fatiche che spetta ai più sfortunati come noi. Ma a quel punto, considerando bene l’ipotesi se aggiungere qualcosa alla frase sconveniente, ci ha ripensato e ha fatto una bella risata. Così si sono sciolte un po’ le tensioni.

Ma era vero quello che aveva detto la mamma di me? Non mi piaceva l’idea che si sentisse autorizzata a esprimersi in senso negativo in quanto al proprio ruolo di madre verso di me. Mi sembrava quello che si chiama un giudizio immeritato, che mi era arrivato inaspettato: la mamma non rivelava spesso le proprie emozioni. Figuriamoci quelle negative. La sua interiorità solitamente è uno scrigno di cui nessuno ha la chiave. Esternazioni del genere non se ne sentivano mai in casa nostra.

G. stava pensando proprio di prendere un cane e non riusciva nemmeno a ridere più alla battuta infelice, nonostante la frenesia del momento e l’eccitazione davanti alla prospettiva del mare. La mamma si è accorta della gaffe. Si è fatta due domande per il silenzio di papà, che nel mentre la fissava. Ho notato pure io qualcosa di strano. E dolce come sono ho cominciato a leccare le mani di mamma per consolarla: sicuramente stava facendo qualche figura del cavolo delle sue, aveva bisogno di conforto… Insomma G. alla fine dell’escalation emotiva tra poco si metteva a piangere, papà scuoteva la testa. La mamma alla fine ha capito di averla sparata grossa. E io ho collegato i fatti: ridevano tutti. Ora silenzio; la mamma ha parlato. Ora silenzio; la mamma è sconvolta. E mi sono arreso all’evidenza pure io che bisognerebbe chiuderle la bocca ogni tanto, anche a costo di imbrigliare con la mia museruola quella boccuccia, per quanto amabile.

Poi è accaduta una cosa strana. Per la prima volta mia madre ha fatto l’offesa. Ha farfugliato: “Che c’è, che cosa ho detto di male? Sono pur sempre un essere umano anch’io, voglio poter essere anche io libera da impegni ogni tanto, con tutto ciò che ci sarà sempre da fare con Archie… E se è per questo, con voi anche non è mai niente semplice!” Ed è uscita dalla stanza. 

Grande e grosso

Siamo passati sopra una mattonella e la mattonella ha vibrato e si è smossa e divelta e ha traballato sotto il mio peso di cucciolone che va per i nove mesi di ventuno chili e sei. E mi sono ricordato allora che proprio ieri potevo passeggiarci sopra a più e più riprese senza che traballasse. I cani… ehm… casi – scusate – sono due: o sono ingrassato o non sono più un bambino piccolo. In tutti e due i casi, la situazione è critica e va affrontata. Il problema è che posso mettere in soggezione. E’ un arma a doppio taglio in mano mia e ho deciso saggiamente che devo averne estremo rispetto.

Da quando ci sono io qua ci si lamenta sempre che non ci sarebbe più tempo per l’attività fisica. Ma non è vero del tutto. E’ risaputo per tutta la città. Io sono un personal trainer su misura che porta a spasso a ritmo di gara: podismo puro! E fare il rally-con-Archie ogni giorno alle sei farebbe impallidire dalla vergogna qualunque maratoneta o umano che dir si voglia il quale portasse a spasso il proprio cane. Farei impallidire chiunque! E lo so. 

Saranno state le sei e mezzo e ci trovavamo al lavoro, nel primo parco da ispezionare stamane. Eravamo soli quando all’orizzonte sbuca il profilo di un cagnolino che conoscevamo, Trilly. Trotterellava con una pallina in bocca e si è messo in disparte sul prato seduto, ad aspettare la padrona al seguito. Questa lo ha raggiunto. Aveva le cuffie bluetooth. 

Il primo cane della giornata è speciale. Arriva proprio quando è tutto più bello, come una scommessa prima della partita. E’ una cosa seria. E quello che era il primo incontro di oggi che ha fatto? 

Ha ringhiato. Non fa niente. Ma la sedicenne con le cuffie bluetooth e il passo pigro e poco presente verso la Trilly ha finto di non vedere la mamma… Prima che il suo cane mostrasse i denti a me, facesse cadere la mamma e provasse ad azzannare. Uso abusivo di cuffie bluetooth!

Fortunatamente abbiamo proseguito interi fino al secondo parco da ispezionare. E all’orizzonte ecco il secondo cane della giornata. Terzo al massimo. Pioveva anche qualche goccia. Ma la mamma dopo solo un’ora di passeggiata era già stanca e voleva tornare a casa. Sarà perché tiro al guinzaglio ma io prima di entrare nel vialetto di casa mi sono appiattito sull’erba a osservare da lontano. E di nuovo, ecco avvicinarsi lo stesso cane. Trilly. Lo stesso cane di prima. Non avevo affatto voglia di giocare con lei. Congiura del fato! E dopotutto, avremmo potuto fare anche una passeggiata insieme, anziché dividerci per poi ritrovarci di nuovo sul tragitto comune così come era effettivamente capitato a noi. Ma la mamma ha avuto un’intuizione luminosa. Usare uno stratagemma vecchio: lei lo chiama… “il monopolio del parco.” 

Consiste nell’usare la complicità del proprio cane per sfinire con lo sguardo insistente l’altro cane a distanza. Voglio spiegare: in modo tale da ottenere tutto il parco per sé, la mamma si è piazzata a sfidare Trilly oltre una collinetta, noi su di essa, dove dominare la scena. Mi sono piazzato lì, con fare educato e fermamente fissavo Trilly. Le mie intenzioni erano chiare: intimidirla con la mia grossa stazza! Indovina chi l’ha avuta vinta… Io, il più determinato! Con la sola forza dello sguardo ho sottomesso l’altro cane che si è accorto di me quasi subito e cui è venuto il dubbio se volessi giocare oppure aggredire. Mi sono fatto sotto, l’ho avvicinato, ho fatto dei balzi esibizionisti, lui ha cominciato a scansarsi e si è fatto da parte. Matematico, no? Eravamo soddisfatti perché l’adolescente con le cuffie bluetooth aveva mollato l’osso.

Il cane nero

Quando pensi al futuro e lo immagini così roseo è matematico che… Arriva la iattura, lo sanno tutti. Infatti mentre era riuscita a farmi fare qualche centinaio di metri sulla via del ritorno e già pensavamo alla colazione succulenta, la preparazione delle valigie per Cattolica, il mare di domani: “Quest’oggi di nuovo pollo per te quando siamo a casa, Archie!” 

Un biscotto, ma ecco si avvicina il cane nero grandissimo. Sì, lo ammetto. Mi ha messo un po’ a disagio. Ha un carattere indeciso e represso che mi lascia sbigottito. Mi voleva montare. Ho deciso di no. E siamo andati via. Perché crescere è dura, per cani e umani. Ma il pollo addolcisce ogni giorno nel suo divenire. Chissà se per consolarsi per non essere riuscita a farsi i suoi comodi per tutta la passeggiata la mia mamma avrà mangiato del pollo. Comunque sia, io lo suggerisco. In ogni caso, quel cane vorrebbe giocare con me e la mamma non sa cosa fare per liberarsene, come se fosse una persecuzione. Lo incontriamo ovunque andiamo. Si ricorda sempre dove ci siamo incontrati la volta precedente. Questa volta ci siamo scambiati anche il numero, visto che la sua proprietaria è palesemente in asia e fissata con la socializzazione del cane, che ha… Degli evidenti problemi. Scalpita, si blocca per minuti interi sul marciapiede opposto. Ora con tutta l’insistenza che ci ha messo la proprietaria del cane nero per ottenere il numero della mia mamma… Andremo all’area cani la prossima volta? Non sarei in grado di sopportarlo. Comunque, se ne parla tra una settimana. Prima andremo a Cattolica. Prima della possibile denuncia per stalking.

Ferita al mare

Siamo arrivati al mare, dove ci sono i cani dei padroni che vengono in vacanza. È semplice. È una forma di razzismo. Sì, ma da parte di noi cani in terra straniera. Perché quando sei un cucciolo di otto mesi abituato alle attenzioni affettuose di tutti, trovi l’accoglienza romagnola in un paradiso dove ti puoi spoldrinare per terra in quella roba morbida che si spande tutta al solo passaggio di una falange della zampe e due domande te le fai. Ad esempio: sono Dio in Paradiso? Perché costruiscono città piene di auto solo per lavorare e dormire quando a un’ora di auto c’è il mare? Mi sono fatto tante di quelle domande che mi è venuto un coccolone…  

Infatti, potrei soffermarmi e raccontare per ore il dolore che ho provato quando quella sabbia mi è entrata nel povero occhio. Quell’occhio mi serviva, ehi! Ridatemelo. Chi me l’ha preso? Mi sono detto. Anzi, l’ho chiesto alla sabbia e lei mi ha risposto di portare pazienza e che non l’aveva fatto apposta. Ero stato io a gettarmi dentro con una foga così intensa e incontenibile che sarebbe stato inevitabile… Perdere quasi la vista da un lato. Oppure però sarei un cucciolo e la responsabilità sarebbe stata dei miei genitori? Ma loro ci tengono a me. Sarò veramente al sicuro con loro? Mi sono chiesto. Fortuna o responsabilità, è andata quasi bene. A parte il dolore e la preoccupazione. 

E’ stato un purtroppo massiccio ricorso allo spoldrinamento totale nella sabbia, dovuto a un eccesso di felicità non appena messo piede in spiaggia. Questo afferma tristemente il bollettino medico. E mamma deve essersi accorta che mi era entrato un quantitativo notevole di detriti nell’occhietto sinistro perché si è accorta che c’è stato un momento in cui mi sono rabbuiato. Ma credevo incredulo che sarebbe passato subito. Invece no. Fatta eccezione per la volta quando il pastore australiano Blu mi aveva azzannato superficialmente, non conoscevo cosa fosse il dolore fisico. Non avrebbero potuto immaginare mai i miei che ne avrei risentito. Così tra papà che tranquillizzava la mamma sortendo l’effetto opposto e lei che che contattava G., che fa anche l’infermiere, ha deciso che con pochi soldi quel collirio che le aveva dato il veterinario avrebbe potuto essere meno indicato: mi bruciava così tanto ed erano giorni che lo assumevo senza alcun miglioramento. Quasi sicuramente, doveva trattarsi di una diagnosi sbagliata. Non doveva trattarsi della sabbia. 

Allora la mamma si è come rassegnata. O rilassata, credo; complice? Il mare! Con il suo clima. E anch’io. E ho dormito. E mamma sapeva che come mi aveva fatto male il collirio sicuramente perché non le piaceva la reazione che avevo ogni volta anche una veterinaria che da Bologna ti suggerisce una teoria guaritrice avrebbe potuto sbagliarsi. E che dormendo non avrei mosso lo sguardo e ciò mi avrebbe giovato. 

Per un brivido incosciente e la voglia di farmi amare quel mare salato e caro che a prezzo notevole si fa desiderare ancora oggi, sarà stata l’aria di mare ma giorno dopo giorno non abbiamo evitato la spiaggia. E una sera – lo so, anche se non c’ero – mamma e papà hanno trascorso una serata così deliziosa a mangiare una piada a Gabicce mentre io riposando nella nostra piccola dimora intima guarivo il mio occhio che hanno dimenticato che in giro non si fa altro che bisbigliare nel nostro entourage che si lasceranno, sposeranno ma sicuramente non si tratta di tempi semplici a casa di Archie Ferrari… per noi tutti. Forse questo occhio con cui non vedo più bene mi dice che non ci vedo chiaro. No… Non in un senso letterale. Nel senso che questo piccolo occhio ferito è il segno di un’incapacità di guardarci per quelli che siamo noi in una famiglia come la nostra, dove litighiamo sempre.

Convalescenza

Ogni mattina sveglia alle sei. Al mare passeggiano molti cani socievoli. La spiaggia è invasa dai turisti. Io saltello tra una cozza e uno scoglio e lecco l’acqua, perché non si può. La mamma prima di sgrida poi nell’eccitazione mi incita e mi spruzza leggeri lapilli di mare sulle zampe. È una panacea. Il clima è dolce e durante il giorno posso rilassarmi sul letto, pensate. Adesso che sono in convalescenza si può. Naturale. Sì, proprio così. C’è sempre il lato positivo. Ci sono cinque letti in due diverse camere. E io posso sollazzarmi. Su ognuno di essi! Il balcone ha un angolino dal quale mi piace osservare riparato dal sole la strada. Sole che vi batte sopra soprattutto al pomeriggio e la mamma allora chiuderà le finestre per trattenere l’aria che esce dal condizionatore e le tende bene. L’unico danno che ho fatto da vera pesticciola quale sono poi è che ho divelto i tasti del telecomando del condizionatore appunto uno ad uno. E appartengono a chi ci ha affittato l’appartamento per una settimana. Ma questa volta la mamma e papà erano troppo impegnati a recitare la parte degli arrabbiati appena arrivati. Recitare. Non possono lasciarsi ancora ma nemmeno sopportarsi.

Guarigione

Non posso fidarmi più nemmeno di mia madre. Mi assale nel sonno. Mi inietta delle gocce a tradimento nell’occhio, dove ho la bua. Potrebbe somministrarmi della terapia per bocca alternativamente quindi non ho né scampo né quiete in questa casa. Proprio quando il dolore mi molla e io mi rilasso nella cuccia, ecco l’agguato che proprio lei, la mia amata mamma, mi fa collirio alla mano. Da quando il mio occhio sinistro ha avuto un danno alla cornea me ne capitano di tutti i colori. Qualunque sia stato il motivo del danno, non ancora chiaro, comunque il dato evidente è che non posso più andare in spiaggia. Comincerò ad odiare questo mare, se l’alternativa fosse odiare me stesso. Dicono che sarebbe peggiorativo per il mio occhio se anche solo una goccina salata raggiungesse le mie pupille. Bloccati in questo luna park! Dolore, panico nel sonno. Bruschi risvegli… Questa vacanza non mi piace! Voglio ritornare a casa… Tutte le volte metto piede fuori di casa felice di potere rivedere la spiaggia (che ne so io!) con quel mare immenso tutto da scalpicciare sulla battigia e immergersi abbaiando e invece… Adesso che non andiamo più in spiaggia insieme e il tempo i miei genitori lo dedicano sempre a me siamo tutti infelici. Chi verificherà se esistono degli occhiali per cani per proteggermi la vista, chi opterebbe per un collare Elisabetta buono davvero… Così ho cominciato in modo inatteso a migliorare. E ci siamo andati, al mare! Quant’è vero che si ama ciò cui non interessa nulla di te e anzi ti tradisce…

E l’estate dopotutto è così. Con il suo asfalto che scotta le zampine, le sue zanzare e le scomode condizioni, che rendono impossibile adeguarsi a una normalità. Ma tornerà tutto com’è sempre, prima o poi. 

Viaggiare liscio con il mio pelo raso e le orecchie al vento da vero pilota carrozzato sulla Route 66, in Tesla. Questo è il mio viaggio ideale. Mamma sul sedile sinistro si volta, le svolazzano i capelli, papà mi allunga un biscotto come fa di solito mentre è distratto alla guida. Non c’è nessuno a parte noi a percorrere quella strada senza curve… Voglio una vita on the road! Senza brutte sorprese. Mi accontenterei. Dietro l’angolo di casa, beh… Là sì, ho compreso che potrebbe esserci qualche pericolo imminente, dopo quest’esperienza di malore prolungato. Un gatto – che ne so?, – un tram impazzito. I pericoli sono dovunque uno non sappia aspettarsi. Ma nonostante tutta questa disavventura, che segnerà anche la fine e l’inizio di qualche ciclo naturale, il profumo che sento fuori dal balcone mi sa di libertà. Mi dice che qualcosa di bello ancora rimasto da scoprire ci sarà, oltre quei palazzoni così ravvicinati, da quando siamo tornati a casa. La mia casuccia. Ho imparato che non c’è posto come casa. Che la mia casa è una vera fortuna. Non vedevo l’ora di tornare qui. A qualcosa questa disavventura doveva servire pure a me: a farmi amare queste quattro mura dove sono al sicuro. 

A Bologna dopo le vacanze

Rivedere Bologna con un occhio solo è un’esperienza un po’ particolare. Il solito cestino in lontananza al nostro ritorno da Cattolica mi sembrava un cane. Così ho cominciato a fargli la posta e siccome non si muoveva lui, io ero appiattito a terra e lo aspettavo, la mamma mi ha osservato stupita… “Archie, che cosa vogliamo fare?” E con un fischio mi ha chiesto di alzarmi. Sconsolatamente, ho dovuto ammettere il mio errore e quando mi sono avvicinato di più e ho visto il cestino mi sono stizzito. Ci ho fatto la pipì sopra perché nonostante tutto faceva odore di cane, ho sbuffato ho preso contro a un paletto, allora mi sono grattato l’occhio gigio e mamma mi ha dato una sculacciata. Perché? Non era colpa mia se l’avevo fatta aspettare dieci minuti con l’odore della spazzatura in circolo a breve distanza. Incidenti che capiteranno a tutti, che vuoi che sia… 

Quando siamo a casa sono poi sempre vittima del collirio dato di nascosto mentre dormo. Ma sono le ultime gocce che prendo. Ha tanto l’aria di trattarsi proprio di un avvelenamento… È la prima volta che mi piacerebbe potermi dare alla fuga. Ma credo che sia impossibile. Ho ritrovato il balcone senza più rete protettiva – l’avevo divelta prima di andare a Cattolica, quasi un segno procrastinatore di quanto sarebbe avvenuto poi. Com’ero vigoroso e in salute, allora, quando i miei occhi potevano sgranarsi e osservare il magnifico risultato con tutti i quadratini della rete fatti a pezzetti proprio lì, davanti alle mie zampe fiere e slanciate, ritte nell’atto di sbranare la preda.


Un effetto collaterale poi è che la disperazione è diventata così tanto un’abitudine riguardo alle mie condizioni cliniche che la mamma e il papà ci hanno fatto il callo, si sono fatti ottusi e sordi ai miei sentimenti che, in risposta, si sono fatti più vividi e opprimenti. Adesso sostengono che pretendo troppe attenzioni. La verità è che anche se si prendono bene cura di me sono estenuati e anzi, si saranno dimenticati tutti che sto male. Non servirebbe abbaiare. Il mio dolore è muto. I cani non mostrano segni di sofferenza, tante volte. 

Suppongo che questo fenomeno dell’oblio familiare avvenga dal momento che non sono più un cucciolo piccolo e ho un occhio solo. L’altro è completamente chiuso ancora e… Umidiccio. Piange sempre. Fa troppo male avere un cucciolo che sta perdendo la vista. E mamma si rimprovera di non avermi portato per tempo dal veterinario, perché ha preferito in cuor suo aspettare a malincuore stringendo i denti per far contento papà, sempre convinto che si sarebbe trattato di un fatto transitorio legato al cambiamento climatico che ha comportato il viaggio a Cattolica. Papà suggeriva ottimista di aspettare e vedere se fosse passato spontaneamente il fastidio per poi rimproverarsi intimamente quando la mamma ha avuto ragione. Infatti la situazione è peggiorata. O meglio, andava e veniva. Che quando mi hanno messo il collare Elisabetta l’ho subito sfilato e me lo sono mangiato. Poi ho bucato il dispositivo gonfiabile che avevo sempre intorno al collo quale secondo dispositivo veterinario e prevenzione affinché potessi evitare lo strofinamento delle zampe sugli occhi, essenziale ai fini della guarigione. Per far capire ai miei genitori che potevano risparmiarsi di mettermi in ridicolo per strada come se fossi stato un fenomeno da baraccone ho fatto di tutto pur di sbarazzarmi del collare Elisabetta gigantesco e dei vari dispositivi. In fondo eravamo a Cattolica, suvvia! Non se ne parla di indossare una protesi così vistosa come ogni bagaglio che esiste in farmacia. Non c’è sensibilità né riguardo per il gusto estetico di ogni cane sulla faccia della terra in ogni farmacia ove sia possibile acqusitare un qualunque dispositivo medico. 

Adesso passo le giornate triste con il cuore infranto a dormire per ore perché non ho libertà di movimento con quell’enorme ciambellone grigio intorno al collo, il collare Elisabetta appunto. Ci sono riusciti ad infilarmelo, per quanto non volessi. Non passo quasi dalla porta di casa. Mi sento brutto. Mi chiedo a cosa servirà. Non c’è niente di peggio. Domani andrò pure dall’oculista. Chissà cosa dirà quando di me avrà l’impressione di un cane depresso e brutto. Ma io spero di guarire. Mamma mi fa coraggio. Con il pugno mi fa cenno di aver forza che ce la faccio a guarire. Non posso deluderla.

Ma quando sto tirando via dei pezzi dal divano mia mamma mi prende per il collare e tira, tira fino a quando sono costretto a farmi indietro. Troppo facile! Tu e il collare contro uno. Me!

Poi i facili entusiasmi mi hanno stancato. Non ci credo più. “Guarda, Elena: Archie ha aperto di un millimetro più del solito l’occhio!” 

Ma se fino ad oggi nemmeno eravate preparati per questo! Io lo so che non ho fatto alcun progresso. L’occhio mi fa sempre più male ed è sempre più rosso e ferito, sanguina dentro. Lo so. A mamma faccio solo compassione. Non posso vederla così. Invece dovrebbe farmi forza. Ed essere forte. Ma è fragile. Inesperta. La veterinaria osservando il modo in cui la mamma teneva il guinzaglio, a colpo sicuro è andata dritta al sodo, ha subito inquadrato il soggetto: “Primo cane, eh?” E si sapeva. Doveva capitare a me una proprietaria così inesperta e al contempo così carina e intraprendente. Proprio a me. E nessuno sopporterebbe nemmeno quelli che sottovalutano il mio problema. Ora quando ricevo un complimento per strada: “Che carino!” Vado in visibilio. Poi gli stessi mi guardano bene, vedono il mio occhio tumefatto e cambiano espressione, mi fanno impazzire di tristezza!

Non ho mai dovuto mettermi in coda per elemosinare affetto. Oggi invece le cose vanno diversamente che non nel passato. Mi rendo conto di quanto fosse bella la vita di prima. La vita con due occhi. Vorrei fare le cose di prima ma non riesco più.


Adesso che ho il collare definitivo poi posso solo dormire e aspettare, aspettare e dormire. Aspettare cosa? Che i miei genitori rientrino ogni volta che se ne vanno. E ci vanno giù pesante con i bagordi. E per forza, direte voi. Con una situazione del genere sarà pure necessario ritagliarsi qualche momento per sé. E invece sarebbe bello se a qualcuno piacesse la verità che so io. Archie è malato, noi usciamo a festeggiare la libertà che in questi sei mesi il cucciolo vivace ci ha tolto. Logico, no? Vanno in bicicletta al Circolo… Per chiudere gli occhi davanti al mio estremo bisogno d’affetto, alla mia richiesta d’attenzioni, al mio pianto inespresso! Vorrei loro tanto gridare questo che io solo so quale verità ultima. Almeno quando potevo grattarmi l’occhio perché non tolleravo il collare e l’avevo vinta perché lo distruggevo non ero mai solo. Mamma si assentava anche dal lavoro. Sto passando nel dimenticatoio. Mi sento inutile. Passato. Malato. Triste. Depresso. 

Cosa diranno le mie veterinarie ai miei genitori? Logico: li assolveranno! Non ho nessun altro. Non è abbastanza grave quello che sto passando? So che la mamma si sarebbe fatta una lista di domande da fare domani all’appuntamento oculistico: antidolorifico, possibile congiuntivite o comunque arrossamento sospetto e pregresso bilaterale, sabbia nell’occhio sinistro con sfregamento, terapia preferibilmente orale…

L’intervento

Siamo appena tornati da Cattolica e siamo andati dalla veterinaria come primissima cosa. Grazie all’estrazione del forasacco trovato nel mio piccolo occhio, con la pinzetta che la veterinaria sapientemente mi ha avvicinato senza minimamente spaventarmi, sono completamente guarito. E ci vedo bene! 

Adolescenza

Ora che sono improvvisamente guarito, come nulla fosse cambiato da prima che andassimo a Cattolica, mi ritrovo già in piena adolescenza. E mi godo la vita perciò. Per questo combino guai! Scavo il divano? Sono adolescente! Vado a mangiare le gambe del lettone passandoci sotto e non rispondo ai comandi? Adolescente! Non ditemi che devo imparare a stare seduto, ad andare piano accanto alle gambe della mamma… Sento che devo assolutamente vandalizzare qualcosa. Entrerei in frustrazione, come direbbe F., la dog-trainer che ora è in pianta stabile ogni giorno al telefono con la mia mamma. La questione sulla caccia? Rimandata a data da destinarsi. Intanto la mamma si tiene ben stretta l’amicizia con F., una “competente.”

Ma quale frustrazione e frustrazione! Non l’ho mai nemmeno conosciuta di persona, la frustrazione. E nemmeno la F.! Io questi genitori li detesto…

Complimenti: la nuova casa è in arrivo!

È una serata pacifica ma malinconica. Papà non c’è. Sarà questo il motivo della malinconia. Papà non c’è. Io sono con la mamma che mi guarda, sorride e mi punta addosso il suo strano marchingegno, quello su cui gira continuamente le dita e poi sorride di nuovo e dice: “Questa la posto su Facebook!” Fuori dalla finestra suona una melodia triste, a dire il vero e sembra tutto fermo improvvisamente. Credo che anche la mamma sia più in pace. Oggi sono rimasto a casa da solo nel pomeriggio per un tempo che sembrava non finire più. Capita all’incirca una volta alla settimana ultimamente. Pace. Finalmente. Non litigano più. I miei genitori sembrano aver trovato una tregua dopo tanto patire. 

Papà era appena rientrato in casa dopo i soliti piani di scale con l’aria stanca e provata di chi aveva compiuto un’impresa. Mamma a seguire con un cartone di spesa fatta al supermercato tra le braccia, ansimante. “Congratulazioni…” Congratulazioni sommesse ma vere e sentite quelle di mamma. 

Che ne sarà  di noi, ora che dunque è tutto vero e papà ha comprato casa per noi? Altrimenti, come spiegare quelle congratulazioni? Ma sì, come faranno le mie fidanzate, senza di me? E Diamond, il dobermann buono autistico che gioca solo con la sua pallina e guai chi gliela ruba (una volta ci ho provato e mamma mi ha portato via…) Lip! Per non parlare di Bacco, Piero, il cagnaccio rognoso del piano sottostante identico a me, il mio gemello cattivo? E il mitico Ares… Lo sapranno che senza la Holly io non potrei stare più di una giornata? Con chi giocherò al mattino alle sei? E poi mi mancheranno le mie prove di bravura alle strisce pedonali dove avevo imparato a mettermi in attesa paziente. 

E così il GPS “rimedio anti-fuga” non me lo toglierà più nessuno. Non me ne separerò più e diventeremo amici, anzi ne sarò geloso. Lo so già. E’ un localizzatore apposto al collare. Con tutti quei boschi di cui mi raccontano esserci nel modenese… Vuoi vedere? “Cane da caccia, cane che scappa,” eh? Per il mio collo affusolato come minimo voglio il modello Luxury. Cane “in cattività” è uguale a cane “castrato” (anche se mamma vorrebbe tenermi intero.) 

Così mi racconta dei boschi meravigliosi che ci sono là, delle immersioni trekking nella natura che faremo. Delle montagne, delle distese d’erba. Sarà vero? Ci sarà l’ascensore pure, vedrai. Sai che divertimento… E altri cani da “conoscere.” Figurati… Come se qui non ce ne fossero.

La ramanzina

Ho imparato a salire sul tavolo, sì e con tutte e quattro le zampe. Prima con due sulla sedia, poi… Si fa un saltello ed eccomi lì, proprio sulla bella tavola in legno massello che sicuramente sosterrebbe i miei abbondanti ventuno chili tutti da portare a spasso con una certa fierezza. Così, visto e considerato che il legno della tavola è buono e dopotutto io sarei un adolescente vispo e vivace, ne ho assaggiato un angolino. Molto buono, sì. Il legno puù buono che ci sia. Sa di ciliegie. Ma la mamma del cane Ugo stamattina alla passeggiata ha detto che non crescerò più. Chi sarebbe in grado di dire il vero? Comunque, dall’alto del tavolo stamattina ho osservato in balcone un fenomeno strano…

Sono sempre più sicuro che papà abbia comprato la casa di cui tutti noi parliamo con trepidazione a tutte le ore del giorno. Peccato che avessi notato dello stress da parte della mamma. E ho indovinato: crederete che la conosca bene, quando ve lo dirò – mia mamma teme che mio padre possa traslocare in collina nella nuova casa, senza di noi! Infatti… Chi fuma è stressato, giusto? Mica posso non saperlo io, che so perfettamente cosa siano lo stress e la frenesia; dopotutto, quando mi lasciano a casa per un’ora e io mangio il divano, questa sensazione impellente d’urgenza come vorresti chiamarla altrimenti! Così, ecco un altro altissimo tradimento! Il cuore della mamma non può dividersi fra me e… Le sigarette. Mi riconoscerò anche nei suoi sentimenti di stress e va bene. Ma… Si tratterà pur sempre di un oltraggio! Quando per un caso o forse per via del mio fiuto qualcosa ha attirato la mia attenzione verso il balcone e ho visto la sua ombra lì, avvolta in una nube, dal tavolo sove mi trovavo la prima volta l’ho fissata quando è rientrata dal balcone e sapeva tutta di fumo. Che schifezza insopportabile! I vestiti, la bocca se mi baciava, le mani se mi accarezzava. Ladra di carezze! L’ho fissata per farla sentire colpevole, ebbene sì! Passivo aggressivo io? Giammai… Il fumo sarà un passivo! Noi cani no… Non possiamo sopportare il fumo, fa male! Così con sdegno le ho voltato le spalle, mi sono fermato a distanza, lei che mi fissava mentre io insolitamente le giravo al largo e l’ho guardata oltre la spalla sinistra. Poi con un gesto del muso sdegnato mi sono allontanato da lei senza troppe lusinghe e sono andato a riflettere su come fare a salvarla da quel gesto ignobile e contrario ai valori di qualunque cane che si rispetti.

Sei stressata per il tuo lavoro, per la tua vita del cavolo, quella che fai oppure si tratta dello scarso tempo che hai? Non crederai veramente che papà potrebbe lasciarci? Ma dai… Portami a spasso no? Quante alternative avrai, su… Rifletti! Non ti ami abbastanza. Se ti amassi abbastanza non potresti fumare un’altra sola sigaretta fintantoché io ti guardassi di nuovo così. O ne avessi anche il solo pensiero. E comunque potresti pur sempre farlo per me! Se mi vuoi bene, come potresti resistere a me, il tuo amato cane? E mi dici sempre “Era l’ultima, Archie!” È inutile che ti profumi le mani, lavandole come fai. Suvvia, sono un cane da caccia… Sentirei l’odore di una cagnetta lontana a due chilometri se per caso ne passasse una di lì, in questo preciso istante! 

Inoltre, ti sei fatta la fama della rompiscatole. “Oddio, oddio! Archie potrebbe uscire dal cancellino dell’area cani… Non aprite quella porta se prima non ho afferrato abbastanza saldamente Archie per la pettorina!” E ancora: “Oddio, oddio! Quel cane ha abbaiato due volte ad Archie… Fermatelo, oppure andiamo via!” Una mamma ansiosa è normale. Ma tu. Sei una piaga. E lasciami vivere! Ecco svelato perché fumi: ansiosa! Ansiosa e stressata. E non venirmi a dire che dovrei essere solidale con te. Con una che per superare i problemi di coppia fuma sigarette dannose! Sono incavolato… Se poi ti fumi la tua sigaretta sempre con quell’aria di chi si nasconde da me, sappi che io lo so molto bene che fumi di… Nascosto! Non hai scampo… Ti prendo il “diario delle tue emozioni serali, che scrivi per superare i tuoi problemi” e lo riduco a brandelli. D’accordo, quello sarà anche già stato fatto a pezzetti… Ma questa sarà la volta della carta scottex. Poi tirerò fuori tutti i gingilli che papà ha nascosto dentro gli scatoloni per preparare il trasloco e ne disseminerò la casa mentre sarete altrove. Odio il fumo: ricordatene! E ricordati anche che sono pur sempre un cane adolescente. Per quanto obbediente, carino, affettuoso ho due belle amiche alane. Le hai viste molto bene all’area cani oggi. Facevi loro pure le moine rendendomi un po’ felice ma anche un po’ gelosetto. Le cucce, quelle, sono completamente dimagrite. Dimagrite! Proprio così, già. Dimagrite… Le ho fatte dimagrire a suon di… Morsi. Tutta la lana che avevano in corpo quelle bestiacce è fuoriuscita e quando siete tornati a casa e vi sembrava di essere in una nuvola. Sono stato io? Già… Modestamente è stata opera mia. Quindi? Odio il fumo, ora lo sai e per questo motivo posso metterti in guardia così! Lo svapo di papà potrei sopportarlo. Se provassi a togliere lo svapo a papà lui mi sgriderebbe e io potrei solo obbedirgli. Invece tu… Tu con una sola sigaretta hai dipanato ogni mio possibile riguardo verso di te.

Mestieri domestici

Ci sono alcuni giorni in cui la mamma fa sempre cose interessanti in casa e mi viene da inseguirla prima con gli occhietti, poi con le zampe. Mi ritrovo intorno alla sua gonna lunga che svolazza da un punto all’altro senza un perché. Mentre io sono incollato ai suoi piedi scalzi che camminano indaffarati, sembra che lei, decisa, sappia sempre quello che fa. Quello che fa è… Affascinante; determinata e serena, con le mani rilassate, ad esempio, la vedo sbucare improvvisamente dalla porta del bagno. 

Sarà stata sicuramente ad attingere acqua per versarla nella mia ciotola formato maxi.

Allora, io che mi trovo sdraiato a sonnecchiare sul pavimento di marmo del corridoio, la osservo distrattamente ed eccola pronta nel balcone a versare acqua alle piante, già. E dopo così tante meraviglie da osservare, va a finire sempre alla vecchia maniera. La spugna? Mi sembra una cosa oscena, è sporca, fa uno strano odore di germi: che cosa farà la mamma con quelle manine sante! Se le sporcherà! E se poi mi accarezzasse? Da dietro la gonna, le rubo la bestiaccia e sbatacchio tutto l’arsenale! Ma la casa mi piace, dopo. La mamma dice: “Adesso la casa splende, tesò!” Rivolta al papà. E io sento quel profumo di niente e quella sensazione di sicurezza così familiare. Mi distendo tranquillamente e dormo sonni tranquilli, benvoluto dalle carezze e gesti affettuosi dei miei familiari adorabili.  

La mia fidanzata, Sheila

Mi sono appena ricordato che quando ero un bambino piccolo mi divertivo a smantellare le piante. E infatti al momento il Ficus nel suo vaso enorme è stato spostato al di sopra della mia portata, su di una mensola. Il Ficus è velenoso e non è nemmeno bello pulire sempre la terra dal pavimento del balcone come accadeva quando la rovesciavo in continuazione da piccino. E così, dopo qualche ripetuto tentativo di raggiungere la pianta al di sopra di me, ho imparato nei mesi a disinteressarmi del Ficus. In fondo si trattava di tentativi fallimentari. Sembra anche innocua la terra da mangiare. Ma mi ha stancato, ha un sapore non sempre buono e i miei genitori fanno delle grida alte come nubi se oso masticare una zolletta di terra all’area cani: “Archie! Porta malattie, Archie!” 

Ha cominciato lui… 

Già, dovete sapere che noi cani litighiamo per accaparrarci le zollette migliori che estrapoliamo dalla terra, ricavate dal forellino dal quale si forma la creatura sacra, ossia la buca. Invece, è stato proprio così: facendo una buca nel terreno all’area cani, che… Mi sono preso una cotta per Sheila. 

Ha cominciato lei… 

La prima volta abbiamo litigato per la terra sotto una pioggia di rimproveri umani. Ma un momento dopo Sheila ed io c’eravamo già lanciati in una folle corsa a due mentre gli altri cani sonnecchiavano sotto l’ombra di un grande albero pieno di foglie. Erano così affaticati tanto da ansimare. Poveretti! Con il caldo che c’è! Ferragosto è alle porte e l’umidità ribolle nelle ossa: “Fino alle midolla…” Direbbe papà, distratto dal telefonino sempre tra le mani. 

Ma noi ci siamo dimenticati anche del caldo e abbiamo corso, corso e ci siamo rotolati subito, ci siamo scambiati delle effusioni. Sarà stato amore a prima vista? E’ più minuta di me, veloce come un levriero ma è una bastardina bionda con gli occhi azzurri furbissima. Ci assomigliamo proprio. Solo che io non sono furbo come lei. I miei occhi sono profondi, dolcissimi e acuti, di un morbido e avvolgente castano scuro. Quasi impossibile rubarle la pallina ma se capita, gliela lascio sempre volentieri anche quando fosse la… Mia di diritto. Sarà il mio ricordo per lei quando saremo lontani.

Il frigorifero

Il frigorifero è decisamente un oggetto di culto. Gode di tutto il mio rispetto. Peccato che oggi la mamma abbia appiccicato dello scotch super potente full power a prova di bomba alla sua anta. Questo come se io non avessi già individuato dove sta il dilemma e non sapessi quante leccornie dispenserà al suo interno. 

E’ tanto desiderabile che la mamma cucini. Si spandono degli odori irresistibili tutto all’intorno. Oggi ha fatto la pasta calda, la gramigna con le olivette al nocciolo più ben di Dio al tonno e tanto di colata con mix di formaggi più sugo al basilico! Lei la chiama così. Io? La mangio e basta. Adoro condividere quanto esce dalla cucina della mia mamma. Ma a volte in estate il caldo attenua l’appetito e questo non basta ad invogliare un cucciolo a mangiare la sua porzione di carne.

Ma la mamma si è ingegnata su come fare a farmi mangiare anche da inappetente. Tira fuori dal frigorifero delle cose. La verità? Faccio finta di essere inappetente. Resistere davanti alla porzione di carne favorisce la possibilità di potere mangiare leccornie dal frigo di diversa qualità. Farebbe venire l’acquolina ad un cane anoressico. 

Oggi ho appunto rifiutato il cibo. La mamma ha messo un maccherone appena cucinato sulla mano, me l’ha avvicinato al muso, io l’ho annusato. Poi ha aggiunto un melino. Ecco poi un pezzo di uovo sodo, olio d’oliva, mix di formaggio grattugiato, tonno… A piccoli tocchi, tutto questo poco prima della pappa vera nel barattolo. Infatti l’ho convinta che un antipasto dal frigorifero sia ottimale per invogliarmi a mangiare quanto mi spetta di ordinario al pasto. E’ un giusto compromesso per condividere in compagnia e un toccasana al contempo. La mamma era accontentata e mi è tornato l’appetito, anche in estate… Guarda un po’! Non appena messo in posizione seduta da bravo cane proprio davanti al frigorifero, tutt’alpiù mangerei tutto quello che mi viene offerto. 

La regola è: si fa tutto sempre gradualmente con un cane che fa il bravo… Problema è che non vorrei più smettere di mangiare, poi. Mangerei di tutto! Una volta che non c’era ancora lo scotch power full ho estratto dal frigorifero di nascosto tutto il salame dal frigorifero. L’ho mangiato intero. A fette no, ma è stato magnifico comunque. Bei tempi…

Achille

Oggi che è Ferragosto la mamma mi ha fatto fare una passeggiata lunga e serena, calma come non accadeva da tempo ed ero felice. Ho potuto trotterellare per tutte le strade cosicché percorrevamo anche quelle viuzze meno battute che non sapevo nemmeno dove si trovassero, prima e sentivo gli odori di altri cani che non conosco ancora. La mia curiosità aumentava insieme alla gioia. Ci facevo sopra delle pipì così liberatorie che ero veramente in visibilio. Anche se faceva caldo sentivo un venticello sul visino, tantoché non sapevo più se quella sensazione di fresco sul pelino fosse vero vento oppure semplice essenza di libertà ed ecco: Achille davanti a noi è comparso tutto d’un tratto. Con la sua espressione ebete, il suo morbido pelo di razza e quei modi rilassati. Dapprima sembrava tutto regolare. 

Lui era scodinzolante sotto il tavolino del bar in prossimità, appunto, quando io come faccio con tutti i cani comuni mi sono avvicinato. Ma lui non è un cane comune. Questo, almeno, secondo la sua brava mamma… La mia mamma, una mamma comune come tante, ha domandato educatamente, anche visto e considerato che la proprietaria stava aspettando qualcuno che le potesse portare al tavolo delle brioche e io mi sono subito messo a giocare. Così la mia mamma ha chiesto alla padrona di Achille, che ha la mia stessa età precisa: “Ci siamo già incontrati?” Ci sembrava di sì.

La signora ha detto in modo davvero “esemplare:” “Sì, mi ricordo.” E mentre io mi comportavo come faccio solitamente – giocavo con lui – ha fatto una breve pausa, quasi come se stesse riflettendo. Dopodiché ha riagganciato il discorso così: “Quanto tempo ha?” 

Le due facevano finta di non conoscersi?

“Dieci mesi.” E’ mamma a rispondere come se si trovasse interrogata improvvisamente dalla Polizia, a bruciapelo e a cielo aperto. Non ne capivo bene il motivo ma in quel momento ho notato qualcosa di strano. Non ne ero certo ma la signora sembrava sorridere in modo forzato davanti a noi. Allora ho pensato che sarebbe stato meglio andarsene. Del resto, stavano aspettando la colazione sedute all’esterno del bar.

“Già.” La risposta pensierosa ha reso perplessa mia mamma, che si è messa sulla difensiva. Due donne diffidenti, mi sono detto. Siamo messi bene. Contente tutte e due però si sono sorrise nel corso della pausa un po’ tesa che è seguita, osservando la scena di noi due cagnolini pacifici che scodinzolanti facevamo tanti giochi. E’ proprio vero che noi cani siamo migliori degli umani, in tanti casi. Di sicuro non siamo falsi come loro. Né tesi come loro. 

“Ha la stessa età di Achille…” Allora la signora si è fatta avanti un po’ con maggiore apertura verso la mamma ma le ha dato subito del “tu” e questo fattore a lei non è andato del tutto giù inizialmente. Mia madre ha cercato di non fossilizzarsi sul dettaglio forse involontario del “tu” e si incoraggiava intimamente ad essere più gentile. Si diceva che noo due piccoli cani avevamo la stessa età, in fondo, anche se si conoscevano a malapena per via delle interazioni avvenute raramente tra me e “Achi” e anche se si sentiva oggetto di un piccolo terzo grado ha fatto buon viso, davanti alla dimostrazione di scarsa naturalezza verso di noi, agita però con un certo grado di educazione, almeno in superficie. Ma qualcosa non ci convinceva. “E’ buono?” Ha chiesto la signora. Una domanda che fa impazzire la mamma tutte le volte. Non si chiede mai se un cane è buono! 

Non ricordo se abbia usato questo o quell’altro aggettivo (buono, bravo,) tuttavia quanto di cui sarei certo è che mia mamma si è sentita spodestata. Allora ho capito. Erano a disagio per chi fosse il cane migliore tra di noi! Certamente, ora era tutto chiaro. Se non mi fossi allontanato, le due donne sarebbero venute anche alle mani per quella competizione tra mamme senza una vera ragione se non la gelosia e forse il dato della coevità tra cani.

Così abbiamo proseguito perplessi per la nostra strada chissà come mai. Avevamo la sensazione che fosse appena accaduto qualcosa di insolito e avevamo ragione. La stessa sensazione, ma più intensa mi ha colto quando giunti all’altezza del barettino su via B. all’incrocio, proprio prima di attraversare, nonostante fosse verde per i pedoni non ho potuto fare a meno di soffermarmi a osservare Achi contornato dall’affetto dei suoi familiari che sfoggiava un sorriso felice e si prendeva tutte le carezze dei passanti e della famiglia e non potevo smettere di gioire e pregustare l’idea di incontrarlo ancora. 

Fatto sta che mamma per la prima volta s’era sentita scalfita nell’orgoglio di mamma. Si era sentita sfidata. Perché le manca qualcosa a livello di contesto familiare. Anche lei ha guardato nella direzione di Achi. Con papà litiga troppo. Aveva colto qualcosa nello sguardo, forse anzi nel naso che aveva storto involontariamente la signora per vaga competizione, un miserabile cenno del viso che l’aveva fatta innervosire come se qualcosa le avesse appena suggerito che questa si sentisse più fortunata, ma… Ha cominciato a farsi qualche piccola ma insidiosa paranoia sul proprio conto intimamente e pensava e ripensava dentro di sé: “Sarò all’altezza? Avremo meno amici di loro? Archie sarà davvero tutelato per tutta la vita, nonostante io e papà siamo una coppia così incerta e abbiamo tante difficoltà, economiche anche?” Aveva visto quella signora così convinta di sé e della propria bontà di mamma di un cane. E poi, dopo i nostri tre piani di scale mi sono messo a giocare con la nuova rotella dentata di gomma che mi hanno regalato i miei genitori per il complimese numero dieci.

“A quel cane non manca nulla. A noi sì.” Ha sentenziato allora la mia mammina.

Giocattoli

I giochi per cani sono davvero cose strane. Io amo di più i giochi da bambini e ragazzi. Solo che i bambini non sanno come si gioca con i giocattoli, non sanno la fortuna che hanno. Si fa così. Delle bambole l’unica parte da potere prendere in considerazione sono gli occhi. Questi si possono prendere tra i denti, si stringono finché non vengono via, si fanno circolare per il pavimento spingendoli con il muso e le zampe mentre si rincorrono e così con tutte le parti del corpo finché il gioco finisce per mancanza di pezzi. Lo stesso con i puzzle e le carte da gioco, i dadi. Adoro sbatacchiare, spingere… Non c’è nulla di meglio. Che spreco… Io voglio che tutti i bambini sappiano cosa significa essere un cane!

Sigarette: che mania!

Io sono un cane da caccia. Ho un fiuto sopraffino. Se la mamma inalasse una sostanza nociva, mi preoccuperei. E così infatti da quando fuma la guardo preoccupato e mantengo debite distanze. Lei si sente in colpa e si allontana. Allontanarsi da un cucciolo? Svolazzando la mano? Così ogni volta. Guai mai! Così, oggi ho messo in atto un gesto di protesta potente. Semplice resistenza passiva, certo. Ma la mamma mi aveva davvero stancato. Deve smettere subito o diventerà anche dipendente da quella robaccia! Insomma, se voleste sapere cosa avrei combinato, potreste ancora leggere quanto avrei da raccontarvi.

La mamma è arrivata vestita bene dopo la colazione ferragostana con papà a fumare in balcone e rilassarsi. Aveva pochi minuti. In fondo, avrebbe dovuto immediatamente cucinare il pranzo festivo. Ma io sono arrivato lì prontamente correndo come un matto e mi sono piazzato sotto il sole diretto che batteva sulla mia testolina amata e la guardavo di sottecchi con sguardo determinato. Come mai? 

In pratica ho messo in atto un sit-in. Sit-in… Dai! Per chi non lo sapesse, si tratterebbe della riunione più dissidente che c’è. Nelle piazze, nei paesi. Tutti sanno cosa sia un sit-in. Basta sedersi e fare… Sciopero, anche se per un solo istante. Fino a quando un desiderio non fosse realizzato. 

E la mamma si è allontanata? Certo! Sa quanto sia insopportabile per me respirare quell’odoraccio. Così, entrata nel cucinino dove predispone il mangiare e gli odorini si spandono fino alle mie narici, ha miracolosamente cominciato a predisporre gli avanzi e le pietanze in tavola: si è messa buona, al suo legittimo posto. Ha sùbito spento la sigaretta. Vittoria! Poi è scattata fuori, liberate le sante e abili manine e afferrata saldamente l’asticella sulla sinistra del balcone sul cui pavimento intanto sarei presto diventato rovente, ha srotolato tutto il grande tendone che mi piace tanto perché getta un’ombra raffrescante sul mio corpicino di cucciolo dolcissimo. Altro goal! E due punti per me. Mi ha dato un bacio e un abbraccio davanti all’inquilino antipatico dell’appartamento accanto che non mi fa mai socializzare con il suo cane. Ho vinto io la partita.

Ho tanta voglia di abbracci, di carezze vere. Ma non di quelle date di corsa, né quelle di circostanza. Me ne vorrebbe una valanga. E non amo fare i video per il canale online. Non mi fido tanto perché dietro a quel telefono papà sembra tanto infelice e non so il perché ma mi fa sentire un po’ trascurato. Come se più importante di me fosse qualche risultato che si può ottenere grazie a quel telefono. Sarei piuttosto mal disposto e diffidente verso i telefoni. Non mi ispirano affatto. Anche se mi sono un po’ abituato e lo lascio fare, ciò non mi appartiene davvero e tante volte volto la faccia.

Ci sono cose che anche a me non vanno giù insomma e ne ho appena individuate due: il fumo e gli smartphone.

Mi piace tanto la compagnia degli umani. Di solito mi complimento mentre si andasse da qualche parte con quello che sembra il più anziano. Mi avvicino e lo guardo dritto in viso negli occhi per fargli capire che ci sono, può contare su di me e per farmi notare con aria propositiva. Allora scalpito e sorrido per mostrargli la mia stima e allora questi mi dona una carezza o una moina con simpatia; una moina di liceità a essere me stesso e io sono già soddisfatto e felice, mi lascio andare. 

Ieri sera quando il nonno-papà-di-mamma è venuto da lontano per la festa che ogni tanto facciamo in famiglia, per la via mi sarò avvicinato a cinque pizzerie, “Non vedrei l’ora di entrare: sbrigatevi!” E tiravo, tiravo… Poi siamo arrivati e abbiamo cenato. Pezzetti di carne, camerieri coccoloni. Spazi nuovi, crocchette da masticare. Luoghi da conoscere. Un osso preso di proposito per farmi stare sdraiato. Sono queste le rare occasioni in cui posso far caso a come sia il vero mondo lontano da casa. Di solito le passeggiate mi piacciono, ma sono fatte per una routine piena di tranquillità. Io sono un tipo più avventuroso, invece. Così appena sono arrivato a casa ero in visibilio per tanti stimoli e novità e sono caduto in un sonno profondo.

Benvenuto, autunno!

Stamattina camminavo per quel sentiero dove non passano mai tanti cani, sfortunatamente, tutto ombreggiato: ci sono degli alberi che formano come una cupola su in alto, quando alzo gli occhi al cielo e sembra una nube tutta bucherellata oltre le cui fessure è ancora possibile intravedere nel cielo degli spiragli di luce e a volte degli spicchi di sole. Allora, ho visto cadere qualcosa che volteggiava. Così mi sono scansato e ho osservato quel misterioso velo leggermente rigido e dalla forma sottile. Papà dice che ho il naso importante. Infatti ho un grande fiuto. Un fiuto sopraffino, come dico spesso. E ho annusato quella crosta caduta dall’alto lì, proprio ai miei piedi. Sapeva di vecchio. Non mi sono fidato troppo. Ho ripreso la marcia a ritmo sostenuto che abbiamo sempre ma qualcosa mi diceva che sarebbe capitato ancora. E infatti mi è caduta una di quelle strane crosticine sulla testa! Ho fatto uno scatto di lato per lo spavento – io ho paura anche della mia ombra – e ho colpito gli stinchi della mia mamma. Lei mi ha accarezzato rassicurante, anche se aveva detto “Ahia…” Ma i miei piedi anche quando abbiamo ripreso la nostra passeggiata nel vialetto scrocchiavano insistentemente su qualcosa senza che potessi farci nulla, così mi sono fermato e ho guardato sotto di me quei cracker del caso e ho chiesto spiegazioni. 

“Amore mio… sono solo foglie!” Ha ridacchiato la mamma. E io le ho sorriso e mi sono messo a correre fino all’incrocio con il marciapiede laddove proseguendo verso destra si arriva fino alla nostra casetta, poco distante. 

Ma da dove vengono le foglie? Perché cadono? Non dovrebbero rimanere sempre al loro posto, verdi, sugli alberi, come si conviene quando si è bravi? Mamma mi ha scattato la foto mentre annusavo questi secchi cracker che profumavano di vecchio, le signore foglie. Non mi piacciono. E’ la prima domenica della seconda parte del mese di agosto. Qualcosa sta accadendo.

Divano e coccole 

“Grazie al Cielo! Giovedì comincerà il periodo fresco.” Ho anticipato con il mio passo svelta la mamma di qualche secondo entrando per primo nel salottino dove c’era papà già pronto e seduto sul divano ad aspettarci. Trascinavo il guinzaglio con me con la lingua di fuori dopo la scalinata al piano nel nostro ridente alloggio, dove la sera è tanto bello prendere le coccole dei miei genitori sul divano in mezzo a loro, se sono abbastanza fortunato e me lo permettono. Papà ha sbadigliato, era appena sveglio: “Le previsioni non ci prendono mai.”

Non accade tutte le sere che sia possibile prendere le coccole spaparanzato sul divano tra i miei genitori. Ma ieri avevo anche la pallina in bocca. Quella che suona e che papà detesta se ignaro la stringo tra i denti mentre lui è a letto a dormire. La mamma sostiene che il motivo sia che quando suona lo farebbe destare dal sonno. Ma a questo giro, quando lanciavo la pallina giù dal divano la mamma me la raccoglieva, rideva paziente e me la rimetteva in bocca. Io la mordevo felice. Produceva il suo suono, cadeva, mamma me la consegnava, rideva, io ero felice. Intanto mi coccolavano tutti e due. Mio padre mi faceva i complimenti. Anche se intanto mi ha fatto anche il solito video da piazzare online, stava andando molto bene la serata.

A volte i miei genitori non vogliono che io salga sul divano, questo anche se mi piazzerei laddove c’è già la buca personale che mi sono scavato da solo! Con tutto l’impegno che ci ho messo questo è un fatto davvero strano… Questi genitori come si comportano male, alle volte! Ho tolto i pezzi di gommapiuma, divelto il pezzo di ferro. La classica buca. I bambini ricevono complimenti per i loro disegni del cavolo, noi cani neanche se facciamo un’opera d’arte! E poi il divano è mio. L’ho palesemente conquistato con tutte le mie energie! 

Come se non fossi abbastanza educato. La mamma vuole sempre ammettermi nella buca, ma poi la copre costantemente per “bellezza se ci sono ospiti” con una coperta rossa che… Prima era a mio uso esclusivo nella cuccia! Non avranno soldi nemmeno per acquistarne altre. Ladruncoli… Tuttavia la mamma da tre mesi al mattino esce e mi lascia tutta la mattina a dormire a casa accanto al papà.

Insomma, al momento delle coccole della sera con la storia che non sarebbe autoritaria papà si prende tutta la metà migliore del divano e io vado a finire sulla poltrona che non usa nessuno mai a parte me. Ho una poltrona vera tutto per me. E allora? Era di mia mamma. Lei non ha più il coraggio di sfrattarmi. Sarebbe poco tenero. E non è una fortuna possedere una poltrona per sé, quando si vorrebbe essere sempre sul divano. E’ una persecuzione. Prendo le coccole con tutta la sensibilità di cui sono capace e me le godo a più non posso, quando ci riesco, respirando ogni istante di pura emozione se capita: pochi minuti dopo infatti mamma e papà usciranno adesso che è estate e andranno al Circolo M. Mi affaccio ogni tanto allora sul balcone che dà sul nostro garage e li vedo salutarmi mentre prendono la bici. Anche se questo non accade tutte le sere, grazie al cielo. 

La mamma non sarà autoritaria, ma è molto precisa sulla mia sicurezza. Quando esce con papà, la sera, non vuole mai che la porta finestra del balcone rimanga aperta. Anche se non l’ha mai detto, credo che quell’altezza vertiginosa di tre piani potrebbe essere pericolosa per me. Infatti tutta la reticola che metteva al riparo me e il famoso Ficus non è ancora stata sostituita. Tuttavia, non potrei conficcare tutto il mio corpo tra una sbarra e l’altra, andiamo! Servirebbe una pressione immane. E’ illogico temere un incidente.

Ma quando passerà l’estate la mamma e papà non andranno più al Circolo M.? Potrebbe essere che rimarranno a casa… Ciò potrebbe significare solo una cosa vera per me: molte più coccole sul divano, davanti alla televisione.

Per sempre coccole

Anche quando siamo a casa assieme, poi, con l’arrivo dell’autunno da qualche tempo papà si è accorto che la sera, quando dovremmo essere tutti insieme intenti a guardare la televisione, io mi prendo tutto lo spazio necessario per le coccole sopra il divano. E la mamma che fine farà? La mamma si trova relegata ad un angolino sempre con il suo sorriso ebete stampato in faccia mentre io fisso papà in cerca delle sue attenzioni maschili per giocare alla lotta. 

“Archie…” E’ papà che interviene e mi intima di spostarmi un pelino. Una volta solo minaccioso ma con la voce simpatica è un rimprovero lieve e significa solo scansati. “Archie” più “deciso” significa proprio scendere immediatamente dal divano! Allora io ci giro ancora un po’ intorno imbarazzato finché mamma si sente in colpa e dice come potrebbe fare la gallina innamorata del suo pulcino: “Fallo rimanere sul divano…” Papà le dice di tacere indispettito, perché quella è la sua decisione e vuole più rispetto. Ma nel corso di questo saliscendi dettato dalle decisioni contrastanti di mamma e papà io che farò? Le montagne russe, andata e ritorno. Divano-pavimento, pavimento-divano. Infine, papà impone severamente alla mamma di non guardarmi. Altrimenti potrebbero venirle i sensi di colpa.

Oggetti smarriti

Questa mattina mi sono svegliato tranquillamente che c’era già abbastanza luce e calore. Dopo essermi scrollato e sgranchito bene mi sono alzato e ho trotterellato come di consueto fino al lettone dove dormono i miei genitori, come prima cosa. Le mie zampe emettevano il solito ticchettio sul pavimento. Sono stato attento a non svegliare papà, anche se ero ancora assonnato e i miei sensi rispondevano solo parzialmente al richiamo dell’intelletto. Ho leccato un alluce alla mamma per svegliarla piano. Lei ha aperto un occhio e mi ha sfiorato il muso, visto che il mio naso è importante. Così la mamma mi dà sempre un buffetto lì, proprio a un millimetro dal naso. Non sul naso propriamente detto. Il naso, o meglio “tartufo,” come si chiama il naso dei cani davvero, è sensibile al tatto e agli odori. 

Ho lasciato dormire la mamma un altro quarto d’ora di tempo e poi sono tornato da lei, visto che non aveva ancora avuto la forza di alzarsi. Questa volta le ho concesso tutto il muso appoggiato sul materasso altezza faccia, occhi negli occhi. Tutto il muso pronto da accarezzare. Lei mi ha baciato la testa. Solo? Così le ho fatto coraggio ergendomi con le zampe anteriori sul letto e scodinzolando e così, piano piano lei ha deciso di sollevarsi. Ma era rigida come un palo. Aveva dormito poco e male. La sera precedente ne avevo combinata una delle mie io.

In realtà, potrebbe essermi utile a capire bene che cosa potrebbe essere effettivamente accaduto andare un po’ a ritroso, perché non… Mi ricorderei tutto; la verità? Non so nemmeno metà di quanto potrebbe essere accaduto! Penserete che fossi ubriaco. Invece non è la risposta. Ora proverò a unire tutti i puntini di questo disegno e vedere cosa ne verrebbe fuori…

Ricordo che papà dapprima ha spalancato l’armadio. Ha detto alla mamma di evitare di cercare alcunché. Lei non trova mai niente, neanche di mio. Così, la mamma, senza nemmeno agitarsi, se ne è andata in soggiorno mentre l’agitazione di papà cresceva a dismisura. Lo sapevamo in due. Io l’avevo preceduta nel punto più lontano della casa, nel cucinino… In attesa che accadesse qualcosa. Il mio istinto di sopravvivenza mi aveva detto di allontanarmi dall’area della casa dove il papà stava cercando sempre più ansiosamente un oggetto. Qualunque cosa fosse, poteva trattarsi solo di qualcosa di davvero importante per lui e sapevamo che finché non fosse saltato fuori da qualche parte lui non sarebbe stato soddisfatto. Siamo rimasti in attesa abbastanza tranquillamente per venticinque minuti, anche se incuriositi dal comportamento strano e inspiegabile di papà. Ma abbiamo cominciato ad avvicinarci insieme pieni di curiosità al frigorifero: fame nervosa, credo. Io drizzavo le orecchie nel mentre che cincischiavo il formaggio che la mamma mi dava per tranquillizzarmi mentre la tensione cominciava a tagliarsi a fette. 

Le drizzavo per sentire se fosse stato possibile udire alcunché dal lato della casa opposto, quale indizio su come andassero le ricerche di quella cosa qualunque che tuttavia non si sapeva cosa fosse. Udivamo dei tonfi. Qualcosa che strusciava. Un’incarto che si apriva. Un’anta che si spalancava. Ma l’esultazione tardava ad arrivare. Un richiamo familiare a tornare al nostro posto davanti alla televisione rassicurante come sarebbe suonato noi l’attendevamo… Invano. Il rumore di zaini che si aprivano e chiudevano e dei ronzii inquietanti riempivano la distanza tra una stanza e l’altra e noi ci stavamo pure annoiando. Ci siamo guardati l’un l’altra e abbiamo continuato ad aspettare. Ma la mamma ha preso l’iniziativa e stava per attraversare la casa nella direzione della sala, quando un grido colossale ha squarciato il silenzio gelido. Papà è uscito. Prima dalla sala, poi addirittura di casa. “Archie…” Sentivo che qualcosa era andato storto e questa volta stavo per beccarmi la ramanzina del secolo. “Sei sicuro di non aver preso inavvertitamente qualcosa di essenziale che apparteneva al papà e averlo perso da qualche parte, ad esempio la sua… Carta di identità elettronica appena fatta?”

Fatto sta che il papà ora se n’era andato e non avevo udito nulla uscire dalla sua bocca quale spiegazione. E’ stato molto triste. Il silenzio è la reazione peggiore che possa emergere dal cuore di un uomo rumoroso ed estroverso come papà.

E io avevo appena capito che di sicuro noi cani da una parte non sappiamo se qualcosa non va bene a farsi e dall’altro vorremmo saperlo. Semplicemente, tutto qui. Siamo fatti così. Innocenti. Se prendiamo un gingillo, questo va bene? Non lo sappiamo. E la carta d’identità sarebbe stata ritrovata solo mesi dopo, sotto il mobile in soggiorno, quando la mamma ha ritrovato un pezzo di sé mentre era invece alla ricerca solo di un mio giocattolo smarrito, quando era troppo tardi per riunire la nostra famigliola.

La pappa

Nel corso di questi miei primi mesi il rito della pappa si è evoluto parecchio. Ma ad oggi, prima di tutto la mamma mi mostra il barattolino. Però è inodore. Allora io lo guardo e faccio tanto d’occhi, finto sorpreso, come volendo dire: “Beh, cosa sarà quella roba lì?” 

Allora la mamma piano piano fa un gesto un po’ teatrale e lo apre… Dice: “Sorpresa!” 

E mentre si apre, questo fa il rumore di un guscio che viene via. Un rumore molto piacevole. Un rumore che prelude al momento in cui semplicemente potrò avvicinare il mio naso importante alla carne succulenta. L’odore rivela il contenuto. Pollo, fegato, al limite… Buon manzo. Il sapore che preferisco è quello del manzo. Il pollo è da bambini. Il fegato non lo conosco bene. Sarà da cani anziani. Quando c’è il fegato faccio un po’ di fatica ancora adesso. Ma in generale va molto bene l’appetito anche se da piccolo in estate con il caldo facevo fatica a mangiare. Così al momento ho messo su dei chili. 

Quando la scatoletta si fosse aperta, mi sarei avvicinato prontamente ed avrei cominciato a dare qualche leccottino alla carne. Ma la mamma non vorrebbe che mi soffermassi troppo in quell’atto: “Alt! La scatoletta – dirà – potrebbe far fare alla povera linguina la sorte che tocca alle dita di un bimbo a contatto con la carta, occhio! Archie… E’ tagliente!” Così la mamma toglierà il coperchio alla confezione e quando lo avrà buttato via, sfoderato il mio cucchiaio dedicato, deve essere attenta sia a sorreggere la scatoletta, sia a posare la ciotola e, in più, maneggiare il cucchiaio per sfamarmi con un primo boccone. Lo mangerò avidamente. Non può mai essere semplice, soprattutto quando io fossi affamato come un vero lupacchiotto!

La mamma in quel momento avrà già predisposto senza che neanche me ne sia accorto una prima porzione, versata direttamente dal barattolo di carne alla ciotola! La mia amata ciotola, una terrina da forno rossa con dei pois bianchi simpatici. Ma prima di mangiare, solo a quel punto leccherei un po’ il cucchiaio e me ne andrei. Allora la mamma si sarebbe nascosta nel cucinino. Io mentre che lei non mi avesse ancora visto mi sarò avvicinato al piattino e avrò mangiato. Sono un po’ timido… Ma con la mamma non ho segreti. Allora lei avrebbe già fatto ritorno e finito quel primo assaggio, nella ciotola avrebbe versato il resto del contenuto gustoso. E prima che io avessi finito di mangiare anche la seconda parte della porzione ecco che avrebbe già spostato contro il muro la ciotola, affinché potesse rimanere ferma per il boccone che rimane sempre sul fondo come ogni volta – ed è fatta! Allora quando avessi mangiato tutto mi complimenterei con la mamma e lei mi farebbe le coccole. 

Ma nelle ore calde dei pranzi in estate è molto difficile mangiare. Se non mangiassi la porzione la mamma la metterebbe subito nel frigorifero. Ma la pappa fredda mi convince meno, anche con la canicola. La mamma ci spera sempre che mi vada giù. Ma non si potrebbe immaginare quante porzioni sarebbero andate a finire buttate. Per questo motivo, non sai quanti guai…

Una bomba in Paradiso

L’estate sarebbe andata in mille pezzi. I suoi pezzi avrebbero cominciato a piovere dal cielo sotto forma di gocce. Devono aver messo una bomba su da qualche parte in Paradiso. Dev’esserci stato qualche attentato lassù. Ho sentito un rumore deciso provenire da lontano. Un rombo. La mamma ha detto: “Si è rotta l’estate!” E si è portata una mano alla bocca, facendo tanto d’occhi e non poteva scollare lo sguardo dall’orizzonte. “Piove… Finalmente!” 

Finalmente? Ma come! Si comincerà con la storia degli impermeabili. E dei raffreddori. Sì, ma non quelli da due giorni chiusi in casuccia con i famigliari che tanto sono in vacanza. Quelli… Pesanti con il naso chiuso, la bocca aperta, le notti insonni e il termometro su per il sederino. La veterinaria che irrompe in casa. E diremo addio alle mosche, porca vacca… Mi piace scacciarle! I merli migreranno? 

Insomma, la mamma, ispirata dal clima piovoso, per tirarci su ha improvvisato il primo piatto invernale della stagione. Già. Se proprio volessimo giudicare il suo tempismo, con l’anticipo di tre mesi dall’inizio dell’inverno, effettivamente questo si potrebbe paragonare a una sola cosa così romantica, ma così romantica che mi vengono già i lucciconi… Gli adolescenti che si prendono il raffreddore per indossare la prima t-shirt alla moda ai primi cenni di primavera! La mamma soffrirà di crisi adolescenziali? Avrà nostalgia dei bei tempi del liceo classico. Bingo! Proprio così. Presto detto: ha cucinato un piatto grasso e bisunto! “Mi ricorda così tanto le merende che facevo alle medie!” Adesso sì che si spiega la tendenza di mamma ad ingrassare. Dev’essere un’abitudine, un retaggio alimentare della sua adolescenza.

Mentre la mamma cucinava, con lei che era tutta intenta a creare io andavo così fiero, mentre poteva sentire spandersi il profumo di cucinato e immaginavo le espressioni goderecce di tutti i passanti e i condomini! Così, per l’invidia di tutti. Tanto che la mamma si sarà bruciata con la padella almeno quindici volte. Le ho contate. Infatti doveva pensare alla padella che non la bruciasse, al mangiare che cuocesse correttamente e anche a me che non abbaiassi come un cucciolo di sei mesi a tutti quelli che giù dal balcone avrei voluto invitare a merenda. Penserete: un piatto grasso e bisunto a merenda? Pesantuccio… Questo secondo voi ma per il mio stomaco tutt’altro!

Non ragù, non una dei fagioli all’uccelletta. Ma cosa esattamente allora? Comunque sia, nella sua performance è stata eccezionale. E mentre le sue mani pulivano i peperoni (leggeri leggeri) e si inventava il nome del piatto conversava con me: “Archie, che cosa ne pensi di questo pezzo di pollo moda kebab?” Non saprei cosa potrebbe c’entrare un pezzo di pollo con quella che hai nella padella e sembrerebbe più una peperonata così, a prima vista… Le ho detto io con gli occhi. E lei ha inveito. Ti sei tagliata un dito? Le ho leccato il dito. “No, non è niente.” Ha fatto una pausa. Poi ha aggiunto: “Ho della mozzarella.” Dammela. Niente, è finita nel ripieno della ricetta. 

Affettato di rosso e di giallo e di verde il mix verduroso friggeva insieme alla cipolla e io mi stimavo in balcone ancora per quell’exploit improvviso del taglio della mozzarella e anche se non odorava bene come il peperone potevo ammirare sempre di più la mamma per la sua fantasia in cucina. Non importava non avere tanti ingredienti in aggiunta. Il risultato sarebbe stato comunque eccezionale! Sono arrivati tutti i cani del vicinato a sentire gli odori. Li ho mandati a quel paese e sono entrato con una mossa stimolina del sederino.

Saranno stati mesi che tra una lite e l’altra mamma non si metteva davvero ai fornelli come sa fare lei davvero! Incredibile… Sono stato così fiero di lei! E che ti fai e che ti disfa ecco che la mamma ha appena sfornato un succulento piadinone su cui poggia il ripieno verduroso al formaggio! Papà sentendo il richiamo del profumino dal salotto è arrivato in punta di piedi e si è infilato in cucina. Mamma gli ha servito il piatto. “Ma che roba sarebbe?” 

E lei ha ribattuto: “Cucina messicana purissima, ovviamente. E’ un taco!” 

Papà ha deglutito. “Lo mangerò dopo.” E’ fissato con la dieta. E’ l’unica spiegazione. 

Oppure era da troppo tempo che la mamma non cucinava e non è più abituato a mangiare i suoi manicaretti. Non c’è ragione infatti per pensare che la mamma cucini male. O mi sbaglio? Io mi rifacevo gli occhi che intanto brillavano nell’ombra e mi leccavo già le labbra. E ora? Che fine farà il taco farcito leggero leggero per merenda? Adoro gli avanzi. Se fosse vero che sarebbe finito nel frigorifero, lo sapreste già.

Comunque, è venuto un capolavoro. 

Ma come ho fatto in tempo a rendermi conto che stavano mangiando a tavola il mio taco prelibato ero ancora intento a sognarlo con la lingua di fuori a sei metri di distanza presso il frigorifero! Amore platonico: è andato letteralmente divorato tutto da quegli famelici egoisti dei miei legittimi genitori.

Una passeggiata

“Archie… Andiamo?” Avevo appena drizzato le orecchie, disponibile ad udire il richiamo della libertà che arriva negli odori presenti fuori dalla finestra che percepisce il mio naso, se mi affaccio appena al balcone, come ogni volta prima di una passeggiata. E quando la mamma chiama, si sa… Archie risponde alla libertà in persona. Dopo essermi ben imbragato, torno una seconda volta in balcone a sentire che aria tira sventolando il mio naso importante. Fuori già l’aria pesante di Bologna con lo smog diffuso in ogni anfratto dove l’ossigeno latita ormai nel 2025 e al suo posto le polveri sottili preoccupano tutti si era fatta stranamente… Frizzante. Come mai? 

Ma prima ecco io scatto alla primo balbettio della nostra parola d’ordine! La parola d’ordine? Ma certo, per me è sempre stata: andiamo? Proferita in quel modo lezioso che assomiglia tanto al cinguettio del fringuello. 

Mi sono messo a correre e volteggiare per tutta la casa lanciando e prendendo al volo tutti i miei giochi preferiti, sparsi sul pavimento. Così la mamma mi ha rincorso dappertutto invano dapprima, guinzaglio alla mano. Mi piace prenderla per il naso così mentre lei mi insegue e io le sfuggo soprattutto sopra il letto, laddove campeggia un lenzuolo bianco steso per permettermi di salirci sopra e intanto proteggere la superficie della trapunta buona. Quel lenzuolo sul letto a me va bene per un unico motivo: così posso zampettare, sporcarlo e salire e scendere finché mi pare!

E’ qui sul lettone che se lei si fa avanti, la superficie del materasso in base alle dimensioni è eccessiva per l’estensione delle braccia di mamma. Fa così fatica a coprire con il corpo intero quella distanza eccessiva che se io mi tiro indietro di poco lei deve già fare il giro del letto oppure cade in avanti e io posso in quel momento sfuggire alla presa. E quando lo fa, io faccio semplicemente un balzo, il letto sobbalza ed io mi ritrovo dalla parte opposta del diametro. Lei prova una seconda volta ad afferrarmi. Insomma avanti così anche per interi minuti, tanto lei non può prendermi finché sono su e mi sono già guadagnato il primo premio. Un melino. Un fatto di geometria. Per convincermi a scendere ora mi deve pregare di fare la passeggiata. Di fare i miei bisogni. E’ giusto che sia così, anche se papà non sarebbe d’accordo. Lui sì che si fa rispettare e con il suo metro e novanta di statura prenderebbe me, prima per il naso e poi con il guinzaglio.

Papà dice che la mamma mi premierebbe troppo intanto con i melini. Ormai il rito della passeggiata comprende molti melini, sì. Alla fine del giro mamma mi dice grazie e mi paga con quei biscotti per averla accompagnata. Normale. Che c’è di strano? 

Quando fosse riuscita ad afferrarmi mamma io sarei già pronto davanti alla porta, dopo tutte quelle evoluzioni, calmo. Ci sarà chi potrebbe pensare che dopo tutti quei giochi io potrei essere già stanco ancor prima di cominciare. Ma no, non è vero! Archie è sempre pronto per una passeggiata, senza alcuna eccezione. E quando vuole passeggiare, guarda il guinzaglio. Ciò mi dà un senso di potere. Il fatto che con un cenno io possa avere la passeggiata quando voglio solo perché mi è venuta la cacca e il desiderio di farla all’aperto quando pochi mesi fa la facevo ancora sulla traversina è elettrizzante. E’ per questo motivo che sono così gioioso prima di uscire.

La mamma allora mi avrebbe imbragato con la pettorina e il guinzaglio super-rinforzato anti-tiro-violento e saremmo usciti, secondo il motto del giorno: “Andiamo a comprare le traversine!” Lo ammetto: la pipì ogni tanto mi scappa anche fra le mura domestiche. 

Come abbiamo messo piede fuori di casa, mi sono accorto che “finalmente” la pioggia aveva spazzato via l’inquinamento e al suo posto la terra era piacevolmente bagnata da calpestare con i polpastrelli.

La prima parte della passeggiata va sempre benone. Posso tirare finché mi pare. La mamma accelera l’andatura se tiro, ormai. Ha quasi del tutto rinunciato a farmi rallentare. Al massimo dà qualche tirotto o frustatina con il guinzaglio o con la vocina stridula prova a interloquire ma io la ignoro senza alcun ritegno. Papà è più deciso. Con lui devo fare il buono. La mamma non ha autorità, sarebbe tempo sprecato educarla alla lentezza, così la educo alla velocità io – dal momento che posso scegliere…

La seconda parte della passeggiata invece è spesso un po’ più complicata… Per la mamma. Ad esempio, quest’ultima volta che siamo usciti insieme è entrata nel negozio di animali e mentre stava cercando il bancomat nel marsupio io ho azzannato una prima pallina trovata nel mobile esterno dei giochi in offerta. In fondo erano in offerta. Dai… Un modo come un altro per impegnare il proprio denaro in spese intelligenti: del resto, io potrò così impegnare il mio tempo in una cosa utile: giocare a rincorrere la pallina tra le mura domestiche evitando a lei di impegnare altro tempo con me dopo la passeggiata per tenermi compagnia. 

La mamma porta il marsupio perché sarebbe più comodo avere addosso tutto ma proprio tutto l’essenziale: biscotti e chiavi. Il resto che si porta abitualmente con sé potrebbe anche lasciarlo a casa: la bustina blu igienica per la pupù e il telefono. Primo, con il telefono si fanno anche i video. Cosa che a me non piace. Secondo, la busta igienica della pupù io  proprio non la capisco. 

C’era anche il periodo quando portava con sé le sigarette. Ma ha smesso. Per motivi ovvi. Ce la vedreste nel mentre che sorbisse boccate di fumo delicate mentre Archie tirerebbe con tutte le proprie forze per il suo divertimento? Sarebbe tutto un tossire sobbalzando. Archie-mamma uno a zero. Occorrerebbe ricordare sempre: Archie fa sempre tutto (quel che vuole) a fin di bene. Se tiro, questo sarà per via di piccioni all’orizzonte, roba urgente da annusare sull’asfalto oppure mamma che non può fumare? E’ la terza la risposta più corretta.

Insomma, verso la conclusione della passeggiata odierna, la mamma ha ordinato al negoziante di portarle il pacco di traversine più economico. Si sarebbe aspettata in arrivo un pacco semplice di dimensioni ridotte. Che ne so… Traversine da dieci, quindici pezzi. Invece il signore distinto quando lei ha alzato gli occhi al suo volto aveva appena abbattuto pesantemente una confezione da sessanta traversine sul banco e la osservava con aria interrogativa e convinta.

E la mamma, subito dopo essere rimasta sbigottita e sgomenta, timidamente si è fatta avanti: “Come sarebbe? Questo non è esattamente la richiesta che le avrei fatto io…”

Il negoziante, in tutta risposta ha aggiunto: “Si tratta della confezione risparmio.” Era tutto così fantozziano e già visto.

In tal caso, nulla da eccepire.

Perché io ho cominciato prontamente a incuriosirmi della confezione formato maxi e mi sono arrampicato sul banco e ho pesantemente appoggiato le due zampe là, a pochi centimetri da questa e mi sono allungato con il naso per odorare con la lingua di fuori ma non sapeva di niente. Forse è un gioco, ho pensato. A casa lo farò a pezzi molto bene. 

Insomma, mamma per quanto riguarda il trasporto eccezionale del mezzo antipipì avrebbe voluto forse che qualcuno la aiutasse e si dimenava selvaggiamente sotto il peso della confezione gigante, sperando che qualche gentiluomo benintenzionato la notasse in difficoltà nel bel mezzo del parcheggio pieno d’auto. Invece la urtavano tutti i passanti e lei, con l’andatura sbilenca, non ne poteva più. Io tiravo selvaggiamente, lei ondeggiava. Ma non mollava. Chi la dura…

Così, tira di qua tira di là, siamo arrivati a casa oltre le sette. E insieme i miei genitori avevano fatto appena poco prima della passeggiata una corsa. Ora era più sudata che mai. Ci avremo messo due ore. Infatti altri cani circolavano per la strada e noi per evitare di incrociarli perché ormai sono un cane grande cambiavamo direzione. Sei chilometri di passeggiata, dal negozio a casa. Solo al ritorno. Che pacchia!

E quando la mamma ha finalmente posato le traversine in soggiorno, come prima cosa è andata in bagno. Io le ho azzannate e stracciate. Quando è tornata erano distrutte. Ha gridato. Mi sono chiesto come mai. In fondo, avrebbe dovuto esultare per un gioco che mi è piaciuto così tanto al punto di farlo in mille pezzi per lei. Avrebbe capito anche un bambino che tanto quelle traversine a lei non piacevano!

Piccioni per forza!

Voglio anch’io un animale domestico. Sì. Un piccione. Ma la mamma è contraria. Non mi permette di possederne uno vero. Non voglio più quei pennuti in plastica tutti da squizzare. Divertenti sì, ma dopo qualche momento ti accorgi che sono finti e stancano, così li azzanni e li riduci in mille pezzi e il divertimento finisce presto. Del resto, è vero dire anche che mi farebbe abitualmente correre dietro ai piccioni. Ma poi alla fine tira sempre il guinzaglio all’indietro, proprio come farebbe una domatrice che non fa sul serio quando si tratta di addestrare il suo animale. Triste come un circo, davvero. La caccia è una cosa seria. Non solo un gioco o un exploit. Quando i piccioni spiccano il volo li osservo mentre volano e penso a quando la mamma rallenta il passo se li rincorriamo e io, imbecille, credo ogni volta che potrebbe permettermi di azzannare uno di essi.

Ma così sbaglia! Creerà sicuramente un cane adulto che non avrà fiducia nelle sue capacità. Nelle sue capacità… Venatorie. Nella fattispecie… Con l’unica specie disponibile in larga scala in città, i piccioni. E dire che ce ne sono così tanti. Troppi. Né piacciono a molti umani. Strano fatto davvero che la mamma si sia fissata che debbo mettere da parte ogni mio desiderio legato alla passione per la caccia. E’ quello che avrei tanto voluto fare da grande. 

Devo trovare un modo per dare la caccia ai piccioni.

Ho trovato! Credo che forse… Potrei cacciare i piccioni almeno all’area cani. Lì posso correre in piena libertà e sicurezza. Il problema è che avranno anche un’espressione ebete che mi ricorda tanto qualcuno quando va dal macellaio i piccioni, ma non sono mica scemi. E come la mamma quando va dal macellaio, anche loro prevedono che si potrebbero trovare esposti a qualche pericolo, se ci sono in giro dei cani liberi che possono prendere delle iniziative. 

Ci vorrebbe uno spazio più grande. Poter correre libero con in corpo tutta l’energia e il vigore e la fiducia e la vitalità che c’è… E mi piacerebbe abbandonare il guinzaglio per qualche ora, anche se in passeggiata. Ho visto quei cani cui i padroni lanciano il fresbee al parco più vicino. Ho rispetto per quell’arnese sì. E’ la dinamica che mi sembra ingiusta. Sembra che alcuni cani possano circolare in libertà soprattutto nei parchi e io no. Ormai mi faccio abbindolare con tutte quelle mosse che mi vengono quasi acrobatiche per strada grazie al guinzaglio. In realtà vorrei solo divincolarmi ma non so perché qualcuno ride sempre di me. Si vede che gli sto simpatico. Ma non vorrei invece che fosse anche perché faccio di tutto per correre forte e nemmeno so che ciò che cerco, la libertà, non l’avrò mai. Ma voglio correre più che altro per stringere un piccione. E se lo voglio, devo rinunciare al guinzaglio e potermi muovere da solo. Chiedo tanto?

Pare che la Legge italiana dica che non sono ammessi i cani liberi e senza guinzaglio per le strade del nostro Paese.

Mamma non me lo permetterà mai…

Mamma sa che sarebbe bello anche se siamo in città che potessi correre libero e si sente in colpa ogni volta che mi deve bloccare con il guinzaglio e impedirmi di fare qualcosa che mi piacerebbe. I no costano sempre qualche fatica a una brava genitrice. Ma perché soffrire così, tutti e due? Perché non posso afferrare un piccione? Mollami… Che male ci sarà? Ma come si fa! È un piccolo dramma. Un dolore. Piccioni, piccioni, piccioni di qua, piccioni di là… Piccioni ovunque! Non poterli prendere. E che mia mamma me lo impedisca, che sia proprio lei! Io credevo di essere un cucciolo amato invece permettere che tanto senso di inutilità alberghi nel mio cuoricino… E’ una delusione! 

E se ne saranno accorti tutti quelli che ci hanno visti in giro e adesso mi prendono in giro: tua madre ti illude, dicono di me. Sono diventato una barzelletta, una storia divertente agli occhi del nostro bel quartiere. Lo zimbello dei piccioni stessi, pure. Li sento pigolare tra i rami, quando sono appena sfuggiti alla mia presa e mamma non ha saputo resistere a quella fissazione che ha in cuor suo di dovere per forza evitarmi il piacere e il gusto di azzannare un pennuto del cavolo. Mi prenderanno tutti per i fondelli! 

Non ce la può fare quel cane con una madre così “poco comprensiva!” 

Poi si metteranno a tubare con indifferenza come se io non avessi appena tentato l’omicidio di uno di loro. È la natura. Devo cacciare o mi sentirò prigioniero di tutto! Ho bisogno di libertà, di mangiare carne. Portatemi quel cavolo di pollo, almeno. Lo voglio qui e ora in cinque minuti. O mangerò il naso al papà.

La mamma ha capito che per età ed indole ho sempre ragione più di lei io e poi sì, si è basata anche sulla teoria. Dagliene alla fine con la storia che sono pur sempre per un quarto bracco e metà spinone, labrador pure… E chi più ne ha più ne metta… Comunque fatto sta che, in quanto cane da caccia, almeno posso seguire le piste sul terreno liberamente. Ad esempio sui marciapiedi. In pratica mi dà tutta la responsabilità e libertà di circolare nella direzione desiderata e mi dà tutto il tempo di trarre le mie conclusioni. Peccato: alla fine si tratta quasi sempre di piccioni. Tristi. Grigi. Che non posso afferrare. Quasi mai merli. Passeri? Mai visti o quasi comunque abbiamo trovato una soluzione alla questione della caccia predatoria vegana ai pennuti. Nel senso che posso sì spaventarli, mai mangiarli però. Tanto ci sarà sempre lei dietro di me a tirare il guinzaglio quando il gioco si fa duro, quindi che senso ha? Forse un giorno potrò di nuovo tirare i peli via dalla faccia a Lulù, la bella cagnolina con la barba, se il gioco mi piace senza che la mamma mi trascini via. 

Amalia

Io e la mamma eravamo felici al passeggio assieme e siamo arrivati al parco abbastanza grande del Fossolo 2, con la galleria del supermercato con il pavimento profumato di carne dove passano i fornitori del supermercato e vanno al reparto gastronomia lasciando dietro di sé una scia di profumo che mi aggrada sempre molto. In questo parco è più divertente perché c’è il digestivo da sgranocchiare. Ma dove! Potreste domandarvi. Vi piacerebbe sapere dove farebbero il digestivo migliore del quartiere più carino di Bologna, già… E in effetti, è molto bizzarro in una città come Bologna poter vedere saltellare in giro dal vivo le lepri. Potreste domandarvi, a questo punto, che cosa c’entrerebbero le lepri con i digestivi fatti bene. Ma di fatto le due cose hanno molto in comune. Sono praticamente la stessa cosa, anzi. O meglio: l’una è una “componente dell’altra.” 

Il solo pensiero di potere intravedere una lepre vera in città rappresenta già da sé una festa per un cane da caccia come me! La verità? Non ne ho ancora mai vista una, ma il mio fiuto là, nel parco abbastanza grande del Fossolo 2, mi dice spesso che potrebbe essercene una da scovare proprio ad un passo da me. Gli indizi sono sempre più numerosi. Primi fra tutti, i digestivi. I pallini di cacca fatti dalle lepri. 

Sono da sgranocchiare. Deliziosi… Le lepri si cibano infatti di erbe aromatiche e tutti i cani vanno lì dopo aver pasteggiato a brucare il digestivo gli uni insieme agli altri. Così, svelato il mistero dei digestivi, adesso posso raccontare quanto avrei da dire su ciò che dopo questa lunga premessa al parco dei digestivi ci è capitato oggi, appunto.

Avevo la testa china a frugare con il naso nell’erba e stavo prendendo tra i denti uno di quegli ottimi digestivi. Del resto, a casa avevo pasteggiato da poco e ne avevo proprio voglia. Mi apprestavo a sorbire quel sapore così intenso e speziato, aromatico, quando ho visto una cagnolina da caccia più grossa di me con dei lineamenti sopraffini color castano scuro, bruna con il manto molto lucente. 

E’ scattato il gioco immediatamente da parte mia! E lei? Ci siamo piaciuti. Il suo nome? Bellissimo… Amalia. Il padrone ha notato subito la mia fascinazione e ha fatto una cosa di rara bellezza che è arrivata a mamma come un po’ inaspettata: nonostante fosse una cagnolina da caccia giovane, Amalia è stata… Slegata. Libera, ha cominciato a correre, volteggiare e provocarmi al gioco, come invitandomi a seguirla nel campo. Ma io ero al guinzaglio! E il padrone ha assunto un’aria che dal divertito è passato in pochi attimi al deluso. Sì. Di più. Direi quasi al disgustato. Poi, infine, allo scherno.

Interpretando la sua espressione, sebbene il buon uomo non avesse detto alcunché in particolare la mamma sapeva quello che stava pensando. E ha reagito banalmente: “Non posso slegarlo. Non tornerebbe!” 

E il giovanotto, che aveva un aspetto aitante: “Perché?” 

E mamma: “E’ un cane da caccia!” C’era cascata.

E il proprietario dal deluso è passato all’entusiasta ed ha fatto una risata ed ha esultato come Gastone della Disney davanti all’ennesimo colpo di fortuna. Si è limitato a ringalluzzire ed esclamare: “Anche il mio!” 

Che antipatico! La mamma si è fatta tutta scura e ho capito che stava per accadere qualcosa. Il mio cane da caccia non può correre libero in questo parco e quest’altro cane da caccia è in grado sia di correre sia di tornare? Qualcosa non le tornava. Facendo due più due, sarebbe stato insopportabile essere messa in dubbio nella sua bravura di educatrice. Così, era inutile ripetersi dentro frasi come: “Sta calma. Dopotutto ogni cane è diverso. Non sentirti in colpa verso Archie se non lo libererai mai in un parco. In fondo c’è l’area cani dove potrà correre…” La sua espressione livida la rendeva trasparente agli occhi degli astanti che assistevano al gioco tra cani. Era in preda a una specie di invidia mista ad un’aria di superiorità che la facevano sembrare ancora più ridicola e dentro di sé pensava: “Faremo i conti, caro mio…”

La mamma non poteva nascondere lo stupore per via dell’imbarazzo e discretamente mi intimava di non trattenermi troppo con Amalia ma era tutto inutile e l’altro proprietario continuava a ripetere: “Come sono fortunato!” La mamma si è sentita così ignorante tanto da dimenticarsi persino che a quell’ora avremmo già dovuto trovarci a casa, con papà che sarebbe tornato a breve e avrebbe voluto la cena. Non c’è niente di male che possa scalfire una mamma brava se non essere messa in ombra. Come era già avvenuto anche con il cane Achille, anche questa volta era l’ennesima che si sentiva derubata del giusto rispetto e risentita ha pensato che forse aveva un concetto sbagliato di sé, malauguratamente, e che forse si era sopravvalutata, a quanto evidentemente pareva. Pur rispettando il mio desiderio di giocare, non avrebbe potuto continuare così a girare in tondo con me che tiravo il guinzaglio a mille all’ora nel tentativo di raggiungere Amalia che nel frattempo andava a mille all’ora su e giù per il prato e si fermava persino a mangiucchiare qualche digestivo mentre io affannato per il tiro al guinzaglio arrivavo sempre quando i digestivi erano finiti. Ma a mamma non importava veramente niente di quanto aveva pensato dentro di sé o abbiamo già detto. Era triste perché sentiva che non era stata capace di farmi tutto il bene che avrebbe potuto eventualmente un’altra mamma più esperta di lei, che avrebbe potuto sapere come impormi dei comandi semplici in tenera età ed educarmi anche alla libertà nei prati. 

“Non fa niente.” Avrebbe voluto dire in modo dimesso al Gastone. “E poi ha solo dieci mesi! Ed è… L’unico cane che abbia mai avuto.” Ha aggiunto mamma alla conversazione che intanto proseguiva tra mille pensieri dopo qualche minuto di sospensione in chissà quale luogo altrove dove era rimasta assorta dentro la propria anima improvvisamente dilatata e sensibilmente ricettiva. E mentre Amalia saltellava a destra e sinistra e correva per tutto il campo io volevo correre con lei e non avevo capito che la mamma stava attraversando un forte momento di delusione per un tema verso il quale si sapeva in difetto. L’educazione alle passeggiate senza il guinzaglio.

Era vero che sono un cane da caccia e come tale ignoro i comandi. Allora come mai Amalia, una bella esemplare atletica di Weimaraner sapeva risponderne? Luoghi comuni o meno, sempre in cerchio ho cominciato a tirare fortissimo. Questo per far capire alla mamma che avrebbe potuto lasciarmi libero e sicuramente sarei tornato! Infatti non vedeva come ci tenevo? Avrei dimostrato di esserne capace! Ero convinto che sicuramente sarei tornato se mi avesse slegato la mamma! Ma lei sembrava non capire il mio linguaggio racchiuso in quel gesto. O forse ha capito. In ogni caso, anziché slegarmi, triste ha pensato di salutare garbatamente ed andare al negozio di animali interno alla galleria del centro commerciale. Ma Amalia e il padrone hanno continuato la passeggiata proprio accanto a noi, diretti nello stesso luogo, forse per un gesto di solidarietà. Ma la mia mamma è troppo orgogliosa per accettare tali dimostrazioni di affetto non richieste. 

“Forse perché ci hanno vissuto come degli imbelli incapaci bisognosi di compagnia. Ma che pena!“ Ha biascicato tra i denti imbufalita la mamma.

La mamma, sempre piccata dalle esternazioni poco decorose ed empatiche verso chi avrebbe un vero cane da caccia come me, per dispetto è entrata casualmente per prima al negozio di animali e ha lasciato la mia nuova amichetta con il proprietario fuori dal negozio ad aspettare. Non che non importi delle mie relazioni a lei. Ma casualmente ci ha messo più di quaranta minuti a scegliere i prodotti per cani che voleva ed è uscita con un solo masticativo in mano. Per un caso. Se fossimo entrati insieme, dopotutto Amalia ed io avremmo fatto un pandemonio con tutti i giocattoli in offerta da azzannare alle vetrine e sugli scaffali gli ossi e le scatolette, i biscotti nelle buste… Però la mamma non avrebbe voluto far aspettare troppo Amalia per rispetto di tutto il genere canino. Così quando è uscita le ha offerto un melino – così chiama i miei biscotti preferiti alla mela – e siamo tornati verso casa.

Ragù

Continua la tragedia della pioggia di foglie secche sulle nostre case e non solo… Capita anche di peggio, non cadono dal cielo solo pletore di foglie. Anche pletore di gocce d’acqua! Pazzesco… Sarà l’incedere dell’Apocalisse? Quelle belle olivette che rispettavo tanto per il loro odore asprigno e l’aspetto apprezzabile e annusavo sempre in un punto preciso del terreno che ne era cosparso e lasciavo lì sempre con un sorriso sono state come spazzate via dalla pioggia torrenziale. Le mie olivette! Dove sono? Avrei dovuto assaggiarne almeno una. Le avevo tenute in serbo per tempi migliori. Invece è andata così. Che tristezza! E’ sempre stato come se l’avessi saputo in fondo che mi avrebbero lasciato prima o poi. Saranno state inghiottite dal terreno. Ma che cosa dico? Questo è impossibile… Qui a Bologna è tutto fatto d’asfalto! Potrebbero tutt’al più esserci passate delle auto sopra? In fondo – altra disdetta – stanno tutti rientrando dalle vacanze. Siamo infatti in prossimità dell’ultimo lunedì di agosto, che sarà domani. 

In più, i raffreddori a me, che ho il naso grande e il fiuto sopraffino, colpiscono proprio nell’orgoglio. Il punto più sensibile del cane da caccia per antonomasia preso di mira, accidenti! Starnutire in continuazione mi svilisce. Mi annienta. E non finisce qui! Stanotte mia mamma ha sognato il giorno di Natale. L’ha descritto al papà come un bellissimo giorno di sole. Io ascoltavo. Avevo nella testa un totoscommesse su come cavolo potrebbe essere il giorno di Natale, se con il sole o con la neve ed ecco che sento quelle parole proibite: cuscino-di-Archie. Tre parole ma un tutt’uno, con me. Sono gelosissimo del cuscino che ho battezzato mio sin dal primo giorno in questa casa, quando non ero ancora annoiato dalla vita. Mi ricorda la mia prima infanzia. Pare che mia madre vorrebbe regalarmene uno nuovo. Il dubbio inquietante che mi ha colto di sorpresa mentre ero nel dormiveglia è: “E se lo sostituisse con uno nuovo appena regalato?” 

Non può essere vero. Maledizione! Farò a pezzi il cuscino nuovo. Si pentirà del danno che potrebbe fare. Ma se proprio ci fosse un lato positivo dell’arrivo dell’inverno, questo potrebbe essere solo uno. Uno che io possa dire di conoscere. O… almeno: non lo conoscerei veramente bene. Almeno, non ancora. Ma mi piacerebbe… Moltissimo. 

Si tratta di quel difettuccio da poco che mamma avrebbe già rivelato, lasciando asfaltato ben benino chi saprebbe ricordarlo. La sua precocità. Che ha colpito ancora. Insomma, complice la seconda pioggia ha fatto un piatto ancora più invernale del taco. Il ventiquattro agosto ha cucinato del ragù. Sì, è il ragù il lato positivo. Si vorrebbe sempre distinguere lei. E io? Godo! Con un piccolo ma. No, anzi. Non piccolo direi. Piccolissimo. Di più. Microscopico. Corpuscolare. Sì sì. Si sarà capito ormai: parlo proprio di quello. Del ragù. Già. Era corpuscolare il pezzo di ragù che ho mangiato. Ingiustizia!

I miei genitori adesso temono che io mi stia facendo troppo viziato per via delle portate che io chiamo corpuscolari e loro pantagrueliche. E’ naturale che un cane da caccia con il fiuto sopraffino e il palato che ha sia naturalmente attirato dai sapori gustosi. E voglia assaggiare pietanze sempre nuove. Così, per non disturbare i miei genitori dopo essermi ingegnato e aver imparato come aprire il frigorifero ho cominciato a servirmi da me da qualche tempo. Basta applicare la zampetta in fondo all’anta al pezzo di scotch applicato con cura e fare leggermente leva verso di sé con l’unghia. Semplice. In questo modo i miei genitori potranno avere una mansione in meno verso di me. Anzi, due. Scegliere il mangiare per me e servirlo nella ciotola. Tutto tempo guadagnato. Ma è accaduto qualcosa di inaspettato. 

Un bel giorno ho tentato di accedere al frigorifero liberamente come al solito. Lo faranno tutti gli adulti, cani compresi, ho pensato. Sarebbe discriminante verso i cani se non fosse così. Ma il frigorifero non si apriva. Mamma mi osservava. Ci siamo scambiati degli sguardi eloquenti. Io ho indicato dentro il frigorifero sopra il frigorifero e fuori dalla finestra, esattamente quello che sarebbe il percorso del ragù che volevo servito dall’interno del congelatore fino al raffreddamento post cottura. Lascio sempre perdere di indicare i fornelli. Oltreché essere pericolosi per il mio dolce naso, sono anche una perdita di tempo. Devo sempre aspettare minuti interminabili perché il mangiare si raffreddi infatti quando mamma scalda le portate. E io le voglio subito! 

Svelato il mistero. Mamma aveva letteralmente riempito di nastro adesivo il frigorifero. Poi darebbero del goloso a me i malandrini! Vogliono tutto il frigo per sé! Dovreste vedere adesso mamma come si stima se entra con la borsa piena di viveri in casa fatta la spesa al discount e visto che avrebbe uno stipendio, alla… tenera età di trentotto anni! Sarò pure vizioso, ma voglio lo stipendio pure io! Goloso e avido, sì! E poi diciamoci la verità: la cipolla, l’aglio e il pomodoro nel ragù – cibi proibiti per i cani – sono sempre e solo la scusa per non far mangiare a noi cani il ragù. Altroché ricetta originale!

Maturità

Ora che ho undici mesi la mamma ha voluto lasciarmi tutto d’un pezzo come mamma m’ha fatto ed io mi sento abbastanza fiero del risultato. Sì, posso permettermi di affermare questo dall’alto dei miei venticinque chili di puro cane da caccia incrociato con un labrador che, ergo avrebbe deciso con la dovuta maturità legata al senso di responsabilità e alla canizie che avanza che da qualche tempo abbaiare forte ai cani maschi interi come me… Si può. Tanto per cominciare al Boxer che vedo sempre. E per adesso sarebbe solo un sospetto ma la mamma una volta l’ho sentita congiurare contro di me alle mie spalle per questo motivo! Potrei scommettere che lo farebbe addirittura abitualmente. 

Mi sono voltato mentre facevo la posta a un cane che stavo fissando tutto appiattito sul marciapiede. Sai lei che cosa stava facendo? Un cenno. Al padrone del cane. Di svignarsela. Lui si è allontanato portando via con sé il mio bersaglio! E che cenno… Faceva il segno del coltello alla gola, si passava la mano sul collo con un’espressione allarmata! 

E c’è un’altro punto degno di menzione quest’oggi. Più grave. Sì. Perché anche oggi siamo arrivati all’area cani con due ore di anticipo. Mi sono detto: dov’è la festa! Ma la sorpresa più amara era in agguato. Niente cani, niente festa. E visto che lo fa a ripetizione: Non sarà un caso… Mi sono detto. Mi porta all’area cani sempre agli orari più improbabili quando non ci sono ancora i miei amici, recentemente… E’ chiaro quello che ha in mente. Avrà paura di Diamond. Ma non mi dire che solo perché Diamond sarebbe un dobermann adulto e io ora un cane adulto maschio come lui io allora non potrei più provocarlo al gioco prendendogli l’osso dalle fauci… La mamma non mi capisce. Non è un cane. Non può sapere cosa si prova a portare in giro per tutta l’area cani l’osso di un dobermann grosso di quarantasette chili in modo provocatorio! Dice che sono solo un cucciolo. Ma quale cucciolo, ho ben dieci mesi!

Disavventura alla clinica per animali

“È stato lui!” “No, lei!” Due bambini: cioè in altre parole la mamma e papà! 

Orbene, saremmo all’area cani o forse all’asilo? Avrei voluto gridare forte. Poi ho scoperto il motivo della lite. L’ho udito con le mie stesse orecchie a penzoloni. 

Sembrerebbe che papà non appena sono arrivato a casa volesse darmi al canile perché non riusciva più a dormire. Ma quel che è peggio è che mamma avrebbe detto di… Sì!

“Archie, io…” mi ha guardato con dei lucciconi… e non sapeva più cosa dire. Nonostante ciò ha aggiunto con aria interrogativa: “Stavo solo bluffando!” 

Non sai dire niente di meglio? Ho abbaiato anch’io, così, nella confusione generale. 

E adesso si contendevano il primato: “Se non fosse per me, Archie sarebbe andato al canile!” Diceva papà.

“Io non l’avrei mai permesso!” Rispondeva la mamma. E via che si sarebbero accapigliati per intere ore. Tutto questo mentre io avevo l’orticaria. 

La veterinaria che ha aperto la porta al Pronto soccorso notturno per cani non ci sapeva fare. Appena ha spalancato la porta non mi ha sorriso. Era ferma e fredda. Mi sono spaventato. Ho cominciato a fuggire ma il guinzaglio mi ha ricordato di essere imbragato come sempre saldamente nella pettorina blu che amo tanto. 

“E’ Archie. Il mio cagnolino avrebbe una zecca. Non sarebbe mia intenzione recar disturbo a quest’ora, ma domani devo proprio partire per Modena a causa di un impegno urgente e so che le zecche andrebbero tolte prima che si può.” 

La risposta è stata secca: “Ha fatto bene.” 

La mamma è entrata con me recalcitrante al seguito e si udiva il rumore sordo di un aspirapolvere e intravista l’ombra di un uomo che la seguiva, oltre la porta a vetri oscurata leggermente, oltre la reception la dottoressa, giovanissima, presumibilmente appena laureata, si è allontanata e ci ha lasciati soli. A me quel posto non piaceva. Ero sempre più a disagio. E avevo ragione di esserlo.

Siamo entrati in un piccolo ambulatorio con le mura in cartongesso. Lo so perché la mamma era china a rassicurarmi e accarezzarmi accanto alla parete, contro la quale si è appoggiata con una mano per sorreggersi e notando il cartongesso questo le ha ricordato un altro ambulatorio. Quello dove portava in visita le tartarughe che aveva avuto a Modena quando aveva appena conosciuto il papà e lui e lei erano ancora solo due amanti. Pace all’anima loro! Sono tutte morte per un brutto incidente all’acquario, che surriscaldandosi ne ha fatto brodaglia.

A quel punto saranno state già le undici di notte che il medico donna non tornava più. La mamma era in apprensione per papà, in auto ad attenderci da molti minuti ma soprattutto perché le zecche vanno tolte prima possibile. 

“Anche un solo minuto potrebbe fare la differenza!” Pensava tra sé e sé e si irritava sempre di più, mentre tendeva l’orecchio ad ascoltare la conversazione che la dottoressa stava intrattenendo. Stupefatta, la mamma non aveva potuto fare a meno di notare che stava chiacchierando. Con l’addetto all’aggeggio aspirante, l’aspirapolvere. Per bacco! In tutto questo io ero spaventato e un po’ agitato.

Allora è entrata la signorina che mamma era già incavolata. 

“Scusi ma il mio compagno ci aspetta in auto da un po’…” L’ha ripresa e apostrofata, faceva leva su quell’età anagrafica che la dotava naturalmente di un vantaggio in quanto a superiorità morale. Ma in modo inaspettato così impertinente la stoccata è arrivata come una saetta comunque, al di là di ogni privilegio teorico: 

“Lo faccia entrare!” La ragazza aveva un tono di sfida. 

La mamma ha pensato che scherzasse: “No!” E silenzio.

E va bene, a questo punto potremmo anche dirlo, che non si erano piaciute e questo è quanto. Ma a quel punto la dottoressa ha continuato: “Che alimentazione ha il suo cane? Quanti anni ha?”

Empatia zero, penso. 

Infatti mamma ha schiumato di rabbia e ringhiato: “Ha solo dieci mesi…” E con tutte le riserve di mezzo mondo in cuor suo ha proferito la frase che le è costata la nottata in bianco: “Sull’alimentazione non mi sembra il caso di menzionare le marche che mangia il mio cucciolo.” La sua era una presa di posizione bella e buona.

La visita è andata avanti con la dottoressa che pretendeva che mamma la aiutasse a tenermi per la pettorina pur di non ammettere di non essere brava nel suo lavoro. Ma la mamma, che almeno sa di non essere un tipo autoritario o avere polso, era reticente e non ne ha fatto un mistero: “Mi scusi, ma le veterinarie da cui andiamo noi sono molto preparate? Oppure semplicemente Archie sarà un buon cane…” 

Solo dopo le resistenze da parte di tutti, con la dottoressa che aveva tutta l’aria di volerci congedare prima del tempo e tornare così a chiacchierare con l’addetto alle pulizie, la mamma ha ceduto di qualche centimetro sulla propria posizione così rigida e venendo giù da quella roccia irremovibile sulla quale si era inerpicata solo dopo che il medico donna era riuscito dopo molti tentativi a mettermi il termometro, lasciandomi più che perplesso, ha aggiunto: “Beh, ammetterò a questo punto in quanto alla sua alimentazione che mangia carne e crocchette. Quattrocento grammi di manzo al mattino, al pomeriggio e la sera e crocchette a suo piacimento, mai troppe. Più avanzi vari dalla nostra prelibata tavola.”

Io sapevo come mai la mamma aveva resistito alla domanda sull’alimentazione. In un primo momento, infatti, vista la pessima impressione che le aveva fatto la gentile ragazza, non si era sentita abbastanza a proprio agio per aprirsi sulle sue condizioni economiche e ammettere che al cucciolo amato acquistava confezioni al discount e non al supermercato o al negozio di animali di recente. Capitava poi a fine mese. E papà più tardi sarebbe rimasto sorpreso per questo. Io infatti non cambierei mai le mie amate carnine, nemmeno per un solo barattolo griffato! Ma la mamma si vergognava della propria condizione. Al contrario, penso che avrebbe non solo potuto, ma anche dovuto spiegare. Quale povera mamma che era, anche lei, tanto più in quanto povera, ancora, anche se lavoratrice, aveva convinto niente po’ po’ di meno che papà ad accompagnarla a quell’ora di notte di un giorno infrasettimanale e solo per togliere una piccola zecca a me… Fare le ore piccole per me. Avrebbe dovuto andare ben fiera di sé! Avrebbe speso centinaia di euro firmando un’impegnativa che l’avrebbe obbligata a pagare poi il primo settembre! E il giorno dopo le nostre veterinarie avrebbero contestato la diagnosi, pure, con la prognosi e l’indicazione di eseguire un test dermatologico specialistico costoso.

Comunque, farei un passo indietro e tornerei al momento in cui siamo finalmente usciti dai locali dell’ambulatorio notturno dedicato agli animali e dopo aver fatto la pipì per dispetto in un angolino siamo tornati da papà, che dopo quarantacinque minuti di attesa lanciava ancora più dei cancheri. Anche degli oggetti. Delle lattine vuote di Energy dal finestrino. Bella accoglienza… E’ stato allora che proprio mentre la mamma stava entrando in auto dopo aver caricato me nel sedile posteriore si è accorta di essere inseguita e che non era ancora finita la serata: quella dottoressa che si pensava tanto scaltra l’aveva rincorsa per comunicarle quale novità dell’ultim’ora una bella notizia.

“Il suo referto.” Ha pigolato trafelata ansimando con il fiato grosso, per via della corsa. “Me ne ero… Dimenticata!” 

“Come si chiama, lei, dottoressa?” Si è informata mamma sibillina.

“A.” Si è congedata l’altra. 

L’auto è partita e siamo andati a casa. La mamma e il papà hanno litigato, io sono rientrato esausto di stanchezza e quando ancora era in macchina la mamma ha letto il referto. Quella… frase, allora, proprio non le è andata giù. 

LA SIGNORA SI RIFIUTA DI OFFRIRE INFORMAZIONI DETTAGLIATE SULL’ALIMENTAZIONE DI ARCI

Intanto, il mio nome è Archie. Mannaggia a te e a tutti quelli come te! Ma soprattutto… La mia mamma non è un’incantata. Ha capito che nonostante che fosse palese che lei e me non abbiamo solo un rapporto speciale ma siamo anzi legatissimi e lei si prende cura di me nel modo più opportuno in assoluto, aveva dimostrato di avere una scorza dura – prima ancora che un pezzo di pane al posto del cuore. Così, avevamo capito che quella signorina s’era pentita assai di aver scritto quella formuletta così problematica e non veritiera. E non avrebbe voluto nemmeno consegnare il referto, tanto grande sarebbe stato l’imbarazzo… Proprio per questo motivo l’aveva dovuta inseguire fino all’auto prima di farlo. Per una forma di furbizia!

La mamma era rattristata e scandalizzata. Lo sapeva bene. In casi del genere occorre intervenire. Le informazioni veterinarie vengono trasmesse a tutto il distretto bolognese dei veterinari! Ci tiene tanto a me e infatti la veterinaria si era accorta di quale cuore avesse verso di me. Com’era stato possibile? La mamma sa bene che certi errori costano cari. Con quale autorità! Contro una signora che ha vissuto traumi quali una figlia tolta in fasce! Ne è nata una tragedia.

“Quelli umani sono poi i cani. E i cosiddetti cani, quelli veri, camminano su due zampe e sono gli umani. Va tutto al contrario qui da noi!” Inveiva con le lacrime di rabbia che le sono sgorgate due volte mentre se ne stava pensosa a letto in cerca di una soluzione. Non c’era nessuno che avrebbe potuto capirla, se non G. L’amico d’infanzia che faceva proprio un’altra professione affine e sanitaria. L’infermiere. E infatti le ha dato l’ispirazione.

“Quell’incompetente…” Sussurrava al telefono mentre parlava con G., con le mani al computer e non la finiva di scrivere qualcosa. Non avrebbe permesso a niente e nessuno che il suo cucciolo rimanesse deluso da lei. “Gratuitamente e per cattiveria!” Sibilava ricordando. “Non si può ignorare questa banalità!” 

Un altro duro colpo per lei, che aveva un rapporto speciale con me e l’unica cosa che avrebbe voluto senza tanto chiedere altrimenti sarebbe stato solo poterlo gridare al mondo intero così! Sono una brava mamma! Una mamma brava! 

E invece ci saranno sempre la cattiveria e l’invidia, mamma.

Il problema è che se in un ruolo di responsabilità ci metti un cavallo, il regno va in rovina. Avrei voluto dirle questo. 

Invece se ci metti un cane va bene. Avrebbe voluto dire lei, tra il serio e il faceto…

E la mamma e il suo regno, cioè il suo cuore, erano in rovina a ferro e fuoco stanotte. Lei si stava accorgendo che non sarebbero bastate le proprie forze e forse un giorno se non avesse previsto tutto ma proprio tutto prima per il mio benessere avrebbe potuto scontrarsi con un nemico più forte di lei. Proprio la situazione che aveva già vissuto e le era costato tanto. Una figlia portata via con niente che avrebbe impietosito la malattia, i pericoli, i nemici, il male, la morte, l’ignoto, i piccioni, – chiamalo come ti pare, il male in tutte le sue sfaccettature. Nemmeno l’amore più candido e puro, quello che sgorgava tra di noi. Sono d’accordo tutti che mamma mi vuole bene. Ed era desolata ma non avrebbe saputo cosa farci e si sentiva immensamente sconfortata e impaurita dopo aver toccato con mano quel timore sacro di essere stata… Calpestata o sopraffatta o scavalcata, comunque messa da parte. Abusata, maltrattata. Trattata male. Si era sentita nuda, indifesa! Aveva le mani legate. Agire d’impulso sarebbe stata la conferma che avrebbe voluto ottenere la dottoressa. Al contrario, chinare il capo e immaginarsi mentre si tornasse al centro in cerca di consenso e addirittura chiedere scusa e essere gentile? Non se ne parlava. La gentilezza a fronte del sopruso è un’ipotesi impossibile. Stava pianificando un modo per sottrarsi a quella sensazione di impotenza che le aveva provocato quella condanna, la sentenza, le parole “Si rifiuta” che tanto le avevano ricordato i ricoveri che aveva rifiutato facendole rivivere il trauma del trattamento sanitario. Si era accorta che la minaccia era vicina, in prossimità, in prospettiva, quelle parole ne avrebbero potuto essere il preludio. 

Ma in campo sanitario era un asso di competenze. Prese così l’amara decisione di girare risolutamente al largo da quella clinica, lasciar passare tempo ed informarsi se esistesse un Garante per gli animali cui segnalare la dottoressa e spiegando l’accaduto a modo suo, commentando quel voto immeritato come una madre ferita farebbe, con un bel ricorso per lei. In questo modo avrebbe invertito il corso degli eventi e la prossima volta la dottoressa sarebbe stata più attenta. Per il bene di tutti.

E così la mamma ha deciso anche di sottoscrivere un’assicurazione per me, come le avrebbe suggerito G. Ma la mia non sarà di quelle mamme che se la prenderà con gli insegnanti prima o poi?

Ritorno massivo dalle vacanze

Appena siamo arrivati a casa da una passeggiata, quest’oggi, papà ha scagliato un oggetto ignoto in camera da letto. La solita scarpa, presumo. Mi sono avviato a riprenderla. Ma lui non l’ha voluta indietro. Il motivo della scarpa che ha sorvolato i mobili di tutta la casa partendo dal soggiorno sarebbe che c’è troppa confusione in giro.

Ha detto papà infuriato: “Sono tutti tornati dalle vacanze, la città serpeggia di una confusione insolita quando sta finendo l’estate.” 

I pochi rimasti a Bologna ad agosto, come noi, avevano tutti sviluppato un’abitudine ad un numero di umani circolanti per le strade decente. Ma ora l’autunno portava con sé sorprese inaspettate ed eccitanti in questa città. Curve chicane, corse ad ostacoli tra gambe che camminano. Il guinzaglio che si impiglia su un ramo mentre dribblo un cestino subito sorpassato l’angolo di qualche muro! 

Persino la luce era cambiata. Già alle sei e mezza di sera le ombre si allungavano sull’erba formando delle guglie che sembravano disegnare cattedrali altissime e io le annusavo ma niente… Sembrava che non facessero odore. Dove abiteranno le ombre?

In effetti, io e la mamma ci sentivamo piuttosto provati dal giro appena fatto per commissioni. Era stato un po’ come uno slalom! Al di là di ogni esagerazione, per qualche attimo potrei aver vissuto la stessa intensa emozione di un cane da agility pure. 

Perché il mondo era decisamente sovrappopolato ora che era quasi settembre. Logico che si aprisse l’alternativa per eccellenza a tanto stress cittadino: lo shopping! Anche se papà non lo sapeva, avevamo già cominciato a rifugiarci dal fiume di gente di negozio in negozio, pur di non perderci. Ed ecco che il primo regalo me l’ha scartato la mamma davanti agli occhi che brillavano di una luce che conosce bene: era fame. A me il boccone appena acquistato!

Il benzinaio due: la vendetta

Un labrador libero: wow! Via, che si va… Stamattina la mole gigantesca del labrador in questione si stagliava in lontananza ed era possibile esaminarla controluce: che meraviglia… quasi una mucca e niente guinzaglio! Ma in agguato ecco che la mamma dietro di me era subito sull’attenti e il guinzaglio, quello che ho sentito tirare al mio collo, ha decretato che fosse impossibile accedere a tutto quel corpicione di puro divertimento alla western. Ma perché? Mentre mi voltavo per lanciare come un lazzo già pronto un’occhiataccia a mamma sobbalzando con il fiato corto per il contraccolpo dato dallo slancio verso il cane che, nel frattempo, mi aveva visto, ecco, è sbucato un tipo piuttosto losco. Oltre l’angolo, un tipo che mamma non ha sùbito riconosciuto. E’ quello che parla sempre con il benzinaio, l’uomo più antipatico del mondo. Avrei voluto dirle ciò, ma visto che mamma comanda, non sarebbe stato possibile frenare la pena premurosa che aveva in corpo in quel momento per me, tanto che aveva già aperto bocca, senza nemmeno aver inquadrato bene il soggetto: “Ehilà! E’ un maschio, il mio…” Ha gridato. 

Aveva cercato di fare buona impressione inutilmente e se n’era appena accorta, perché l’ho vista mentre faceva una faccia disgustata, roteando gli occhi nelle orbite, come a voler dire: “Sei proprio tu. Quello del benzinaio.” E, se ricorderete, il benzinaio è un signore poco socievole…

Io la osservavo felice con la lingua a penzoloni in attesa che mi desse il via per assaltare il grande cane disponibile da rincorrere e prendere per i fondelli. Invece, la mamma è indietreggiata di qualche metro. Il signore sembrava averla riconosciuta subito e aveva un’espressione vendicativa. E’ l’amico del benzinaio, sì, mi ha risposto mamma con lo sguardo. La mamma è riuscita a tirarmi via a piccoli strattoni. 

Le scaramucce tra padroni non dovrebbero inficiare le scelte sulle amicizie tra cani. Ma dico io! Ha interrotto un’interazione che avrebbe potuto essere meravigliosa… Era stato tutto troppo bello; quella mattina avevo interagito con molti cani maschi anche, già. La mamma era stata più rilassata del solito e se la vibrazione del momento le diceva che avrei potuto avvicinarmi senza fare il grosso, me l’aveva permesso. Del resto sono solo i cani piccoli che non sopporto. Gli altri sono pane per i miei dentini!

Insomma, ci siamo infilati in fretta nel sentiero che al mattino ha quella cappa di foglie secche che cadono, come al solito. Dai, proprio quel sentiero, quello che percorriamo sempre e dove non passano mai tanti cani, come potrebbe ricordare qualcuno… Il sentiero dei cracker. E mi sono soffermato dopo qualche decina di metri a riflettere sui fatti appena accaduti e quanto stavo semplicemente facendo intanto era limitarmi ad annusare delle foglie tutto concentrato e in ascolto e mi stavo predisponendo a fare la pipì sopra quei bei crocché volanti che non sanno dove andare né stare al loro posto sugli alberi. E sento un tirone allo sterno. Mamma! 

Ci mettiamo a correre alla disperata. Avevo a malapena fatto in tempo ad udire un grido: “Potrebbe anche cambiare strada, visto che sarebbero maschi tutti e due!” Era la mamma che a caratteri cubitali si appellava alla buona creanza davanti al buzzurro, che… con il suo labdrador ci stava proprio inseguendo! In pratica, s’era fatto beffe sia della Legge italiana che impone ai cani di stare al guinzaglio ogni dove per strada sia della mamma che glielo aveva fatto gentilmente presente.

E il tale le avrebbe risposto: “Ma tu non sei normale! Io abito lì…” Ed ha indicato un luogo oltre le nostre spalle, molto ravvicinato. Quella dell’uomo suonava come una rabbiosa preghiera e nel frattempo si faceva sotto il cane che ormai forse confuso dalla situazione ringhiava contro di me. 

La mamma in quel momento si è ricordata che quando ero piccolo il benzinaio e lui le avevano ordinato di tirarmi con il guinzaglio perché lei era paziente e mi permetteva di rimanere minuti interi ad annusare il terreno accanto al distributore, proprio sotto casa nostra. Se ci fosse stato papà a vedere quella scena che si ripeteva per la seconda volta quasi uguale: ora che l’uomo era di nuovo incarognito con la mamma perché è una donna rispettosa delle Legge e perbene, si era ricordata di tutto… Anche che davanti a quello che era suonato come un ordine (“Ma tiralo, dai… è solo un cane!,”) lei aveva continuato imperterrita e farmi annusare tutto e aveva risposto così: “E’ il mio cucciolo. Io non tiro via proprio nessuno!” 

Forse era stato mandato a noi per la cacca di compleanno dal benzinaio direttamente, questo signore?

Siamo arrivati dopo una corsa all’impazzata trafelati a pochi passi da casa, dove la mamma mi teneva saldamente per il guinzaglio. Mi ero dilungato a mangiare un ciuffetto d’erba presso l’angolino di un semaforo, mentre prendevo tempo distraendomi. Mi hanno insegnato bene infatti i miei genitori ad attendere il loro segnale prima di partire se ci sono le zebre a terra perché prima o poi le auto in corsa si fermano e tocca a noi. Molto spesso vedo che non passa nessuna auto e vorrei andare al di là delle strisce bianche e lo chiedo con gli occhi a mamma ma lei dice di no. Crede che un giorno potrei trovarmi da solo in questa situazione e comportarmi male, fuori dalla sua portata, come un bambino? Fa sempre gli scongiuri e sta per comprare il Gps online.

Eravamo reduci dall’incontro appena fatto con questo soggetto strambo che intanto avevamo cambiato strada e non era più nei paraggi e lei lo sapeva bene perché dopo la gran corsa fatta per allontanarci da lui e il suo cane si guardava intorno ansiosamente e l’aveva visto di sfuggita mentre entrava nel portone di casa sua. A quel punto attendevo fiducioso, fermo nella mia posizione, domandandomi che cosa stessimo aspettando a qualche metro dalla sbarra del vialetto di casa. Pensavo che sì, a settembre Bologna è proprio sovrappopolata, soprattutto dai soggetti da circo.

Faceva un caldo… E c’era questo grosso furgone davanti a noi, immobile da qualche minuto. Mamma osservava qualcosa che si muoveva dentro al furgone, oltre il finestrino. Una donna. Guardava la mamma. La mamma guardava lei. L’una non cedeva, sebbene sembrasse accorgersi della presenza altrui, l’altra nemmeno e non passava al di là del furgone. E la mamma mi ha sussurrato a denti stretti: “Troppo vicina alla strada. Gli animali sono imprevedibili, accidenti! Sposta il tuo bel sedere immediatamente e vai al volante, porta via questo furgone dal bel mezzo del marciapiede!” E continuava a fissare l’immensa massa bianco latte del furgone parcheggiato tranquillamente che non si muoveva.” Ma chi le ha messo in mente che il mondo giri proprio intorno a noi due? “Io muovo il mio cucciolo solo in sicurezza.” Guardava il furgone, attendeva, i piedi piantati saldamente al suolo, guardava me: “Non sei un cucciolo comune.”

Ho visto che dentro al furgone gigantesco con una scritta commerciale su un lato la donna era impegnata in un’animata conversazione con il suo arnese, il telefono. E non so come mai la mamma allora si è avvicinata al finestrino ed ha gridato, facendosi udire bene, anche dall’interlocutore: “E’ in una brutta posizione per i pedoni!” 

La donna ha alzato le mani, ha interrotto sorpresa la conversazione guardandola dritta in faccia e noi siamo passati oltre, dalla parte dietro al furgone, prestando attenzione alle auto.

La mamma che fa la morale? Così sicura di sé… Non una, bensì due volte in un giorno solo! Dieci mesi con un cucciolo e lei si comporta già come farebbe un’esperta di educazione canina; il mondo è diverso oggi da quando sono nato io, tanto che quasi non posso crederci ancora.

Chester e Pepe

Stasera papà e la mamma hanno avuto la bella idea di uscire con me. Ero eccitatissimo, tutta una coda che mulinava nell’aria come una frusta e colpiva ogni cosa che mi capitasse a tiro – abbiamo un corridoio particolarmente piccolo. Bom! Bom! Si sentivano i colpi fin giù in cortile. Tiravo su il popò e sì!, siamo andati all’area cani. Strano, perché ormai era sera e questo piacevole fuori programma proprio non avrei saputo aspettarmelo. Per tutta l’estate appena trascorsa eravamo sempre andati alle tre o alle quattro. Ormai invece il sole quest’oggi era basso sull’orizzonte. Qualcosa di strano doveva capitare. In fondo, ci siete ormai abituati alle stranezze della mia famiglia. 

Mentre tutti allegri in auto correvamo per la via Emilia in una direzione che non riconoscevo mentre guardavo dal finestrino pensavo e ripensavo e l’unico cane che avrebbe potuto essere stato capace di combinare questa congettura avrebbe potuto essere solo lui: Diamond. Avrebbe potuto essere solo di Diamond la colpa. Il dobermann aveva “vinto” sicuramente e così ora noi saremmo stati costretti a viaggiare verso altri lidi per sempre, senza mai più poter vedere Sheila, né Khali, né Ares, né Thiago, né Leyla, né Bruno… né tutti i miei amici! E mentre vedevo allontanarsi in linea d’aria l’area cani, di cui sentivo l’odore dal finestrino mezzo aperto, ho guaito. La mamma mi ha sorriso in modo incerto ma rassicurante, mi sono messo a osservare meglio in lontananza dandomi un contegno da bravo-cane immediatamente ed ecco apparire l’area cani di via P., la seconda più vicina, quella dove eravamo andati più di rado, negli ultimi tempi. 

Era molto strano ma la mamma ci aveva salutato pochi minuti prima ed ora papà ed io, mentre ci avvicinavamo e facevamo sotto con fare vandalico verso l’entrata… Ci vedevamo doppio o era proprio un dobermann, quello? Ho cominciato subito ad abbaiare da vero cane coraggioso e mi sono messo ad annusarne l’odore attraverso la reticola. Diamond era stranamente buono e giovane.

Così saranno passati cinque minuti da quando avevamo cominciato a giocare assieme tranquilli che, sulla stradina che costeggia l’area cani di via P., ecco apparire… La mamma, in compagnia di un cane! Il cane sembrava esser rimasto deluso quando mi ha  avvicinato. Io ho sorriso, saltellato, volteggiato. Lui era anziano, non poteva. Abbiamo fatto amicizia o almeno conoscenza attraverso la reticola con la mamma che animava la situazione e improvvisamente in modo del tutto naturale lei ha alzato gli occhi e visto quello che le sembrava… Diamond. Un urlo le è uscito di gola… Cavolo! 

E mentre io mi chiedevo se mia mamma avesse un altro cane, ho detto alla mamma che non ero davvero sicuro che il dobermann fosse Diamond. Ma allora chi era?

Quella mezza pipetta di Pepe è un cagnetto poco vigoroso che mamma porta a spasso e mi sono messo d’accordo con lui e quando gli ho fatto l’occhiolino lui ha accennato a proseguire la passeggiata e la mamma ha dovuto seguire Pepe e si è allontanata con lui oltre la curva che va nella direzione prima degli orti, poi dei cedri.

Dieci minuti dopo la mamma era paonazza, ridendo l’abbiamo vista all’orizzonte trascinare Pepe che si opponeva con tutte le sue forze verso l’area cani come se non volesse farsi notare troppo mentre ci spiava mentre con ampie falcate percorreva la stradicciola più velocemente che poteva, con Pepe che la seguiva stremato dalla passeggiata – poveretto… Sapevo quello che stava combinando. Lanciava delle occhiate sospettose verso Diamond. Non la convincono i cani grandi (io detesto quelli piccoli) ma ormai avevamo fatto amicizia e giocavamo fortissimo.

Era possibile che ci avesse spiato giocare per tutto il tempo o, almeno, sarebbe stato credibile pensare che avrebbe voluto farlo ma costretta dalla responsabilità verso Pepe, che nel frattempo non s’era mai sentito così poco considerato, è possibile che abbia passeggiato lì… Nei paraggi, così, capitando per un caso di nuovo accanto all’area cani. Non per controllare che andasse tutto bene. Giusto per… dare un’occhiata, fare un saluto. Come no! Ansiosa… A dir poco! E di nuovo ci siamo salutati tutti noi dentro e fuori l’area cani. Scommetto che il mio complice Pepe potrebbe essersi preso così tante coccole di gratitudine per essere stato accondiscendente con mia mamma anche da cane anziano rispettabile come è e aver accettato di passare due volte dove non avrebbe voluto, che la proprietaria sarà rimasta molto soddisfatta della prestazione da parte dell’accompagnatrice di stasera… Pepe è un cane molto buono ma abitudinario. Pare che gli piacciano i giri dove solo lui sa.

Allora il cane con cui avevo giocato per un’ora intera ha confessato tutta la verità: “Mi chiamo Chester, molto piacere.” E in quel momento mi sono accorto che non avevo più nulla contro Diamond né la sua razza né di alcun cane e anche la mamma quando l’ha saputo si è sentita rincuorata.

Cibi proibiti

Oggi papà è tornato dal giro più lungo al supermercato che sappia ricordare. Ero felicissimo di vederlo! No, non per il motivo che potrebbe pensare chi ancora non mi conosce. L’entusiasmo era per la spesa che sarebbe stato presumibile avesse fatto, lui non era il motivo reale! Fare le feste quando c’è il padrone… Quella è roba da cucciolotti. Io mangio come un leone, impazzisco per la roba che c’è nella borsa quando papà fa il suo ingresso trionfale dopo tre piani di scale e la sua spalla lussata gli fa male tanto pesante è l’ingombro delle borse stracolme di leccornie! Entrata trionfale magari non sarà l’espressione proprio più giusta… Sofferta, diciamo. E la mamma ha estratto subito un cavolo di snack. Ma no, la roba seria mi interessa. Gli avanzi. I tocchetti di formaggio freschi ancora della stessa temperatura del frigorifero del supermercato rubati alla confezione intera, una fettina di mortadella appena insaccata… Mica la solita roba da cani poco elaborata trita e ritrita. I cani hanno medicine peggiori di quanto non siano quelle dedicate agli umani, mangiare peggiore dedicato. Qualità della vita peggiore. Per un motivo ovvio. Gli uomini sono egoisti e investono più sulla propria specie che non su quella canina. 

Papà è andato a dormire le solite due ore buone dopo quello sforzo immane. Finalmente! Ma no, di nuovo. Commettereste sempre lo stesso errore, quello di credere che sia felice per le cose che pensate voi, lo so. Ma ve lo irpeto… Io sono un cane. Ho la mia mentalità. Il motivo per cui ero felice è perché secondo la nostra tabella di marcia settimanale quello è il momento. Sì! Quel momento… in cui mamma… cucina! E io aspetto. Nella posizione fantastica del bravo-cane che fa sempre sorridere papà. 

E un tripudio di odorini si spandevano dalla cucina in tutto il vicinato e io sempre così stimolino come sono al balcone quando faccio la mossa dell’oggi-sono-io-che-mangio-bene davanti a tutti i cani del quartiere che girano lo sguardo verso di me e dall’invidia con la lingua di fuori passano oltre, vedevo che la mamma estraeva gli ingredienti migliori che aveva. Cioccolato. Primo ingrediente della ricetta, riconosciuto subito. Cipolla, aglio, funghi. Era tutta una festa di odori e io insaziabile mi sentivo già pieno come un ingordo. La mamma e il papà si sono messi a tavola. Io sotto, con lo sguardo speranzoso e felice, ero tutta gioia nel cuore. 

Invece la mamma ha battuto il cucchiaino contro il bicchiere e come primissima cosa ha esclamato: “Alt! Alfredo… tutti cibi vietati per Archie.” Papà mi ha guardato rammaricato e ha allargato le mani in un gesto di dispiacere.

Nemmeno un pezzetto? 

Lo fisso con un disappunto nell’espressione che deve averlo lasciato per forza basito e con qualche segno nell’animo. Comunque, dentro di me ho pensato che non avrebbe potuto più capitare un equivoco simile. Una cena completamente vietata a un cane, fatta di soli ingredienti vietati. 

Sarà una coincidenza. 

Ho visto che la mamma ha fatto la lista della spesa e sono ringalluzzito di nuovo. 

Questa volta papà si sarà sentito così in colpa che compreranno un intero vagone di vivande da umani solo per me e quando potrò ficcare il muso nel frigorifero di nuovo, frugherò e mangerò prelibatezze di ogni tipo. 

Invece la mamma ha battuto il cucchiaino contro il bicchiere e come primissima cosa ha esclamato: “Alt! Alfredo… tutti cibi vietati per Archie.” Papà mi ha guardato rammaricato e ha allargato le mani in un gesto dispiaciuto. Ancora! 

Ma allora è diventato un vizio questo. Ho cominciato ad essere paranoico. Potrei dover andare dallo psichiatra a farmi curare. La teoria del complotto mi appartiene di più oggigiorno che non me ne va bene una e a tavola i miei genitori mangiano solo cibi vietati ai cani: sarà una coincidenza? Vuoi vedere che a me toccheranno solo scatolette, miseri croccantini e i soliti snack? Ma la veterinaria ha detto che posso mangiare di tutto, lei non si sbaglia! Vabbè che si sarebbe trattata della veterinaria alla clinica maledetta del cartongesso. Ma chissene importa, no? Sarebbe così grave se mangiassi un Trancino della Culino bianco? 

Insomma, papà ha mangiato e mi ha allungato non visto un bel fettino di salume piccante al peperoncino sottobanco, detta spianata. Niente di più eccitante: il gusto del proibito avrebbe reso il tutto ancora più entusiasmante e stavo pregustando il sapore ma la mamma: “Alfredo…” Me la sono fatta quasi sotto dalla paura.

“Cosa fai con la spalla lussata, fisioterapia o sottobanco staresti allungando un ossicino di pollo ad Archie, che non potrebbe mangiare?” 

Papà ha cominciato a lamentarsi tanto che quasi piangeva per me. La mamma irremovibile: “Se mangia quella roba lì, potrebbe morire. Vuoi che muoia il tuo cagnolino?” Mi sono venuti quasi gli svarioni. I brividi! 

Qua a quanto sembrerebbe a prima vista i miei genitori non vorrebbero somministrare a un cane assaggi di cibi vietati ma fatto sta che sono seduti a tavola a mangiarsi la roba che fa male. Ma sono i miei padroni… Vorranno suicidarsi? Vediamo. Conflitto d’interessi ma sono pur sempre un cane e se rimanessi fedele alla mia natura dovrei comportarmi bene. Scommetto che mentono sull’idoneità delle vivande perché vorrebbero papparsi tutto loro e non lasciare nulla a me.

A quel punto è caduto un fungo condito al peperoncino dalla mensa. Ma ne ho sentito l’odore e non mi è piaciuto davvero.

Vuoi vedere che resisto e non ne mangio nemmeno una briciola? Ho abbaiato. 

E papà, subito: “Nemmeno la vuole mangiare questa roba! Visto?” Non sono mica così imbecille… Io la roba velenosa non la voglio mica! Però qualcosa non quadrava: se io non avrei mangiato nulla di quanto fosse a tavola quella sera, come mai loro allora sì che potevano? E la mamma è andata subito a raccattare gli scarti di cibo caduti tutti intorno e sopra la tavola. Per mangiarseli da sola.

Veterinarie

Vedevo la mamma che armeggiava tra le grucce e si destreggiava così: ne sorreggeva una da un lato, esaminava l’abito pendente, frugava chissà come ancora nell’armadio, ne estraeva un’altra, osservava e riagguantava, dentro e fuori dall’armadio, con pure tutta la testa dentro… Avanti così da giorni immemori. Ma come mai? Era palesemente indecisa su cosa mettersi. Ma per quale appuntamento? La mamma non aveva mai alcun appuntamento. Non dirmelo: mi avrebbe lasciato a casa per ore solo con papà per una serata tra donne?

Fatto sta che dopo l’invio dell’esposto alla veterinaria che lavorava presso la Clinica del cartongesso, la mamma si guardava bene dagli appartenenti a questa categoria di dottori. Ora, visto che la diagnosi emessa era risultata sbagliata, ecco che ieri avevamo appuntamento dalla nostra veterinaria. Quella buona. Quella vera di sempre. Quella che mi fa le coccole. Quella che mi ha visto nascere insieme ai miei fratellini. 

Ma, nonostante questa sorta di garanzia in quanto al trattamento che potrebbe riservare tale privilegio d’affezione, la mamma era determinata a fare bella figura a prescindere. L’esperienza… Insegna! Indossata una camicia in pura seta, la più costosa e vistosa che avesse, non ci sarebbe stata sicuramente brutta figura che reggesse! Ci siamo avviati verso la porta. Avevamo davanti una lunga passeggiata da compiersi fino al Comune che sarebbe il primo superato San Lazzaro, la mia patria. Si trattava di un percorso piuttosto lungo.

Potrebbe immaginarsi quale gioia rivedere i miei luoghi! Correvo, annusavo, mi fermavo, correvo… Era da una vita che i miei genitori non mi portavano là! E che bel solicello! Ed ora farei proprio un balzo in avanti. Ma nella storia. Direttamente al momento in cui, puntualissimi, siamo entrati nella nuova sede delle mie ostetriche.

La sede si presentava insolitamente spoglia, senza quadri alle pareti, che erano state appena verniciate di blu. La mamma, – una versione di lei in pompa magna, a meglio dire – che aveva la camicia gocciolante ormai di sudore, ha bussato alla porticina bianca: “Siamo Elena ed Archie. H-i-e…” 

Una dottoressa ci ha accolti subito spalancando la porta al nostro incedere: “Ehilà, ficcanaso!” Scodinzolando le sono saltato tra le braccia. “Per permetterci di congedare un gattino, sarebbe bene se attendeste un attimo, anche se per via del trasferimento di sede la sala d’aspetto mancherebbe ancora dell’aria condizionata.” La veterinaria era davvero gentile con noi.

La mamma si è sforzata di sorridere anche se le scorrevano fiotti di sudore giù per il viso madido. La temperatura era insostenibile. Ma lei aveva deciso che il suo cucciolo avrebbe potuto fare colpo questa volta e lui sarebbe stato fiero di lei e felice di sapersi in ottima salute. La mia salute era sempre stata una preoccupazione costante per i miei genitori. La mamma aveva calcolato tutto nei minimi dettagli questa volta e guardato in faccia il rischio esatto di trovarsi di fronte ad un medico purtroppo impreparato semmai fossero state presenti nuove leve all’ambulatorio, pure, come infatti era già accaduto ma senza alcuna brutta sorpresa. Pertanto, si sentiva molto più pronta…

“Entrate pure, bentornato Archie!” Le ragazze, questa volta presenti in due nell’ambulatorio al di là della porticina bianca, erano volti familiari e rassicuranti. Mi sorridevano all’unisono e io mi sono lasciato fare di tutto. Ma proprio tutto! Erano molto delicate e rispettose. Ma all’improvviso la meno familiare delle due ha detto a bruciapelo: “L’abbiamo osservata arrivare dalla finestra ed avremmo notato che Archie tira molto al guinzaglio…”

E la mamma ha risposto un po’ sulla difensiva: “E’ un fatto di rispetto verso gli animali.”

La veterinaria, che mi stava auscultando il cuoricino e i polmoni, si è distratta per un attimo ed ha lanciato uno sguardo interrogativo da dietro i capelli e le spalle alla mamma. E quest’ultima: “Io rispetto la sua velocità…”

La veterinaria si è limitata a ridere di gusto e suggerire un addestratore. Quella più familiare, D., come la chiamava mamma, ha aggiunto che se avessi esagerato, del resto, i miei genitori avrebbero potuto provare semplicemente a imprimere un tiro leggero ma fermo al guinzaglio per imporre all’andatura degli stop e vedere come sarebbe andata. Mamma pensava dentro di sé che sono già grande.

Abbiamo preso un ottimo “voto” dalla veterinaria comunque! Avrei solo una leggera tracheite con un po’ di tossicciola da monitorare per via dell’aria condizionata onnipresente ma in compenso la pettorina nuova che arriverà a breve ordinata grazie al corriere è indicata per me e il mio collo affusolato. Si tratta di ottime notizie. Ma a me importava della passeggiata e dopo aver atteso accanto alla porta per tutto il noioso momento del pagamento della prestazione, ho preso la mia prima boccata d’aria quando avevamo salutato con gioia e ci siamo riavviati verso casa nostra.

Fieri di noi, vittoriosi e felici eravamo dimentichi di tutta la strada al ritorno che era lì per noi ad attenderci e non sentivamo la fatica mentre trotterellavamo a passo sostenuto e la mamma provava a trattenermi se andavo troppo spedito. Sono un cane irruento, dai! Lascia fare… 

E la mamma ha pensato, subito non appena ho varcato la soglia di casa con le mie zampette: “Ma tutto questo è magnifico… Potrai fare a meno della visita dermatologica che aveva fissato l’altra clinica!” Le cose stavano così. E dopo avermi coccolato ben benino e rifocillato, ha preso in mano il telefono al volo. Sono rimasto ad ascoltare la conversazione.

“Buonasera, mi piacerebbe disdire la visita dermatologica fissata per Archie. Le nostre veterinarie avrebbero ordinato ciò.” Ha detto la mamma stimolina.

“Ah, già. Archie. Certamente. Il… gattino.” Ho visto mamma che cominciava a sussultare, impallidire, balbettare di rabbia. Sicuramente pensava “Che ignorante!” Così ho abbaiato perché ero arrabbiato pure io. Gatto a chi!

La dermatologa allora ha aggiunto: “Fatto. Abbiamo disdetto la visita. E come si chiamano le vostre veterinarie?” 

Fatto sta che alcune volte gli esperti del settore assomigliano un po’ a dei questori, oltreché saputelli e quando sei fatto come sarebbe fatta mamma, questo è insopportabile. Troppe domande e allora, risultato? Nulla, l’ha fatto di nuovo. Si è ribellata. Questa volta ha chiuso la chiamata. Che vuoi farci? E’ una mamma esagerata!

Programma della festa di compleanno

Visto che non mi trovo bene con il mangiare dei cani perché è poco vario mentre vedo alla tavola umana così tanti colori e degustazioni diverse nelle loro ciotole, la mia mamma adesso si ritrova con cinque piattini del mio mangiare conservati nel frigo. Sì. Volevo per forza la carota. Alla fine me l’ha data. E la mamma ha fatto una battuta dolciastra: “Che bello se Archie potesse assaggiare di tutto!” Non mi è andata giù. No. Noi non possiamo. No. A meno che… Mi venisse qualche ideuzza delle mie genialoidi.

Hanno cominciato ad arrivare con un mese in anticipo sul mio compleanno dei regali già. Praticamente questi comunque sarebbero tutti autoregali. Quella specie di regali che potrebbe farsi Fred Flintstone… Che ne so? Solo lui sarebbe in grado di regalare ad esempio una palla da bowling a Wilma. Cavolo! Un guinzaglio, una pettorina, il famoso GPS, una strana guaina per cuccia che non sa di niente… Il guinzaglio nuovo: vogliamo parlarne? E’ verdino. Come le bustine per la pupù. Ma soprattutto ho realizzato amaramente che la mamma è più forte di me fisicamente. Non è uno scambio alla pari quindi. Ha il dovere di essere clemente e non trascinarmi. Lo è quasi sempre, sì. Ma regalarmene uno… sarebbe come ammettere “Sono braccio di ferro, tu un povero cagnetto in cerca di coccole che non la finirebbe mai di guaire in preda al panico ad ogni tiro e volerebbe via se io lo portassi via con un piccolo tocco del mignolo dalla sua patetica area cani!”

Quindi… Ho deciso che trovo del tutto inaccettabile che alla mensa dei cani sia disponibile un assortimento alimentare minore di quello degli umani. Anche se l’alimentazione canina potrebbe apparire più bilanciata nei nutrienti essenziali, nella realtà dei fatti le cose vanno molto diversamente e gli umani possono godere del beneficio nonché privilegio assoluto di poter assaggiare di tutto: loro sono onnivori. Invece, noi miseri cani siamo abituati ad alimentarci a base di pollo, manzo, ovvero carne… Come è detta volgarmente la principale fonte di energia che possono offrire loro, sotto varie sembianze! Crocchette e umido. Stop. Lo trovo ingiusto. 

Il mese prossimo sarà il mio compleanno. Ergo, avrei deciso di invitare a cena tutti gli… Amici. E’ un fatto di equità naturale. Si tratterà di un piccolo equo scambio culturale. E mangeremo cucina canese confezionata e importata dal discount. Sarà utile a dimostrare democraticamente che siamo tutti uguali davanti a Dio. Tutti i regni animali lo sono. Durante lo svolgimento di tale evento culturale sarà possibile attraversare l’Oceano per assaggiare il prelibato sapore del salmone dell’Islanda. Gli uomini assaggeranno la versione dedicata ai cani e confezionata, i cani quella umana. Andare in Patagonia per il sentore racchiuso in un boccone di fegato di vacca locale. Gli umani imboccheranno i cani con le loro forchettine piene di fegato cucinato alla veneziana, i cani inviteranno gli umani abbaiando e facendosi indietro davanti alla propria deliziosa ciotola epatica. Viaggiare in America Latina per degustare una squisita fetta di maiale. Qui mi fermo. Avrete già capito… Saranno presenti anche i nostri cari amici padroni.

Lo faccio affinché gli umani non si sentano più in colpa con tutto che permetterebbero da sempre ai cani di elemosinare non solo affetto, ma anche briciole e… Avanzi, senza offrire nemmeno una sola volta nella vita un vero piatto servito caldo comodamente sulla tavola, che fosse accessibile da una seduta rialzata come quelle che avrebbero loro. Sentiremo l’Inno nazionale suonare come un richiamo di sottofondo. Lo desidero tanto! Nessuno, cane o umano, potrà non venire. Mamma per prima. Io sono Archie. Dai… In fondo, si tratterà pur sempre del mio compleanno. Un compleanno da ricordare. Un compleanno semplicemente indimenticabile. Memorabile. Un compleanno… Che potrebbe insegnare molto.

L’osso avvelenato

“Attenta, che così potresti farmelo diventare una femminuccia!” Ieri sera, mentre la mamma mi stava facendo le moine sdolcinate, papà ha detto proprio così. Che peccato… A quel punto lei, che mi stava coccolando in modo sfacciatamente mieloso, ha smesso bruscamente e in… Malo modo. Le persone brusche non le sopporto. Ma se mi stavo sollazzando così bene! Papà ha preso il sopravvento e ha cominciato a fare la lotta con me.

Femminuccia. Che significa? Ho un sospetto, ma ancora non lo so. Ma di una cosa almeno sono già del tutto sicuro: papà stava cercando di mettermi in guardia dalla mamma. Cercherò di fare luce in questo mistero. Si tratterà anche di un dettaglio apparentemente insignificante, nulla di che – ma a guardare bene sotto la lente dell’intuito canino, qualcosa mi dice che la mamma sia meno buona di come sembrerebbe.

Durante la passeggiata, stavo andando piano per fare contenta la mamma. L’andatura era decisamente quella desiderata e non tiravo affatto. La potevo vedere soddisfatta con la coda dell’occhio mentre davanti a lei mi godevo il panorama come Di Caprio sulla prua del Titanic. E infatti… Dapprima ho pensato: bingo! Eravamo entrambi in un momento di grande positività. E infatti era comparso per la terza volta nello stesso punto delle altre due in mezzo a questo cespuglio in corrispondenza del distributore un osso che, come era appunto evidente, era rimasto lì ad aspettare me per ben tre giri di passeggiata. Questo senza che alcun altro cane lo avesse raccolto e mangiato… Il mio osso! Strano, penso. Avvicino il muso e… Zac!

Quando mamma l’ha afferrato hanno cominciato a brillare i miei occhi… Di felicità! Non potevo crederlo, ero sicuro che stesse proprio per consegnarlo a me direttamente dalle sue manine ma alla fine è andato dritto… Nel bidone pubblico accanto a me. 

Non si spreca il buon cibo. Perché? Ho gusti così difficili! In più ha osato esclamare, storcendo il naso: “Perché dovrebbe esserci un osso, qui, dove passiamo sempre noi?” Come se non bastasse, a quel punto mi ha rifilato pure un melino. Di prepotenza. Non ne posso più di mangiare sempre le stesse porcherie. Alla fine mi sono girato e lei stava ancora borbottando. Farfugliava cose sui bocconi avvelenati e il benzinaio antipatico. Qualcosa non mi torna. Chi dispensa ossa di pollo non è mai antipatico a un cane. Cosa mi sfuggirà?

E la mamma: “Così altri cani non potranno prendere questa robaccia buttata lì da qualche pedone maleducato!” Ha gridato in modo tale che sentissero tutti gli astanti. La mamma è meno buona di quanto sembra. Non mi permette di mangiare l’erba perché vomito, l’ossobuco del benzinaio perché è avvelenato, gli avanzi perché hanno troppa vitamina C. L’iceberg insomma era proprio dietro l’angolo alla fine. Crash!

Regolette

Oggi papà mi ha portato a dispetto di tutte le regole all’area cani, ancora, cocciutamente. Alla mamma in fondo basta davvero poco per cedere sulle sue posizioni. Basta fare come me: gli occhi dolci e pieni di gentilezza. E sarebbe anche vero se si dicesse che abbaio ai cani maschi, io. Soprattutto quelli grandi. Anche alle femmine, a volte. E talora con i maschi grandi ma anche quelli piccoli andrei d’accordo… Che confusione! Ma non è semplicemente possibile controllare tutto!

Ha detto papà: “Scialla, il cane è buono, ancora cucciolo, non può essere così cambiato dall’ultima volta che l’ho portato a spasso io…” Erano passati mesi dall’ultima volta che io e papà eravamo andati a spasso assieme. Colpa della gelosia della mamma, dicono. Ma io di sicuro in quel momento non ho detto nulla che potesse dissipare l’ultima speranza che avevo di tornare dai miei amici.

La mamma combattendo contro una certa reticenza ha ribattuto: “E va bene. Per questa volta Archie potrà uscire e andare all’area cani, ma a due condizioni.” E adesso che si fissavano con aria di intensa sfida occhi negli occhi, lei poteva continuare a parlare: “Come prima condizione, voglio che possa trattarsi di un momento dedicato ad individuare i cani con cui Archie potrebbe tornare regolarmente all’area cani. Nella fase di avvicinamento, dovrai fare attenzione ad ogni micro movimento.”

Papà ha storto le labbra all’insù in segno di disappunto e ha aggiunto, con una mezza risata un po’ folle in modo piuttosto sprezzante: “Eddai, mamma, mi credi così imbecille, tanto che farei davvero avvicinare Archie ad un Rottweiler, conoscendo… te?” 

Alla mamma questa risposta era sembrata una modesta canzonatura. Meno soddisfacente del sissignora che si sarebbe invece aspettata. Papà si riteneva all’altezza ma ogni tanto dava come la sensazione di essere un tantino troppo spensierato, su…Questioni che invece alla mamma sembravano essenziali. Anzi, di più: fondamentali. Dal canto suo papà, il quale si vantava di essere cresciuto assieme a molti cani, le risultava un po’ troppo scanzonato quasi sempre. Se è vero che lei sarebbe un tipo esigente, in tutto ciò che pertiene la mia salute fisica e psicologica, prendeva nota di tutti i comportamenti “no” di mio padre. Papà non mi legava con la cintura di sicurezza nei viaggi in auto; papà parlava di permettermi di circolare liberamente per le strade troppo frequentemente e precocemente senza il guinzaglio; papà aveva lasciato cadere il guinzaglio nel vialetto di casa per ben due volte; papà permetteva ad Archie di salire la scalinata fino al nostro pianerottolo in assenza del guinzaglio; papà a volte lasciava aperto l’uscio di casa… E così via, a non finire, come con tante piccole preoccupazioni quotidiane la mamma era soggetta ad ansie sul conto del proprio cucciolo e nessuno dei miei genitori era pienamente soddisfatto in quanto all’educazione da offrire a me.

“Sta a vedere…” Ha detto papà. “Mettigli pure il guinzaglio.” E sono sceso giù per le scale accanto a lui ad una velocità piuttosto insolita per il cucciolo che conosceva mamma: cioè… Assai lentamente, al suo fianco e ordinatamente.

“Ma tutto questo è impossibile!” Ha esclamato lei incredula. Papà ha fatto spallucce e siamo entrati in auto e in un tiro di schioppo eravamo arrivati all’area cani e lui mi ha trovato una partner di gioco eccezionale. Una pastorella tedesca di quattro anni sterilizzata: perfetta secondo tutti gli standard! In fondo, papà teneva molto alla mia disciplina ed era lui a rimproverare la mamma se rubavo i calzini dal cassetto oppure portavo in giro per casa al trotto le ciabatte per provocare, salivo sul divano su e giù festosamente la sera mentre i miei genitori guardano la televisione, svegliavo la mamma o camminavo per casa lietamente alle sette di mattina. E papà ha poi domandato:

“Quale sarebbe stata poi la seconda condizione da osservare?”

“No, nulla di che…” Ha risposto lei, evasiva.

“Avanti… puoi dirmelo ora. In fondo, Archie è stato all’area cani e io ho superato il test di “papà responsabile.” Ha detto compiacendosi di sé ma pur sempre con un velo di ironia.

La mamma ha risposto titubante: “Vedi questo foglietto?” Papà ha annuito. 

“Vedi cosa c’è scritto sopra? E’ il nome della pastorella tedesca di oggi. Sto facendo una lista dei nomi degli amici di Archie. Quelli sì e quelli no. La compilerai anche tu.”

E i due si sono messi a dormire, uno alle spalle dell’altro.

I cani interi

Così il mese prossimo cambieremo città tutti quanti? Il GPS e’ pronto al mio collo ormai da un mese in vista del trasloco a Zocca. Sembra che i miei genitori abbiano premeditato tutta questa storia del trasferimento senza considerare i miei sentimenti. Ma su un piccolo dettaglio loro sono fuori strada: nella nuova casa ci saranno molti, molti mobili molto, molto nuovi e pronti da rosicchiare, molti cuscini nuovi da riempire di peli e sbatacchiare. Molti guai da fare. Sono un cane, no? E cucciolo pure. Se ne pentiranno.

Dopotutto, non a caso i cani abbaiano con tutta l’energia che hanno in corpo, sono dotati di un entusiasmo incontenibile e una curiosità insaziabile – non solo nei confronti dell’altro sesso, ma ogni oggetto semovibile muove in loro un’emozione così potente da saperli coinvolgere persino nella lotta. La mamma mentre gironzola per casa in preda a quella frenesia che le viene quando si tratta di attendere ai mestieri domestici mi ispira movimento; se si prendesse ad esempio quelle che sarebbero le creature piu’ spicciole in circolazione, esse fomenterebbero pure in me un’attivazione dell’adrenalina, con sudorazione, palpitazioni… Si tratta delle mosche. In particolare, se diventa impossibile resistere e l’impulso di dar loro la caccia irrefrenabile, figurarsi quel che capita in presenza di creature più grosse e buone da mangiare… Anche le mosche si mangiano, va bene, ma se si pensasse che per i cani vigesse la legge “basta che si muova,” questo in parte non è vero ma in parte sì.

Un cane intero può fare tutto ciò che vuole. Abbaiare di più, corteggiare di più le femmine, mangiare di più. Ma a questo punto, nella speranza di sapere come potere non deludere nessuna delle due categorie, – gli interi e gli eunuchi – mi piacerebbe tentare e sfatare questo stupido luogo comune che i cani interi si sentano meno soli che non gli eunuchi. Primo punto essenziale, i cani interi litigano più spesso, in particolare con gli esponenti dello stesso sesso. In secondo luogo, le loro interazioni sono più brevi e meno soddisfacenti, anzi più caotiche: essi abbaiano forte e l’altro cane, in preda all’agitazione, cambia strada. Ergo, i cani interi sono anche piu’ tristi. Potrebbe bastare fare esercizio di immaginazione e pensare di essere un triste cane appena lasciato solo da un altro cane che ha appena voltato l’angolo. Non finisce qui: sono oggetto di strattonamenti esemplari da parte dei padroni, che in questo modo scaricano la frustrazione e pensano “Avrei potuto operarlo in giovane età!” Se il proprio animale tira troppo al guinzaglio, frutto a sua volta della castrazione mai avvenuta, occhio, cari cani: la raffica di totò è alle porte. In ultimo luogo, la peggiore delle condizioni del cane non castrato è che esso è innocente nell’esserlo ed in obbedienza empatica al padrone si maledice per esserlo!

Ma quella che è la triste situazione di vita del cane intero non può cambiare. Egli ormai diventato troppo anziano va incontro al suo futuro con coraggiosa consapevolezza. Molto spesso non si sarà accoppiato nemmeno una volta nella vita poi. La mia preghiera è rivolta a tutti i cani castrati: non invidiateci! Penserete che io voglia tutto ma proprio tutto in questa triste pagina di diario. Ma la verità al contrario è che come c’è chi si lamenterà del dolore post-operatorio e dell’adipe in eccesso che l’aspetta quale triste postumo dell’intervento, noi non possiamo fare a meno di chi si opera e sperare che questa conservazione di integrità fisica alla fine non finisca per sfibrare il nostro animo! In altre parole, tutti i cani sono ugualmente fortunati e sfortunati. A partire dalla maggiore età ogni cane spera solo in un po’ di pace, anche noi interi. Sì, signore e signori. 

Non capisco solo come mai io sia così istintivo e cosa c’entri quell’operazione chirurgica. So solo che adesso mi toccherà pure andare dall’addestratrice, come se non bastasse tutto il resto. Infatti, in presenza della sola mamma distruggo tutto. Quando c’è papà, invece, taccio. Invece di fare i vostri piani diabolici alle mie spalle, come questo trasloco, avreste potuto non cambiare casa e io me ne sarei stato buono: se i miei genitori spendessero soldi inutilmente per l’educatrice, poi, spero che non mi dicano che sarebbe stato per colpa mia!

L’addestratore

Rispetto al problema della convivenza domestica tra familiari che abbiamo noi al mattino, quando papà vorrebbe dormire e io cominciare a fare casino, credo di essermi fatto decisamente più sgamato rispetto a tempo fa. Infatti, allo scattare del segnale di pericolo, (se papà tossicchia o fa cenno di volersi destare dal sonno,) io balzo subitamente sulla cuccia in bella vista davanti alla porta di ingresso della camera da letto e ho tutto sotto controllo. Assumo un’espressione annoiata e svogliatamente fingo di essermi appena svegliato. Invece abbiamo già fatto tanti malestri io e la mamma. In questo modo, i malestri rimangono segreti e li conosciamo solo noi. La mamma, dal canto suo, rispetto ai malestri che faccio, ha una funzione segretariale di mantenimento della privacy del cucciolo verso tutti, papà incluso. Per indole, non vorrebbe mai che qualcuno sapesse quanti guai combino tra le mura di casa. Per esempio, metti che io abbia il vizio di rovinare i tappeti; anche in tal caso la mamma sarebbe più propensa a rimuovere il tappeto, anziché affrontare me. Affrontarmi? Già. Affrontare un cucciolo indisciplinato comporta una certa dose di sofferenza intrinseca all’atto stesso di potermi sculacciare con un giornale o una pezza da cucina ed eventualmente mettermi in punizione; naturalmente, togliere anche il maltolto alle mie fauci.

A questo punto, potreste domandarvi come mai il problema non si possa affrontare alla radice. Infatti sono più che sicuro che nel nostro quartiere qualcuno offra dei servizi come addestratore. Allora, perché no?

“Archie?” Con un sorriso da ebete sulla faccia, la mamma si è accovacciata a terra accanto a me ed ha cominciato come fa sempre più spesso a massaggiarmi il pelo della testa in modo sgradevole. Temo che prima o poi potrei diventare calvo con tutte quelle carezze che mi fa in continuazione, anche adesso che sono diventato quasi grande. “Archie, preparati: venerdì viene il tuo nuovo amico!” E con aria misteriosa mi ha strizzato l’occhiolino e ha lanciato uno sguardo complice al papà, che nel frattempo mi stava già fissando in modo sinistro. 

Non mi sfugge nemmeno un micro movimento delle vostre espressioni. 

Papà mi fissava inespressivo perché avete paura di dire ormai qualunque cosa in mia presenza. Sono troppo intelligente. Capisco tutto. E posso distruggere la casa in più.

“Non muovere un muscolo…” Ha sussurrato papà. Ma io stizzito mi sono portato nella stanza adiacente. Solo perché era l’ora della nanna. I miei genitori hanno tirato un sospiro di sollievo all’unisono. Ormai temono le mie reazioni impulsive. E’ perciò che avrebbero coinvolto l’addestratore.

Trovo ingiusto il fatto di ricorrere ad un addestratore esterno. In fondo, ho già ben undici mesi. Peccato… Eppure, non sono riuscito ad evitarlo. E dire che avevo calcolato tutto nei minimi particolari. L’avranno chiamato perché con mia mamma sarei ingestibile. Ma che vergogna! Non saper gestire un piccolo cucciolo. Che genitori del cavolo… Quello che non hanno capito ancora è che ormai ci muoviamo nell’area dei cosiddetti compromessi, quale limite imponibile alla mia intelligenza che io sia disposto ad accettare verso di loro. E che sono goloso. Il mio punto debole è… Il… mangiare. E la mamma mi serve delle crocchette squisite. Purtroppo ha recentemente preso atto del fatto che le mangio solo se ci versa sopra una colata di gustoso parmigiano reggiano d.o.c. oppure olio d’oliva a go-go. Potrebbe già essere diventata consapevole del fatto che farei qualunque cosa in cambio di quel formaggio. Cosi’, mangio le crocchette solo in cambio di un po’ di formaggio. Oppure tonno. Oppure salmone. Oppure qualcosa che non ho ancora assaggiato. Mangiare, insomma. Vero mangiare, s’intende. Non le cose confezionate che comprerebbero gli umani che conosco in offerta al discount dedicate ai soli cani. Siamo una famiglia, in fondo è meglio condividere amichevolmente ogni pasto, non è vero? Sarebbe opportuno se imparassi a controllare la fame, ma sembra impossibile. Mangio anche le sedie. E anche quando lo faccio perché sono arrabbiato per qualcosa, mia mamma riesce a calmarmi con un semplice lancio di osvego. E’ ingiusto. Sono diventato ricattabile. Come andrà a finire? Sarei io il padrone della casa. Il legittimo padrone persino dei miei proprietari. Ho conquistato persino il cuore di papà. Che cosa potrebbe fermarmi? Il proprietario di un molosso dice che diventerò un maschio Alfa. Un grande e grosso cane maschio e Alfa. Niente male. Dice che cerco di gestire gli altri cani. La mamma crede per lo stesso motivo che io abbia più la stoffa del mediatore. Si sbaglia. La solita incompetente che non è in grado di gestire un cucciolo. Ed è vero, ho fatto un piccolo cambiamento alla mia routine. Un tempo se mi sgridava papà io mi limitavo a correggere il mio comportamento. Ma poiché mi sono deciso a non limitarmi a temerlo ma, anzi, sdrammatizzare, ho considerato anche che così facendo potrei massimizzare addirittura le possibilità che diventi inevitabile l’intervento della mamma. E lei non ha autorità. Ergo, se sono vere queste cose, potrei fare sempre più spesso quello che mi pare. Perché entrerebbero in conflitto loro e non ce ne sarebbe più per “nessuno…” Unico problema? Papà se la prenderà sul personale. Vedendo che oserei resistere ai suoi perentori ordini del cavolo interpellerà uno bravo. Da quando in qua i cani andrebbero dallo psicologo comportamentalista? Io dico che hanno bisogno gli umani di un addestratore, mica i cani. Ergo, il bollettino ufficiale asserisce che qua a casa siamo entrati in guerra civile.

Se avessi saputo che sarei venuto al mondo per avere un addestratore, piuttosto avrei preferito nascere gatto. Ma ecco un’importante precisazione: l’idea sarebbe stata di papà. Ma la mamma avrebbe agito per prima. Ha chiamato lei la Preside… No, intendevo dire la veterinaria, già – e lei ha fornito il contatto di un’addestratrice! Una delle tante che inizialmente sono state scartate. Scartate? Come se fosse una questione di vita o di morte assegnare un addestratore ad un cane… Come se un cane non ne vedesse l’ora! Inspiegabile come il mondo pulluli di addestratori canini… Come se non fossi un cane educato. Io… Che sopporto di tutto. Io, sempre a gambe all’aria per la casa a prendere le coccole. Sul divano, a terra. Sarebbe d’accordo chiunque che gli umani con cui condivido la mia casa sono eccessivamente espansivi e pretendono anche le confidenze più coccolose, quelle riservate ai prescelti. I prescelti, sì. Gli amici veri. Cani, umani, non fa differenza. Ma non mi lasciano il respiro di compiere le mie scelte in fatto di amicizie così! Tanto sdolcinati come sono, adesso come ho già detto anche al papà lui si è rammollito. Accidenti! Lo stimavo. Lo stimavo prima che… Me lo lavorassi e ne conquistassi il cuore. Ora che si comporta pure lui con me proprio come una mammoletta, mi annoio sempre. Già, perché quale altro divertimento potrebbe avere un povero cane se non quello di obbedire al capo branco? E’ così triste non avere più nessuno da educare alla tranquillità, anche con gran dispendio di energie. Ne scaturivano piacevoli momenti distraenti dalla routine. Liti. Se ci ripenso, che dava della femminuccia a me… Comunque, ricorderete F., la trainer presso la magione. Non è bastato il suo aiuto. Questo è già di grande incoraggiamento per me. Anche la prossima la farò sembrare un’impotente inetta incapace.

Comunque, l’altro giorno ho visto, nonostante le auto sfrecciassero nei due sensi oltre, al di là di esse un cane, che mi sembrava di non conoscere ancora. Ho assistito a una scena… Tutta da raccontare. 

La sua umana gli diceva: “Seduto!” Insistentemente, come fa la mia. Tante, tante volte. Lui che la osserva, pensieroso. Mi sono detto: adesso vado lì e gli faccio i complimenti. Infatti non potrebbe mai essere chiaro agli umani che è oscuro il perché delle volte ci mettano alla prova così! Pensa: in mezzo a un marciapiede, seduto? Non siamo mica davanti a un piatto di tagliatelle, a tavola! E comunque, se noi cani capissimo il vostro linguaggio saremmo pronti a fare ogni cosa richiesta. Si tratta di come comunicare. Non cosa.

La pettorina stretta

Sono così dominante e Alfa che nemmeno la pettorina nuova mi entra più. Per questo motivo la mamma ne aveva comprata una e una sera papà le ha telefonato ingenuamente e le ha rivelato che non era stato in grado di mettermela a modo e ci trovavamo comunque all’area cani. Come si può immaginare, la mamma è andata su tutte le furie. Ansiosa com’è per la mia sicurezza, con la pettorina tutta storta temeva il peggio: il suo incubo era sempre stato che mi divincolassi. Temeva che avrei potuto farlo, visto che tiro al guinzaglio e fuggire, con la pettorina messa in modo inadeguato sarebbe stata un’opzione.

 Era dalla parte opposta di Bologna, a piedi, con pochi mezzi pubblici che circolano come di consueto vista e considerata la circostanza che era. E caso voleva che tutto ciò capitasse proprio al sabato sera, quando c’è traffico. Ha camminato dal quartiere accanto per i viali ed è tornata su via Mazzini quasi di corsa e quando io e papà eravamo già tranquillamente entrati nel vialetto di casa sopra la nostra Panda in compagnia l’uno dell’altro come se nulla fosse. Si è messa a gridare istericamente la mamma allora. “Ma bravi!” Io la guardavo come se nulla fosse. Lei applaudiva sarcastica. “Come sarebbe possibile che una volta tanto che ho un colloquio di lavoro importante e sono invitata al ristorante e non esco mai da sola e non ho nemmeno un’amica al mondo” non prendeva fiato “proprio allora tu mi abbia telefonato con questa bella notizia!” Sbraitava tanto che le faceva male la gola e le sue grida arrivavano fino all’ultimo piano del nostro condominio e qualcuno ha abbassato la tapparella in quel momento esatto. Allora papà senza parole ha indicato infuriato la pettorina: quella era la prima volta che mettevo quella pettorina, appunto e in base al mio peso e alla mia altezza avrebbe dovuto andarmi bene, invece no – mi andava… Stretta! Capite? Non larga. Bensì stretta! Mi avvolgeva completamente. Era più che fasciante. Soddisfacente. A tutti gli effetti. Era ovvio che papà aveva fatto un buon lavoro e non avrei potuto svicolare via in quelle condizioni, anche se la pettorina non era agganciata come da manuale. Era solo un po’ storta, ma dopotutto poteva andare… La mamma è rimasta incredula e poco convinta. 

Le spiegazioni di questa sua reazione possono essere solo due. O Amazing ha consegnato una pettorina più grande della taglia richiesta, oppure io sono proprio un grande e grosso maschio Alfa di cui andare orgogliosi e sto dentro anche a una pettorina taglia Large!

Computer

Ad un mese dal mio compleanno il computer è precipitato con un sonoro “Pac!” dalla scrivania al pavimento sottostante. E va bene, d’accordo, sì, ho esagerato anche questa volta, che è risaputo chi sarebbe stato a provocare la caduta: e infatti sono stato io. Sarei stato io? Non ne sarei così sicuro. E’ ovvio e naturale… Solo apparentemente quanto è stato detto sarebbe vero: così avrei preso il computer per un lato e l’avrei fatto precipitare io? Bene… Perché io direi che ci sarebbe un “ma.” Una piccola discriminante da fare prima di affrettarsi alle conclusioni. In quanto alle responsabilità sull’accaduto, infatti, sarebbe vero anche che il computer non si trovava dove effettivamente avrebbe dovuto. Infatti ci tengo a puntualizzare che ogni cane dovrebbe avere a propria disposizione un computer. Sostengo che si sia trattato di un incidente. E aggiungo che comunque ogni cane dovrebbe avere un computer a portata di muso. I computer sono ottimi sostituti dei pennuti ma più odiosi: perfetti per essere azzannati e portati in giro con spavalderia quali le prede quali sono veramente in una casa priva di fantasia, come sarebbe poi quella di ogni umano che ci sia sulla faccia della terra. Quindi, la caduta è colpa della mamma. In fondo, che si trovasse fuori posto al di sopra della scrivania riguarda il suo coinvolgimento nella faccenda. Il vero posto del computer è ovunque laddove fosse possibile farlo azzannare a me. 

Adesso che il computer è andato a farsi un bel ricovero alla clinica informatica, mi piacerebbe proprio sapere quando mi presenterà la parte di libro che mi ha promesso poi la mamma che scriveva sempre con il computer. Credo che potrebbe presentare a malapena la parte breve già scritta per il mio compleanno. Si tratta del mio diario. Ma nel frattempo che lei si sarà presa una vacanza dalla scrittura sarò diventato vecchio, se è vero che tra soli due giorni compio già un anno. Credo che sia possibile che possa aver messo di proposito il computer sulla scrivania, dove non si trovava da tempo immemore. Potrebbe essersi trattata di una provocazione ai miei danni. L’ha fatto di proposito perché io lo rompessi. Sì, è pigra la mamma. Non aveva più voglia di lavorare al computer alle sue cose. Era stufa. Voleva sbarazzarsi del computer. E anche del sottoscritto, in un certo senso. Sì, perché adesso papà è furente, con me.

Il motivo per cui la mamma non ha più comprato un computer per quasi un mese sarebbe la sua povertà. Tanto che avevo fatto quasi in tempo a pentirmi di averlo rotto, quando ci ho ripensato e, no… Ne andrò sempre orgoglioso: non è vero che è povera. E’ una scansafatiche. E poi si è trattata dell’impresa più epica in assoluto compiuta da me. Fatta eccezione solo per i balzi sul letto provocatori con in bocca i calzini di mamma, si intende; per i furti esaltanti che metto in atto regolarmente nei confronti di quasi tutti i cani dell’area cani dotati di pallina… Certo: limitatamente a quelle palline dotate di valore affettivo visibile. Ad esempio se si sente guaire e ululare il cane posso divertirmi. Altrimenti no; e così via, ma ciò che conta è che due giorni prima del mio compleanno è tornata al lavoro. Mi stavo domandando appunto quanto tempo avrei dovuto ancora aspettare prima di poter pianificare il prossimo agguato nei confronti di un dispositivo da tavolo. Avanti il prossimo… computer. 

“Oh, come ho speso poco alla Komet… Trenta euro con il finanziamento e prima rata il prossimo mese!” Ma quale povertà e povertà. Intanto sei tornata a casa con un computer nuovo. Né usato, né ricondizionato. E poi, se ti hanno fatto il finanziamento, questo sarebbe perché avresti un reddito. Mi domanderei dove nasconderesti il denaro che non dichiari di avere. Il vero motivo per cui non hai comprato prima un computer è la tua pigrizia. Già. Altroché. Non avevi voglia di scrivere. Vergogna… questa storia dovrebbe finire. Infatti, se proprio dovessi dire se sia accaduto qualcosa di eccitante in questo mio ultimo mese da cucciolo, al contrario mi piacerebbe poter dire la verità e non è capitato nulla di eccitante. Tutto noioso! Il macellaio non mi vuole nemmeno più nel suo negozio per via dell’ASL: mettevo sempre le zampe sul bancone pur di farmi allungare un buon pezzettino di maiale fresco da assaggiare. 

Mi sarebbe venuta la solita idea. Quasi quasi da questo momento in poi comincio a fare delle marachelle in più. Vediamo se mamma non si mette all’opera e ne scrive delle belle per tornare a regime di vivacità!

Compleanno

Per il mio compleanno tanto atteso non ho assaggiato niente di buono. Gelato per cani? Che schifezza! Giallo. Molle. Freddo. Ma che roba è! Gli umani non sanno più cosa inventarsi. E in quanto a brutte figure, mi pare proprio che mia madre non possa dirsi esente. Presentare un misero e buffo gelato. Ecco, l’ho guardata con due occhi disperati, increduli e delusi. Quale incredibile flop! Ah ah ah ah. Mi tocca di voler scacciare dalla mente il gusto di quel gelato da strapazzo. Ma la vera brutta figura non sta nel… Gelato in sé e per sé: la verità è che la brutta figura, sì, lo dico e lo ripeto, sta invece, ecco, proprio nello sgravio che da parte della mamma è stato il fatto di volersi liberare dell’incombenza di fare una torta vera. Una torta… Dai, l’immancabile torta! Avrei dovuto pregarla per avere una torta… Nel giorno del mio legittimo compleanno? Ci voleva tanto a capire che era essenziale una torta nel giorno del compleanno del suo unico cane unico? Sarebbe stato troppo pretendere una misera tortina? Se credeva di farmi fesso e che non fossi al corrente che si preparerebbe la torta e non si somministrerebbe invece gelato ad un compleanno, solo perché sarei ancora solo un poppante, è fuori strada. Voglio crescere! Così nessuno tenterebbe di farmi fesso più. Comunque, non ho mangiato il gelato ed ergo, ho ripudiato completamente anche la torta, che alla fine c’era. Già. Proprio così! Per prima va servita la torta. Le cose avrebbero potuto andare meglio, per dinci! Vogliamo parlare dei festoni? Mi vergogno solo a doverlo dire. Ce n’era solo… Uno! Torte? Una. Pasticcini? Uno. Invitati? Uno (sì: G. Come al solito.) Candeline? Indovinate… Proprio così, una! Accidenti. Archie? Uno! Uno solo! Si chiama per caso questa “festa a tema uno” oppure “festa di Archie?” Se volete sapere quale fosse l’unico elemento ad essere autorizzato a rimanere “uno,” appunto, in quanto esclusivo e perfetto, questo avrei dovuto essere io. Per il resto degli elementi menzionati, avrebbe dovuto tutto assomigliare non a una squallida merenda in soggiorno. Io sono Archie, il mitico! Non mi interessa se io di anni ne ho uno. Appunto, avrebbe dovuto tutto sembrare una specie di matrimonio celebrato nella profonda Calabria! Anzi: esigo che il mio compleanno numero due si possa celebrare al Sud. Obbligatorio!

Come una breve passeggiata ormai finita

“Archie… tu sei il cagnolino coraggioso che prende per i fondelli anche Miura e Giovanna, la coppia di alane, le cagnolone più grandi del parco cani!”

Se fosse lecito pensare che io sia il cane coraggioso che sembro, questo potrebbe essere un errore. Io sono fragile. Un cane indifeso che ha bisogno dei suoi genitori uniti, bravi e forti, che sappiano proteggerlo. 

Io mi fido ciecamente di voi. 

Ma questo è troppo: traslocare, stravolgere le abitudini è chiedere quasi l’impossibile a un cucciolo la cui vita è fatta di routine. Eppure lo sanno tutti! Che anche la passeggiata al mattino amo farla sempre allo stesso modo.

Accolgo la mamma quando apre la porta, le faccio le feste. Lei assonnata si reca nel bagno, io la seguo. Lei prova a chiudere la porta e ci guardiamo, io la prego di poter entrare, mi fa entrare io gioco con i soliti due manicotti della carta igienica in cartoncino, buoni da accartocciare e spezzettare. Nel mentre la mamma si è preparata e usciamo insieme dopo quando si è pesata e ha sbuffato, chissà come mai… Si mette le scarpe, io le mordicchio i calzini ma gliele lascio mettere eccezionalmente: in fondo dobbiamo pur sempre far la passeggiata, la prima della giornata, la più importante. Questa che comincia dal macellaio dove salutiamo e compriamo all’occorrenza della buona carne fresca per… Me, proseguiamo per via O. Qui all’inizio, rigorosamente sul lato destro della carreggiata, faccio la prima pupù. Incontriamo qualche cane, la strada è stretta, dobbiamo condividerla nel modo più saggio possibile, io sono possente, mamma mi esorta a procedere educatamente ma io abbaio salvo che siano delle belle cagnoline o, al massimo, cani castrati. Così, ecco comparire la foce della via, un curvo largo marciapiede si amplia e verso destra si apre l’alba delle otto e mezza precise davanti a noi, mentre il GPS segnala che abbiamo percorso un terzo della passeggiata. Allora un attraversamento modestamente imponente per la mole di auto ci impone di fermarci, davanti alla striscia pedonale doppia che invita ad un’attenzione particolare in quanto alla direzione da prendere: dietro di noi, sulla carreggiata auto sfrecciano in ambo le direzioni mentre tutti gli umani vanno da qualche parte. Così, anche alla nostra destra; ma noi corriamo sulle strisce dall’altro lato procedendo diritto, dove c’è una strisciolina d’erba tenera che fiancheggia la siepe del vecchio cinema di quartiere deliziose e siamo al… Campo del F2. Si staglia questo enorme prato davanti a noi e io guardo il sole, sento la brezza che mi scompiglia le orecchie e l’odore delle rose con tutti quei mozziconi appuntiti cui prestare attenzione quando annuso i loro steli mentre la mamma mi guarda e io ne vorrei cogliere una per lei. Sono felicissimo! Annuso in lungo e in largo la rugiada e l’umida terra delle 8.45, finché un’ombra taglia in due anche l’entusiasmo. E’ quella della struttura del F2 che si affaccia sul pratone. Allora mi faccio serio e osservo e la mamma osserva me. Fiancheggiamo l’edificio imponente, alle volte dal lato destro altre da quello sinistro. Questo perché solo così possiamo evitare di entrare nella galleria del Centro commerciale, dove in un negozio la proprietaria ha sempre con sé un cane che non mi sta simpatico al quale mi verrebbe da abbaiare. Poi, davanti all’ingresso c’è sempre qualcuno pronto a fischiettare al passaggio mio e della mamma ed io… Riconosco sempre chi mi fa qualche complimento pur di entrare nelle grazie di lei. Sul lato destro c’è sempre quel camion con un uomo simpatico che mi fa appunto delle moine mentre scarica della merce che sa di buono. Passiamo per la chiesa, qualche cane da incontrare c’è e poi attraversiamo via B. Allora, in modo speculare alla prima, sulla via del ritorno che è un sentiero tra i palazzoni di via P. e quelli della via accanto che conoscono in pochi, faccio la seconda pupù della mattina. Perché andiamo via e che ci sarebbe di meglio di questa vita mia? In fondo, ci sarà sempre questo diario da rileggere, quando volessi ricordare il mio primo anno di vita.

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