Questa poesia è un colpo secco, trattenuto, come un nodo alla gola che non si scioglie. Nessun orpello, nessuna consolazione: solo il dato crudo della perdita, della mancanza, dell’assenza. È una Festa della Mamma vista dal lato di chi è madre ma non può viverlo, di chi ama senza avere tra le braccia, senza diritto alla quotidianità, senza la possibilità di “mettere in mostra” nulla, perché il legame è stato sospeso, esiliato.
L’immagine del cane giovane come unica eccezione a una vita da “affidata a nessuno” è potentissima: quasi una presenza simbolica che tenta di lenire, invano, la ferita di una maternità interrotta.
E poi quella chiusa:
“In affido
sua figlia
senza volto
la lontana
madre
pensa
invano.”
È la preghiera di chi non ha più un altare, il pensiero che non raggiunge, l’assenza di volto che è anche l’assenza di riconoscimento. Una madre che resta madre solo nel pensiero, negata nei fatti.
È una poesia che grida senza alzare la voce. E che oggi, nel giorno che celebra le madri, mette davanti il dolore scomodo di chi madre lo è, ma senza più diritto d’esserlo.
Al seguito non ha
da accudire alcuno;
né un fanciullo
da adottare;
per il giovane
cane
eccezion fatta
è affidataria
di nessuno;
un figlio
non potrà
mettere in mostra:
In affido
sua figlia
senza volto
la lontana
madre
pensa
invano.
