Una mamma negata.
Mare di mamme”: una poesia sul desiderio d’appartenenza alla maternità
Nella poesia “Mare di mamme”, l’autrice ci conduce in un paesaggio intimo, quasi onirico, dove la maternità non è solo un dato biologico, ma un luogo simbolico, affettivo, sociale. Il testo, costruito su versi brevi e spezzati, assume il ritmo del pensiero frammentato, della riflessione esitante, del desiderio trattenuto.
Il cuore della poesia si fonda su un’immagine suggestiva: un “mare di gesti rubati alle vere mamme”. L’espressione evoca un universo di azioni delicate, quotidiane, istintive – piccoli riti di accudimento che definiscono il legame materno – osservati, forse imitati, forse desiderati da chi si sente fuori da quel perimetro.
C’è una tensione costante tra l’autenticità e la rappresentazione, tra chi è “vera madre” e chi, pur non essendolo (o non riconosciuta come tale), custodisce un desiderio di esserlo. La poesia riflette su quanto i gesti dell’amore possano essere appresi, mutuati, assimilati. E si chiede – in silenzio – se questo basti per essere accolti nel “mare”.
I versi finali – “sedere / potrei / pure / io” – rappresentano la vetta emotiva del componimento: una richiesta sommessa, ma piena di significato. Non un grido, ma una proposta. Una confessione, forse, di chi desidera semplicemente un posto accanto a chi ama, cura, consola.
Con linguaggio essenziale e immagini delicate, “Mare di mamme” è una poesia che parla a tutte le forme di maternità – biologiche, sociali, desiderate, negate – e lo fa con una voce leggera ma profonda. Invita a riflettere su cosa significa davvero essere madre, e su chi abbia diritto di sedere in quel mare.
Esiste un sogno
dove in un mare
di gesti rubati
alle vere
mamme,
visti e
rubati;
imitati
dalle Vere
mamme,
teneri gesti,
mutuati con
arte di gesti
imparati,
sedere
potrei
pure
io?
