Medea
Medea
Di Elena Ferrari
MARIA
(con il bicchiere pieno di vino rosso in mano che sta per brindare con dei commensali, che rimangono in silenzio.)
Devo ammetterlo. Sono una donna delle peggiori, la causa persa che non ha altro che se stessa, cui deve ogni cosa, delle pochissime che ha. E non va d’accordo con nessuno. Vendicativa, sto dedicando la vita alla ricerca di mia figlia, che mi hanno tolto in fasce perché ero diventata matta. Pazza. Sì. Non era così un tempo. La vita era diversa, ma basta: ciò che conta è che oggi sono questa persona, completamente ossessionata dalla rivalsa contro colei che ha a carico mia figlia. E mi ha rovinata, per ora.
E mi accorgo, ora e non senza una certa dose di serenità, che le cattive intenzioni che ho io non le… giudico, oggi; bensì le voglio rispettare così, come sono. Perché la natura merita anche quel rispetto. Anche per dispetto lo voglio fare e mi dà una certa dose di tranquillità, se non piacere, pensare che non c’è niente da fare, da parte mia: non potrei evitare di assecondare la mia stessa natura, benché io sia diventata profondamente malvagia.
Cattiveria dopo cattiveria, maledizioni, pensieri errabondi che come meta avrebbero potuto avere solo il suicidio, non mi farò problemi e perseguirò lo scopo per cui – lo giuro – io sono nata, al di là di ogni morale, giusta o sbagliata che sia: ottenere l’affido di mia figlia. Come un’orsa privata dei figli io in modo strategico non sarò indulgente. Non risparmierò chi si potrebbe frapporre tra me e il mio obiettivo primario, quello della mia vita, per cui sono nata, cui sono votata in modo del tutto imprevisto perché scopro oggi che sarebbe imprescindibile: tale obiettivo sono io.
Carne della mia carne, sangue del mio sangue, inferocita come sono e fredda nel mio sangue e nervi potrei dire altro, ancora; come ad esempio che godo del privilegio di possedere ormai, da tempo, una conoscenza approfondita, così superiore, siderale direi, della legge. Ho imparato la lezione: le regole del gioco sono quelle che riguardano questa famiglia, che non saprei spiegarmi bene perché e per come ma di fatto io so che Dio mi ha dato in dote quali compagni, avversari. Parenti, acquisiti o meno, in ogni caso dai quali potrebbe essere solo inutile tentare di dissociarmi con la mia povera mente, già distrutta dai danni dalla depressione che mi fece ricoverare molte volte e dalla quale sono invece uscita, alla grande.
Mi hanno abbattuta così tanto le sfide insuperabili che ho affrontato in minoranza, lottando alla disperata, senza via d’uscita, subendo di ogni, che oggi quest’ondata, l’odio atavico che dietro di me sospinge a gonfie vele me verso la direzione e mi porta avanti, è l’unica ragione di vita che ho. So solo che se io sono costretta ad ammettere di essere una donna delle peggiori, la peggiore in assoluto e senza se e senza ma, sarebbe sempre pur vero anche dire che oggi mi conosco, almeno. E non mi giudico più.
Prendo atto con questo distacco interiore che la condizione del mio fragile cuore è quella che ho già descritto e se qualcuno potrebbe puntare il dito verso di me, sarebbe giusto dire anche che i miei avversari avranno altre difformità, davanti all’ideale angelicato che avrei tanto voluto incarnare da ragazza – finché non ho potuto avere il privilegio di guardarmi dentro così intimamente, appunto, talmente tanto che sarebbe stato possibile solo cedere alla resa, come infatti ho fatto e il risultato è che sono costretta a dirmi una donna malvagia.
I miei avversari? Loro trasgrediscono la legge. Continuamente. Ed io? Mai. Conosciamo le regole del gioco, appunto. E bisogna conoscere le regole per mettersi in gioco. E quando sei una donna malvagia quanto me, non potresti mai permetterti nemmeno un solo errore di quel tipo, per tutta la durata della tua vita. Quindi ho individuato chi sono io, chi i miei compagnucci di gioco, come si gioca, l’obiettivo è chiaro. Cosa manca? Le armi. I punti deboli quelli li conosco tutti abbastanza bene da aver già tolto qualche punto laddove c’era una feritina.
Ad esempio, da quando ho denunciato una sono molto più serena. In fondo, perché impedirsi di essere quella che sono? Fino a che punto sia disposta ad arrivare, questo non saprei dirlo. C’è ancora tutto da costruire, in gioco. Le armi. Denunce. Secondo la legge. Andrò avanti con questa battaglia legale, mi toglierò di dosso dal groppone lo stigma sociale, il pregiudizio e la povertà insieme.
Lei è una bugiarda, tanto per cominciare. E ho cominciato a toglierle il tappetino persiano che ha sempre sotto i piedi. Vuoi scommetterci? Hanno segnalato la famiglia per la mia insistenza e per una questione davvero illegale. Come ho fatto? Semplice. Ho bussato fino a quando quel muro di gomma ed emarginazione stramasticate si è infranto alla porta dell’ispettore. Quando è partita la segnalazione, mi sono fatta una bella risata. L’ignoranza si paga.
Un mezzo scorretto in aggiunta a un’azione legale che non rappresenta solo un grave torto, anche a mia figlia, a quanto dicono i miei familiari, ma anche una grossa spesa. Chi lo è venuto a sapere e non sa quanto ho sofferto? Furioso. Non credo che daranno ragione a loro in sede di giudizio. Sono abbastanza incazzata.
E di mia figlia, del suo interesse in qualità di minore? Che dire? Lei, finché diranno – come è già stato detto – che non me ne frega niente di lei, proprio intrapresa l’azione legale per strapparla alle cure di lei, a mio modesto e ottimista parere potrebbe pur sempre stare meglio in una terza famiglia affidataria. Non devo dimostrare niente a nessuno. A proposito del distacco questo è un fatto assodato: la scelta sarà del giudice. Io mi sono semplicemente limitata a difendere grazie al mio acume e senso di giustizia e conoscenza la… Legge. Non si può trasgredire un’ordinanza infatti. E poiché io sono parecchio rispettosa, tuteleranno me, al di là di qualsiasi immoralità dell’anima. Dell’anima chisseneimporta. Quella è nelle mani di Dio. E se quel giudice potesse leggere le mie parole potrebbe dirsi in opposizione alla mia posizione giuridica? Fa fede quanto dico e che è vero, pertanto siccome non è un reato avere uno spirito nefasto a mo’ di guida, io sono certa che, anche se il giudice sapesse leggere quella lettera aperta, darebbe ragione a me. Che non ho mai nemmeno lontanamente pensato di rubare e fare del male. La giustizia è il mio fine. Fredda esecuzione. Fredda sentenza. Spetta a chiunque, così come è spettato a me per prima anche un tempo lontano.
Credo nella Legge. Quella che mi difenderà. Adesso quelli che si aggrappano al valore della misericordia quale suprema forma d’amore dimenticheranno mai che il suo esatto contraltare è la Giustizia appunto?
La misericordia! Quella egoista no, non è misericordia. È buonismo bello e buono. Perché praticarla verso familiari, amici, cerchia è… molto semplice. Io, madre naturale di Mia, che dovrei dire? Relegata a questo ruolo, marginalizzata per sette anni, di cui tre a guardare Mia crescere mentre il mio ex marito… andava ad abitare con lei! Cristallizzata, cronicizzata.
Che cosa dovrei dire, dunque, di ciò? Ed è questo di cui dovrà rendere conto quella famiglia offesa e ferita, ora, poverina, dal colpo della segnalazione. Perché una bella lettera, scritta da mani altrui è bastata per abbattere il mio minotauro – loro! E sarebbe questa la misura del loro amore verso Mia, se è vero che non si sarebbero fatti alcun problema per esporla a questo vergognoso scandalo che una famiglia detta perbene commetta reati sotto gli occhi di tutti ed esponendo anche le autorità amministrative al pubblico ludibrio che è stato denunciato!
Che pratichino ora la loro misericordia verso di me, come mi spetterebbe se fosse un mondo più giusto, migliore!
Acciecata dall’odio verso di lei ho lottato a lungo per uscire dalla depressione. Ora è tempo di riabbracciare la mia mercede.
Entra Mia.
MARIA All’accusa di non amare veramente mia figlia rispondo con cognizione di causa: e allora che cosa m’avrebbe portata a denunciare la sua famiglia, se non proprio quell’amore che direste io non proverei per lei? Speranza e amore. Speranza di riabbracciarla, amore!
MIA Sono fuggita dalla casa dove abito e sono qui, proprio come hai sempre voluto, mamma.
MARIA Vattene dalla mia vista, bambina! Non reggo questa visione: trattasi di un oltraggio al Giudice bello e buono. Potrei finire in un guaio! Ho attraversato mille sfide per arrivare a te. Sfide come anche una brutta malattia. Che vuoi da me, davvero? Ti avrà mandata tua nonna a convincermi di ritirare le accuse nei vostri confronti. L’unica cosa che mi resta è l’involucro, non ho altro da offrire a te, se non l’impalcatura che rappresentano fragili leggi su cui tutta la mia vita da sana si è sorretta, una vita raggiunta alla veneranda età che ho ormai ultraquarantenne, aggrappata come sono a un ordine troppo alto perché chicchessia capisca veramente le mie ragioni, fatta eccezione per me solamente.
MIA Me ne andrò via, tornerò per strada, lontana da chi mi ha amata davvero bambina e da chi invece mi odia al contempo e non so dove andare, ma casa mia si trova in un’altra città ed ho solo sette anni per arrivarci da sola.
MARIA Non potresti pretendere da una donna ferita come me coinvolta con quella tua vecchia famiglia e tua nonna di riportarti davvero da loro. Assistere così all’abbraccio osceno ai miei occhi di te, cuore mio, consegnata nelle spire oltraggiose di me e della Legge che ti avevano rapito. Va’ con chi ti ha portato da me, ma prima spiegami che cosa pensavi di ottenere recandoti a casa nostra.
MIA Mi ha portata qua un uomo incontrato per caso. Egli mi ha chiesto chi fosse la mia mamma, ed eccomi qui. Sono troppo giovane e non avrei potuto sapere che egli si riferiva invece a nonna Elena. Quell’uomo è tornato nella città dove abitiamo e abbiamo in comune, laddove lui ha trovato me persa.
MARIA E come ti saresti persa, dunque?
MIA La nonna mi ha lasciata nell’auto mentre faceva la spesa al supermercato. Improvvisamente si è fatto così caldo che non avrei potuto rimanere lì più. Così sono uscita, la portiera era aperta e mi sono trovata sola in un parcheggio, quell’uomo si è avvicinato ed eccomi qui.
MARIA Impossibile! Il Giudice deve conoscere come sono accaduti questi fatti oltraggiosi.
Entra ADOLFO.
MIA chi è lui, mamma?
MARIA si tratta del mio nuovo marito.
MIA non sapevo che fossi riaccompagnata di nuovo insieme a nessuno.
MARIA abbracciami, ora.
ADOLFO chi è lei?
Le due si stanno abbracciando.
ADOLFO chi sei? Chi sei tu? Mia?
MARIA è Mia.
ADOLFO che cosa succede?
MARIA niente che ti riguardi.
ADOLFO senti, tu, come oseresti contraddirmi?
MARIA e va bene, se proprio vuoi sapere come sarebbero andate cose ti dirò la verità. Sua nonna ha abbandonato mia figlia, a quanto pare.
ADOLFO I casi sono due: o la nonnina sta perdendo qualche colpetto, oppure sarebbe lecito sospettare che meriterebbe una lezioncina per quello che ha fatto.
MARIA buono.
ADOLFO non darmi ordini. Guarda com’è carina.
MARIA Stai lontano da lei.
ADOLFO Ehy, carina, avvicinati a me pure, vieni qui un attimo. Voglio accarezzarti la testolina. Ehy, guarda come ti somiglia! Siete proprio due goccioline d’acqua.
MARIA non sapevo fossi capace di essere tanto tenero con una bambina.
Mia ed Adolfo si stringono la mano e si piacciono.
MARIA Comunque, dovrà ritornare dalla sua famiglia: se qualcuno la trovasse qui, vorrebbe dire guai per noi.
ADOLFO Già. Qualcuno bussa alla porta di casa. Maria si reca a vedere chi sia.
MARIA E’ la Polizia. Agente, Mia è sana e salva ed è venuta da noi perché sua nonna l’ha abbandonata nientemeno che in un’auto esposta al sole, mentre stava facendo la spesa, al caldo di un parcheggio sotto il sole estivo.
Maria apre la porta serenamente ed entra il Commissario.
COMM. LEONE Signora, lei è in arresto. Lei è il compagno? Verrà anche lei, con noi in commissariato, avanti salite uno ad uno nell’auto di servizio dell’Agente che è venuto con me ad accompagnarmi.
Atto I Scena II
MIA è stata mia nonna a lasciarmi incustodita. Mamma non ha colpa. E quest’uomo è gentile.
COMM. LEONE voi due, che cosa direste a tal proposito?
MARIA corrisponde alla verità. E’ tutto quanto sappiamo ed è stata Mia a dircela.
COMM. LEONE lei conosceva già questa bambina?
MARIA si tratta di mia figlia.
COMM. LEONE se Mia è proprio sua figlia, qui qualcosa non mi quadra più.
MARIA è molto semplice, anche se tutte le volte spiegare mi fa un male atroce.
ADOLFO è sua figlia ma non abita qui.
COMM. LEONE lei è il compagno della signora, era al corrente dell’arrivo di Mia? E come sei arrivata qui, Mia? Chi ti ha portato da tua madre?
ADOLFO non direi che fossi stato esattamente avvisato, Mia è arrivata qui grazie al passaggio di uno sconosciuto.
MARIA qui si mette male. Commissario Leone, perché non si accomoda e si beve un piccolo sorso buono buono di caffè napoletano fatto con le cialde espresso della nostra nuova macchina?
MIA mamma credo che il commissario Leone dovrebbe riportarmi a casa, ora. Mi manca mia nonna, Commissario Leone. Voglio fare ritorno.
COMM. LEONE Mia, ascoltami. C’è una cosa che ti devo dire. Mi è arrivato un messaggio in questo momento. Non andrai più dalla nonna Elena, d’ora in avanti sarai ospite di un’altra famiglia. Si è fatta ora di andare. La tua nuova famiglia ti aspetta.
Il Commissario Leone e Mia in lacrime escono insieme.
ADOLFO ti vedo piuttosto turbata.
MARIA Già.
ADOLFO Se vuoi parlarne, ci sono.
MARIA hai sentito quello che ha detto il Commissario Leone a proposito della collocazione di Mia.
ADOLFO certo che ho sentito. Ero lì con voi.
MARIA cosa ne pensi?
ADOLFO non saprei cosa dire. In fondo, è quello che hai sempre voluto. Mentre ora sembra quasi che tu non sia soddisfatta del risultato delle tue stesse azioni.
MARIA che cosa pretendi? Mia è infelice.
ADOLFO so a cosa ti riferisci: se è venuta da te è perché si sente in trappola.
MARIA e forse spera che io possa prendermi cura di lei, ora.
ADOLFO Maria. Mi meraviglio di te. Non è realistico prendersi cura di lei, ora. La conosci appena. Ti è stata strappata in fasce e da sempre non puoi prenderti per legge cura di lei. Mi dispiace dirtelo ma se pensi che ti possa essere concessa la sua tutela ora solo perché si rifiuta e soffre a causa della sua nuova situazione familiare, non puoi rimediare. La verità? Per lei rappresenti solo la remota possibilità di una fuga dal proprio destino tragico.
MARIA una madre può fare molto più di questo.
ADOLFO Maria. La non-sicurezza che sola potresti offrire davanti al Giudice a garanzia della tua richiesta di affido sarebbe uno straccio di pensione di invalidità che vale una cifra da capogiro mensile, è vero! Suvvia, nemmeno lavori.
MARIA non sto pensando affatto a tutto questo. Potrebbe sembrare che io sia un’illusa solo a chi fosse illuso in se stesso, quale tu sei, davvero, che io sia quest’ingenua dotata di scarse certezze quale tu sei convinto che io sia. Ma sbagli di grosso, se pensi che mi sappia importante anche solo per una figlia. Lo sono solo davanti a me stessa.
ADOLFO Maria, dicendo questo offendi me in prima persona.
MARIA vorresti dire che mi ami, davvero? No, lascia che ti dica come la penso io. Tu non mi ami affatto. Tu non sai cosa fartene di una come me, sconfitta, alterata, incazzata. Intelligente e strategica, malata che ha solo davanti a sé il proprio obiettivo impopolare e discutibile che tu per primo giudichi in questo modo.
ADOLFO Sì, è vero se proprio volessi dirtela tutta non sarebbe vero il contrario…
MARIA Mi sovviene ora il ricordo non troppo lontano di una relazione che era stata scritta lo scorso dicembre in rapporto alla famiglia affidataria di Mia, per niente favorevole e ricca di dettagli inquietanti sulle condizioni educative che sono loro abitudine. Povera stellina. E’ stata questa relazione il primo segnale e la miccia che sarebbe presto esplosa. Sto realizzando che mi sarei risparmiata tanta invidia verso sua nonna, se solo avessi saputo in quale situazione avversa stessero versando in realtà, chissà da quanto tempo.
ADOLFO E’ proprio vero dire allora che non sei seconda a nessuno.
MARIA Ora, per affermare ciò che è scritto nei cieli in quanto al fatto se sia legittimo che Mia sia affidata a me, invece che ad una terza famiglia affidataria, con quest’episodio dell’auto incandescente appena avvenuto per trascuratezza da parte di sua nonna, se richiedessi di poter prendere parte ad una comunità per minori accompagnati da genitori in difficoltà potrei subentrare a sua nonna facilmente. Conosco molto bene la legge, i suoi limiti. Non mi è misterioso nulla in fatto di legalità. Ma ripensandoci, potrebbe andare anche molto male, se fossi ammessa. E’ per questo motivo che non chiederò affatto di entrare in Comunità mamma bambino con Mia, anche fosse il suo bene supremo: prima verrebbe la mia tanto minata serenità, serenità danneggiata da ogni evento inaspettato che ha avuto luogo, mese dopo mese, incontro dopo incontro con Mia in sede protetta come se fossi una criminale negli ultimi sette lunghi anni. Se ti stessi chiedendo, Adolfo, compagno mio, deluso come sembri, quale motivo mi spinga a dire no ad un’occasione che si presenta, questo è presto detto.
ADOLFO Se mi credessi deluso, sbaglieresti. Mi affligge questa possibilità di perdere te e la nostra vita insieme, con il nostro giovane cane appena adottato.
MARIA Non potrei più fare a meno della vita con te insieme al nostro cucciolo, Choky. Infatti finché un paziente psichiatrico si trovasse a distanza debita circondata da un sufficiente grado di riserbo per non dire anonimato, al riparo dall’occhio clinico e cinico del medico suo a supervisionare e pronto a scattare con mani efferate con la denuncia di trattamento sanitario, egli sarebbe salvo. La mia vita con te ruota attorno a questo magnifico tribunale e centro operativo, centro di salute mentale prima di tutto mistico; esso sacrifica ogni bene che avrei potuto e potrei ancora assicurarmi, nel nome di quella libertà che sia stata tolta da medici indegni di questo nome. Come è capitato a me e fossi pazza veramente, io! Oppure non sarebbe vero ammettere che la psichiatria in particolare in tutta la medicina quale disciplina rappresenta una lobby che farebbe girare tanto denaro da far venire un capogiro anche a te? Certamente diresti, – se è vero che qui ti riconosco, ora – che esisterebbero medici meno bravi e medici bravi. Ma qui non siamo a disquisire in fatto di limiti filosofici, benché interessante. E nemmeno luoghi comuni, triti e ritriti, quali gli uni e gli altri ai primi che difendono una delle due opinioni opposte e ai secondi potrebbe sembrare. Diciamo solo che si tratta più di una domanda interiore sull’indole di ogni uomo, nelle sue sfumature eccezioni e così via e che di che sceglierne… quale interazione poter intrattenere e fino a che punto, appunto con questi discutibili e imprevedibili medici, di cui non possiamo evidentemente fare a meno a quanto pare ma che somministrerebbero miracolosi farmaci dell’anima sana! Insomma, si tratta di una domanda di senso universale che mi faccio io: ammesso che esista una via d’uscita – e già non sarebbe semplice dirlo – dalla psichiatria, se fosse vero che i casi fossero due solamente, quale scelta fare? Perché non si tratta ormai più di ritrovare un senso perduto in mille casi che hanno gettato ombre inquietanti sopra la psichiatria. Si tratta di decidersi, tra queste due opportune vie: la prima, prendere prudentemente le distanze e la seconda, avventurarsi con abnegazione. Nessuno quanto me che fosse stato sopraffatto alla stregua mia potrebbe evitare il proprio destino. Il mio? La prudenza. Ma è qui che il mondo è diviso. Nei più fiduciosi e i negazionisti. Poi se esista veramente la follia, siano solo effetti collaterali quelli rilevabili ad occhio nudo pure in certi pazienti meno comuni che presentano strani sintomi come demenza, difficoltà d’apprendimento, rallentamento cognitivo o tristezza io non posso dirlo. Ma la mia esperienza diretta mi dice chiaramente che l’unica via d’uscita da un vicolo cieco è l’ancora della Legge calata dall’alto e la diffida al medico indefesso che falcia con facilità il suo utente. Nonché la fuga. La scaltra messa in pratica della consapevolezza che l’autorità rimane basita davanti al coraggio del singolo cittadino. Come quando ho denunciato un medico già e così ho evitato un ricovero, procedura avviata per cause davvero insufficienti. La mia vita per lui potrebbe anche pur sempre essere stata solo quel numero nullo, uno zero; ma quale zero anche esso ha una mente, un cuore. E può sperare, ambire e pregare come chiunque e riuscire a mantenere quelle distanze debite, che sarebbero dovute ad ogni paziente che potesse essere chiamato rispettabile e non essere trattato secondo stigma e pregiudizio bensì dignità.
ADOLFO Ma tua figlia dovrebbe venire prima anche di te stessa.
MARIA Se alla prima occasione per questo o quel pretesto atto a legittimare un dubbio di tristezza o malinconia in me mi ricoverassero, ancora, anche in Comunità mamma bambina, come facile sarebbe, credo che perderei tutto quello che ho costruito, compresa mia figlia. Non solo tu, io e Choky. Anche lei. E così il mio scopo di una vita. Perderei me!
ADOLFO Devo ammettere che conosci profondamente le dinamiche vigenti in fatto di Legge con tutte le sue sottigliezze, che altri non conoscono. La tua sapienza e il suo saper vivere saggio è magnifica.
MARIA Deve esserci un modo di mettere le mani su quella bambina. Del resto, anche tu ogni tanto dici che non diresti di no a fare un figlio. Figlio che potrebbero togliermi, rimasta incinta, a causa della genitorialità ancora sospesa. A volte sognerei di aver revocata quella genitorialità, per non… rimanere sospesa in questo limbo d’amore con te, caro Adolfo. Come possa lo Stato poi impedire in modo legittimo ad oggi ad un cittadino credente che si sia sposato in Chiesa, ancorché impedito da una genitorialità sospesa o compromessa, appena acquisito l’idoneo stato civile a fare figli e così anche questo ipotetico diritto a farne e farne secondo quanto prescritto dalla Rota stessa da secoli immemori di illustri memorie di Santi sposi… che anche questi assistenti sociali andrebbero in Chiesa e hanno bambini: ma esisterebbero famiglie di serie A e di serie B! Essere sposati autorizza a generare secondo la Chiesa. Io e te vogliamo generare pargoli, eppure il limite del buonsenso ci impone la stessa prudenza che ho adottato verso il medico mio, ci impone cioè di attendere, di porre un freno non solo alla passione, al desiderio fisico, ma anche alla nostra stessa natura di credenti: altrimenti anche se sposandoci come vorremmo in Chiesa da veri credenti quali siamo, mi toglierebbero anche il secondogenito! Menomati nel corpo e nello spirito per una pena sociale.
ADOLFO potrebbe anche capitare che per un colpo di fortuna nonostante sia che dovrebbe partire necessariamente a tavolino a causa della tua condizione genitoriale pregressa al sesto mese di gravidanza la segnalazione all’assistente sociale sul tuo stato interessante “pregiudizievole per il nascituro” il neonato ti sia concesso.
MARIA non sono disposta a speculare su una vita che nasce. E così mi ritrovo a quarant’anni con un orologio biologico in un corpo comune segnato da una tragica sorte che spetta a poche di noi, comune solo a quelle che per scelta non faranno bambini. Avrei tanto voluto una squadra di calcio. Invece, mi ritrovo con un’unica figlia in affido che ha davanti a sé un mostruoso futuro e un passato ingombrante alle spalle che le pesa come se fosse piombo sulle terga mentre io sono con le mani bloccate, senza via d’uscita, condannata per una malattia che nemmeno esiste per giunta, e comunque ingiustamente, dal momento che non solo non esiste ma anche se esistesse, io nemmeno sarei folle! Se vuoi sapere come sarebbe andata la prima volta che mi poterono ricoverare, ti dirò che semplicemente mi trovavo in difficoltà e per sbarazzarsi della mia presenza scomoda in un contesto competitivo mi hanno drogata e hanno chiamato la Polizia, quando avevo la tenera età di 18 anni appena. Ma che potrei fare? L’Argentina offre opportunità alle madri come me. Ma è lontana. Partorire in un ospedale privato, non convenzionato, partorire a casa, partorire da sola estraendo il bambino da me con le mie stesse mani, pur di non incappare in qualche diavolo bugiardo?
ADOLFO La menzogna e l’avidità: una combinazione perfetta se associata all’autorità che decide della vita e della morte, dell’aborto, della procreazione assistita, della fecondazione in vitro.
MARIA sì, ho considerato tutte queste cose che vai dicendo. Ma non ho un soldo in tasca. Un parto assistito a domicilio costa 5.000 euro. La fecondazione in vitro non è legale con le modalità migliori per me nel nostro Paese e non mi sarebbe accessibile comunque per un fatto economico. Esistono delle applicazioni che mettono in contatto donatori di sperma del resto con donne disperate e desiderose di procreare ma nulla mi ha convinta che potrei tentare la fortuna in qualche modo che non sia restare. Pigrizia, la mia. Eludere la legge, poi, è reato. E la legge è quanto mi resta. Vado incontro al mio triste fato senza ribellarmi ormai, ho accettato anche quelle terapie che un tempo m’entravano nella pelle in quella siringa con un ago così intensamente appuntito da sentirmi morire ogni mese, all’appuntamento con il depo. L’unico modo che ha trovato ogni medico pur di mettermi in riga è stato impormi un appuntamento mensile obbligatorio con un’iniezione che m’aspetterà al varco per tutta la vita. Sono stata un osso duro. E poi però dicono che i manicomi non esistono più, invece essi oggi sono solo più nascosti e a cielo aperto. Oggi, rassegnata come sono davanti al mio proprio destino posso solo trascinarmi e vagare nel vuoto di una scelta non fatta, quella di un secondo, un terzo figlio e magari anche un quarto, che mi sembra una ferita così grande tale da farmi apparire l’idea dell’aborto quale una scelta abbordabile. Io, ragazza modello. Io, giovane cristiana cattolica militante. Praticante, osservante, esperta in letture sacre. Autodidatta in teologia. Fermata dalla mia consacrazione come suora da un medico convinto delle sue posizioni politiche e religiose antitetiche alle mie. Era così curioso, quel… Pisano, delle mie abitudini sessuali. Mi faceva il terzo grado.
ADOLFO chi è?
MARIA il medico che mi ha condannata a dieci mesi abbandonata in una struttura e a salvarmi è stata una suora laica che è intervenuta in suo favore, pace all’anima sua, poco prima che mi sposassi con il padre di Mia. Altrimenti, sarei stata mandata in una casa per disabili a vita. Ma mi sono sposata, ho concepito, traslocato, partorito. Oggi ho questa casa, questa vita insieme a te, a Choky. Il mio lavoro. Tutti segni di equilibrio che non sarebbero stati possibili con quella diagnosi di depressione. E non si tratta di un caso: le diagnosi mentono! I medici? Sono loro con le loro politichette a speculare sulla vita di poveri innocenti, che finiscono nei ricoveri per un nonnulla e non ne escono mai, firmato il consenso informato.
ADOLFO Ciò che vuoi dire è che la tua diagnosi nonché la prognosi cronica si è dimostrata incompatibile con gli obiettivi di benessere che hai effettivamente realizzato ed è vero.
MARIA E allora se ti stessi domandando come si spiegano i ricoveri che ho avuto, questa è scuola per te e te lo posso sussurrare di sana pianta, qui ed ora, ma a caratteri cubitali. Ricorda, Adolfo: è una lezione di vita. Per me lo è stata per prima. Normalmente sono i parenti a incriminare un paziente già coinvolto con le autorità, vuoi anche perché sia stato drogato una volta nella vita e qualcuno l’abbia fatto volutamente mettere in gabbia, lui ignaro e confuso. Ebbene, sappilo: ricorda che l’unica cosa da fare, in certi casi, è rivolgersi alla legge. Le persone tossiche sono pericolose e vanno allontanate. Avevo una parente che chiamava il medico, in pratica, e gli bisbigliava che stessi male. Questi? Ne rimaneva condizionato e io finivo in manette, quando mi agitavo e dicevo NO io sto bene! Alla psichiatria per legge non puoi dire no. Ti vengono a prendere, non ti danno il tempo di pensare. Fino a quando ho conosciuto un avvocato. Lui mi ha salvata, ma ho dovuto fuggire e rimanere per strada ore e ore dapprima, poi giorni. Infine sono tornata, ma al momento giusto. E lui era lì, ad aspettarmi. Sì, ho pagato molto denaro, se è questo che pensi. Ma da quel momento non solo ho potuto allontanare la parente che, affinché tu possa sapere la verità, illegalmente informava quel medico – tant’è vero che è un illecito influenzare uno psichiatra nelle sue decisioni, anche solo con una telefonata! – ma anche più nessun medico che mi ha in cura cronica ha più osato propormi un ricovero. A questo punto potresti ancora essere scettico che questa psichiatria sia solo una montatura, una macchina da soldi, un business party, una lobby finalizzata al guadagno?
ADOLFO in pratica mi staresti dicendo che se questa parente non avesse interferito tante volte con le tue terapie tu non saresti mai stata ricoverata. Nemmeno avresti perso la tutela. Ma io la conosco, la tua parente sostiene che tu fossi davvero folle. E anche il tuo migliore amico ti ha visto che deliravi!
MARIA si trattava di banali litigi. Ormai è tutto passato e anche se ci fosse qualche testimone che potesse affermare il vero, non servirebbe a niente. Le cose in fondo sono andate in questo modo e non c’è più nulla da fare. Non resta che aspettare. Soprattutto, l’unica cosa che conta per me in questa vita è non mettersi nei guai. E all’interno delle regole civili, in questo contesto delle cose che sono ammissibili giocare con tutte le energie, finché si può. Mi crederai machiavellica. Ora, sì, potrei anche dire di esserlo, un pochino. E lo sono. E’ vero. Voglio Mia. A tutti i costi. Per poter avere lei e avere una famiglia con te, con bambini. Voglio ciò che a tutti è concesso ma non a me. Voglio l’unica cosa che non posso avere, com’è naturale che sia, come bere acqua, essenziale com’è per una donna che non ha mai rinnegato la propria indole innata di donna di famiglia che ha sempre sognato sempre e solo una squadra di calcio, squadra di figli e una nuova vita, voler guardare avanti. Non posso credere che stia capitando a me. E non posso credere nemmeno che alcun essere umano, uomo o donna che sia, ammetta politicamente e amministrativamente di porsi al di sopra di un altro soggetto, giudicarlo in base al proprio approssimativo giudizio naturale e sottoporlo alla tortura di quest’immensa omissione che è la vita mia davanti a un bambino che potrebbe germogliare nel mio grembo, lo vuole e non può, con te. Le altre madri… loro… insieme ai loro bambini e i loro mariti…. i loro cuccioli. Noi, il nostro cane. Così soli, destinati ad esserlo per sempre? O per quanto ancora? Io non prego nemmeno più da chissà quanti anni.
ADOLFO Dimmi, Maria, che ragazza eri?
MARIA Sono stata dapprima una bambina vivace, poi una bellissima giovane con lunghi capelli corvini. Mi ha dato alla testa sapere che oltre la china del successo non ci fosse null’altro da ottenere, così mi sono data a una vita nomade e senza radici, andando di città in città, così come un ragazzo potrebbe andare di fiore in fiore, di fanciulla in fanciulla. Curiosa, eccentrica, conquistatrice, decisa. Avevo cotte per ragazzi più grandi di me che duravano anni. Luca, Emanuele. Solo dopo il fatidico incontro, quello con il mio primo amore indimenticabile, però, ho conosciuto la dolcezza della fede, ma non prima di perderlo e a motivo di ciò. Dopo un anno di crisi religiosa, la fede è stata la risposta e il porto sicuro dove poter sperimentare i miei limiti. Pregavo assiduamente e volli consacrarmi già a 25 anni. Ma mi diedi ad un uomo, al punto in cui ero, per reagire alla rottura improvvisa con il giovanotto che amavo. Così, puoi oggi facilmente riconoscere anche tu come in questi miei occhi spenti fino a che punto ho potuto rinunciare ad una vocazione che avrebbe dato senso e pienezza ad una vita così densa di significato superno. Coronare quel ciclo di amore incompiuto per la perdita improvvisa subita. Colmando un vuoto, una mancanza. La sua morte è stata così improvvisa. Se n’è andato via in un giorno solo, in estate. Eravamo così giovani e innamorati. Se non altro, avevo promesso a lui, l’amore mio vero di sempre, che l’avrei onorato anche nella solitudine, donde i miei voti. Ma la sofferenza ha preso il posto prima occupato dalla gioia spirituale e sono caduta in depressione, quando nella piccola comunità mantovana dove frequentavo la messa ogni giorno si è scatenato l’inferno quando l’invidia inespressa s’è abbattuta su di me come una saetta, venuti tutti a conoscenza del presunto disturbo psichico con cui combattevo da anni. Non oso pensare che cosa Dio Santo potrebbe pensare in cuor suo di me, che non ho saputo resistere al tempo della prova ed oggi non metto piede in chiesa nemmeno la domenica di Natale. Ti confesso che non si tratta della morte del suo corpo fisico. E’ stata la droga a portarselo via. E quando penso che se avessi avuto il figlio che gli avevo chiesto, me l’avrebbero comunque portato via dipendente com’era da alcune sostanze pesanti, penso a come ineluttabile il destino sia sempre con tutti e bella e grande, sublime la vita, o divinità pagana ferita che si scaglia come uno tsunami contro la bella città costiera tranquilla mentre un adagio suona in riva al mare una sera, come in Croazia due anni fa. E’ stato tutto così imprevedibile. Non avrei saputo immaginarlo. Ricordo solo che mi mancò l’aria per giorni. Non riuscivo a respirare. Avevo bisogno di lui e lo cercavo così, nell’aria intorno al mio letto, il giorno e la notte. Ma Dio, Dio… lui ha rapito prima lui lontano da me poi me portando il mio cuore al suo seno. Mi voleva a tutti i costi con sé e io lo sapevo. E non ce l’ho fatta. Tant’è che non ho più combattuto per alcuna causa. Da donna decisa, combattiva che ero sono diventata questa larva rinunciataria senza qualità, un’ombra che si è fatta odiare ovunque sia andata, si fa terra bruciata attorno laddove metta piede. All’anima! (Beve il bicchiere di vino.) Non piangerò più. Per anni ho sentito il rimorso perché ogni mese il vuoto che Alberto ha lasciato dentro di me risucchiava la materia di cui è fatta l’anima mia ogni mese cosicché io ero combattuta, se cercarlo ancora. Ma avevo scelto, malgrado tutto, di andare avanti e mi ero fidanzato con questo marito che è diventato il padre di Mia, che non amavo affatto ma sembrava un buon uomo. Solo perché Alberto mi aveva segnalata per stalking.
ADOLFO Non oso immaginare che cosa avrai provato. Ma si trattava solo del suo modo di dirti che avresti fatto meglio a lasciarti la vostra storia alle spalle, per il tuo bene…
MARIA Ho sbagliato tutto.
ADOLFO Che cosa avresti potuto fare, se non provare a dimenticare?
MARIA Non mi è riuscito. Sono passati ormai quindici anni ed io lo amo ancora come la prima volta che sulla linea 27 A dell’autobus qui accanto in questo stesso quartiere ho visto per prima il suo volto angelico. Riccioli biondi, cadenza toscana. Non avevo mai avuto il piacere di stringere la mano a un giovane così avvenente e mi sono presentata per prima. Da allora, non è mai finita e oggi sì, quando scrivo una poesia mi ricordo che se posso dire di comprendere il linguaggio dei poeti d’amore, questo è grazie a lui.
ADOLFO Come se quegli psichiatri avessero avuto la meglio, era esattamente ciò che avrebbero voluto da te. Non tutto è ancora perduto. Non è andato nulla ancora perso, puoi recuperare il tempo…
MARIA Per quell’unico errore! Non aver lottato ancora ed ancora, ad oltranza, anche sfidando la legge, come del resto anche Antigone insegna, ho perso allora la stima in me stessa completamente e ho perduto la battaglia della vita. Dio si è limitato ad avere pietà di me e mi ha raccolta per strada così, finita com’ero già a ventitré anni d’età. Il resto è stato solo un susseguirsi di fallimenti, già sai.
ADOLFO Ho amato una donna. Me la ricordi. Con un’intensità che nemmeno immagini. Indimenticabile. Inevitabile ogni paragone possibile, anche se non sarebbe opportuno quali compagni di vita che siamo, Maria.
MARIA Non avremo molte cose in comune, io e te, ma aver sperimentato l’amore vero, questo appannaggio di pochi, è un dolore che ci avvicina di più.
ADOLFO Litighiamo sempre. Hai paura di rimanere sola, ma non sei innamorata veramente di me. Non sei innamorata, non di me. Non potresti, no, tu ami solo stare in coppia. Un fatto di abitudine, penso. Io non c’entro con te, con voi, con tua madre. Non mi sento parte della tua famiglia. Eppure, ti voglio bene, o almeno credo, sempre che ciò possa significare voler essere sicuro che tu sia al sicuro e stia bene. Niente di più.
MARIA Mi dispiace se ti fa arrabbiare che sono così fredda nella persecuzione che ho a cuore, se a guidarmi questo spirito di vendetta nero come le piume di un corvo non potrà lasciare spazio ad alcun sentimento. Sei esemplare, fortissimo. Cederesti nel tuo vigore di uomo determinato a raggiungere un cuore di pietra da conquistare solo se questa roccia si spezzasse in mille pietruzze e così è per questo motivo che infierire con la tua spada d’acciaio ti viene così bene, ma la verità è che sono tenera. Non c’è niente di meno giusto, ma ho davvero un debole per te, attimo dopo attimo e non sopporto le perdite di tempo, né esser presa in giro quando a quarant’anni suonati minacci pur sempre di andartene via, da me, come per le manie di un adolescente imbizzarrito.
ADOLFO Racconti troppe bugie. Non mi fido di te. A volte ti detesto. Non sopravviviamo più di due soli giorni senza risparmiarci un litigio. Sei indomita.
MARIA Non posso fare a meno di ammettere che ormai ciò che è contato per me è alle spalle mie e mi trascino, rassegnata come sono, né saprei esattamente cosa io voglia da te, se non la tua amabile compagnia di sempre, il tuo meraviglioso corpo da sfoggiare davanti alle amiche che non ho e poco più. La tua intelligenza, credo, già meno. Non arrabbiarti, ora.
ADOLFO si spazientisce e afferrata una seggiola la scaglia contro una parete, poi va via.
MARIA Quando mi sento sola, fantastico su una vita con Choky, Lui ed io. Ho bisogno di Adolfo. Lui rende tutto più sopportabile. La depressione, la mancanza di Mia. Forse se ne andrà. Quando dice che comprerà una casa e andremo a viverci assieme, in collina, a volte penso che stia mentendo e sia invece vero dire che penserà di traslocare da solo. I miei sentimenti sono così aspri, acuti, impenetrabili e oscuri che non può nulla contro di essi. Siamo in un flusso dall’andamento regolare, su una superficie liscia, tantoché è impossibile sapere se siamo ancora vivi su questa materia vitrea così perfetta che assomiglia più alla finzione, preludio di pessimi avvenimenti, che non alla ruvida realtà. Realtà familiare di un tempo ormai superato. Si sentirà imprigionato, ma non è in mio potere fare nulla per lui. Nulla posso contro il destino feroce e ineluttabile che ci ha resi compagni. Converrà andare d’accordo, ancora fino a quando avrò in dote abbastanza senno da ricordare di onorare la scelta della pace e non il nichilista abbandono che sarebbe il primo passo verso sicuro trionfo del prossimo guaio, quel che sarebbe e non vorrei attirare. Questa nostra relazione che va avanti da quattro anni è un tiramolla stancante.
Entra l’AVVOCATO.
AVVOCATO Buonasera Maria, spero che questa mia visita trovi bene lei e il mio caro amico Adolfo, che conosco da sempre e ci ha presentati.
MARIA Mi piacerebbe sapere se fosse possibile essere certi di potersi attribuire l’opportunità di subentrare nell’affido alla nonna di Mia, se andassi in comunità mamma bambina con Mia. Infatti la piccola sta attraversando un momento di transizione da una famiglia all’altra e non so dove sia, ma sono pur sempre sua madre e godrei del diritto di precedenza in fatto di tutela, davanti a degli sconosciuti, come converrà, Avvocato.
AVVOCATO Purtroppo non è così semplice come dice lei ora. Le ricordo infatti che il suo comportamento in aperto conflitto con l’assistente sociale ha destato seri dubbi in quanto alla sua affidabilità e non sarà facile accedere all’opportunità che dice. Non sono d’accordo che sia una buona idea, in secondo luogo, poi, percorrere una strada del tutto nuova, solo perché si profila un’occasione da non perdere, e così dimostrare scarsa serietà nella continuazione dello stato di cose avviata presso questo suo domicilio, dove vive da anni, ormai, insieme ad Adolfo ed il giovane cane, adottato da pochi mesi.
Entra la dottoressa Garuti.
MARIA Buonasera, dottoressa Garuti. Ma prego, venga pure avanti (melliflua.)
ADOLFO fa capolino dalla stanza accanto e si ferma ed osserva.
MARIA Intanto avrei bisogno di una ricettina. Quella del Valium. Per me e il mio compagno. Detesto chiamarlo solo compagno, lo sa. Preferirei “marito.” Quando si è stati sposati a trent’anni è difficile dimenticare l’agiatezza della condizione matrimoniale di Chiesa.
Entra MARLENE, madre di MARIA.
MARIA mamma, cosa ci fai qui? (Sembra spaventata.) Già. Ti avevo chiesto io di venire. Per quella somma di denaro irrisoria che ti avevo chiesto prima di novembre, dieci mesi fa, a quanto pare saresti qui oggi, in ritardo folle. (Improvvisamente gentile.) Come sei stata gentile. Ti prometto: verrò a casa tua prossimamente per farmi perdonare.
MARLENE Dottoressa, lei è al corrente che mia figlia sta male?
MARIA Adolfo, sei stato tu a dire a mia madre che starei male? Potrebbe sembrare che io stia male, ma non è affatto realistico pensarlo. Avvocato!
AVVOCATO Sono qui a condividere la sentenza di nullità matrimoniale, non a dirimere controversie degne di un mediatore familiarista. La sentenza attribuisce al suo ex marito una diagnosi psichica di medio-grave entità, al pari di lei. Sarebbe bene impugnarla e chiedere all’assistente sociale l’affido. Già sa meglio di me quanto andrebbe questo genere di fatti per le lunghe e non per parlare di vile denaro, ma lei godrebbe del gratuito patrocinio dello Stato, visto e considerato il suo tetto di reddito. A me spetterebbe un compenso elargito pro bono quale servizio erogato sì come avrebbe sempre voluto. Ora che la prospettiva è quella ancorché pallida che Mia possa fare ritorno, anche se non le negherei un parere abbastanza incerto sull’esito della faccenda, da parte mia potrei accettare di costituirmi parte civile con lei e tentare di introdurla nelle grazie dell’assistente, che conosco personalmente.
MARLENE Mia figlia non è idonea, non può prendersi cura della bambina; ha sette anni. Come ammettere per una fanciulla così giovane che sia possibile abitare di famiglia in famiglia, con quei sentimenti, aspettative, bisogni, senza un briciolo di cuore, così, arrecandole sofferenza?
ADOLFO Intanto, signora, visto che sarebbero ben dieci mesi che lei era assente da questa casa, anche se non mi spiego come mai io le rivolga ancora queste parole astiose, potrebbe guardarsi dentro a sua volta: Maria sa quanto dolore si provi a perdere una famiglia, con tutti quei sensi di colpa che pendono sul capo suo e anche il mio e sì, anche il dito puntato che la condanna, etichetta: “malata di mente” sembra dire ora anche lei alla carne della sua carne. E a proposito d’esami di coscienza, anche se lei non vorrebbe sentirselo ripetere tanto vale dirglielo: apra bene le orecchie – lei non si è fatta avanti quando Mia è nata, per ottenerne l’affido! Tutte scuse belle e abbondanti le sue. Il figlio invalido da accudire, il padre anziano da andare a trovare. La verità? Ha preferito farsi beffe di chi non le sarebbe andato a genio, fino al punto di volersi disfare nel suo egoismo di tutti gli impacci alla sua libertà. Che stare dalla parte del vincitore è da sempre la sua specialità. Come ad esempio di nonna Elena, quand’era ancora affidataria nel pieno dei suoi privilegi. Quando nonna Elena lo era di diritto, lei era tutta uno zuccherino.
MARLENE se sono qui questo sarebbe solo per strappare un sorriso a mia figlia, dopo dieci mesi d’assenza. E darle la somma che lei mi aveva richiesto, ora che potrebbe diventare affidataria. E non creda che sia opportunismo il mio. Non mi chiamo affatto banderuola come lei, Adolfo. E mi meraviglio delle sue parole. Siamo andati d’accordo sempre.
MARIA Fino a quando non ti ho diffidata, a quando hai tentato di scavalcarmi nella mia scelta di frapporre una distanza tra noi due madre e figlia e hai di nuovo, indefessa quale sei, tentato di istigare Adolfo, il mio legittimo compagno e convivente, a chiamare la dottoressa qui presente Garuti.
DOTTORESSA Io non ne so niente. Se qualcuno mi spiega forse potrei capire. Mi dispiace se sono stata assente così a lungo. Ho avuto degli esami della tiroide, ero radioattiva dopo le cure. Non sono in grado di ricostruire i fatti se voi non mi dite come stanno le cose. Ma sono venuta a trovare Maria per sapere come stanno lei e il suo compagno, in via del tutto amichevole.
MARIA Che sorpresa mi ha fatto oggi dottoressa, passando di qui! Sto bene. Tutti procede. Del resto, ora che la vedo mi sento sempre meglio e ho voglia di prendere un appuntamento con lei al suo ambulatorio, se non le spiace. Ricordi che sarebbe contro la legge e la mia espressa volontà, dichiarata a inizio rapporto terapeutico per iscritto da me, se mia madre la coinvolgesse con qualche dichiarazione arbitraria sul mio stato di salute. La mia vita va a gonfie vele. Vado d’accordo con Adolfo, Choky cresce monello e felice, siamo andati al mare due domeniche fa. E’ stata una bella gita. Il lavoro procede. Le amicizie? Sempre le solite. Roy, Fede. Mio fratello ed io siamo andati assieme a colazione come tutti i fine settimana. Se volesse che andassi avanti, potrei raccontarle ancora altre novità, solo positive al momento. Le terapie mi vanno giù a meraviglia.
MARLENE Come maschera bene le sue emozioni. Proprio un’ottima interpretazione da attrice, complimenti, Maria! Ma deve sapere assolutamente quello che è accaduto alcune ore fa, dottoressa, qui ed ora. Mia, la figlia di Maria è stata abbandonata nell’auto sotto il sole di un parcheggio da sua nonna, per distrazione, diciamo. Così, le assistenti sociali vorrebbero cambiare dimora alla piccola e Mia ha chiesto al suo medico di base di proporle delle dimissioni che certifichino la sua guarigione con il centro di igiene mentale. Non ci sarebbe nulla di strano. Ma sono severamente preoccupata per mia figlia. Non sarei venuta qui dove sono al suo cospetto a pregarla davanti a Maria di non concederle quel certificato, a meno che lei sia convinta davvero che questa signorina, che ha un buco di vent’anni almeno laddove non ha potuto costruire né pensare il futuro suo, figuriamoci quello di Mia, venuta al mondo sotto una cattiva sorte, a causa di quella diagnosi che conoscono tutti ormai, risaputa com’è tanto si è fatta odiare in tutti i luoghi dove ha vissuto una vita malsana, da vera malata di mente, potrebbe fare la madre. Nessuno lo pensa. E io sono certa che lei converrà con me che non è pensabile che Mia possa abitare qui, con Adolfo e Maria. Non si tratta di pregiudizio, come vorrebbe dire Maria. E’ un dato di fatto. Sono passati sette lunghi anni. Non un fatto di abitudine, ma è lampante e chiaro che Maria non è in grado di gestire i propri soldi, le sue emozioni. Ci vorrebbe anzi un amministratore di sostegno, invece, anziché le dimissioni. Perciò dico che si tratta dell’ennesimo delirio inconsistente questo di pretendere che le terapie le vengano sospese in via definitiva.
AVVOCATO Il codice sanitario vuole che dopo sei mesi di remissione dai sintomi della depressione possa essere ammessa la dimissione volontaria dal Centro d’igiene mentale, se il medico è d’accordo. Sono passati ben quattro lunghi anni dall’ultimo ricovero di Maria. Ha fatto molti progressi e gode di stabilità longeva e duratura nel tempo, che motiverebbe sensatamente un certificato di dimissioni, con il benestare suo, carissima dottoressa. Ma per come vanno le cose di fatto in un sistema sanitario che cola a picco da sempre, corrotto com’è, ci giurerei se lei negasse di sana pianta questa richiesta alla mia cliente affezionatissima. Tuttavia, prima di rispondere dovrebbe rammentare il dato essenziale. Allo stato attuale, nelle sue condizioni, in fatto di salute, soprattutto, mentale, Mia sulla carta saprebbe come prendersi cura di Mia. Non saprei che altro aggiungere. Spetta a lei il giudizio dottoressa. Ha sempre sostenuto che Maria fosse perfettamente in grado di fare la madre. Se vuole, con coerenza, dica pure la sua. Ma ricordi che non ci saranno altre possibilità per Maria di recuperare la genitorialità, e così la possibile responsabilità su una famiglia nuova, con altri bambini, i sogni impugnati saldamente come redini verso un futuro migliore che la salverebbe, se solo volesse onorare questa signora con la massima fiducia che il caso richiede, soprattutto a fronte degli immani sacrifici e traguardi annessi che Maria ha raggiunto in quattro anni di terapie consolidate, dimora stabile, convivenza in atto, lavoro in regola.
DOTTORESSA Non credo che delle dimissioni possano essere date né chieste così, nel bel mezzo di una chiacchierata mentre sto andando a casa mia e mi fermo a salutare. Si tratta di un caso complicato, questo e non posso decidere così, su due piedi.
MARIA per la cronaca, non ho intenzione di chiedere alcun certificato di dimissioni. Sarebbe sciocco pensare che il rigore legislativo sia una prassi consolidata presso il Centro di salute mentale di questa città e così sciocco credere che delle dimissioni semplici potrebbero coadiuvarmi nel recupero della mia situazione, già così complicata. E’ un rompicapo, impossibile a prima vista a risolversi. Il motivo per cui non le chiedo delle dimissioni è che sono ferratissima in materia sanitaria, mio malgrado e per ovvi motivi. Per essermi tutelata, quando ne ho avuto bisogno e un avvocato mi ha difesa dimostrando di fatto già ampiamente quanto sia rimasto di questo presunto disturbo depressivo e misteriosa invalidità che avrebbe rovinato i miei ultimi vent’anni: droga. In Danimarca. A diciotto anni. Allora è stata la prima e ultima volta che sono entrata in un’altra “dimensione mentale.” Tutto qui. Non ho bisogno di certificati. Io so la verità. Tutti la conoscono. Chi è convinto che non sia così ammetterebbe prontamente almeno che ciò che resta in fondo di questo disturbo presunto ma certificato e così sicuro e parziale al contempo è il suo involucro… vuoto. O non sarebbe diventata più che altro una scusa che io abbia sofferto dell’ennesima ricaduta, recrudescenza della malattia e così non abbia frequentato questo o quell’incontro protetto? E’ di dominio pubblico. In sostanza, avrò ragione se dico che anche se non avrò mai il certificato ufficiale che lei non mi darebbe comunque, per non mettere a rischio il suo posto al Centro d’igiene mentale, lei che non si fida di nessuno com’è, dottoressa, nulla cambierà ciò che è al fondo di tutte queste cose. E’ solo da scartare l’idea che sì, mi è balenata di richiedere un certificato che sulla carta mi potrebbe spettare. Ma poi sarebbe una trafila inutile. Vanamente sperpero di energie su sperpero potrei essere sottoposta a perizie, perizie e alla fine lei darebbe retta al suo senso di “responsabilità” verso… se stessa, che sin da poco fa le sussurra coscienziosamente e con gran buonsenso di negare a me la vita che merito per tenersi stretta la sua, dottoressa! Quale medico avrebbe a cuore così tanto un paziente, arrogante come me del resto, non certo una comune disabile, non una di quelle disabili docili e remissive, dolce bensì più tosta che mai, agguerrita, imbufalita dalle circostanze marziane che la riguardano… fino al punto da mettere in discussione una pesante diagnosi cronica? Nel nome della discrezionalità connaturata alla sua materia, la psichiatria, dottoressa lei non potrebbe. Cioè nel nome della sua natura vigliacca. Pavida. Molle. Indecisa. Imbelle. Potrebbe solo risentirne se poi finissi di nuovo nei guai, in fondo, per questo o quell’altro motivo. Per non parlare della tensione che verrebbe a crearsi intorno a me quando non prendessi farmaci. Sarei io la prima a fare i conti con essa e per come so che andrebbero le cose, se tanto mi dà tanto ed è vero che l’esperienza insegna, siccome sono già stata tante volte indebitamente abusata, ricoverata poi, per un sopruso materno, ebbene io rinuncio ad avanzare ogni richiesta alla sua attenzione e preferisco sottomettermi per convenienza a questa legge non scritta dell’abitudine interiore a mandare giù il boccone amaro, la medicina mensile e tutto ciò che mi verrà da questo sodalizio informale che vige tra me e il Centro d’igiene da quando ho compiuto la maggiore età.
DOTTORESSA Mi sembra una saggia decisione da parte sua.
La DOTTORESSA GARUTI esce.
ADOLFO Meno si lavora, meglio si va. E’ così che van le cose in questo Centro bugiardo e spaccio di sogni proibiti. A me piacciono le droghe… le medicine, intendo. C’è chi dice sì e chi no. La maggior parte di voi vive di idolatria. Gli idoli vostri sarebbero quelle bugie che vi raccontate ossia fragili certezze che avete e spacciate come verità. Vale per il medico ma anche per l’allenatore indifferentemente il gelataio e la massaia. Un ottimo modo per sopravvivere ma fittizio. Chi vede al di là, saprebbe che c’è altro da scoprire, ma si tratta di un viaggio al fondo delle cose. Stigma. Emarginazione. Fanno paura. Ma chi le ha assaggiate almeno una volta sarebbe pronto come noi a giurare che è ingenuo e meritevole di compassione pensare che esista un senso e un ordine in questo caos. Eppure, tanti ne sono ancora convinti, nonostante tutto.
MARIA mi è venuta un’idea bizzarra. Ora, per rendere accettabile la nostra verità, che l’indecenza della malattia mentale possa trasfigurarsi e diventare amore, pace, guarigione in altre parole, occorre che questi assistenti sociali facciano un cambiamento e si avvicinino all’idea sottile che il cambiamento in un paziente come me sia possibile, non solo visibile. Ebbene, per arrivare a ciò, dovrei investire molti anni. Non esiste una scorciatoia, incantesimo, sotterfugio che tenga. Oltretutto mi sono dimostrata molto spesso arrogante verso di loro, anche in presenza. Dovrei dedicarmi alla ricerca. In fondo, basterebbe liberare la bestia della menzogna nel mondo gridando ai quattro venti che la mistificazione che è parte del business party psichiatrico può essere spazzata via solo dalla testimonianza silenziosa e dall’esempio di chi come me va ignorando e scartando e mettendosi ben al riparo quella fetta di pseudoverità scientifiche attribuite alla farmacopea tradizionale. Importante è chiudere gli occhi davanti alla bruttura, alla devastazione, depravazione, ambizione smodata di questi dottori ambivalenti che sanno troppo di tutto e vendono menzogne quali fossero medicine. Il guaio intrinseco a questo problema è che l’unico modo di starne fuori è evitare il pericolo della malattia mentale oppure arrendersi, come ho fatto io. Ma mai resistere. Opporre resistenza è visto come una orgogliosa provocazione diretta all’autorità, che avrebbe la meglio comunque. Polizia, Carabinieri, assistenti sociali. Sono in maggioranza. Se proprio mi trovassi ancora nei guai, fuggirei, fin laddove potessi. Tornerei solo se costretta ma con i miei tempi. Con calma. Sgonfiata la questione. E senza aver commesso reati. Occorre sapersi difendere anche mentendo e ricorrendo ad ogni mezzo possibile.
AVVOCATO Se a lei basta vivere così, sapendo che è sana in un mondo di pazzi, ingenui, senza alcuna possibilità di affermare i suoi diritti, senza premio per il coronamento della sua consapevolezza, io mi farei in disparte. Ma ora, se cambiasse idea, saprebbe pur sempre dove potrebbe trovarmi. In fondo, sono d’accordo con lei quando afferma che bisogna sbarazzarsi del giudizio esteriore. Ciò che conta è questa matura consapevolezza squisita che lei ha acquistato negli anni. Io le credo, in cuor mio. E so che andrà avanti, con o senza riconoscimento per i suoi sforzi, i meriti suoi, anche così, come ha sempre dimostrato di saper fare, forte e sana. La naturale conseguenza di questa affermazione di verità così sobria e mite e silenziosa sarebbe qualche forma di premio formale, certamente. Ma non so quanti anni potrebbe richiedere in un Paese come il nostro particolarmente che questo possa avvenire. Forse morirò nel frattempo. Oppure, pregherò per lei che presto tutto questo sia finalmente superato e diventi un lontano ricordo, ricordo di un passato che nel presente ha lasciato solo amarezza, spazzata via presto dall’alito del vento della Verità che si impone con indulgenza e compassione sul mondo e l’affronta con gentile pazienza. Potrebbe doversi accontentare per tutta la vita, se il mondo non la seguirà per la sua strada. Nessuna certificazione all’orizzonte al momento ma pregherò per lei che una giustizia intervenga terrena e irremovibile abbattendosi con leggerezza su quanti non hanno riconosciuto in lei una donna saggia, sobria e vera.
MARIA Sono certa del suo sostegno anche se il peso delle umiliazioni mi ferisce quotidianamente ancora oggi e sono tutt’ora infastidita. Ho perso. Ho fallito nel mio compito, di donna e di madre, di moglie, di figlia. Non mi rimane che la certezza che avrei meritato una vita migliore a partire da quando ho raggiunto la certezza in cuor mio d’essere sana. Il mondo s’ostinerà a non vedere, a non udire la verità nell’esempio che io, rinnegata, emarginata, cristallizzata in una diagnosi, vittimizzata, abusata ho saputo offrire anche così nel mio piccolo silenzioso angolo di casa che mi sono ritagliata accanto alla mia nuova famiglia. Adolfo. Amore mio. Dove sei?
ADOLFO le si avvicina.
Portami via da qui. Voglio partire con te, andare altrove. Mi crederesti sana anche tu, se vedessi le cose dal mio punto di vista, ma so che non mi crederai mai, se non sapessi fare qualcosa concretamente. Ma cosa, accidenti, non saprei dire. Ancora nulla da fare, come sempre.
MARIA torna a capotavola alla mensa dove gli astanti (CORO) hanno assistito alla scena.
COREUTA Tornerà a muoverti il rimorso e lo spirito di vendetta e riprenderai in mano i tuoi piani di rivalsa ancora, Maria.
VOCE DEL CORO 2 la tua storia con Alfredo crollerà sotto il peso di un passato troppo duro a sostenersi per due che vanno avanti insieme e non sono mai decollati.
VOCE DEL CORO 3 tua madre potrebbe interferire, il tuo medico farsi influenzare e andresti ricoverata. E’ sempre andata in questo modo prima. Solo una volta sei riuscita a denunciare il sopruso.
CORO Non c’è spazio per la verità e la consapevolezza. E’ un mondo troppo difficile. Ostile. Pieno di ostacoli. Invivibile.
MARIA Basta! Potrei cominciare ad avere oggi quelle allucinazioni che non ho mai avuto, se credessi che ogni tentativo di suggestionarmi, sabotarmi non sia un’occasione per crescere. Crescere? Sono stanca di crescere. Sono cresciuta, invecchiata. Inaridita, inacidita, impoverita. Ed è già abbastanza così. Sto davvero pensando al suicidio. Ma non vorrei morire. In fondo, se non riesco più a fare questa e quella scelta, se sono immobile, statica e ferma senza una direzione ciò significherà pure qualcosa: magari, proprio che amo così tanto la mia vita anche se non lo so che non sono pronta a compiere alcuna scelta e così rinunciare ad alcun piccolo pezzo di essa. Sono così oberata.
ADOLFO devi andare a fare il depo.
MARIA se Mia andrà in una nuova famiglia, potrei rivederla presto senza più le ingerenze della suocera razzista verso il disturbo che ho. Potrebbe maturare un punto di vista meno distorto sulla sua mamma, Mia. Ne gioveremo, in qualche modo tutti. Pagheranno solo i detrattori che hanno trasgredito la legge e l’hanno abbandonata in un’auto rovente. Si tratterà di un ambiente neutro e sanato dalle usanze obsolete, ma sarà dura per la piccolina. La sua vita è già segnata dal germe delle mie stesse fatiche. Nessuno che le insegni come avrei potuto io che c’è una serena verità, seppur scomoda, al di là di queste ingenue sicurezze su cui si regge il mondo, quelle narrazioni, costruzioni, masturbazioni mentali che altro non sarebbero se non le bugie dei civili: essi si arrampicano sugli specchi per non guardare all’amaro piatto della sconfitta a priori che è questa vita di ognuno in un mondo dove solo la desolazione è scevra dalla menzogna, la felicità non esiste. Il brivido che dà l’esaltazione davanti alla carota del proprio obiettivo che pendulo si avvicina alla bocca di chi la vuole afferrare assomiglia piuttosto all’eccitazione dello stallone, che dura un attimo. Siamo cavalli che corrono bradi verso la solitudine, pena vivere a metà. Nascondersi le cose altrettanto non è affatto un piacere. Che cosa fare, non saprei dirlo. Solo, sarebbe bello se fosse durato meno.
MARIA sviene accasciandosi al suolo avvelenata dal bicchiere di vino, che si infrange.
ADOLFO il vino era avvelenato. Non la porterò in ospedale. Potrebbero non risparmiarle il ricovero per tentato suicidio in psichiatria, una morte indegna di lei, nel caso. Proverò a rianimarla. Non c’è niente da fare. E’ morta.
ADOLFO beve dallo stesso calice.
COREUTA Adolfo, perché bevi anche tu del calice della sconfitta? Presto, Angelo, chiama i soccorritori.
ANGELO esce. ADOLFO muore. Si ode la sirena in lontananza dell’ambulanza che viene. Il CORO si fa intorno alle vittime e li chiude in un sommesso abbraccio di corpi. Musica.
Al reparto di psichiatria MARIA si risveglia su un letto di lenzuola verdi. Le pareti sono verdi.
MARIA Dove sono? Mi hanno drogata di nuovo.
Entra il MEDICO DELL’OSPEDALE.
MEDICO DELL’OSPEDALE Bentornata tra di noi, Maria. Come sta?
MARIA Io? Mi piacerebbe poter parlare con il mio Avvocato, dottoressa. Grazie, potrebbe farlo venire.
MEDICO DELL’OSPEDALE cosa le è successo Maria, perché ha bevuto quel vino?
MARIA se volesse sapere la mia, lei ha troppa fretta di poter sapere.
MEDICO DELL’OSPEDALE se è vero che avrei troppa fretta, allora potrei metterle a disposizione molto tempo da passare in questo reparto, prima di mandarla via. Avanti. Sputi il rospo, signora.
MARIA sono viva per miracolo e mi tocca d’essere trattata così. Come se non vi conoscessi affatto.
MEDICO DELL’OSPEDALE ha tentato il sucidio, Maria, si tratta di una cosa molto grave che annulla tutti i progressi che aveva fatto in quattro anni di fatiche immani.
MARIA è stato qualcuno ad avvelenarmi! Non ho messo io il veleno dentro al bicchiere di vino, lo giuro, è così dottoressa, può credermi.
MEDICO DELL’OSPEDALE prende nota scrivendo qualcosa sopra un taccuino da inserire nella cartella clinica subito dopo.
MEDICO DELL’OSPEDALE (annuendo.) Ora dorma pure e si goda il suo soggiorno qui all’ospedale, mentre io vado a predisporre la sua documentazione per l’ingresso in psichiatria.
MARIA psichiatria? Non è possibile!
MARIA si agita. Il MEDICO DELL’OSPEDALE chiama degli infermieri, che accorrono, legano Maria e le fanno un’iniezione, lei s’addormenta.
MEDICO DELL’OSPEDALE Dalla cartella clinica della signora risulta una diagnosi di disturbo dissociativo della personalità, grave e cronica acuita al momento dalla situazione incerta di sua figlia. La minore, sette anni viveva con la nonna e a seguito di un incidente è passata in affido ad altra famiglia. La preoccupazione della signora per la bambina è sfociata in un tentativo di suicidio durante una cena di anniversario dal compagno, Adolfo, deceduto nella stessa data. Mi raccomando che il personale sia certo che la signora non venga a conoscenza del decesso del compagno o potrebbe rimanere destabilizzata dalla triste notizia.
Il personale si allontana dalla camera di MARIA, che si sveglia stordita. Entra ELENA, nonna di MIA, con MIA al seguito.
ELENA Maria… nuora adorata, come ti senti? Mia… avvicinati a tua madre.
MARIA Mia! Elena…
ELENA spero che non ti dispiaccia se siamo venute a trovarti. Ci tenevo affinché tua figlia potesse vederti. Dopo quello che hai passato in questi giorni mi sono sentita in dovere di venire e trovarti. Voglio dirti che mi dispiace, che sono stata molto dura con te. Ti avevo promesso che le cose sarebbero andate in un certo modo, invece non è andata come speravo. Ma non è come credi, io ci speravo tanto. Devi saperlo.
Entra l’EX MARITO di MARIA.
EX MARITO sono il tuo ex marito, puoi riconoscermi sicuramente anche se in questi anni il mio aspetto si è fatto diverso. Sono passati quasi dieci anni da quando ci siamo conosciuti.
MARIA cosa volete da me tutti voi, portatori di morte al mio capezzale?
ELENA esce. EX MARITO resta poi esce.
MARIA apparizioni fantasmagoriche. Elena!
ELENA fa ritorno al letto di MARIA.
MARIA dal momento che mi devi molto almeno fammi un favore pure tu, ora, se ne sei capace. Potresti spiegare che qualcuno mi ha messo del veleno nel bicchiere. Non sono stata io a tentare il suicidio.
ELENA ma non credo che sia andata proprio in questo modo, Maria. Senti, credo che ora potresti aver bisogno davvero di cure per riprenderti, cara. Stammi bene.
MARIA Adolfo. Dov’è?
INFERMIERA entra.
INFERMIERA ecco il pranzo, arrivato dalla mensa direttamente a lei caldo e fresco di cottura, buono buono sulla sua tavola. Stia comoda.
MARIA non ho fame. O ingrasserò i chili che ho perso faticosamente in mesi di dieta se mangerò qui. Mi piacerebbe fare una telefonata.
INFERMIERA ma lei non ha nessuno cui telefonare. Dal momento che i suoi ospiti sono andati via, che vuole farci? E’ sola al mondo.
MARIA ho un compagno.
INFERMIERA non dica bugie. Lei non ha un compagno, Maria.
INFERMIERA esce.
MARIA molto misterioso.
Entra DOTTORESSA GARUTI.
DOTTORESSA Dio, Maria! Mi fa quasi prendere un colpo. Cosa ci farebbe lei qui? Stavo passando per il corridoio quando ecco, la vedo, mi fermo un attimo, il tempo di realizzare e non posso credere ai miei occhi. Sono appena tornata da casa sua, dove l’ho cercata senza successo per consegnarle le dimissioni. Un momento, no, giù le mani. A questo punto non sono più sicura di dargliele. Cosa è accaduto esattamente? Le prometto che proverò ad aiutarla.
MARIA Parole le sue. Dal momento che è inorridita alla sola vista scandalosa e indecente di me ricoverata e deludente dopo i progressi di quattro anni, non mi darebbe mai quel certificato. Sia serena. Come rimproverarla. Non ci ho sperato nemmeno per un istante, anche se me ne ha parlato poc’anzi. Tuttavia lei è testimone insieme ad Adolfo che non può essersi trattato il mio di un gesto estremo ed inconsulto: infatti se è vero che mi avreste vista alcune ore fa, potreste essere certi almeno quanto me che io stessi bene. Voglio dire che qualcuno ha tentato di avvelenarmi, già. Sembra proprio incredibile. Invece è così. Non le chiederò di poter firmare dimissioni, non vorrei né strisciare né elemosinare di poter firmare per la mia libertà e sentirmi dire sì o no in base a un capriccio che sarebbe comunque tale in tutti i casi, visto e considerato che la libertà sarebbe un bene che qualunque mente sana vorrebbe attribuire al genere umano, senza farne appannaggio di pochi.
DOTTORESSA sta bene. Se non posso fare altro, io tornerei al mio lavoro.
MARIA Ci sarebbe una cosa. Potrebbe chiamare Adolfo e farlo venire da me. Avrei bisogno dei miei abiti, un poco di frutta fresca da mangiare quale alternativa a questa sbobba fredda e umidiccia che la sua infermiera mi ha messo sul grembo tutta da annusare e anche le mie cuffie bluetooth. Potrebbero servire quando mi sarà concesso dall’alto di poter disporre del mio telefono in questo reparto, cui darei fuoco.
DOTTORESSA non è possibile chiamare Adolfo. Chiamerò tua madre Marlene anziché Adolfo.
MARIA non frequento Marlene mia madre da dieci mesi e lei vorrebbe farla venire qui. Si risparmi pure di chiamare chicchessia e si tenga il suo prezioso tempo, visto che ci terrebbe tanto. Piuttosto, se crede che mi potrebbe dovere una spiegazione in quanto ad Adolfo che non sarebbe in grado di raggiungermi laddove vorrebbe anche lui portarmi delle coperte, un po’ d’amore soprattutto, le sarei grata.
DOTTORESSA Maria… al momento io non sono dell’opinione che tu potresti voler sapere una cosa su Adolfo che mi premerebbe dirti ma a patto che tu stia tranquilla. Ora, non agitarti. Ti prometto che andrà tutto bene, non temere. Torno subito.
Le infermiere all’esterno della stanza raggiungono la DOTTORESSA GARUTI presso la finestra con le veneziane abbassate oltre le quali è possibile intravvedere MARIA stesa nel letto. MARIA si alza e comincia a sbattere i pugni piena d’agitazione contro le vetrate.
MARIA Maledetta! Avevi detto che mi avresti aiutata, dottoressa! Fatemi uscire! Voglio uscire da questo reparto di merda!
DOTTORESSA Fa così perché non ha più niente da perdere, o almeno ne è convinta lei, che non sa che Mia avrebbe espresso il desiderio di poter vivere con lei. Non è nelle condizioni di poter conoscere la verità a tal proposito né sul decesso del suo compagno ma posso garantire davanti a Dio che alcune ore fa stava bene. Bisogna scoprire chi sarebbe stato a tentare di ucciderla, costi quel che costi. Bisogna crederle.
INFERMIERA Se continua in questo modo occorrerà intervenire, sta per rompere il vetro. Potrebbe fuggire. Non si preoccupi Dottoressa: visto che le cose stanno in questo modo potrei usare le maniere dolci con lei e provare a farla ragionare. Ma se ciò non dovesse riuscire, sarei costretta a mandarla in isolamento. Se desse altri segni di squilibrio potrebbe trattarsi pur sempre di una paziente pericolosa. La prassi insegna che occorre mettere in isolamento tali pazienti e non fa differenza tra paziente e paziente. Se non la smette infrangerà il vetro e l’assicurazione non pagherà.
DOTTORESSA Ti dico di no, lascia perdere. Pagherò di tasca mia. Non è una velleità. Questa signora è disperata. Lo sarà ancora di più poi quando saprà che il suo compagno è morto.
MIA in quel momento si allontana rapidamente da ELENA e si avvicina alla finestra pericolante screpolata e questa va in frantumi sopra di lei. Mia rimane steso a terra di colpo. Le infermiere accorrono al corpicino della piccola ormai dissanguato e senza vita. MARIA divincolandosi nel caos riesce a fuggire dal reparto passando dalla finestra sul cadavere della figlioletta. Mentre cerca di tagliare la corda il COMMISSARIO LEONE entra, la vede, inveisce e le spara un colpo di pistola dritto alla testa. MARIA muore sul colpo. La DOTTORESSA GARUTI che si era nascosta dietro un mobiletto di medicinali esce allo scoperto.
DOTTORESSA Sono io che l’ho avvelenata.
L’INFERMIERA le infligge un colpo con uno dei pezzi di vetro della finestra infranta poco prima. Poi si uccide. ELENA fa lo stesso, mentre EX MARITO muore di crepacuore sul colpo. Non rimane più nessuno vivo, nemmeno il Commissario.
VOCE FUORICAMPO Siamo in Danimarca. Corre il mese di dicembre del 2007 e tu sei nella neve, nei larici che si stagliano svettanti alla tua destra, fuori dal treno che percorre la tratta che va da Holstebro ad Aarhus. Lassù uno spettacolo ti attende. Lavori come mestierante pagata non esattamente in regola per una nota compagnia locale e tu speri di partire con loro in occasione del prossimo tour europeo. Stasera berrai un bicchiere e ti inebrierai con la droga che una tua rivale ha posto in esso, affinché la Polizia potesse venirti a prendere e, con la scusa che tu fossi in condizioni estreme, si sbarazzerà di te, si prenderà il tuo futuro di attrice per sé. Avresti voluto diventare una grande stella del cinema. Invece sei stata tratta in inganno e la tua dolce consolazione è l’estasi che ti può dare sola come sei in terra straniera la polvere che ti ha posseduta e quando tuo padre verrà a prenderti tornerai in Italia, Paese che hai sempre avuto in odio per la sua arretratezza culturale. Hai appena superato una vetrata. Stai correndo da lei, tua figlia è sepolta sotto la terra torva e nuda. Il treno scorre velocemente quelle pagine che all’orizzonte ti possono ricordare solo il panorama di Pienza. Là, buttato l’occhio giù dalla spaziosa terrazza si possono vedere sfilare alti cipressi. Eri andata là da bambina e ne hai ancora un ricordo vivido… al cimitero tutto tace…
MARIA si sveglia lentamente sola stesa sul pavimento.
VOCE FUORICAMPO Siamo in Danimarca. Corre il mese di dicembre del 2007 e tu sei nella neve, nei larici che si stagliano svettanti alla tua destra, fuori dal treno che percorre la tratta che va da Holstebro ad Aarhus. Lassù uno spettacolo ti attende. Lavori come mestierante pagata non esattamente in regola per una nota compagnia locale e tu speri di partire con loro in occasione del prossimo tour europeo. Stasera berrai un bicchiere e ti inebrierai con la droga che una tua rivale ha posto in esso, affinché la Polizia potesse venirti a prendere e, con la scusa che tu fossi in condizioni estreme, si sbarazzerà di te, si prenderà il tuo futuro di attrice per sé. Avresti voluto diventare una grande stella del cinema. Invece sei stata tratta in inganno e la tua dolce consolazione è l’estasi che ti può dare sola come sei in terra straniera la polvere che ti ha posseduta e quando tuo padre verrà a prenderti tornerai in Italia, Paese che hai sempre avuto in odio per la sua arretratezza culturale. Hai appena superato una vetrata. Stai correndo da lei, tua figlia è sepolta sotto la terra torva e nuda. Il treno scorre velocemente quelle pagine che all’orizzonte ti possono ricordare solo il panorama di Pienza. Là, buttato l’occhio giù dalla spaziosa terrazza si possono vedere sfilare alti cipressi. Eri andata là da bambina e ne hai ancora un ricordo vivido… al cimitero tutto tace…
MARIA si sveglia lentamente sola sul pavimento, di bianco vestita.
MIA sopraggiunge alle sue spalle. Si abbracciano.
Questa volta non commetterò errori.
